Atto di citazione per ristoro dei danni in via collettivaInquadramentoCon l'atto di citazione ex art. 140-bis c.p.c., alcuni consumatori intendono ottenere, in via collettiva, il ristoro dei danni subiti in conseguenza della mancata accettazione del programma software predisposto su PC. FormulaTRIBUNALE DI .... 1 ATTO DI CITAZIONE EX ART. 140-BIS D.LGS. 6 SETTEMBRE 2005, N. 206 PER il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., tutti rappresentati e difesi, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC .... PREMESSO CHE — gli istanti acquistavano per uso domestico il Personal Computer .... con preinstallato il sistema operativo ...., come da scontrini fiscali (doc. 1); — alla prima accensione gli istanti si trovavano di fronte la schermata video contenente le condizioni del contratto del software .... (doc. 2); — gli attori non intendendo accettare le condizioni del suddetto contratto, rifiutavano l'attivazione della licenza d'uso e non utilizzava in alcun modo il software in questione; - in particolare il citato contratto prevede che qualora il licenziatario non accetti le condizioni ivi previste, non può utilizzare il software ed è tenuto a contattare il produttore o l'installatore per conoscere le modalità di restituzione (doc. 3); — conseguentemente in date .... gli istanti procedevano all'invio di raccomandate a/r nei confronti della società ...., quale produttore del programma, e la società ...., quale ditta installatrice, chiedendo che venissero indicate le modalità di restituzione del programma e che venisse corrisposto il rimborso dovuto (documento 4). Le richieste tuttavia rimanevano senza esito; — in tale sede gli istanti intendono agire solo nei confronti della società di produzione del software (società ....); — la vicenda occorsa agli istanti è chiaramente di natura contrattuale ed è capitata a numerosi utenti che si trovano nella medesima condizione; in particolare, gli stessi hanno subito comportamenti vessatori da parte delle case produttrici, senza avere soddisfatto il loro diritto al rimborso. La licenza relativa al programma prevede, sia pure con espressione ambigua e poco chiara il diritto alla restituzione ed al rimborso del prezzo pagato per il software. In tal modo la convenuta si è dovuta nel corso del tempo conformare alle norme generali sui contratti ed in particolare alle norme che tutelano la debolezza del consumatore/contraente debole, ed è stata costretta al rispetto del principio generale secondo cui prima di acquistare bisogna conoscere. È indubbio pertanto il diritto al rimborso degli odierni attori. In primo luogo è ovvio e consegue al normale svolgimento dei rapporti di diritto privato che, laddove non si addivenga alla conclusione del contratto ovvero non si esaurisca la fase che lo perfeziona definitivamente, ciò che è stato corrisposto in vista del medesimo va da restituito. Infatti, la previsione in merito alla restituzione del software contenuta nelle condizioni generali predisposte dalla convenuta, seppur nei limiti dell'annullabilità parziale dovuta alle clausole vessatorie, rappresenta una duplicazione dei principi generali contenuti nella disciplina codicistica dei contratti in materia di conseguenze della risoluzione contrattuale. In secondo luogo, è ormai principio inderogabile considerare vessatoria e annullabile a beneficio del consumatore la previsione che estende il consenso a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto [d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 artt. 33, lettera l) e 36 lettera c)]. Inoltre, in relazione al caso di specie l'utente non sa chi fra produttore o installatore debba essere la sua controparte nel contratto. Invero, non appare alcuna specificazione sul contratto su chi sia il soggetto, se sia un individuo oppure una società, né la sua ragione sociale, né la sua sede legale. Tutte informazioni in assenza delle quali è difficile ed incerta l'individuazione esatta del soggetto contraente. Tale incertezza sui soggetti contraenti rende nulla la clausola per contrarietà alle regole di chiarezza redazionale necessarie alla validità del contratto previste all'art. 35 del Codice al Consumo. Di tal che i consumatori, nel corso degli anni, hanno avuto molte difficoltà ad esercitare i propri diritti contrattuali ed in particolare ad ottenere il rimborso in modo effettivo e non vessatorio. Tali circostanze delineano in capo alla convenuta anche un ulteriore ed autonomo profilo di responsabilità, che trova il suo cardine nel generale principio di