Atto di Citazione per il risarcimento dei danni cagionati da percosse o lesioni personali.

Giovanna Nozzetti
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

a seguito di un litigio, l'attore veniva aggredito dal convenuto e riportava lesioni personali dalle quali derivavano postumi permanenti e una condizione di sofferenza interiore integrante danno morale soggettivo, per il risarcimento dei quali propone azione nei confronti dell'autore dell'illecito

Formula

TRIBUNALE DI ... 1 , 2

ATTO DI CITAZIONE

PER

Il Sig. ..., nato a ... il ... (C.F. ......) 3 , residente in ..., via/piazza ... n. ..., elettivamente domiciliato in ..., via ..., n. ..., presso lo studio dell'Avv. 4 ......, C.F. ... 5 , Fax ... 6 , che lo rappresenta e difende in forza di procura alle liti ......... 7

PREMESSO IN FATTO8

-In data ..., alle ore ..., presso ... scaturiva una lite tra l'attore e il Sig. ..., odierno convenuto, causata da ......... Il litigio, iniziato verbalmente, proseguiva nel modo di seguito descritto ......il Sig.... colpiva ripetutamente l'attore con pugni al volto, causandogli la rottura del setto nasale, ecchimosi e altre contusioni;

-Subito dopo l'aggressione il Sig.... si recava presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale ... di ... ove gli venivano diagnosticate, in particolare, le seguenti lesioni '......' guaribili in giorni ... e dimesso il giorno stesso con prescrizione di visita specialistica;

-Successivamente l'attore si sottoponeva a tali visite che diagnosticavano '......' nonché ulteriori giorni di cura.

-In data ... veniva dichiarato guarito con postumi da valutare in sede medico legale ove si recava in data ... presso lo studio del dott. ...;

-Dall'aggressione derivavano alla vittima danno biologico o permanente nella misura del ... %, n.... giorni di invalidità assoluta, n.... giorni di invalidità parziale al...%; la gravità del fatto generava inoltre nell'attore un'intensa sofferenza interiore, che tuttora, malgrado il tempo trascorso, egli manifesta al semplice rievocare alla mente il ricordo dello spiacevole episodio per cui è causa.

-A cagione delle lesioni riportate, il Sig. ... ha dovuto interrompere totalmente la propria attività lavorativa di ... per giorni ..., ed ha pertanto subito il seguente danno patrimoniale per Euro ...;

-In data ... è stato esperito con esito negativo il procedimento di negoziazione assistita 9 di cui all'art. 3 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162, come risulta dalla diffida inviata in data ... con raccomandata a/r n. ..., in cui l'attore ha espressamente invitato le controparti a stipulare una convenzione di negoziazione con le seguenti modalità ......;

-Tale invito non è stato seguito da adesione (oppure) è stato seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione (oppure) è decorso il periodo di tempo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a) del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in Legge 10 novembre 2014, n. 162, come risulta da .......

PREMESSO IN DIRITTO10

Alla luce della narrativa che precede, appare manifesto il diritto dell'odierno attore di ottenere dal convenuto il risarcimento dei gravi danni illegittimamente patiti a seguito delle lesioni subite. È infatti evidente che la condotta del convenuto integra il reato di lesioni personali - previsto e sanzionato dall'art. 582 c.p. - sussistendo tutti gli elementi oggettivi e soggettivi che caratterizzano tale figura di reato.

Egli sarà dunque responsabile in base agli artt. 2043,2059 c.c. e 185, secondo comma, c.p. In particolare, quest'ultima disposizione prevede testualmente: «Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole...».

Il risarcimento comprende in primo luogo i danni patrimoniali, nel caso di specie quelli derivanti dall'interruzione dell'attività lavorativa e quelli sostenuti dall'attore per le cure. Oggetto di ristoro sono altresì i danni non patrimoniali, in particolare il danno biologico o permanente ed il cd. danno morale da reato (o danno morale soggettivo) identificato con il pretium (o pecunia) doloris, ovvero come il ristoro che spetta al danneggiato per le sofferenze subite quale vittima di un reato. Trattasi, dunque, della sofferenza collegata alla menomazione dell'integrità psicofisica e quindi del turbamento psicologico, del dolore e del patimento connessi al fatto - reato e alle sue conseguenze lesive dell'integrità psico-fisica.

