Atto di citazione per il risarcimento del danno da pratica commerciale ingannevole e scorrette posta in essere da un gestore telefonicoInquadramentoCon l'atto di citazione per la restituzione ed il risarcimento danni l'utente danneggiato dalla pratica commerciale ingannevole e scorrette posta in essere da un gestore telefonico agisce per ottenere la retrocessione dei canoni indebitamente corrisposti nonché il risarcimento del danno subiti in conseguenza della pratica illecita posta in essere dalla parte convenuta. FormulaGIUDICE DI PACE DI..../TRIBUNALE DI.... [1] PER il Sig. ...., nato a ...., il .... C.F. ... [4], residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax...., ovvero all'indirizzo PEC .... [5] PREMESSO CHE - l'istante in data .... stipulava il contratto di utenza telefonica numero .... con la Compagnia Telefonica S.p.A. (documento 1); - il contratto prevedeva il passaggio alla compagnia convenuta come operatore telefonico esclusivo, con il conseguente distacco dalla precedente linea ed il pagamento di un'unica bolletta telefonica; - in data .... l'istante riceveva una comunicazione dalla convenuta nella quale si leggeva: “siamo spiacenti di comunicarle che il servizio di telefonia come suo operatore telefonico non può essere attivato subito” (documento 2); - malgrado i numerosi solleciti telefonici al call center da parte dell'attore, la compagnia telefonica provvedeva ad attivare i servizi richiesti; - l'istante, dalla data di stipula del contratto del .... sino al .... ha corrisposto il canone, per la medesima utenza telefonica, sia alla precedente che alla nuova compagnia telefonica, anche se come da citato contratto quest'ultima avrebbe dovuto provvedere essa stessa (documenti 3). In particolare, l'istante, nel detto periodo, ha corrisposto Euro .... alla vecchia compagnia ed Euro .... alla convenuta; - sussiste pertanto il diritto dell'istante alla restituzione dei canoni indebitamente corrisposti dalla stipula del contratto, avvenuta in data .... sino alla data del ...., per Euro ...., pari a numero .... fatture bimestrali; - sussiste altresì il diritto dello stesso istante ad ottenere il risarcimento dei conseguenti danni derivanti dalla pratica commerciale scorretta ed ingannevole perpetrata dalla convenuta. A tal proposito infatti vale da subito ricordare che per la vicenda in esame l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a seguito di formale istruttoria, ha provveduto a sanzionare la convenuta (provvedimento sanzionatorio n....), pubblicato sul bollettino n. ....) per complessivi Euro .... Invero secondo l'Autorità la sottoscrizione dell'offerta – così come nel caso di specie - che prevedeva il passaggio ad un operatore telefonico unico, non determinava l'automatico venir meno del canone telefonico, malgrado sul sito della compagnia ciò fosse chiaramente pubblicizzato. Le condotte contestate alla convenuta consistono, in particolare, nell'aver indotto in errore i consumatori riguardo alle caratteristiche e alle condizioni economiche delle proprie offerte commerciali, laddove si prospettava la possibilità di non dover più sopportare l'onere del canone, senza adeguatamente informarli che tale circostanza era subordinata al verificarsi di una serie di condizioni. La pratica commerciale posta in essere dalla convenuta consiste altresì nel non aver correttamente informato i clienti finali circa l'effettiva possibilità di interrompere il rapporto commerciale con i precedenti gestori. In particolare, la convenuta nella prospettazione della propria offerta commerciale volontariamente confondeva, nella dizione “No canone”, la fine del rapporto contrattuale con l'operatore e il rimborso, in alcuni casi parziale, del canone dovuto alla vecchia compagnia per la gestione della linea. Inoltre, nella fase di commercializzazione dei servizi offerti la stessa non provvedeva sufficientemente a chiarire ai clienti finali se avessero avuto accesso ai servizi offerti in modalità ULL o in modalità CPS. In sostanza, l'ingannevolezza della pratica posta in essere deriva dalle modalità complessive seguite per ingenerare nel consumatore finale la convinzione di poter accedere immediatamente alla rete dell'operatore telefonico, interrompendo contestualmente il rapporto commerciale con quello precedente. A tal riguardo secondo opinione giurisprudenziale prevalente nel settore della telefonia sia fissa che mobile, caratterizzato dal proliferare di offerte promozionali anche molto articolate, nonché da complessi profili tecnici, la completezza e la comprensibilità delle informazioni si caratterizzano come un onere minino del professionista al fine di consentire la percezione