buona fede contrattuale già richiamato per altri versi sopra e pre-contrattuale. Da ciò ne consegue che il consumatore prima è costretto a pagare, poi viene illuso di poter ricevere un rimborso ed infine tale illusione viene radicalmente delusa nei fatti da un machiavellico marchingegno studiato a tavolino. Ne consegue il diritto dei consumatori al risarcimento dei danni. — Non v'è dubbio che l'azione promossa possa esser considerata ammissibile ai sensi e per gli effetti dell'art. 140-bis comma 2 Codice del Consumo. L'azione proposta, infatti, intende tutelare i diritti contrattuali di una pluralità di utenti e consumatori che si trovano nella medesima condizione. Diritti che a ben vedere rispecchiano il dettato del comma 2 citato, sia in quanto rientrano fra le ipotesi previste alla lettera a) - diritti contrattuali, inclusi quelli relativi ai contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341 e 1342, c.c. - sia perché si verte nel caso di cui al sub b), laddove si prevede l'azionabilità anche "a prescindere da un diretto rapporto contrattuale". Di certo, infine, quanto descritto e documentato con il presente atto, mette in luce il pregiudizio nei confronti della classe, derivante da pratica commerciale di dubbia correttezza e da comportamento anticoncorrenziale (ipotesi sub c). — Sempre in punto di ammissibilità è il caso di ribadire l'esatta identità delle situazioni che accomuna ogni acquirente del software preinstallato che intenda rifiutare le condizioni di licenza ivi contenute: stesso contratto di licenza software rifiutato, medesimo comportamento e inadempimento in merito al rimborso da parte di dei produttori. Tutto ciò premesso e considerato, gli istanti, come sopra rappresentati, difesi e domiciliati CITANO la Società ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ...., a comparire innanzi all'Ill.mo Tribunale di ...., Sezione e Giudice istruttore designando ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., all'udienza del ...., ore di rito, con invito ex art. 163 c.p.c. a costituirsi, nelle forme e nei modi di cui all'art. 166 c.p.c., 70 giorni prima dell'udienza su indicata, ovvero di quella fissata a norma dell'art. 168-bis, ultimo comma, c.p.c., e con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., che la difesa tecnica è obbligatoria in tutti i giudizi dinanzi al Tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall’art. 86 o da leggi speciali e che la parte, sussistendone i presupposti di legge può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio gratuito a spese dello stato e che, non costituendosi, si procederà, ugualmente, in sua contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: — In via preliminare accertare e dichiarare l'ammissibilità della domanda di classe ai sensi dell'art. 140 bis d.lgs. n. 206/2005; — Nel merito accertare e dichiarare la natura vessatoria della clausola contenuta nel contratto di Licenza Software ....(articolo ....); — per l'effetto previo accertamento dell'inadempimento contrattuale in ordine ai fatti di causa come esposti in narrativa e la risoluzione del contratto qualora ritenuto in essere, condannare la convenuta a corrispondere agli istanti la somma di euro ...., o la differente somma che dovesse risultare, a titolo cumulativamente e/o alternativamente di restituzione dell'indebito e/o di risarcimento del danno diretto. Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario. IN VIA ISTRUTTORIA (indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO) Si chiede, inoltre, di essere ammesso alla prove per testimoni sulle circostanze indicate in premessa/in punto di fatto, dal numero .... al numero ...., preceduti dalla locuzione “Vero è che”, ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che .... ”) .... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) Sig. ...., residente in ....; 2) Sig. ...., residente in .... In caso di contestazione, si chiede ammettersi CTU al fine di determinare il valore del programma software, in modo da quantificare il diritto al rimborso e/o al risarcimento dei danni. Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta. Ai sensi del d.P.R. n. 155/2002, e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro .... e, pertanto, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato pari ad Euro .... Luogo e data .... Firma Avv. .... [1] [1] Ai sensi degli artt. 139 e seguenti d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, ciascun consumatore o utente può agire a livello individuale ovvero mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa. Gli altri consumatori o utenti interessati, titolari di una identica pretesa, possono scegliere di aderire all'azione di classe già promossa, senza dover ricorrere al patrocinio dell'avvocato. Resta comunque salva la possibilità di agire individualmente per la tutela dei propri diritti. Oggetto dell'azione sono diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica; diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore; diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche o commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. La domanda è proposta al tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l'impresa. La domanda si propone con atto di citazione notificato anche all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale adìto, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità. Il tribunale tratta la causa in composizione collegiale. All'esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull'ammissibilità della domanda. CommentoPremessa A partire dalla fine degli anni Settanta, nel nostro Paese si è incominciato a parlare dell'utilità di introdurre il rimedio della class action, mutuandolo dall'ordinamento statunitense. Dopo un ampio dibattito dottrinale e politico, l'istituto della class action è stato finalmente introdotto nella legislazione italiana con la legge 99 del 23 luglio 2009, che ha modificato l'articolo 140-bis del Codice del consumo, oggi rubricato “azione di classe”. Nel sistema americano, la class action riesce a soddisfare le esigenze di economia processuale e di certezza del diritto, oltre a sortire un valido effetto deterrente ed inibente nella repressione delle condotte nocive o ingiuste da parte degli operatori economici più forti; la maggiore differenza tra la class action italiana e quella americana è da ravvisare nel sistema di “opt - in” adottato dal legislatore italiano, in forza del quale il giudicato formatosi nel processo di gruppo è destinato a produrre effetti unicamente nei confronti degli aderenti e degli interventori; a tanto va aggiunto che i costi di un'azione di classe nel nostro Paese sono particolarmente elevati e che, in caso di sconfitta, il singolo partecipante avrà anche il carico delle spese di lite ex art. 96 c.p.c. Inoltre, la class action italiana contempla molteplici formalità procedurali, tali da rendere difficile in primis il superamento del vaglio di ammissibilità, posto che la stessa viene affermata solamente allorquando i diritti fatti valere si presentino come omogenei oppure identici; ancora, la sentenza in cui sfocia il giudizio collettivo costituisce una pronuncia sui generis di mero accertamento, che, eventualmente, può contenere i criteri per la liquidazione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti, ovvero gli importi minimi da riconoscersi a ciascuno di essi, ma non attribuisce di per sé ai vincitori il potere di provocare l'inizio e la prosecuzione del procedimento per la soddisfazione coattiva della massa di diritti di credito dei consumatori o degli utenti. Con il d.lgs. n. 198/2009 è stata introdotta, nel nostro ordinamento, un'altra ipotesi di class action, esperibile contro la P.A.: ai sensi dell'art. 1 della detta normativa, «al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150» (v. infra per approfondimenti). La class action civilistica e la class action pubblicistica: differenze La class action prevista dal d.lgs. n. 206/2005 costituisce uno strumento utilizzabile unicamente da una specifica categoria di soggetti, le associazioni dei consumatori o degli utenti, cosicché l'art. 140-bis d.lgs. n. 206/2005 opta per un modello affidato interamente alla dialettica tra associazioni dei consumatori e imprese. L'azione civilistica è destinata ad operare con riguardo ad una serie di illeciti plurioffensivi, contrattuali e extracontrattuali, contemplati dalla norma ed è tesa a consentire il conseguimento di forme di tutela risarcitoria o restitutoria. Come si è accennato, una volta emessa dal giudice la sentenza collettiva, opera il meccanismo dell'opt in, vale a dire l'estensione dell'efficacia della stessa in favore di tutti i soggetti che abbiano espressamente aderito all'azione (il che vale a distinguerla dal modello statunitense che prevede l'estensione automatica degli effetti della sentenza, favorevoli o pregiudizievoli che siano, a tutti i membri della classe, senza alcuna specifica adesione all'azione; ulteriori distinguo possono rinvenirsi nel ridimensionamento del ruolo degli avvocati