Infine, sempre a titolo di danno non patrimoniale, non potrà non essere risarcito il danno esistenziale subito dall'attore, derivante dalla forzosa rinuncia alle proprie abitudini di vita e dalla somma di ripercussioni relazionali di tipo negativo conseguenti al trauma fisico subito. Nel caso de quo, è palese che i postumi di carattere estetico (deformazione del setto nasale/sfregio del viso) hanno inciso, e continueranno ad incidere, in maniera negativa sulla vita di relazione dell'attore.

TUTTO QUESTO PREMESSO

il Sig. ..., come sopra rappresentato, difeso e domiciliato,

CITA

Il Sig...., C.F..., residente in ..., alla via ... n...., a comparire innanzi il Tribunale ordinario di ...., Sezione e Giudice Istruttore a designarsi ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., all'udienza del ....11, ora di rito, con invito alla parte convenuta a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168-bis,

AVVERTE

i convenuti che:

  • la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.,
  • la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 c.p.c. o da leggi speciali,
  • la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

per ivi sentire accogliere le seguenti:

CONCLUSIONI 12

-accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità del Sig. B per le lesioni personali causate all'attore e, per l'effetto, condannarlo al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alle predette lesioni, nell'importo complessivo che qui è dichiarato e quantificato in Euro ... tenuto conto, quanto al danno biologico o permanente delle tabelle del Tribunale di Milano, ovvero negli importi diversi, anche maggiori, ritenuti di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

IN VIA ISTRUTTORIA 13

si chiede volersi ammettere prova testimoniale con il Sig...., residente in..., alla Via..., n°...; Il Sig...., residente in..., alla Via..., n°..., sui seguenti capitoli di prova:

a) 'Vero che...';

b) 'Vero che...';

c) 'Vero che...'.

Si chiede, inoltre, in caso di contestazione relativa al quantum debeatur, volersi disporre CTU medica per l'accertamento delle lesioni subite, la durata della invalidità temporanea, assoluta e parziale, nonché la misura e l'incidenza dei postumi permanenti ed il danno morale.

Infine, si fa riserva di formulare ulteriori richieste istruttorie e di produrre altri documenti anche in conseguenza del comportamento processuale di controparte.

Si offrono in comunicazione, mediante deposito in cancelleria, i seguenti atti e documenti:

1) Referto del Pronto Soccorso dell'Ospedale di...;

2) Certificato del......;

3) Certificato di avvenuta guarigione;

4) Relazione medico - legale a firma del dott....;

5) Risultati degli esami strumentali (RX., T.A.C., ecc.) '......'

6) Lettera Racc. a/r n. ... del ..., avente ad oggetto l'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, a firma dell'Avv....

Ai sensi dell'art. 14 d.p.R. 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), si dichiara che il valore del presente procedimento è pari a Euro .... Pertanto l'importo del contributo unificato è di Euro ....

Luogo e data...

Firma Avv....

PROCURA AD LITEM

(se non a margine o su documento informatico separato)

[1] La competenza per valore spetta al Giudice di Pace ove la somma richiesta sia inferiore ad euro venticinquemila e la relativa domanda si propone con ricorso chiedendo la fissazione, ai sensi dell'art. 281  undecies comma 2 c.p.c., con decreto emesso entro cinque giorni dalla designazione del Giudice, l'udienza di comparizione delle parti, con concessione del termine per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza e assegnazione del termine per la costituzione dei convenuti che dovrà avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza, con avvertimento che la mancata costituzione o la costituzione oltre i termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38,167 e 281 undecies, comma 3 e 4 c.p.c., che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che esso convenuto, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in caso di mancata costituzione si procederà in sua legittima e dichiaranda contumacia. Competente per territorio è il Tribunale o il Giudice di Pace del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora ai sensi dell'art. 18 c.p.c. In alternativa è competente, ai sensi dell'art.20 c.p.c., il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione. Trattandosi di responsabilità per fatto illecito sarà competente il giudice del luogo in cui il danno si è prodotto (forum commissi delicti).

[2] Ove sia stata esercitata l'azione penale, il danneggiato può, in alternativa, costituirsi parte civile ai sensi dell'art. 76 c.p.p. fino a quando non siano stati compiuti gli adempimenti previsti dall'art. 484 c.p.p.