dell'effettiva convenienza della proposta. In questa prospettiva, la completezza della comunicazione deve coniugarsi con la chiarezza e l'immediata percepibilità delle condizioni di fruizione dell'offerta promozionale pubblicizzata. Alla luce di tali considerazioni, la pratica commerciale oggetto del presente procedimento risulta scorretta, in quanto contraria alla diligenza professionale ed idonea a falsare il comportamento economico del consumatore medio che essa raggiunge. In particolare, risulta ingannevole ai sensi del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo) art. 21, in quanto nella sua presentazione complessiva è idonea ad indurre in errore il consumatore circa la reale possibilità di recedere immediatamente dal contratto, determinando ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Tale pratica risulta altresì ingannevole ai sensi dell'art. 22 del Codice del Consumo, in quanto omette ovvero presenta in modo non immediatamente comprensibile informazioni rilevanti circa le caratteristiche, condizioni economiche e limitazioni dell'offerta pubblicizzata, di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale. Ne consegue il diritto dell'istante, oltre ad ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato, anche il diritto al risarcimento dei conseguenti danni da determinarsi in via equitativa in considerazione delle modalità, dei termini, della durata e della gravità della violazione, nonché alla luce delle condizioni soggettive dell'istante. Tanto premesso, l'istante, come sopra, CITA - la Compagnia Telefonica .... C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ...., a comparire innanzi a: - al Giudice di Pace di ...., all'udienza del ...., ore di rito, con l'invito a costituirsi nel termine e nelle forme stabilite dalla legge e che, in difetto, si procederà in sua contumacia; - all'Ill.mo Tribunale di ...., Giudice istruttore designando ai sensi dell'art. 168 bis c.p.c., all'udienza del ...., ore di rito, con invito ex art. 163 c.p.c. a costituirsi, nelle forme e nei modi di cui all'art. 166 c.p.c., 20 giorni prima dell'udienza su indicata, ovvero di quella fissata a norma dell'art. 168 bis, ultimo comma, c.p.c., e con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. e che, non costituendosi, si procederà, ugualmente, in sua contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: - accertare e dichiarare la violazione da parte della convenuta del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), artt. 21 e 22 e per l'effetto: a) condannare la convenuta alla restituzione in favore del Sig. .... della somma di Euro .... pari a numero .... fatture bimestrali, oltre accessori di legge; b) condannare la convenuta al risarcimento dei danni in favore del Sig. .... da determinarsi in via equitativa, oltre accessori di legge. Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario. IN VIA ISTRUTTORIA (indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO) Si chiede di essere ammesso alla prove per testimoni sulle circostanze indicate in premessa/in punto di fatto, dal numero .... al numero ...., preceduti dalla locuzione “Vero è che”, ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che...”)... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) Sig. .... residente in ....; 2) Sig. .... residente in .... Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta. Ai sensi del d.P.R. n. 115/2002 e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro .... e, pertanto, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato pari ad Euro .... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA ISTANZA NOTIFICA [1] A seguito del d.lgs. n. 51/1998, che ha soppresso l'ufficio del pretore, il tribunale giudica sempre quale organo monocratico, ad eccezione delle ipotesi, tassative, di collegialità riservata, ora implementate dalla Legge Finanziaria per il 2008 (l. n. 244/2007, in G.U. n. 300 del 28 dicembre 2007), nella quale è previsto che nelle cause promosse con l'azione collettiva dell'art. 140-bis cod. cons., il tribunale dovrà decidere in composizione collegiale (art. 50-bis, comma 1, n. 7-bis, c.p.c.). I consumatori o utenti che intendono avvalersi della tutela dell'art. 140-bis cod. cons., devono comunicare per iscritto al proponente la propria adesione all'azione collettiva. L'adesione può essere comunicata, anche nel giudizio di appello, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni. Nelle more del giudizio, è sempre ammesso l'intervento dei singoli consumatori o utenti per proporre domande aventi il medesimo oggetto. Alla prima udienza, sentite le parti ed assunte, quando occorra, sommarie informazioni, il tribunale deve preliminarmente