dei danneggiati e nel deciso rifiuto, da parte del sistema italiano, dei cd. danni punitivi - v. formula su danni punitivi). Da un punto di vista procedimentale, è previsto un giudizio sull'ammissibilità dell'azione che culmina nella pronuncia di un'ordinanza del giudice cui seguirà l'avvio della fase processuale vera e propria. La class action introdotta nel settore pubblico, nata nel contesto di riforma della P.A. e di progressiva valorizzazione dell'efficienza dell'azione amministrativa, rappresenta uno strumento processuale volto a scongiurare qualsivoglia situazione di non funzionalità dei servizi pubblici e di violazione di quei parametri, aziendalistici ed imprenditoriali, miranti ad assicurare il soddisfacimento dell'utenza. Non si tratta di un'azione finalizzata ad una tutela meramente risarcitoria, bensì volta al conseguimento di una tutela ripristinatoria, posto che il G.A., accertata la sussistenza della violazione da parte della P.A., condannerà la stessa a porre rimedio all'inefficienza illegittimamente cagionata. Ciò vale a giustificare il diverso ambito di applicazione, come evincibile dall'art. 1 del d.lgs. n. 198/2009, il quale limita l'ammissibilità dell'azione alle doglianze in ordine ai comportamenti omissivi della P.A. legati alla mancata adozione di atti amministrativi generali ed obbligatori non aventi contenuto normativo. Ciò che qualifica tale tipologia di azione è il particolare iter procedimentale, il quale vede la presenza di una fase preventiva diversa rispetto a quella civilistica: è, infatti, necessaria la formalizzazione di un atto di diffida inoltrato all'amministrazione affinché adotti, entro il termine di 90 giorni, tutte le iniziative utili ad assicurare la soddisfazione degli interessati; decorso invano detto termine sarà possibile avviare la fase processuale vera e propria, con la presentazione del ricorso collettivo entro un anno dalla scadenza dei novanta giorni. Peculiare si rivela, altresì, lo stesso rapporto del singolo con l'associazione: a differenza della class action civilistica, nella quale è sufficiente il mero affidamento del mandato, occorre una vera e propria affiliazione che, evocando una graduazione di maggiore affinità tra gli interessi coinvolti nella vicenda processuale, postula un rapporto più effettivo di immedesimazione organica. La sentenza conclusiva è di condanna dell'amministrazione all'eliminazione di tutti quei comportamenti che cagionino l'inefficienza pubblica. Sotto il profilo del riparto di giurisdizione, la natura consumeristica della vicenda attrarrà, di norma, al Tribunale ordinario la controversia; alternativamente, ai fini dell'individuazione del giudice titolare della giurisdizione, si potrà aver riguardo alla finalità della tutela, satisfattoria diretta nel caso di class action civilistica, mirante a ricondurre il comportamento dell'ente pubblico o del suo concessionario entro i canoni dell'art. 97 Cost. nel caso di class action pubblicistica. Invero, si sottolinea, da parte della dottrina, che nell'azione di classe consumeristica, il tribunale non rappresenta solamente l'altro polo della giurisdizione, ma è contemplato quale giudice specializzato, che ha competenza a conoscere e a decidere ove ricorrano le peculiari condizioni oggettive e soggettive fissate dalla norma; d'altra parte, lo stesso d.lgs. n. 198/2009 prevede l'improponibilità del rimedio collettivo pubblicistico quando sia stata esperita l'azione ex art. 140-bis cod. cons., ammettendo così implicitamente che i due ambiti normativi hanno in comune la finalità di tutela del “consumatore”, ma che le modalità in cui essa si concreta sono più ampie e satisfattive nella disciplina dettata dal Codice del consumo. Laddove dovesse ipotizzarsi un'alternatività secca negli obiettivi presi di mira dal legislatore, non avrebbe senso il precetto regolatore dell'art. 2 del d.lgs. n. 198/2009, che stabilisce la prosecuzione dell'azione consumeristica e vieta la proposizione di quella pubblicistica. Tale ultima svolge appieno il suo ruolo se precede la domanda ex art. 140-bis cod. cons. sugli stessi fatti per cui si invoca la tutela in via amministrativa, ma perde di significato dinanzi a una richiesta risarcitoria o restitutoria proveniente da quegli stessi cittadini-consumatori, poiché alla base di siffatta domanda vi sarà implicitamente, ma ineludibilmente, l'istanza alla cessazione del comportamento ritenuto contra legem. D'altra parte, quella medesima istanza inibitoria, se proposta in via principale nelle forme dell'art. 