Costituzione di parte civile per risarcimento danno ambientale

Emanuela Musi

Inquadramento

con la costituzione di parte civile nel processo penale per reati ambientali connessi all'illecito sversamento di rifiuti, il Comune nel cui territorio sono stati commessi i reati chiede il risarcimento del danno ambientale, nonché degli ulteriori e concreti danni patrimoniali e non subiti in conseguenza della commissione del fatto illecito.

Formula

TRIBUNALE DI ...

PRIMA SEZIONE PENALE MONOCRATICA

Dott. ...

Proc. Penale .... R.G.N.R.; n. .... R.G.G.I.P. c/ Sempronio

Udienza del ...

DICHIARAZIONE DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE [1]

Il sottoscritto Avv. ...., del Foro di ...., quale difensore e procuratore speciale, giusta delibera di Giunta Municipale numero ...., del .... e procura in calce al presente atto, del Comune di ...., C.F. ...., in persona del Sindaco p.t., Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F..., col presente atto,

DICHIARA

di costituirsiparte civile nei confronti del Sig. .... nato a ...., il ...., C.F..., residente in ...., via ...., nella qualità di amministratore unico della Società Rifiuti .... C.F./P.IVA ...., con sede legale in ...., via ...., e del Sig. .... nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., nella qualità di gestore del sito di smaltimento rifiuti di ...., imputati del reato di cui al d.lgs. n. 152/2006, artt. ...., e c.p.p. art. 110, poiché in concorso: sistematicamente abusavano delle iscrizioni e autorizzazioni ottenute dalle autorità regionali, provinciali e comunali per il recupero e la trasformazione di rifiuti in compost; eludevano fraudolentemente i controlli degli uffici provinciali sul rispetto delle procedure di trasformazione; causavano pregiudizi ambientali che direttamente riguardano i compiti di caratterizzazione, bonifica e risanamento degli enti territoriali;

esercitavano un'attività truffaldina che pregiudicava gli interessi patrimoniali dei Comuni, secondo le condotte descritte nel Decreto di citazione a giudizio dinanzi al Tribunale di .... - Prima Sezione Monocratica -G.M. Dott. .... (udienza dibattimentale fissata per il giorno ...) emesso, in data ...., dal Sost. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di .... Dott. ...., da intendersi qui per integralmente richiamato.

Scopo della presente costituzione di parte civile è quello di ottenere dai predetti imputati il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal Comune di .... a causa ed a seguito del reato consumato secondo le condotte descritte nel Decreto di citazione a giudizio dinanzi al Tribunale di .... – Prima Sezione Monocratica – G.M. Dott ...., e per quelle altre che dovessero essere successivamente contestate in via suppletiva. In particolare si rileva:

- la legittimazione sostanziale dell'Ente comunale si desume innanzitutto dai compiti istituzionali che tanto la Regione quanto le Province ed in particolare i Comuni hanno nella gestione dei rifiuti che costituisce materia principe del presente processo, alla quale si connettono tutte le violazioni contestate. Dette competenze, stabilite dal vigente d.lgs. n. 152/2006, coinvolgono gli enti territoriali in funzioni fondamentali di controllo, vigilanza, autorizzazione e gestione diretta del ciclo dei rifiuti, nonché in delicati e onerosi compiti di risanamento e bonifica ambientale. Ricorrono insomma tra le imputazioni e gli interessi pubblici curati dal Comune di .... nessi talmente diretti ed evidenti, da far ritenere senz'altro sufficiente la prospettazione della causa petendi mediante richiamo delle contestazioni [2];

- le condotte illecite contestate agli imputati evidenziano chiaramente la sussistenza di danni patrimoniali e non patrimoniali diversi da quello strettamente ambientale - seppur ad esso collegati - e rappresentati dalla necessità del Comune di investire ingenti risorse anche economiche per portare avanti progetti di riqualificazione ambientale, di studi ed incontri con la cittadinanza fortemente intimorita dall'accaduto alla luce anche del grande risalto avuto dalla vicenda sui mass – media, nonché per arginare il pericolo grave di inquinamento del suo territorio. In relazione a tale ultimo aspetto, si fa rilevare, come da documentazione agli atti, che il Comune di ...., con determina numero ...., del ...., ha dovuto incaricare la ditta “Gamma”, per svolgere i primi, necessari ed impellenti interventi per la messa in sicurezza della zona, per un costo di Euro .... Senza dimenticare che il Comune di .... è noto per le sue tradizioni eno – gastronomiche, per la genuinità e bontà dei prodotti del territorio. Non ultimo, va ricordato che nel Comune di .... esiste un sito storico ed archeologico di grande importanza. L'attività illecita, insomma, ha determinato un danno all'immagine dell'Ente locale derivante dalla condizione di pregiudizio e degrado del territorio causato dagli imputati. Tale forma di danno si è manifestata sotto un duplice aspetto: nella perdita diappeal, come capacità di attrarre iniziative economiche, turistiche, culturali e insediamenti umani, e - secondo aspetto - nella compromissione dell'immagine dell'Ente nell'esercizio della sua azione amministrativa [3];