pronunciarsi sull'ammissibilità della domanda risarcitoria. La pronuncia, che può esser differita all'esito dell'istruttoria in corso avanti altra autorità indipendente, è resa con ordinanza, avverso la quale è consentito il reclamo avanti la Corte di appello, che deciderà in Camera di consiglio. La domanda è dichiarata inammissibile quando il Collegio ne rilevi la manifesta infondatezza o riscontri un conflitto di interessi ovvero la mancanza d'un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela ai sensi dell'art. 140-bis cod. cons. Dichiarata ammissibile la domanda, il giudice dispone la prosecuzione del giudizio nonché, a cura di chi ha proposto l'azione collettiva, che venga data idonea pubblicità dei contenuti dell'azione proposta. La sentenza che definisce il giudizio promosso con l'azione collettiva fa stato anche nei confronti dei consumatori e utenti che vi hanno aderito, mentre è fatta salva l'azione individuale dei consumatori o utenti che non vi avessero aderito né fossero altrimenti intervenuti nel predetto giudizio Prima della procedura di conciliazione deputata alla determinazione del quantum debeatur, della quale s'è detto, il giudice può determinare, quando lo stato degli atti lo consenta, la somma minima che dovrà esser corrisposta a ciascun consumatore o utente, alla stessa stregua di una provvisionale (art. 539, comma 2, c.p.p.), che vale come parziale liquidazione del danno. [2] E' obbligatorio il ricorso alla procedura di negoziazione assistita (che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale) nelle ipotesi in cui la somma pretesa non superi l'importo di 50.000 Euro (art. 3 d.l. n. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014) e dovrà essere prodotta la relativa documentazione. Va, in proposito, ricordato che la negoziazione è prescritta, quando si intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 Euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria (in altri termini, la procedura di negoziazione assistita non opera quando è prevista la mediazione obbligatoria). Ebbene, quest'ultima non è prescritta in subiecta materia, se si fa eccezione per il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica. In ogni caso, la negoziazione non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (e, quindi, è sempre e solo volontaria) per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (art. 3 l. n. 162/2014). [3] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011). [4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014. [5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». CommentoQuadro generale La Direttiva 2005/29/CE, in attuazione dell'art. 152 del Trattato, ha quale finalità l'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori nel mercato interno: ai legislatori nazionali non è consentito ridurre, ma nemmeno accrescere (tramite "disposizioni più rigorose" di quelle contenute nella direttiva medesima), il livello di tutela apprestato dal legislatore comunitario, con ulteriore divieto di limitazione alla libertà di prestare servizi, o alla libera circolazione delle merci, per ragioni relative al settore armonizzato (art. 4, direttiva 2005/29/CE). Ne è derivato un deciso rafforzamento delle tutele dei consumatori, non più limitate a messaggi pubblicitari ingannevoli o ad illecite pubblicità comparative, ma estese a qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura del prodotto. Trattandosi di norma quadro, la direttiva 2005/29/CE ha, altresì, previsto norme di raccordo con le direttive 97/7/CE (riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza) e 2002/65/CE (concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori), in base alle quali deve ora considerarsi pratica commerciale sleale anche la fornitura di servizi non richiesta. L'Italia ha recepito le indicazioni di cui alla citata direttiva con il d.lgs. n. 145/2007, avente lo "scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa" (art. 1) nonché con il d.lgs. n. 146/2007, che ha per contro modificato il d.lgs. n. 206/2005, recante il "Codice del consumo", novellandone tout court gli articoli dal 18 al 27 compreso, prima dedicati alla disciplina già contenuta nel d.lgs. n. 74/1992 (ora ricollocata nel predetto d.lgs. n. 145/2007). Il divieto di pratiche commerciali scorrette: nozione Secondo la definizione fornita dalla prevalente dottrina, una pratica commerciale è scorretta quando: 1) è contraria alla diligenza professionale; 2) è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori (art. 20, comma 2, cod.cons.: si ritiene che, ai fini del concretarsi della pratica commerciale sleale, debbano ricorrere entrambi i presupposti sub 1) e 