140 cod. cons., condiziona anch'essa la successiva esperibilità del rimedio collettivo pubblicistico;mentre, se quest'ultimo è anteriore all'inibitoria consumeristica, la norma ne prevede la sospensione fino ala definizione dell'altro procedimento. Recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di affermare che il criterio da utilizzare ai fini del riparto della giurisdizione è quello della finalità e dell'entità della tutela azionata concludendo per l'attribuzione «alla giurisdizione del giudice ordinario della domanda risarcitoria svolta, a norma dell'art. 140-bis del d.lgs. n. 206/2005, dall'utente di un servizio pubblico nei confronti del soggetto privato assunto come inadempiente in relazione al corrispondente contratto (nella specie, di trasporto pubblico) attuativo del servizio» (Cass. S.U., n. 19543/2015). La giurisprudenza sulla class action : casistica e questioni In punto di individuazione dell'oggetto della tutela collettiva, T.A.R. Roma, (Lazio), II, n. 165/2017 ha precisato che «pur essendo stata oggettivamente ampliata la platea dei soggetti che sono legittimati a tutelare gli interessi dei consumatori e degli utenti (oltre ad essere stata ampliata la gamma delle azioni proponibili, con l'inserimento della class action in virtù del nuovo art. 140 bis), dall'esame del testo dell'art. 140 del Codice del Consumo pare evidente che non è stata inclusa, tra gli strumenti di tutela giudiziale, l'azione di annullamento ovvero che non sono stati introdotti specifici mezzi di tutela giudiziale diretta di interessi legittimi da spendere in sede giudiziale a cura degli enti esponenziali». Sui limiti all'esperibilità della class action, T.A.R. Roma (Lazio), III n. 6433/2016 esclude l'azionabilità della c.d. class action pubblica al di fuori dei casi espressamente contemplati dal d.lgs. n. 198/2009 (il ricorso, nel caso di specie, è stato dichiarato inammissibile, in quanto non verteva in tema di adozione di "atti generali non normativi" e non ricorreva alcun richiamo a specifici obblighi "contenuti nelle carte di servizi" o a "violazioni di standard qualitativi ed economici"). In punto di legittimazione attiva, T.A.R. Roma (Lazio), III n. 5190/2016 afferma che il ricorso ex art. 1 d.lgs. n. 198/2009 può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori di cui al comma 1 dando per acquisita la possibilità che il predetto ricorso sia altresì proposto da persone fisiche («la novità del rimedio giudiziale introdotto dal legislatore con la predetta normativa, pertanto, sta nella circostanza che anche il singolo utente può, singolarmente o in gruppo con altri utenti o soggetti con i quali condivida lo stesso malessere, giuridicamente rilevante, attuale e concreto, nei confronti delle inadempienze perpetrate da uno o più Amministrazioni Pubbliche, rivolgersi al giudice amministrativo perché disponga in merito al ripristino del corretto svolgimento della funzione o della corretta erogazione di un servizio, sempreché: a) l'interesse che muove il singolo sia solo apparentemente individuale, in quanto si confonde e si estende nell'interesse di altri soggetti per i quali è comune, dal momento che tutti si trovano, nei confronti dell'Amministrazione di riferimento, nelle medesime condizioni di doglianza pretensiva; b) detto interesse, all'atto della proposizione del ricorso che reca l'azione di classe, deve mantenersi in termini di attualità e concretezza con riguardo al soggetto proponente»). In ordine al riparto di giurisdizione, T.A.R. Reggio Calabria, I, n. 244/2016 reputa sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della controversia relativa ad atto emanato da Poste Italiane Spa recante l'avviso di chiusura dell'Ufficio Postale di determinate località e la drastica riduzione dell'orario di apertura al pubblico di altro ufficio postale sulla base di una lettura ampia e in chiave oggettiva della nozione di servizio pubblico nonché, per analogia, sull'articolo 1 del d.lgs. n. 198/2009, nel senso che l'attribuzione della giurisdizione (anche) su determinati profili inerenti la stessa erogazione del servizio (ad esempio la violazione di standard qualitativi o degli obblighi contenuti nelle carte di servizi) e che investono diritti soggettivi degli utenti (cosiddetta class action pubblica) non potrebbe, a maggior ragione, non attrarre nella giurisdizione amministrativa anche gli atti prodromici aventi natura organizzativa posti in essere dal concessionario del servizio; pertanto, la fattispecie in esame non è riconducibile a un mero rapporto