[3] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[4] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014 conv., con modif., nella legge 114/2014.

[5] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c..

[6] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà».

[7] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione (art. 16-bis comma 1-bis D.L. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: 'giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.'.

[8] La sezione dell'atto di citazione, normalmente introdotto dalle locuzioni 'premesso' o 'fatto', contiene la ricostruzione dei fatti costitutivi della domanda. L'art. 164 co. c.p.c. prevede che è nullo l'atto in cui risulti omessa o assolutamente incerta l'esposizione dei fatti costitutivi della domanda (art. 163 co. 3 n. 4) c.p.c.).

[9] L'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita è obbligatorio per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro, ai sensi dell'art. 3 del d.l. 12 settembre 2014 n. 132.

[10] La sezione dell'atto di citazione, normalmente introdotta dalla locuzione 'diritto', contiene l'esposizione della causa petendi, cioè dei fatti costitutivi e delle ragioni di diritto poste alla base della domanda (art. 163 co. 3 n. 4). L'art. 164 c.p.c. prevede tale contenuto a pena di nullità dell'atto.

[11] Il termine a comparire deve essere non inferiore a 120 giorni se il convenuto è residente in Italia e non inferiore a 150 giorni se è residente all'estero.

[12] Le conclusioni contengono il petitum della domanda, cioè il bene della vita o la prestazione richiesta al convenuto (petitum mediato), ovvero il provvedimento giudiziale richiesto al giudice (petitum immediato). L'oggetto della domanda è previsto dall'art. 164 c.p.c. a pena di nullità dell'atto di citazione.

[13] L'art. 164 c.p.c. non prevede che la mancata indicazione dei mezzi di prova costituisca ipotesi di nullità dell'atto di citazione. Le richieste istruttorie, infatti, possono essere formulate anche in sede di memorie ex art. 183, II termine, c.p.c.

Commento

L'ordinamento giuridico penale, con l'incriminazione del delitto di percosse, mira a proteggere e tutelare la c.d. intangibilità del corpo umano, nel senso di piena signoria sulla propria dimensione personale, sia sotto un profilo fisico che psichico. Tale delitto integra una fattispecie residuale, in quanto ha ad oggetto le offese di più lieve entità. Ciò appare evidente dalla formulazione dell'art. 581 c.p.

La percossa - dal latino percutere, scuotere con intensità ­- si può definire come un atto violento ma privo di conseguenze lesive per la persona. Si tratta, infatti, di un reato di mera condotta, che prescinde dalla verificazione di un evento naturalistico (anzi, il verificarsi di una malattia comporterebbe l'assorbimento del reato nel delitto di lesioni cfr. Cass. pen. V, n. 19405/2009). Ciò che si punisce è l'aver tenuto una condotta violenta, mentre non importano le modalità con cui è stato attinto il corpo della vittima (pugni, calci, spinte, ecc.), ne è necessario che vi sia stato un contatto fisico tra la vittima e l'aggressore (ad es. lancio di oggetti cfr. Cass. pen. V, 22 ottobre 1980).

Normalmente le percosse provocano alla vittima un'apprezzabile sensazione di dolore, è controversa tuttavia la questione circa la configurabilità di tale elemento come costitutivo del delitto. Decisioni più risalenti reputavano integrato il delitto anche nei casi di sensazione dolorosa meramente eventuale (ad es. nelle ipotesi di anestesia o insensibilità della zona del corpo colpita, in base alle quali la persona offesa non risente di alcun dolore fisico). Nella giurisprudenza più recente tende invece a prevalere la soluzione più rigorosa, che ritiene la causazione del dolore elemento costitutivo del delitto (Cass. pen. V, n. 33361/2008). Tale orientamento suscita perplessità nella dottrina prevalente, poiché rischia di trasformare in via ermeneutica le percosse da reato di condotta a reato d'evento.

Per quanto riguarda l'elemento psicologico, le percosse richiedono il dolo generico, consistente nella volontà di colpire, con la consapevolezza della idoneità della condotta a provocare dolore ad altri; non è previsto il corrispondente delitto colposo.

