Atto di citazione per responsabilità da reato ex art. 185 c.p.

Maria Carolina De Falco
aggiornato da Alessia Longo

Inquadramento

Nell'atto in commento la parte attrice, vittima di una condotta tenuta dal convenuto ascrivibile ad una fattispecie di reato, indipendentemente dall'accertamento del Giudice Penale, chiede il risarcimento dei danni non patrimoniali (prevalentemente di tipo biologico) rappresentando e chiedendo di provare gli elementi (oggettivi e soggettivi) del reato ed evidenziando la non necessità dell'inquadramento dell'interesse leso in uno di quelli tutelati a livello costituzionale, vista a monte la previsione penalistica.

Formula

TRIBUNALE DI .... [1]

ATTO DI CITAZIONE

Per il Sig. ...., nato a .... il ..../..../.... , residente in .... alla via .... n. ...., C.F. .... [2], elettivamente domiciliati in .... alla via .... n. .... presso lo studio dell'avv. .... [3], C.F. .... [4] che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce del presente atto, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al n. di fax .... [5] o all'indirizzo di posta elettronica ....@ ...., [6] espone quanto segue:

FATTO [7]:

In data ..../..../.... il Sig. .... subiva la condotta di ...., costituente la fattispecie di reati di ...., punita ai sensi dell'art. ....

In particolare, la condotta lesiva consisteva in ....

In conseguenza di tale condotta, il Sig. .... subiva un danno non patrimoniale dovuto a stress emotivo, crisi d'ansia e insonnia.

In data ..../..../.... l'istante, a mezzo del procuratore costituito, depositava presso l'organismo di mediazione territorialmente competente istanza di mediazione, ma il tentativo di conciliazione non andava a buon fine (doc. 2).

DIRITTO

Generalmente, la maggior parte dei reati (delitti) determina anche delle conseguenze sul piano civilistico e, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2043 c.c.

Le conseguenze di natura civilistica sono previste nel Libro I, Titolo VII del codice penale.

Tra tali conseguenze, oltre alle restituzioni, l'art. 185 c.p. prevede l'obbligo del colpevole di risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dal reato.

Per danno patrimoniale si intende l'offesa di un interesse patrimoniale nei suoi due aspetti del danno emergente e del lucro cessante, mentre per danno non patrimoniale si intende il patimento morale che deriva dalla commissione del fatto illecito.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità [8], il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.:

(a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale;

(b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni);

(c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.

Nel caso di specie, non è necessario interrogarsi sulla rilevanza costituzionale dell'interesse leso, in quanto il danno non patrimoniale lamentato dall'attore è certamente risarcibile, in considerazione della sicura rilevanza penale della condotta tenuta dal Sig. ...., come innanzi descritta.

La condotta dell'autore .... integra la fattispecie astratta del reato di .... di cui all'art. ...., sussistendone i requisiti oggettivi e soggettivi.

Sotto il profilo oggettivo, infatti, .... la condotta si traduce in una grave offesa ai beni giuridici presidiati, che sono ....

Sotto il profilo soggettivo, inoltre, sussiste ...., sufficiente alla configurabilità della fattispecie criminosa, in quanto sussiste la consapevolezza dell'attitudine offensiva della condotta.

In conseguenza di tale condotta, il Sig. .... subiva un danno non patrimoniale dovuto a stress emotivo, crisi d'ansia e insonnia, come risulta dalla perizia della dr.ssa ....(doc. 2).

Tutto ciò premesso l'attore, come in epigrafe rappresentato, difeso e domiciliato

CITA

il Sig. ...., C.F. ...., nato a ...., il ...., residente in ...., via .... n. ...., a comparire innanzi al Tribunale di ...., nell'udienza del ...., ora di rito, dinanzi al Giudice Istruttore che sarà designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'invito a costituirsi nel termine di almeno venti giorni prima della suddetta udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 167 e 38 c.p.c. e che, in difetto di costituzione, si procederà in sua contumacia, per sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia il Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, accertare la fondatezza della domanda e, per l'effetto, condannare il convenuto a corrispondere all'attore, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di euro ...., oltre rivalutazione e interessi.

Con vittoria di spese, competenze e onorari del giudizio. Con sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.

IN VIA ISTRUTTORIA

Formulando sin d'ora ogni più ampia riserva di articolazione dei mezzi istruttori, nei termini di cui all'art. 183, co. 6, nn 2 e 3, c.p.c., si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti:

1) verbale negativo di mediazione;

2) perizia di parte della dr.ssa ....;

Ai sensi dell'art. 14, co. 2, d.P.R. n. 115/2002 si dichiara che il valore del presente procedimento è di Euro ....