di utenza, dal momento che la condotta di Poste Italiane riverbera effetti di carattere generale su un'intera popolazione locale, violando in tesi quegli obblighi di servizio universale che, per il diritto comunitario, gravano innanzitutto sugli Stati, cui spetta adottare e far rispettare le misure occorrenti affinché le correlate prestazioni siano assicurate nel rispettivo territorio. In ordine alla possibilità ed ai tempi della chiamata in causa del terzo, Trib. Roma 10 maggio 2016 secondo la quale dalla previsione dell'art. 140-bis comma 11 d.lgs. n. 206/2005 può desumersi che la chiamata in causa del terzo, se finalizzata a tenere il convenuto indenne dalle pretese dell'attore, può essere chiesta dal convenuto anche successivamente alla fase della valutazione dell'ammissibilità della domanda. Ciò a condizione che con quell'ordinanza, o con altra ordinanza successiva a quella, non siano stati emessi provvedimenti che dettino alle parti i tempi e i modi per definire il thema decidendum e il thema probandum e, ancor di più, che il tribunale non si sia ancora pronunciato in merito all'ammissibilità e la rilevanza delle prove. In tal caso, infatti, sarebbe compromessa non solo la sollecita gestione del processo, ma anche la sua efficacia perché potrebbe essere necessario ripetere attività già svolte per consentire al terzo chiamato di esercitare le proprie facoltà processuali e alle altre parti di adattare le proprie difese alle difese approntate dal terzo chiamato. In tema di ammissibilità della class action, v. Trib. Venezia 12 gennaio 2016 ove ha superato il vaglio preventivo l'azione proposta nei confronti di una casa automobilistica che ha divulgato presso il pubblico dei consumatori dati errati e scorretti sui consumi di carburante e sulle emissioni di CO2, l'identità della causa petendi, ovvero l'acquisto di un medesimo modello di autovettura, non è sufficiente a fronte di un preteso danno patrimoniale condizionato da una pluralità di fattori soggettivi ed oggettivi (ad es. lo stile di guida, le condizioni del veicolo, il manto stradale, l'uso degli equipaggiamenti ecc.), esterni rispetto al mero dato dell'acquisto, tali da rendere necessario l'esame di situazioni eterogenee in contrasto con le ragioni alla base della trattazione congiunta dell'azione secondo il meccanismo processuale dell'azione di classe. In ordine all'impugnabilità per cassazione dell'ordinanza con la quale sia stata dichiara inammissibile l'azione di classe, v. Cass. S.U. n. 2610/2017 secondo la quale «l'ordinanza di inammissibilità dell' azione di classe proposta ex art. 140-bis del d.lgs. n. 206/2005, adottata dalla corte di appello in sede di reclamo, non è impugnabile con il ricorso ex art. 111, comma 7, Cost., ove la detta azione sia finalizzata ad ottenere la tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe e non anche di un interesse collettivo, essendo il medesimo diritto tutelabile attraverso l' azione individuale volta ad ottenere il risarcimento del danno; peraltro, la dichiarazione di inammissibilità preclude la riproposizione dell' azione da parte dei medesimi soggetti, ma non ad opera di tutti gli altri appartenenti alla classe che non abbiano aderito all' azione oggetto di quella declaratoria». Le Sezioni Unite sono partite dal rilievo che, nella fattispecie in esame, era stata azionata una pretesa risarcitoria dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, che i proponenti della domanda o i successivi aderenti all'azione assumevano di aver subito individualmente per effetto delle condotte contestate alla controparte, e non anche un'azione volta alla tutela di un interesse collettivo riferibile all'associazione rappresentativa o ai proponenti. Con specifico riferimento alla disciplina dell'azione di classe, hanno altresì osservato che tale azione, ove sia proposta unicamente a fini risarcitori e non a tutela di interessi collettivi, costituisce un mezzo di tutela che si aggiunge a quello ordinario spettante al singolo interessato per ottenere il bene della vita consistente nel risarcimento di un danno che egli assume di aver subito per effetto della condotta posta in essere dal soggetto danneggiante. Ed infatti, i diritti di chi ha aderito all'azione di classe non vengono compromessi per il caso in cui l'azione stessa sia stata dichiarata inammissibile, versandosi in tal caso in una ipotesi di chiusura anticipata del processo che, a norma del comma 15 dell'art., 140-bis del d.lgs. cit., fa salvi i diritti dei singoli aderenti. Ciò esclude che il