2). La pratica commerciale è vietata, quando contraria alla diligenza professionale che il Codice del consumo definisce come il normale grado della specifica competenza ed attenzione che, ragionevolmente, i consumatori possono attendersi da un professionista nel rispetto dei principi generali di correttezza e di buona fede nello specifico settore di attività esercitata (art. 18, lett. h), cod.cons.). A titolo esemplificativo, si menziona la sentenza del Tribunale di Milano, del giugno 2018, che ha inibito a talune compagnie telefoniche l'uso e gli effetti nei contratti di telefonia fissa (o di altri servizi offerti in abbonamento alla telefonia fissa) stipulati con i consumatori, di clausole che prevedono rinnovi e pagamenti su base temporale di 28 giorni/8 settimane, in quanto idonee a risolversi in una pratica commerciale scorretta. La negligenza del professionista deve, quindi, falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori: in altre parole, assume rilievo la idoneità della pratica commerciale ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che, altrimenti, non avrebbe preso. Il criterio cui bisogna avere riguardo è quello del consumatore medio: ne consegue che le pratiche commerciali che, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, in quanto particolarmente vulnerabili a causa della loro infermità mentale o fisica, ovvero della loro età o ingenuità, dovranno valutarsi nell'ottica del membro medio di tale gruppo (esulando dal detto contesto le pratiche volte ad includere in un messaggio pubblicitario un'esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati - art. 26, lett. e), cod. cons. – pratica considerata sempre aggressiva). Viceversa, non costituisce pratica commerciale scorretta la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera – cfr. art. 20 comma 3, ult. parte, cod. cons. - (è l'es. della c.d. pubblicità iperbolica, caratterizzata da generiche affermazioni sulla superiorità di un prodotto rispetto ad altri attraverso espressioni quali "il più", "il vero", l'"unico", "il solo" etc., che, tuttavia, non configurano un illecito, avendo un mero valore di generica vanteria ed esagerazione). Il regime probatorio Giova evidenziare che nella direttiva 2005/29/CE, gli interessi economici dei consumatori sono, talvolta, tutelati anche in assenza di prove in merito alla perdita o al danno effettivamente subito dal consumatore, oppure in merito all'intenzionalità o alla negligenza imputabile al professionista (art. 11, comma 2). Ai sensi dell'art. 27, comma 5, cod. cons., incombe, in ogni caso, al professionista l'onere di provare, con allegazioni fattuali, che egli non poteva ragionevolmente prevedere (né, conseguentemente, altrimenti evitare) l'impatto della pratica commerciale sui consumatori, ai sensi del citato art. 20, comma 3, cod.cons.: la prova liberatoria, quindi, riguarderà il nesso di causalità tra la condotta e l'evento lesivo, alla stessa stregua di quanto accade per la responsabilità dell'esercente l'attività pericolosa dell'art. 2050 c.c.. Tuttavia, secondo la prevalente dottrina, l'art. 27 cod.cons. non individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva del professionista (salvo che per le pratiche commerciali considerate comunque scorrette; cfr. artt. 23 e 26 cod.cons.), gravando sul consumatore, ovvero su altro soggetto o organizzazione interessata, la prova del duplice presupposto della clausola generale dell'art. 20, comma 2, cod.cons., ovverosia della contrarietà a diligenza e dell'idoneità della condotta del professionista a falsare il comportamento economico del consumatore. In ogni caso, la ripartizione dell'onere probatorio, tanto nelle azioni aggressive, quanto nelle azioni ingannevoli (per cui v. infra), nella duplice tipologia delle azioni e delle omissioni, rispetto alle quali ultime il consumatore è chiamato alla prova, talvolta non agevole, della rilevanza della omissione informativa (art. 22 cod.cons.), ovvero della oggettiva ambiguità dell'invito all'acquisto (art. 22, comma 2, cod.cons.). Pratiche commerciali ingannevoli e pratiche commerciali aggressive In merito alle pratiche commerciali ingannevoli, quelle cioè che inducono il consumatore in errore, impedendogli di scegliere e, dunque, di contrattare consapevolmente, il legislatore nazionale ha distinto, ulteriormente, tra azioni ingannevoli e omissioni ingannevoli.