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA AD LITEM

Nella qualità, conferisco il potere di rappresentanza e difesa, in ogni fase, stato e grado del giudizio ed atti inerenti, conseguenti e successivi, ivi compresa l'eventuale fase esecutiva ed il giudizio di opposizione, all'Avv. ...., ivi compreso il potere di proporre domande riconvenzionali, chiedere provvedimenti cautelari, chiamare terzi in causa, farsi sostituire, transigere, conciliare, abbandonare il giudizio e rilasciare quietanze.

L'autorizzo, ai sensi dell'art. 13 d.l. n. 196/2003, ad utilizzare i dati personali per la difesa dei miei diritti e per il perseguimento delle finalità di cui al mandato, nonché a comunicare ai Colleghi i dati con l'obbligo di rispettare il segreto professionale e di diffonderli esclusivamente nei limiti strettamente pertinenti all'incarico conferitoLe.

Ratifico sin d'ora il Suo operato e quello di eventuali Suoi sostituti.

Eleggo domicilio presso il Suo studio in ....(indicare la città),via ....n ....

Dichiaro di essere stato informato ai sensi dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28/2010 della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, come da specifico atto separato.

Luogo e data ....

n.q. (firma)

La firma è autentica ed è stata apposta in mia presenza

Firma Avv. ....

[1] Il foro stabilito dall'art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell'art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014).

[2] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111).

[3] L'elezione di domicilio nel Comune in cui ha sede il Tribunale adito è obbligatoria: essa individua il luogo legale ove effettuare le comunicazioni e notificazioni inerenti al processo: artt. 165 e 170 c.p.c.

[4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata.

[5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 2. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014.

[7] L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragione della domanda dell'attore rappresenta un elemento essenziale della citazione. L'indicazione della causa petendi, e cioè del titolo della domanda, è richiesto dall'art. 163 comma 3, n. 4 c.p.c. Tuttavia solo la mancanza dell'indicazione dei fatti posti a fondamento della domanda produce la nullità della citazione a norma dell'art. 164, comma 4, c.p.c.

[8] Cfr. Cass. S.U., n. 26972/2008.

Commento

Premessa

Nella summa divisio tra danno patrimoniale e non patrimoniale, frutto della profonda rielaborazione giurisprudenziale degli ultimi anni, occupa un ruolo determinante, in particolar modo nella definizione dei limiti e presupposti del secondo, l'art. 185 c.p., letto in combinato disposto con l'art. 2059 c.c.

Come già evidenziato nelle formule dedicate al danno non patrimoniale (caratteri del danno non patrimoniale: omnicomprensività e integralità; Danno morale; Danno esistenziale- relazionale ed altre relative a fattispecie specifiche) dalla nuova sistemazione deriva che il danno non patrimoniale è categoria ampia, nella quale, oltre alle ipotesi di conseguenze dannose del reato, trovano collocazione tutte le ipotesi di lesione di valori inerenti alla persona, ovvero sia il danno morale soggettivo (concretantesi nella perturbatio dell'animo della vittima), sia il danno biologico in senso stretto (o danno all'integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell'art. 32 Cost.), sia il c.d. danno esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale) (T.A.R. Lazio (Roma) III, 7 febbraio 2014, n. 1549).

Non ha perso, però, in tale ottica valore ed importanza la tematica della risarcibilità del danno derivante dalla commissione di un reato, i cui tratti distintivi (presupposti, rapporti con il giudizio penale, misura e risvolti processuali), verranno in questo breve commento esaminati.

L'art. 185 c.p. e i rapporti con l'art. 2059 c.c.

L'art. 185 c.p. recita “Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”.

Ebbene, in tema di responsabilità civile e di richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, quando è prospettato un illecito, astrattamente riconducibile a fattispecie penalmente rilevanti, per il quale la risarcibilità del danno non patrimoniale è espressamente prevista dalla legge, ai sensi degli art. 2059 c.c. e 185 c.p., spetta al giudice accertare, “incindenter tantum” e secondo la legge penale, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, indipendentemente dalla norma penale cui l'attore riconduce la fattispecie; accertamento che è logicamente preliminare all'indagine sull'esistenza di un diritto leso di rilievo costituzionale (cui sia eventualmente ricollegabile il risarcimento del danno non patrimoniale, secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità oramai consolidata), potendo quest'ultimo venire in rilievo solo dopo l'esclusione della configurabilità di un reato; accertamenti, entrambi, preliminari alla indagine in ordine alla sussistenza in concreto (alla prova) del pregiudizio patito dal titolare dell'interesse tutelato. (cfr. Cass. III n. 9445/2012 nella quale il danneggiato assumeva, come causa del danno il pignoramento mobiliare eseguito, per un credito accertato come inesistente, nonostante la espressa richiesta al Comune e al Concessionario di interruzione del procedimento per il recupero del credito, e in mancanza di risposta a tale richiesta per spiegarne le ragioni, ed era ipotizzabile la fattispecie di reato prevista dall'art. 328, comma 2, c.p.).