provvedimento di inammissibilità abbia i caratteri della decisorietà e definitività in senso sostanziale, con conseguente inidoneità a giustificare il ricorso straordinario. Muovendo da tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno altresì affermato che l'azione di classe dichiarata inammissibile non è riproponibile dai medesimi soggetti che la hanno proposta o hanno ad essa aderito, in quanto, se è vero che la cognizione del giudice è caratterizzata dalla sommarietà, è altrettanto vero che la valutazione di inammissibilità viene effettuata all'esito di una cognizione che può spingersi anche ad esaminare profili di merito della pretesa azionata (la sua manifesta infondatezza); ciò salvo che si tratti di altra azione di classe da parte di soggetti diversi da quelli per i quali detta dichiarazione di inammissibilità è intervenuta. In senso conforme, di recente Cass. III n. 26725/2018 dove gli Ermellini partono dal richiamo alle S.U. n. 2610/2017 secondo cui se l'azione di classe, ex art. 140-bis del Codice del consumo, è finalizzata solamente «ad una tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe e non anche a tutelare un interesse collettivo, l'ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d'Appello in sede di reclamo non è impugnabile con ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. essendo il medesimo diritto suscettibile di tutela attraverso l'azione individuale finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno» (nella fattispecie La Codacons, insieme all'attore, quale legale rappresentante della figlia minore, proponevano azione di classe dinanzi al Tribunale di Roma nei confronti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore al fine di accertare la responsabilità del Policlinico Universitario Gemelli «per avere un comportamento omissivo e violativo degli obblighi di legge e di contratto, provocato il contatto» della minore con una persona malata di tubercolosi, costringendo la minore stessa a sottoporsi ad estenuanti esami e profilassi, mettendola a rischio di sviluppare la malattia; In particolare, si chiedeva il risarcimento per il danno biologico e morale patito dall'attore e dalla figlia e per il danno esistenziale patito da lui, oltre la proposizione di analoga domanda di accertamento e di condanna risarcitoria per ogni neonato aderente e per i suoi genitori, poiché nel 2011 al citato Policlinico era risultato che un'infermiera, malata di tubercolosi, lavorava nel reparto neonatale.Dopo il rigetto della domanda da parte del giudice di prime cure e della Corte territoriale, viene proposto ricorso in Cassazione. La Corte, avallando la decisione di secondo grado, sulla base della quale le voci di danno prospettate nel giudizio in oggetto erano soggettive e non tali da ledere il diritto alla salute, sottolinea come il ricorso in sede di legittimità è precluso quando l'azione di classe è volta ad ottenere un risarcimento pecuniario e non alla tutela di un interesse collettivo: ecco perché la class action va vista come uno strumento aggiuntivo che rafforza l'efficacia dell'azione, ma che si affianca agli ordinari rimedi di tutela). Si segnala da ultimo Cass. III n. 14886/2019 ove la Suprema Corte pone l’accento sulle peculiarità del danno non patrimoniale nell’azione di classe: ed infatti, in questi casi, il giudice di merito deve accertare che «le situazioni soggettive lese e i diritti concretamente pregiudicati (di necessaria rilevanza costituzionale [così come affermato dalle Sezioni Unite nel 2008]) siano caratterizzati (non solo dalla gravità e serietà della relativa lesione, bensì anche) dall’essenziale requisito della relativa omogeneità» (ex art. 140-bis T.U. Consumo). Per la S.C. quindi, se il singolo consumatore intenda ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale dovrà valutare se “accontentarsi” di una forfettizzazione del danno oppure mirare ad un accertamento “su misura” (ovvero personalizzato) del danno. Ben vero, in linea generale ed astratta non vi è alcuna preclusione a poter dedurre in un processo di classe i danni non patrimoniali, ma non quando occorrono «accertamenti calibrati su specifiche situazioni personali» ovvero quando occorra soffermarsi «sulla consistenza specifica della sfera emotiva o dell’esperienza dinamico-relazione di singoli danneggiati». La legge 12 aprile 2019, n. 31 (Disposizioni in materia di azione di classe)