È considerata azione ingannevole la pratica commerciale che contenga informazioni non rispondenti al vero o che, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induca ovvero sia idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più degli elementi indicati nell'art. 21 cod.cons. o in ogni caso, lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione, di natura commerciale, che non avrebbe altrimenti preso. La ratio del nuovo art. 21 cod.cons. è quella di assicurare, non soltanto una reazione alle lesioni che le pratiche commerciali ingannevoli avessero arrecato agli interessi del consumatore, ma anche una funzione di prevenzione di effetti dannosi soltanto ipotetici. La pratica commerciale scorretta non presuppone, pertanto, un danno patrimoniale da risarcire, non occorrendo che, per effetto della scelta compiuta, il consumatore subisca un esborso (danno emergente) né un mancato profitto (lucro cessante), rivelandosi, per contro, sufficiente che l'azione contraria alla diligenza professionale lo induca, quale effetto immediato e diretto, ad una condotta disarmonica, ovvero dissonante, contraddittoria o inadeguata rispetto al fine divisato al momento dell'invito all'acquisto. Le omissioni ingannevoli sono pratiche commerciali che, considerate le circostanze del caso concreto, omettano "informazioni rilevanti" o presentino in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo tali informazioni, in modo da indurre il consumatore (medio) ad assumere una decisione commerciale che, diversamente, non avrebbe preso (art. 22, comma 1, cod.cons.). L'elencazione delle "informazioni rilevanti", come recepita nell'art. 22, comma 4, cod.cons., deve ritenersi esemplificativa, non tassativa, ed è perciò passibile d'integrazioni, quando necessarie a compensare, nel caso concreto, l'asimmetria cognitiva in danno del consumatore indotto, per effetto dell'omissione, a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso o che avrebbe concluso a differenti condizioni. È, da ultimo, considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 8, direttiva 2005/29/CE; art. 24 cod.cons.). Le pratiche aggressive possono consistere nella limitazione della libertà personale del consumatore vittima di pressioni psico-fisiche che ne sfruttino le debolezze caratteriali, emotive e culturali per indurlo alla conclusione del contratto. Per stabilire se una pratica commerciale effettivamente comporti molestie o coercizione in danno del consumatore, dovrà aversi riguardo ad una serie di elementi contemplati dall'art. 25 cod.cons. (ad es. i tempi, il luogo, la natura e la persistenza della condotta, il ricorso alla minaccia fisica o verbale e così via). Gli strumenti di tutela 1. I poteri della Autorità garante della concorrenza e del mercato La competenza amministrativa a conoscere delle pratiche commerciali scorrette spetta all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, alla quale è devoluto il potere di inibire, anche previa sospensione provvisoria, la pratica commerciale sleale e di adottare provvedimenti idonei ad eliderne gli effetti. Rispetto alla disciplina preesistente, l'Autorità può ora procedere anche d'ufficio (oltre che su istanza di ogni soggetto od organizzazione interessata) ed è dotata di efficaci poteri istruttori che le consentono di richiedere ogni informazione pertinente, di effettuare ispezioni, se del caso con l'ausilio della Guardia di Finanza che agisce con i poteri che le sono attribuiti per l'accertamento dell'imposta sul valore aggiunto e dell'imposta sui redditi. Laddove l'Authority ritenga la pratica commerciale scorretta, ne vieta la diffusione, qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora la pratica sia già iniziata; con il medesimo provvedimento può essere, altresì, disposta, a cura e spese del professionista, la pubblicazione della delibera, anche per estratto, ovvero d'apposita dichiarazione rettificativa, in modo da impedire che le pratiche commerciali scorrette continuino a produrre effetti. Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l'Autorità garante può, altresì, irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria, il cui importo può variare da € 5.000,00 ad € 500.000,00, a seconda della gravità e della durata della violazione accertata. Nel caso di pratiche commerciali scorrette che avessero riguardato prodotti pericolosi per la salute o la sicurezza dei consumatori (art. 21, comma 3, cod.cons.) ovvero bambini o adolescenti dei quali fosse stata minacciata la sicurezza (art. 21, comma 4, cod.cons.), la sanzione inflitta non potrà risultare inferiore ad Euro 50.000,00. È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598 c.c. (v. formula su risarcimento del danno da comportamento integrante concorrenza sleale), nonché, per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d'autore protetto dalla l. 