Le due categorie del danno da reato e lesione di un diritto costituzionalmente garantito sono, cioè, l'una escludente l'altra: quando è prospettato, cioè, nella condotta di un soggetto un illecito costituente reato, per il quale la risarcibilità del danno non patrimoniale è espressamente prevista dalla legge, ai sensi degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., l'indagine sull'esistenza di un diritto leso di rilievo costituzionale - cui sia ricollegabile il risarcimento del danno non patrimoniale - entro determinati limiti, secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., può venire in rilievo solo dopo l'esclusione della configurabilità di un reato.

In effetti, quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato, la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale, costituendo la tutela penale sicuro indice di rilevanza dell'interesse leso (Cass. III, n. 9445/2012).

D'altronde, come è noto, le cd. sentenze gemelle delle Sezioni Unite del novembre 2008 (tra cui la n. 26972/2008) ebbero a definire che: “Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice”.

A definirla in termini geometrici, l'insieme del danno non patrimoniale contiene i diversi insiemi distinti e non intersecantesi, del danno da reato e del danno agli altri diritti costituzionalmente garantiti, anche diversi da quelli previsti per legge: “L'art. 2059 c.c. è norma di rinvio alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela. Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente a reato. Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 l. n. 117/1988: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art. 299, l. n. 675/1996 (ora art. 152 d.lgs. n. 196/2003): impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 447, d.lgs. n. 286/1998: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 l. n. 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo). Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa” (c.f.r. Trib. Massa, 9 novembre 2016, n. 1030).

Il risarcimento del danno non patrimoniale da reato può essere invocato anche da chi non sia la persona offesa da quel reato e non abbia subìto lesioni all'integrità psicofisica.

<<…..unico soggetto al quale possa riconoscersi il diritto di essere risarcito ai sensi dell'art. 185 c.p. sia la persona offesa dal reato (tecnicamente intesa come soggetto titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice) la quale abbia sofferto un danno in conseguenza dello stesso, con esclusione dunque di altri possibili danneggiati diversi dalla persona offesa. Nel caso di specie soggetto danneggiatile e risarcibile dal reato la cui configurabilità è stata in concreto accertata (rifiuto di atti d'ufficio: art. 328 c.p., comma 1) sarebbe dunque da considerare, in tale prospettiva, solo "la pubblica amministrazione nelle sue varie declinazioni pratiche, tra le quali la sanità", il cui normale e tempestivo funzionamento la norma intende tutelare, e non il soggetto privato che da quella condotta costituente reato abbia subito conseguenze dannose. Tale assunto è errato in diritto. Va infatti distinta la persona offesa dal reato dal soggetto danneggiato dallo stesso.

La persona offesa è, bensì, esclusivamente il soggetto titolare del bene giuridico protetto (o dell'interesse tutelato) (art. 90 c.p.p.). Nell'ipotesi di cui all'art. 328 c.p. il bene giuridico tutelato è esclusivamente il buon andamento della pubblica amministrazione e, segnatamente, il suo regolare funzionamento nella fase di realizzazione dei suoi compiti istituzionali, per cui la persona offesa è esclusivamente la P.A. (v. ex multis Cass. Pen. 29/10/2019, n. 47114, imp. M.).

Il soggetto danneggiato dal reato è, invece, ogni soggetto che dal reato nel caso concreto abbia subito un danno.

Ne consegue che l'individuazione della persona offesa non esaurisce l'individuazione di ogni possibile danneggiato civile dal reato, dovendo quest'ultimo essere accertato con riferimento al caso concreto (in termini, v. già Cass. 23/04/1999, n. 4040).

Nè vi è ragione logica o giuridica per limitare l'area dei danni risarcibili a tale ultima figura - ossia al danneggiato che non sia anche persona offesa dal reato - ai soli danni patrimoniali, con esclusione di quelli non patrimoniali, tale limitazione non essendo in particolare giustificata (ma anzi il contrario dovendosi ricavare): a) dall'art. 185 c.p., comma 2, che, nel prevedere che "ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili debbono rispondere per il fatto di lui", lungi dal delimitare il novero dei soggetti danneggiati risarcibili, postula solo l'esistenza di un nesso causale tra il reato e il danno, patrimoniale o non patrimoniale che sia; b) dall'art. 74 c.p.p. che espressamente riconosce ad ogni "soggetto al quale il reato ha recato danno" (dunque non solo alla persona offesa), il diritto di esercitare l'azione civile nel processo penale (attraverso la costituzione di parte civile) "per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'art. 185 c.p." (e "danno di cui all'art. 185 c.p. " è anche quello non patrimoniale) (v. Cass. n. 4040 del 1999, cit.)>>. Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, n.14453

Nel caso di fatto illecito penalmente rilevante, spetta al danneggiato il risarcimento del danno morale previsto dall'art. 2059 c.c. e dall'art. 185 c.p., ossia il 'pretium doloris' caratterizzante la sofferenza subita dal danneggiato proprio in quanto vittima di reato, ossia la sofferenza cagionata dal reato in sé considerata, non limitato alla sofferenza momentanea e strettamente correlata al reato, ma esteso, in base ai criteri di causalità giuridica e di regolarità causale, alla lesione del diritto alla piena esplicazione della personalità umana, in una prospettiva non meramente transeunte. Tribunale Perugia sez. II, 09/09/2020, n.958

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, la valutazione del giudice, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria. Cassazione penale sez. V, 09/12/2020, n.7993.