Trattandosi di reato di condotta, il tentativo di percosse è configurabile nella sola forma cd. incompiuta (ad es. schiaffo schivato dalla vittima).

Tradizionalmente la giurisprudenza reputava giustificate le percosse ex art. 51 c.p. qualora l'autore avesse agito nell'esercizio del cd. jus corrigendi, cioè il dolore fosse stato cagionato per finalità educative e correzionali (Cass. pen. V, 11 dicembre 1981). Oggi, mutata radicalmente la sensibilità in materia, sono stati ridotti sensibilmente gli spazi applicativi dello jus corrigendi. In particolare, è ricorrente in giurisprudenza l'affermazione secondo cui gli 'atti violenti in nessun modo (sono) riconducibili ad una legittima finalità correttiva ... Comportamenti di questo genere ... sono invero estranei ad una finalità correzionale che ... in quanto giustificata nella sua dimensione educativa, vede la violenza quale incompatibile sia con la tutela della dignità del soggetto minorenne che con l'esigenza di un equilibrato sviluppo della personalità dello stesso' (Cass. pen. V, n. 45859/2012; Cass. pen. VI, n.4904/1996).

Rapporti tra percosse e lesioni personali

Trattandosi di reato a carattere residuale, le percosse risultano assorbite all'interno di altre fattispecie 'quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato' (art. 581, secondo comma, c.p.).

Nello specifico, l'elemento che distingue le percosse dalle lesioni personali è la malattia, assente nelle percosse ed invece necessaria perché si possa configurare il reato di lesioni volontarie o colpose. 'Il delitto di cui all'art. 581 cod. pen. è configurabile allorquando la violenza produce al soggetto passivo soltanto una sensazione fisica di dolore, senza postumi di alcun genere, mentre il delitto di cui all'art. 582 cod. pen., che può essere commesso con qualsiasi mezzo, sussiste quando il soggetto attivo cagioni al soggetto passivo una lesione dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente' (Cass. pen. V, n.714/1999).

Secondo la prevalente giurisprudenza, nessuna differenza tra le due fattispecie sussiste invece riguardo all'elemento psicologico, cioè 'deve escludersi qualsiasi differenza tra il dolo delle percosse ed il dolo delle lesioni personali volontarie, distinguendosi i due reati solo per l'elemento oggettivo' (Cass. pen. V, n. 9448/1983). Una tale concezione comporta che non sia configurabile una volontà dell'agente solo di percuotere e non di provocare una malattia; se quest'ultima si verifica, il dolo di percosse vale anche come dolo di lesioni.

Il reato di lesioni personali

Il delitto di lesioni personali è previsto e punito dall'art. 582 c.p., secondo cui 'Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni'(comma I).

La fattispecie incriminatrice tutela il bene giuridico dell'integrità psicofisica dell'individuo; sono invece estranee finalità di tutela dell'incolumità pubblica (cioè offese ad un numero indeterminato di persone, punite da altre disposizioni come gli artt. 422 e seguenti c.p.).

Si tratta di un reato d'evento a forma libera, ove la condotta può essere sia commissiva sia omissiva (persino priva di violenza fisica, ad es. lesioni da inalazioni di agenti chimici, un trauma acustico, cfr. Cass. pen. IV, n. 2522/1998), purché cagioni una malattia in capo alla vittima.

Fondamentale risulta, quindi, la nozione di malattia, su cui si registrano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti. Secondo l'orientamento tradizionale, avallato dalla relazione ministeriale sul progetto definitivo del codice penale, per malattia si deve intendere ogni alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, anche se di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali (cfr., per una pronuncia più recente, Cass. pen. V, n. 43763/2010). Si tratta di un'interpretazione estremamente ampia, in base alla quale alterazioni organiche o funzionali, sia pure di modesta entità, come ecchimosi, contusioni, escoriazioni ­- anche se limitate ad una ristretta zona di tessuti - sono sufficienti a configurare il delitto di lesioni.

Nella giurisprudenza più recente, prevale invece una nozione c.d. funzionalistica di malattia, secondo cui la stessa consiste in un 'processo patologico evolutivo' che si produce nella vittima, con conseguente compromissione dell'assetto funzionale dell'organismo (Cass. pen., S.U., n. 2437/2008). Dunque un orientamento più restrittivo, in conseguenza del quale danni che non compromettono in alcun modo la complessiva funzionalità dell'organismo (ad es. ematoma di modeste dimensioni) rientrano nel delitto di percosse e non di lesioni.