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la l. 12 aprile 2019, n. 31 (G.U. n. 92 del 18 aprile 2019), che riforma l'istituto dell'azione di classe come attualmente previsto dal codice del consumo, inserendo la relativa disciplina all'interno del codice di procedura civile (all'interno del quale viene inserito un nuovo titolo, VIII – bis, composto dagli artt. da 840 – bis a 840 – sexiesdecies, relativo ai procedimenti collettivi, ovvero azione di classe ed azione inibitoria collettiva. Queste, in sintesi, le novità:
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 51 del 29 febbraio 2020, supplemento ordinario n. 10, della Legge 28 febbraio 2020 n. 8, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, (c.d. Milleproroghe), è stato previsto il differimento dal 19 aprile 2020 al 19 novembre 2020 dell’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di azione di classe e di tutela inibitoria collettiva. In forza del detto rinvio, le nuove norme, come previsto dal comma 2 dell’art. 7, troveranno applicazione «alle condotte illecite poste in essere successivamente alla data della sua entrata in vigore». Il differimento è strumentale consentire al Ministero della giustizia di predisporre le necessarie modifiche dei sistemi informativi per permettere il compimento delle attività processuali con modalità telematiche come previsto dalla norma normativa di cui agli artt. 840-bis ss. c.p.c. Inoltre, l’ultima parte del comma 5 introduce una precisazione sulle modalità di invio della adesione alla class action di cui all’art. 840-septies. La nuova formulazione prevede che «la domanda è presentata su un modulo conforme al modello approvato con decreto del Ministro della giustizia, che stabilisce anche le istruzioni per la sua compilazione, ed è presentata a norma dell'art. 65 comma 1, lettere b) e c-bis),del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82». In altri termini la domanda sarà “sottoscritta” quando l'istante o il dichiarante è identificato attraverso il sistema pubblico di identità digitale (SPID), nonché attraverso uno degli altri strumenti di cui all'art. 64, comma 2-novies oppure trasmessa dal proprio domicilio digitale (purché le relative credenziali di accesso siano state rilasciate previa identificazione del titolare, anche per via telematica secondo modalità definite con Linee guida, e ciò sia attestato dal gestore del sistema nel messaggio o in un suo allegato. In questo caso, peraltro, occorre ricordare che ope legis «la trasmissione costituisce elezione di domicilio speciale ai sensi dell’art. 47 c.c.». Il Parlamento Europeo ha approvato una nuova Direttiva che consentirà a gruppi di consumatori dell’Unione di intraprendere azioni collettive (COM/2018/184 final - 2018/0089 (COD). Viene introdotto un modello armonizzato di azione rappresentativa che fornirà ai consumatori una protezione da danni collettivi. Secondo tali disposizioni «i Paesi UE dovranno instaurare almeno un meccanismo procedurale che consenta agli enti legittimati (quali associazioni dei consumatori o organismi pubblici) di intentare azioni rappresentative di natura inibitoria (cessazione o divieto) o risarcitoria (compensazione). L’obiettivo della normativa è migliorare il funzionamento del mercato interno ponendo fine a pratiche illegali e facilitando l'accesso alla giustizia per i consumatori». Saranno le associazioni dei consumatori, quali enti legittimati, a rappresentare i grandi gruppi di consumatori e ad intentare le azioni rappresentative, fermo restando che «tali enti dovranno dar prova di un certo livello di stabilità e poter rispondere della propria attività pubblica, oltre a dimostrare l’assenza di scopo di lucro». Il testo mira inoltre a evitare azioni legali abusive grazie con l’applicazione del principio “chi perde paga”, secondo cui la parte soccombente è tenuta a rimborsare alla parte vittoriosa le spese legali sostenute. Saranno, inoltre, previste azioni collettive contro professionisti per presunte violazioni di leggi UE in numerosi settori, quali la protezione dei dati personali, i viaggi e il turismo, i servizi finanziari, l'energia e le telecomunicazioni. Infine, la direttiva tiene conto delle violazioni interrottesi prima che l’azione rappresentativa sia stata intentata o conclusa, al fine di vietare tale pratica e scongiurarne il ripetersi. La direttiva entrerà in vigore il 20° giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Gli Stati membri dispongono in seguito di 24 mesi per recepire la direttiva nel loro diritto nazionale, e di ulteriori 6 mesi per applicarla. Tale data sancisce l’entrata in vigore delle nuove norme sulle azioni rappresentative. |