Il rilievo di una pronuncia penale di estinzione o improcedibilità o dell'inesistenza di una pronuncia penale

Orbene, partendo dalla individuazione dei presupposti per la configurabilità del risarcimento dei danni da reato, deve innanzitutto escludersi che ne costituisca condicio sine qua non una pronuncia penale che ne ravvisi gli estremi.

Invero, per stessa interpretazione letterale dell'art. 185 c.p. in combinato disposto con l'art. 2059 c.c., “La risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell'art. 2059 c.c., in relazione all'art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, né occorre una condanna penale passata in giudicato, ma è sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente previsto come reato, sicché la mancanza di una pronuncia del giudice penale non costituisce impedimento all'accertamento, da parte del giudice civile, della sussistenza dei suoi elementi costitutivi”(Cass. I, n. 13085/2015 nella specie, si trattava di accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico protetto, quale comportamento integrativo di concorrenza sleale).

Sono altresì irrilevanti, oltre all'assenza di una pronuncia penale di condanna, anche le pronunce di estinzione, improponibilità ed improcedibilità dell'azione penale (cfr. la menzionata Cass. III, n. 9445/2012 per cui “Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, a norma dell'art. 2059 c.c., l'inesistenza di una pronuncia del giudice penale, nei termini in cui ha efficacia di giudicato nel processo civile exartt. 651 e 652 c.p.p., l'estinzione del reato (art. 198 c.p.), l'improponibilità o l'improcedibilità dell'azione penale, non costituiscono impedimento all'accertamento da parte del giudice civile della sussistenza degli elementi costitutivi del reato”).

Dunque spetta al Giudice Civile - indipendentemente dalla pendenza e dall'esito di un procedimento penale - accertare, secondo la legge penale, l'esistenza del reato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, ivi comprese eventuali cause di giustificazione e l'eccesso colposo (Cass. III, n. 20684/2009).

Anzi è stato anche puntualizzato da ultimo che “In tema di risarcimento del danno (anche non patrimoniale), perché si configuri la responsabilità civile dell'autore di un fatto costituente reato non è richiesto che il fatto costituisca anche nel caso concreto un illecito penalmente sanzionato, essendo per converso sufficiente che esso corrisponda, nella sua oggettività, ad una fattispecie astratta di reato” (Cass. II, n. 12126/2018) .

In particolare, in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, è stato puntualizzato che “Affinché possa ritenersi configurato un reato e consequenzialmente la responsabilità del suo autore per il danno non patrimoniale, occorre non solo che sia integrato l'elemento materiale del reato, ma anche l'elemento psicologico, il cui mancato accertamento esclude l'ipotizzabilità del danno non patrimoniale ai sensi del combinato disposto degli art. 2059 c.c. e 185 c.p.” (c.f.r. Cass. III, n. 1643/2000).

Ugualmente ciò vale per l'ipotesi di reato estinto per prescrizione (c.f.r. Cass. I, n. 16305/2003 “La domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale trova fondamento non già in una sentenza di condanna del giudice penale, ma nella commissione di un fatto astrattamente preveduto come reato, come si desume dall'art. 2059 c.c. e dal suo coordinamento con gli art. 185 e 198 c.p., in base al quale ilrisarcimento del danno non patrimoniale derivante da un reato può essere senza dubbio richiesto anche nel caso di estinzione del reato e, segnatamente, anche quando tale effetto sia determinato (come nella fattispecie) dalla decorrenza del tempo necessario a prescriverlo, secondo la disciplina di cui agli art. 157 ss. c.p.”).

Resta inteso che l'accertamento del reato sotto il profilo degli elementi costituitivi non significa che di esso debbano essere accertati anche i profili strettamente procedurali.

Invero, ad esempio, “Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 185 c.p. - derivante dalla commissione di reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e di minaccia (art. 612 c.p.), è necessario soltanto che il fatto possa astrattamente configurarsi come illecito penale, non essendo invece necessario che il reato sia accertato in senso tecnico, così che, ad esempio, si può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata proposizione della querela. Quindi, il danno morale soggettivo derivante da reato (art. 185 c.p.) è un danno in re ipsa, essendo l'unico presupposto per la risarcibilità la configurabilità di un fatto-reato” (Trib. Lucca, 2 dicembre 2016, n. 2524).