Per quanto attiene all'elemento psicologico, le lesioni personali sono punibili a titolo di dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale (cfr. Cass. pen. V, n. 35075/2010; Cass. pen. III, n. 8907/1996). Il legislatore ha inteso tutelare il bene giuridico dell'integrità psicofisica anche dalle offese non volontarie, prevedendo, all'art. 590, la punibilità del fatto anche a titolo di colpa.

Il delitto di lesioni personali si consuma non nel momento in cui è posta in essere la condotta, bensì in quello di insorgenza della patologia, trattandosi di reato d'evento. 'Qualora, però, la condotta colposa causatrice della malattia stessa non cessi con l'insorgenza di questa, ma, persistendo dopo tale momento, ne cagioni un successivo aggravamento, il reato di lesioni colpose si consuma nel momento in cui si verifica l'ulteriore debilitazione' (in materia di responsabilità medica, cfr. ex multis Cass. pen. IV, n. 8904/2011).

La responsabilità civile dell'autore del reato e i danni risarcibili

In presenza di un danno alla salute, temporaneo o permanente, la valutazione del danno non patrimoniale attraverso i criteri (tabellari) abitualmente in uso per la liquidazione equitativa del pregiudizio all'integrità psico - fisica della vittima consente di ristorare la componente descrittiva di detto danno, rappresentata dal danno biologico, nei suoi profili statici e dinamici.

Quando, invece, all'aggressione non siano residuate conseguenze invalidanti permanenti (com'è - per definizione - nel caso delle percosse) v'è comunque spazio per l'autonoma risarcibilità del solo danno morale soggettivo, inteso quale sofferenza interiore (temporanea o anche durevole) non degenerata in alterazioni patologiche. La mancanza di un danno biologico dunque non esclude, in astratto, la configurabilità di un danno morale soggettivo (da sofferenza interiore) e di un possibile pregiudizio dinamico - relazionale, sia pur circoscritto nel tempo (Cass. n. 22585/2013).

Da parte della giurisprudenza di legittimità successiva alle pronunce del novembre 2008, si è, peraltro, espressamente puntualizzato che le Sezioni Unite, ad una più attenta lettura, non hanno mai predicato un principio di diritto funzionale alla scomparsa per assorbimento ipso facto del danno morale nel danno biologico (Cass. n. 18641/2011, est. Travaglino, Cass. sez. lav. n. 30668/2011, Cass. sez. lav. n. 19402/2013, Cass. sez. lav. n. 22585/2013), e si è osservato che il c.d. danno morale non si identifica più soltanto col patema d'animo o sofferenza interiore o perturbamento psichico di natura meramente emotiva ed intima (c.d. danno morale soggettivo), ma è sempre più esteso fino a comprendere il pregiudizio derivante dalla lesione della dignità ed integrità morale della persona, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall'art. 2 Cost. in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza contenuta nel trattato di Lisbona, e nel segnalarne l'ontologica autonomia, in ragione della diversità del bene protetto, attinente alla sfera della dignità morale della persona, si è sottolineata la conseguente necessità di tenerne conto, rispetto agli altri aspetti in cui si sostanzia la categoria del danno non patrimoniale, sul piano liquidatorio (vds. Cass. 1361/2014).

E' ammessa, pertanto, la risarcibilità del danno morale, come componente di danno non patrimoniale costituita dalla sofferenza interiore anche non transeunte, quale patema d'animo o pena intimi derivanti dall'offesa arrecata dal reo ai valori della persona tutelati dalla norma incriminatrice: l'onere della prova dell'esistenza in concreto del pregiudizio (mai in re ipsa e sempre distinto dal danno - evento), gravante sul danneggiato, può essere assolto con ogni mezzo, ivi compresa quella prova presuntiva (Vds. App. Lecce II pen., n. 62/2016, che ha ritenuto dovuto alla persona offesa il risarcimento del danno morale soggettivo per le sofferenze e il turbamento d'animo determinati dall'altrui comportamento penalmente sanzionato e ha ravvisato la prova presuntiva di tali pregiudizi nelle modalità stesse dell'aggressione. In considerazione tuttavia della modesta gravità del fatto, rimasto allo stadio di tentativo, ha ritenuto equa la somma di Euro 5.000,00 in favore del danneggiato.)