- il d.lgs. n. 152/2006, art. 311, riserva allo Stato in via esclusiva, attraverso il ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, il diritto a costituirsi parte civile nel procedimento per reati ambientali, per ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente, salva la facoltà di intervento;

- in via residuale, ai sensi del comma 7, ultimo inciso, dell'articolo 313 del Codice dell'Ambiente, gli Enti locali territoriali danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella salute o nei beni proprietà, sono legittimati a ricorrere al giudice ordinario ovvero a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali, per ottenere il risarcimento dei danni ulteriori e concreti, aventi natura anche non patrimoniale, subiti sui beni appartenenti al patrimonio o al demanio o alla collettività, purché diversi da quello ambientale, secondo il generale principio della responsabilità aquiliana ex c.c. art. 2043; [4]

- per tali ragioni il Comune di .... ha diritto ex c.c. art. 2043 al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti al reato ambientale commesso dagli imputati, così come evidenziato ai punti precedenti. La quantificazione è rimessa all'equo apprezzamento del Giudice adito, tenuto conto di tutte le circostanze ed elementi sopra elencati, il tutto, oltre interessi e rivalutazione, come per legge. Inoltre, si chiede il pagamento della somma di Euro ...., per l'intervento posto in essere dal Comune con determina ...., del .... [5]

Luogo, data ....

Firma Avv. ....

Procura

Autentica di Firma Avv....

[1] L'esercizio dell'azione civile e dei suoi rapporti con il processo penale è vincolato al rispetto di alcune regole. In primo luogo rileva il momento in cui si decide di esercitare l'azione civile: a) si può esercitarla per la prima volta nel processo penale purché il dibattimento non sia ancora stato aperto, altrimenti scaduti i termini, se si decide di non trasferirla nel processo penale, prosegue in sede civile; b) l'azione, già esercitata in sede civile, può essere anche trasferita nel procedimento penale purché, oltre al requisito relativo all'apertura del dibattimento nel processo penale, nel processo civile non sia ancora stata emessa sentenza di merito; il processo civile rimarrà sospeso fino l'emissione della sentenza penale e in caso di assoluzione dell'imputato, la sentenza produrrà effetti anche nei confronti di colui costituitosi parte civile (art.652) c.p.p.); c) se l'azione in sede civile viene esercitata dopo o la costituzione di parte civile nel processo penale, o dopo la sentenza penale di primo grado, il procedimento civile rimane sospeso sino all'irrevocabilità della sentenza penale. Circa l'aspetto della valenza del giudicato penale in sede civile, si vedano gli artt.651e652c.p.p..

Il principio di autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, posto dall'art. 75 c.p.p., comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato possa pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l'altro (Cass. Civ. 5801/2014).

[2] La S.C. ha più volte affermato che l'impegno argomentativo necessario all'illustrazione delle ragioni che giustificano la domanda dipende dalla natura delle imputazioni e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata. Ne consegue che quando tale rapporto sia immediato è sufficiente per l'adempimento del precetto normativo, il mero richiamo al fatto descritto nel capo di imputazione o al titolo di reato ivi indicato (Cass. VI, n. 39695/2002).

[3] Il Tribunale di Trento ha riconosciuto il risarcimento dei danni a favore del Comune di Tesero (TR) a seguito del crollo dei bacini di decantazione di una miniera scaricando fango e detriti nella valle sottostante in tal modo attestando una sorta di collegamento negativo al fatto storico, che avrebbe compromesso la reputazione turistica del paese, nonché il diritto del Comune alla propria identità personale, al nome e all'immagine. Diritti costituzionalmente garantiti che possono giustificare, come si è detto, anche nella persona giuridica un danno morale (Trib. Trento, sentenza 10 giugno 2002).

[4] Il d.lgs. n. 152/2006, art. 311, sancisce la plurioffensività con cui si palesa, generalmente, il c.d. “ecoreato” determinando la contestuale insorgenza di un vulnus all'interesse pubblico e generale all'ambiente (quale valore di rilievo costituzionale), di pertinenza statale, e la possibile lesione di interessi locali ed ulteriori di cui sono portatori le amministrazioni comunali danneggiate (Ordinanza del Tribunale di Cremona del 19 giugno 2012).

[5] - Il c.p.p art. 78, nell'elencare i requisiti posti a pena di inammissibilità della domanda risarcitoria proposta nel processo penale, non contempla la specificazione del quantum debeatur.

Commento

Fondamento e principali tappe dell'evoluzione normativa

La responsabilità per danno ambientale, stante l'originaria assenza di previsioni normative, deve la sua nascita all'elaborazione giurisprudenziale che la ricondusse, in primis, alla disciplina sulla responsabilità amministrativa (si veda, in particolare, la giurisprudenza in materia della Corte dei Conti, che qualificò l'ambiente come bene giuridico pubblico, non scevro da valutazione economica; tra le molte, v. Corte conti, sez. riun., 16 giugno 1984, n. 378/A), per poi incanalarla, all'indomani dell'entrata in vigore della l. n. 349/1986 istitutiva del Ministero dell'Ambiente, nell'ambito della responsabilità aquiliana (v., tra le altre, Cass. III, n. 9211/1995, la quale muove da una nozione di ambiente quale bene immateriale, unitario e globale costituito da numerose componenti, ciascuna delle quali passibile di autonoma tutela, definizione questa mutuata dalla storica Corte cost., n. 641/1987).