In tema di risarcimento del danno e modifiche dell'imputazione che incidono sul quantum della tutela risarcitoria

In tema di risarcimento del danno, le vicende modificative dell'imputazione incidono sul "quantum" della tutela risarcitoria solo quando il fatto subisca modificazioni tali da determinare "ex se" un danno oggettivamente diverso alla persona offesa, assumendo rilievo, per la natura riparatoria e non punitiva di siffatto risarcimento, il pregiudizio oggettivo subito dal danneggiato e non le componenti soggettive inerenti alla persona del danneggiante. (Fattispecie in tema di atti persecutori in cui la Corte ha annullato con rinvio, ai soli effetti civili, la sentenza del giudice distrettuale che aveva diminuito di oltre il 90% l'ammontare del risarcimento del danno liquidato in primo grado in conseguenza della riduzione della pena, senza rappresentare in motivazione gli indicatori che avevano determinato la riforma delle statuizioni civili). Cass. pen. V, n. 22780/2021.

Applicazioni in tema di risarcimento dei danni da circolazione stradale

In tema di risarcimento del danno da circolazione stradale (materia di ampio interesse ed applicazione pratica), si è anche chiarito che il danno non patrimoniale potrà essere risarcito anche nell'ipotesi in cui, in sede civile, la responsabilità dell'autore del fatto sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge quale quella dell'art. 2054 c.c.

Non osta, dunque, alla risarcibilità del danno non patrimoniale - ai sensi degli articoli 2059 del c.c. e 185 del c.p. - il mancato, positivo, accertamento della colpa dell'autore del danno se essa - come nel caso di cui all'articolo 2054 c.c. - debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato (c.f.r. Cass. I, n. 13085/2015; c.f.r. anche Cass. III, n. 720/2006; Cass. III, n. 15044/2005; c.f.r. Cass. III, n. 23918/2007; Cass. III, n. 3351/2010; Cass. III, n. 20666/2009).

Anche la giurisprudenza di merito fa costante applicazione di tale assunto: “In tema di circolazione stradale e danni non patrimoniali conseguenti, l'art. 2059 c.c. va letto in relazione al disposto dell'art. 2 Cost., come norma di tutela dell'esplicazione della persona umana nella realtà sociale. Pertanto, il riferimento, contenuto nell'art. 2059 c.c., al reato di cui all'art. 185 del c.p., non postula la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente, nella sua oggettività, all'astratta previsione di una figura di reato, così che il danno non patrimoniale potrà essere risarcito anche nell'ipotesi in cui, in sede civile, la responsabilità dell'autore del fatto sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge” (c.f.r. Trib. Benevento I, 30 maggio 2016, n. 1442).

Ancora per la frequenza dell'applicazione, va rammentato l'assunto per cui l'archiviazione del procedimento penale attivato a seguito di fattispecie di reato derivanti dalla circolazione stradale non preclude la verifica in sede civile dei danni derivati al danneggiato (o in caso di decesso) al loro congiunto (c.f.r. Cass. III, n. 20355/2005 “Il decreto di impromuovibilità dell'azione penale (adottato ai sensi dell'art. 408 ss. c.p.p.) non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile, stante il principio dell'indipendenza delle azioni penale e civile introdotto con la riforma del rito penale, poiché, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, nè ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata. Ne consegue che, in tema di causa attinente all'accertamento della responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, spetta al giudice civile stabilire, con piena libertà di giudizio, se nei fatti emersi, e legittimamente ricostruiti in modo difforme dall'avviso del giudice penale, siano ravvisabili gli estremi di delitti colposi, anche ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale, tutelato dall'art. 2059 c.c., fermo restando in ogni caso che il danno non patrimoniale (riconducibile al danno morale soggettivo implicante il patema d'animo o la sofferenza contingente), che consegua all'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato”).

Effetti della configurabilità del reato sulla prescrizione

L'art. 2947 comma 3 (di interesse della presente disamina) c.c. recita: “In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile”.

Come si desume dalla stessa formulazione letterale dell'art. 2947 c.c., non è la perseguibilità del reato, ma l'accertamento della sua esistenza, ancorché effettuata incidenter tantum dal giudice civile, che rende applicabile il più ampio termine prescrizionale (nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità: Cass. II, n. 15368/2011, Cass. II, n. 12699/2010; Cass. III, n. 4332/2010; Cass. II, n. 23930/2009; Cass. II, n. 18401/2009; Cass. III, n. 14644/2009; Cass. II, n. 2487/2009; Cass. I, n. 5701/1999; Cass. n. 9928/2000; Cass. II, n. 7344/1999; Cass. I, n. 3535/1996).

Ciò vale sia quando l'azione penale sia stata esercitata, sia quando non sia stata esercitata, quantunque ciò sia dipeso dalla maturata improcedibilità della stessa.