Provocazione e art. 1227 c.c.

Può accadere che, a fronte del comportamento lesivo del danneggiante, la vittima abbia tenuto, a sua volta, nei confronti del primo, una condotta avente astrattamente rilevanza penale o tale da integrare la provocazione. In sede penale, essa opera come circostanza attenuante di carattere generale (c.d. comune), nell'art. 62 c.p., e come causa di non punibilità in senso ampio nei reati di diffamazione ed ingiuria (art. 595 ed art. 594 c.p., quest'ultimo di recente abrogato d.lgs. n. 7/2016).

Ci si è chiesti se ad una siffatta condotta sia possibile attribuire rilevanza in sede civilistica, al fine di escludere (nel caso della scriminante o della condizione di non punibilità) o attenuare (nel caso della circostanza di cui all'art. 62 c.p.) la responsabilità risarcitoria dell'autore dell'illecito. A tale quesito la giurisprudenza ha dato tendenzialmente risposta negativa, affermando che, in tema di responsabilità da fatto illecito doloso, la norma contenuta nell'art. 1227 c.c., richiamata dall'art. 2056 co. 1 c.c., concernente la diminuzione della misura del risarcimento in caso di concorso colposo del danneggiato, non sia applicabile nell'ipotesi di provocazione da parte della persona offesa dal reato, in quanto la determinazione dell'autore del delitto, di tenere la condotta da cui deriva l'evento di danno che colpisce la persona offesa, va considerata causa autonoma di tale danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente al principio di regolarità causale (Cass. III, n. 5679/2016; Cass. III, n. 2197/2016; Cass. III, n. 20137/2005; Cass. III, n., 23366/2004. Si veda, in senso parzialmente diverso, Cass. III, n. 6009/2007).

Si esclude quindi che la provocazione possa essere valutata al fine di diminuire la misura del risarcimento, non potendo essere considerata causa mediata di esso.

Altre pronunce hanno tuttavia recuperato la rilevanza, anche a fini civilistici e nella dosimetria dell'equivalente pecuniario del danno da reato, della provocazione, sul piano non già del nesso causale, bensì dell'elemento soggettivo. Se, infatti, la provocazione attiene all'elemento soggettivo del reato - di cui attenua la gravità, giustificando una riduzione della pena - è in linea di principio irrilevante in ordine all'accertamento del nesso causale fra illecito e danno e dell'entità dei danni, sicchè non ricorrono i presupposti per l'applicazione degli artt. 20461227 c.c.; tuttavia, ai fini della liquidazione dei danni non patrimoniali, il giudice può tenere conto - fra le molteplici circostanze rilevanti ai fini della valutazione equitativa - anche della gravità dell'offesa e dell'intensità dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, sicchè l'omessa considerazione della provocazione potrebbe assumere rilievo sotto il profilo della violazione dell'art. 2059 c.c. (Cass. III, n. 18804/2009).

L'approccio prettamente civilistico dei giudici di legittimità, fondato su un'idea della consecuzione tra fatto della provocazione ed evento dannoso chiaramente ispirata alla regolarità causale è stato tuttavia oggetto di rilievi critici da parte di certa dottrina, secondo la quale la ricerca di un nesso di derivazione tra comportamenti umani al fine di individuare nell'uno la causa dell'altro, non può seguire una logica fattuale, tipica della causalità materiale, ma deve seguire criteri etico - sociali. Il fatto che la provocazione possa rilevare, in sede penale, in casi specifici, come causa di esclusione della punibilità e, in generale, come circostanza attenuante non potrebbe restare privo di alcuna refluenza ai fini del giudizio di responsabilità civile, tanto più che né l'art. 1227 c.c. né altra norma impedisce di annettere rilevanza al comportamento colposo del danneggiato rispetto al fatto doloso, cioè volontario, del danneggiante, e che il giudizio circa il nesso di causalità tanto in sede penale quanto in sede civile è retto dai medesimi principi (artt. 40 e 41 c.p.).

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