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, e dei marchi d'impresa protetto a norma del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni, nonché, infine, delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti (art. 27, ultimo comma, cod. cons.). I ricorsi avverso le decisioni adottate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sono invece soggetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 2. Annullabilità e nullità del contratto di consumo: cenni. Il consumatore che lamenti d'esser stato ingannato dall'informazione commerciale sleale può ricorrere, oltre che all'azione collettiva che dianzi sarà esaminata, agli strumenti di diritto comune degli artt. 1439 e 1440 c.c. Come visto, l'azione ingannevole è vietata quando "idonea" ad indurre in errore il consumatore medio: ciò che rileva è, dunque, la decettività solo potenziale della pratica commerciale, che, in quanto tale, prescinde sia dall'inganno effettivo, sia da un danno al patrimonio del consumatore, non occorrendo, dunque, un nocumento patrimoniale del deceptus , anche se il danno arrecato dalla controparte può rivelarne l'animus decipiendi. Quanto alla possibilità di far valere la nullità del contratto di consumo, secondo la dottrina prevalente la violazione del divieto di pratiche commerciali sleali non determinerebbe, ex se, la nullità (virtuale) del contratto di consumo (che non postula la violazione di qualsiasi norma imperativa ma soltanto di quelle dirette a vietare il contratto in quanto tale, la sua struttura, il suo contenuto o i suoi elementi intrinseci). Detta impostazione ha ricevuto l'avallo delle Sezioni Unite della S.C. che, con sentenza n. 26724 del 19 dicembre 2007, hanno confermato “la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità” (principio affermato con riferimento alla intermediazione finanziaria ed alla violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario) 3. L'azione risarcitoria collettiva (cenni) Salvo il diritto del singolo cittadino di agire individualmente in giudizio (art. 24 Cost.), in forza della nuova azione risarcitoria collettiva introdotta dalla Legge Finanziaria per il 2008 che ha introdotto l'art. 140-bis, d.lgs. n. 206/2005, recante il Codice del consumo, le associazioni dei consumatori e degli utenti, nonché i comitati adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere, potranno presto richiedere al tribunale del luogo della sede dell'impresa convenuta, la condanna al risarcimento dei danni e la restituzione delle somme dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti commessi nello svolgimento di rapporti giuridici relativi a contratti per adesione (art. 1342 c.c.), nonché di ogni altro illecito extracontrattuale, pratica commerciale illecita o comportamento anticoncorrenziale posto in essere dalle società fornitrici di beni e servizi nazionali e locali, quando lesivi dei diritti di una pluralità di consumatori o di utenti (v. per ogni ulteriore approfondimento v. formula su azione di classe). La l. 12 aprile 2019 n. 31 ha introdotto il nuovo titolo VIII-bis del IV libro del codice di procedura civile, rubricato “Dei procedimenti collettivi” e gli articoli da 840-bis a 840-sexiesdecies c.p.c.). Vengono così definiti i tratti caratterizzanti della cd. azione di classe, volta a tutelare una pluralità omogenea di diritti rispetto ad atti e comportamenti di imprese ovvero di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità. A differenza dell'azione di classe descritta e prevista dal Codice del consumo, la legittimazione ad agire spetta ad organizzazioni ed associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti, nonché individualmente a ciascun componente della classe. L'azione si esercita proponendo una domanda al tribunale, ove è istituita una sezione specializzata in materia di impresa, del luogo ove ha sede la parte resistente, per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni a favore di componenti della classe, derivanti dalla violazione di diritti “omogenei”. La domanda è subordinata ad un filtro di ammissibilità, non superato in caso di manifesta infondatezza, ovvero quando il giudice non ravvisi l'omogeneità dei diritti individuali tutelabili in via collettiva, nonché ove il ricorrente versi in una situazione di conflitto di interessi ovvero allorquando il proponente non appaia in grado di curare i diritti individuali omogenei oggetto della incoata azione. In caso di azione di classe finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno cagionato da una pratica commerciale scorretta, il giudice deve verificare l'esistenza del carattere plurioffensivo della condotta della impresa e la natura omogenea dei diritti fatti valere, senza tener conto delle ragioni individuali che hanno “spinto” verso l'acquisto del prodotto. |