La prescrizione stessa decorre dalla data del fatto di reato (Cass. III, n. 7543/2012) ed il termine più lungo si applica sia quando il risarcimento sia domandato dalla vittima del reato, sia quando sia richiesto da persone che, pur avendo risentito danno in conseguenza del fatto reato, non siano titolari dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice (c.f.r. Cass. III, n. 16481/2017).

Il termine di prescrizione torna, poi, quello degli illeciti solo civili quando il reato si sia estinto (evidentemente per una causa diversa dalla prescrizione, ipotesi nella quale anche la pretesa civile non può più essere fatta valere in giudizio) nonché qualora sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna nel giudizio penale.

Le ipotesi di estinzione del reato diverse dalla prescrizione sono la morte del reo prima che sia intervenuta sentenza di condanna (art. 150 c.p.); l'amnistia (art. 151 c.p.); la remissione della querela (art. 152 c.p.); l'oblazione nelle contravvenzioni (art. 162 c.p.); la sospensione condizionale della pena, alla quale segua la condotta irreprensibile del reo (art. 163 c.p.); il perdono giudiziale nei confronti del reo minorenne, nelle ipotesi previste dall'art. 169 c.p.c.; il deferimento del giudizio sui fatti oggetto di ingiuria o calunnia ad un giurì d'onore, per concorde volontà dell'offeso e dell'offensore, ed il successivo accertamento, ad opera del giurì, e prima che sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, che quei fatti hanno contenuto veritiero (art. 597 c.p.)

Dalla data, rispettivamente, dell'estinzione del reato e del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, tornano a decorrere i termini brevi di prescrizione per l'esercizio in sede civile dell'azione di risarcimento.

Quando, poi, la vittima abbia omesso di presentare querela, il termine per l'esercizio dell'azione civile resta quello proprio del reato (in maniera consolidata e risalente. c.f.r. in merito, Cass. I, n. 748/1969; App. L'Aquila, 20 marzo 1956; Trib. Genova, 13 novembre 1956).

Quanto in generale al dies a quo “Qualora l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche per difetto di querela, all'azione risarcitoria si applica l'eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato, ove il giudice, in sede civile ac certi incidenter tantum e con gli strumenti probatori e i criteri proprio del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi e oggettivi. Detto termine decorre dalla data del fatto, da intendersi riferito al momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto - o avrebbe dovuto avere, usando la ordinaria diligenza e tenendo conto delle conoscenze scientifiche - sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato” (Cass. I, n. 9993/2016).

In caso, poi, di derubricazione in corso di procedimento penale, “In tema di risarcimento del danno per un fatto costituente reato, allorché il soggetto danneggiato non si sia costituito parte civile nel giudizio penale, ma abbia agito in sede civile, agli effetti della prescrizione del credito risarcitorio si deve avere riguardo al reato contestato e non a quello ritenuto in sentenza all'esito del giudizio penale, ove vi sia stata derubricazione dell'originaria imputazione, oppure siano state ritenute applicabili circostanze attenuanti” (Cass. III, n. 12621/2015).

Misura del danno e monetizzazione. Onere della prova

Riguardo alla quantificazione del danno da configurabilità di una fattispecie di reato, intanto, in via processuale, va precisato che “È onere di chi pretende il risarcimento del danno derivante dal reato descrivere e spiegare, nell'atto introduttivo del giudizio, in cosa sia concretamente consistito il pregiudizio di cui domanda il risarcimento” (Cass. III, n. 12614/2015).

Ciò deriva dalla natura di danno conseguenza e non di danno in re ipsa del danno da fatto illecito costituente reato.

Invero, “Il danno da reato, patrimoniale e non patrimoniale, risarcibile ex art. 185 c.p., non può essere identificato nel mero fatto dell'avvenuta integrazione dell'illecito previsto dalla fattispecie incriminatrice, con la conseguenza che il giudice penale, quando afferma la effettiva sussistenza del danno, non può motivare la condanna, anche generica, al risarcimento con affermazioni da cui è desumibile che il pregiudizio ravvisato è in re ipsa” (Cass. pen. III, n. 33001/2015).

Quanto all'ammontare del danno ed alle sue forme di liquidazione, si intende immediato il richiamo al criterio equitativo sulla scorta di tutte le circostanze del caso concreto ed, in particolare, della gravità del reato, dell'entità delle sofferenze patite dalla vittima, dell'età, del sesso e del grado di sensibilità del danneggiato, del dolo oppure del grado di colpa dell'autore dell'illecito, della realtà socio-economica in cui vive il danneggiato (c.f.r. Cass. pen. III, n. 36350/2015; Trib. Perugia, 28 maggio 2015, n. 959; Ufficio Indagini preliminari Roma, 20 settembre 2016, n. 266 per cui “Il risarcimento del danno soggettivo morale alla vittima di sfruttamento della prostituzione minorile, in considerazione della natura del reato e degli effetti patiti dal minore, deve essere in prima battuta in forma specifica ed in particolare deve tener conto che il risarcimento calcolato unicamente in una somma di denaro determinerebbe una vittimizzazione secondaria e il reiterarsi della relazione improntata alla monetizzazione con l'imputato (Nel caso di specie, il giudice ha condannato il cliente imputato ad acquistare alla vittima minorenne libri e film incentrati sulla figura femminile, ben individuati, con la funzione di restituirle dignità e libertà attraverso la conoscenza)”.

Esso comprende, naturalmente, anche il danno morale inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato.

Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione (c.f.r. anche App. Milano, I, 9 febbraio 2015, n. 643 per cui “Deve stimarsi la presumibile sofferenza morale soggettiva, il turbamento dell'animo e il dolore intimo sofferti dalla parte danneggiata, quali possono essere ragionevolmente ipotizzati in relazione alla speciale sensibilità emotiva che può presumersi secondo le circostanze”)

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La responsabilità per il danno derivante da reato, inoltre, comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell'illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale (Cass. pen. II, n. 23046/2010; Cass. pen. II, n. 4380/2015; Cass. pen. VI, n. 11295/2014).

Si applica naturalmente anche l'art. 1227 c.c. in caso di contribuzione causale del danneggiato al verificarsi dei danni (c.f.r. Cass. pen. III, n. 6119/2016 per cui “In tema di risarcimento del danno da reato, l'esposizione volontaria ad un rischio da parte del danneggiato o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, costituendo un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento ai sensi dell'art. 1227 c.c., è idonea ad integrare una corresponsabilità di quest'ultimo con conseguente, proporzionale, riduzione della responsabilità del danneggiante”).

È frequente che l'effettiva liquidazione dei danni avvenga in sede civile, dopo la condanna generica in sede penale, costituente mera declaratoria di riconoscimento del relativo diritto.

Infatti, “La condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato l'accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l'entità del danno, ivi compresa la possibilità di escludere l'esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all'evento illecito (Cass. pen. III, n. 36350/2015).

Il giudice penale, dunque, nell'ipotesi di condanna generica, deve pronunciarsi solo sull'an debeatur, e non anche sul quantum, non essendo conseguentemente tenuto a stabilire la percentuale della colpa o della concorrente condizione posta in essere dall'autore del fatto (Cass. pen. III, n. 16310/2009; Cass. pen. IV, n. 21505/2009).

Il Giudice penale può anche decidere in ordine agli effetti civili del reato disponendo una provvisionale, ovvero liquidando una parte del danno per cui ritiene raggiunta la prova.

In questo caso, “Non sussiste nullità della sentenza qualora il giudice, condannando l'imputato al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, rimetta le parti - senza motivare sul punto - dinanzi al giudice civile per la liquidazione definitiva del danno, essendo tale decisione coerente con l'esigenza di definire in termini ragionevoli il processo penale, in cui l'innesto della pretesa civilistica al risarcimento del danno e alle restituzioni è meramente eventuale rispetto all'accertamento del reato” (Cass. pen. V, n. 42987 /2016).

La condanna provvisionale può essere richiesta anche per la prima volta solo in appello (c.f.r. Cass. pen. III, n. 42684/2015 “In caso di condanna generica al risarcimento del danno, la parte civile può investire per la prima volta il giudice dell'appello della richiesta di una provvisionale mai precedentemente proposta. Sulla domanda il Giudice dell'appello ha il dovere di esprimersi utilizzando gli stessi criteri di giudizio previsti per il giudice di primo grado”).

Effetti di una transazione civilistica sul procedimento penale

Merita una menzione a parte l'ipotesi in cui la parte civile abbia raggiunto con uno dei coimputati un accordo transattivo in sede civile.

In ordine ai riflessi che l'accordo transattivo produce sul procedimento penale a carico degli altri coimputati, è stato osservato che “In tema di risarcimento del danno derivante da reato, la dichiarazione liberatoria rilasciata dalla parte civile all'esito della transazione intercorsa con il terzo garante coobligato, in solido, con l'autore del reato, non può ritenersi operante nei confronti dell'imputato in relazione alla parte di debito riferibile in via esclusiva a quest'ultimo e alle voci di danno non rientranti nella transazione, in quanto la deroga prevista dall'art. 1304 c.c. al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, si riferisce esclusivamente all'atto di transazione che abbia ad oggetto l'intero debito e non alla transazione parziale che, essendo volta a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può estendere i propri effetti agli altri condebitori che non hanno alcun titolo per profittarne” Cass. pen. IV, n. 11193/2015; Cass. pen. IV, n. 27045/2016).

La costituzione di parte civile nel procedimento penale. Rapporti tra procedimento civile e penale - art. 75 c.p.p. La sospensione del giudizio

L'art. 75 c.p.p. che regola i rapporti tra azione civile di risarcimento e azione penale per la repressione della condotta penalmente rilevante recita: “1.L'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile. 2. L'azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile. 3. Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge”.

Secondo tale norma, l'azione civile, in generale può essere esercitata: a) per la prima volta nel processo penale, purché il dibattimento non sia ancora stato aperto, altrimenti scaduti i termini, se si decide di non trasferirla nel processo penale, prosegue in sede civile; b) a mezzo di trasferimento nel procedimento penale purché, oltre al requisito relativo all'apertura del dibattimento nel processo penale, nel processo civile non sia ancora stata emessa sentenza di merito e, in quest'ultimo caso, il processo civile rimarrà sospeso fino l'emissione della sentenza penale e, in caso di assoluzione dell'imputato, la sentenza produrrà effetti anche nei confronti di colui costituitosi parte civile (art. 652 c.p.p.) c) se l'azione civile in sede civile viene esercitata dopo o la costituzione di parte civile nel processo penale, o dopo la sentenza penale di primo grado; in questo caso il procedimento civile rimane sospeso sino all'irrevocabilità della sentenza penale (circa l'aspetto della valenza del giudicato penale in sede civile, si veda la formula sul Giudicato di condanna e risarcimento del danno).

La norma dell'art. 75 c.p.p. è espressione dell'assunto per cui in applicazione del nuovo c.p.p. il rapporto tra processo civile e penale si configura in termini di pressoché completa autonomia e separazione, nel senso che, ad eccezione di alcune e limitate ipotesi di sospensione del giudizio civile, previste dall'art. 75, comma 3, c.p.p., detto processo deve proseguire il suo corso senza essere influenzato da quello penale e il giudice civile accerta autonomamente i fatti e la responsabilità con pienezza di cognizione, senza essere vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale (c.f.r. Trib. Monza I, 7 giugno 2016, n. 1655).

Nell'ordinamento processuale vigente, infatti, l'unico mezzo preventivo di coordinamento tra il processo civile e quello penale è costituito dall'art. 75 c.p.p., il quale esaurisce ogni possibile ipotesi di sospensione del giudizio civile per pregiudizialità, ponendosi come eccezione al principio generale di autonomia, al quale s'ispirano i rapporti tra i due processi, con il duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e di quello penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e dell'obbligo del giudice civile di accertare autonomamente i fatti. La sospensione necessaria del giudizio civile è, pertanto, limitata all'ipotesi in cui l'azione in sede civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, prevedendosi, nel caso inverso, la facoltà di trasferire l'azione civile nel processo penale, il cui esercizio comporta la rinuncia ex lege agli atti del giudizio civile, ovvero la prosecuzione separata dei due giudizi (Cass. VI, n. 26863/2016).

È l'unica ipotesi in cui, infatti, si verifica una concreta interferenza del giudicato penale nel giudizio civile di danno che, pertanto, non può pervenire anticipatamente ad un esito potenzialmente difforme da quello penale in ordine alla sussistenza di uno o più dei comuni presupposti di fatto (Cass. I, n. 15470/2017).

Quanto precipuamente alla costituzione di parte civile nel procedimento penale, intanto, va chiarito che “In tema di esercizio dell'azione civile nel processo penale, la parte civile può limitarsi ad allegare genericamente di aver subito un danno dal reato, senza incorrere in alcuna nullità, in quanto il giudice ha sempre la possibilità di pronunciare condanna generica, là dove ritenga che le prove acquisite non consentano la liquidazione del danno con conseguenti effetti sull'onere di allegazione e prova spettante alla parte civile” (Cass. pen. IV, n. 6380 /2017).

La legittimazione all'azione civile nel processo penale, poi, va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell'azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed indipendentemente dalla effettiva titolarità del vantato diritto al risarcimento dei danni, il cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza, ed è collegato all'adempimento dell'onere deduttivo e probatorio incombente sull'attore.

Tanto ciò che “È legittima la costituzione di parte civile nel processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato (nella specie figlio della moglie di quest'ultimo), al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali, considerato che la definitiva perdita di un rapporto di “affectio familiaris” può comportare l'incisione dell'interesse all'integrità morale, ricollegabile all'art. 2 Cost., “sub specie” di intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ex art. 2059 c.c., mentre è, in tal caso, escluso il risarcimento dei danni patrimoniali” (Cass. pen. IV, n. 20231/2012).

In particolare, con riferimento alla domanda risarcitoria promossa dai prossimi congiunti della persona offesa, rimasta vittima della condotta colposa del terzo, il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale non coincide con l'interesse leso, ma deve essere provato da chi ne chiede il risarcimento. Pertanto, non è sufficiente dichiararsi titolare di una posizione giuridica soggettiva che corrisponde a quella di colui che avrebbe diritto ad ottenere una riparazione risarcitoria in ragione del vincolo familiare o affettivo con la vittima di un fatto illecito da parte del soggetto responsabile, ma è necessario fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della pretesa creditoria.

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