Le relative violazioni, vanificando le finalità protettive della disposizione, configuravano ex se una lesione di natura patrimoniale, svincolata dalla precedente concezione aritmetico-contabile e concretizzata nella rilevanza economica della compromissione, in sé e in quanto riflessa sulla collettività (cfr. Cass. S.U., n. 440/1989), ciò nondimeno non escludendosi, per concorde opinione, la possibilità del ricorso agli strumenti di tutela di diritto comune, laddove dall'evento dannoso fossero derivate conseguenze pregiudizievoli per singoli beni di proprietà pubblica o privata (così v. Cass. S.U., n. 400/1991).

Sul piano sovranazionale, il legislatore comunitario (con la direttiva n. 35/2004) è intervenuto richiamando espressamente l'istituto della responsabilità, salvo poi individuare una serie di rimedi formalmente riconducibili a provvedimenti di diritto pubblico; giova evidenziare che, in seguito all'adozione della normativa di recepimento da parte del legislatore italiano (d.lgs. n. 152/2006 cd. testo unico ambientale) la UE ha instaurato una procedura di infrazione fondata sui seguenti rilievi: 1) la mancata adozione del criterio generale di imputazione oggettiva della responsabilità per le c.d. ultra hazardous activities (si tratta di quelle attività, elencate nell'All. III alla direttiva, ritenute, intrinsecamente pericolose per l'ambiente); 2) la previsione del risarcimento per equivalente pecuniario, oltre alle misure di riparazione ambientale; 3) l'esclusione della disciplina sul danno ambientale nelle situazioni di inquinamento per le quali fossero state avviate procedure di bonifica. Successivamente, il legislatore è intervenuto mediante l'art. 5-bis d.l. n. 135/2009 che ha modificato l'art. 311 TUA, e ciò nel tentativo di allineare la normativa nazionale a quella europea, chiarendosi la gradualità fra l'obbligo primario di ripristino e quello sussidiario di risarcimento per equivalente, non corretta esecuzione, impossibilità o eccessiva onerosità «ai sensi dell'art. 2058 del codice civile» del ripristino o delle stesse misure riparatorie.

Il legislatore italiano ha, infine, operato una modifica strutturale alla parte sesta TUA con l'art. 25 l. europea 2013 (citata). Anzitutto, è stato abrogato l'art. 303, lett. i), rendendosi completamente autonomi i procedimenti di bonifica e danno ambientale. L'unica forma di coordinamento è ora rappresentata dal neo-introdotto art. 298-bis, comma 3, il quale individua l'ambito d'applicazione delle rispettive discipline, di talché il procedimento di bonifica potrà esperirsi contemporaneamente all'azione di danno ambientale. Le altre novità della riforma sono rappresentate dal sistema di imputazione oggettivo della responsabilità e dall'esclusione del risarcimento per equivalente.

In particolare: successione di leggi nel tempo e prescrizione.

La progressiva sovrapposizione di interventi legislativi in materia di danno ambientale ha, inevitabilmente, determinato l'insorgenza di problemi di diritto intertemporale.

Giova, innanzitutto, evidenziare che la prevalente giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso della retroattività dell'art. 18 l. n. 349/1986 (in questo senso v. Cass., n. 25010/2008, Cass., n. 3650/1996, ove si argomenta che la norma non avrebbe avuto natura innovativa, posta la medesima tutela precedentemente garantita al bene ambiente dalla Costituzione e dalla clausola generale di cui all'art. 2043 cod. civ.); più complicata la questione relativa alla parte sesta TUA, ove vige espressamente il principio opposto (l'art. 303, comma 1 TUA esclude, infatti, l'applicabilità della parte sesta ai danni verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore - lett. f -, nonché a quelli in relazione ai quali siano passati più di trent'anni dall'evento dannoso che li ha generati - lett. g -). Le modifiche introdotte dall'art. 5-bis sopra citato hanno esteso l'applicazione dei «criteri di determinazione dell'obbligazione risarcitoria stabiliti dall'art. 311, commi 2 e 3» alle domande risarcitorie «proposte o da proporre ai sensi dell'art. 18 della legge 18 luglio 1986, n. 349 (...) o ai sensi del titolo IX del libro IV del codice civile o ai sensi di altre disposizioni non aventi natura speciale», con l'unico limite del giudicato, così derogando in maniera netta al principio tempus regit actum: una deroga che è stata giustificata dalla giurisprudenza in nome dell'evidente necessità di neutralizzare i criteri determinativi del danno stabiliti dall'art. 18 l. n. 349/1986, connotati da «intrinseca contraddittorietà» e carattere «latamente punitivo», a favore di quelli indicati nella direttiva comunitaria (così v. Cass., n. 6551/2011).

Al riguardo, la riforma del 2013 ha ribadito l'irretroattività della parte sesta TUA – tal che la formulazione dell'art. 303, lett f) è ritornata quella originaria – salvo, tuttavia, modificare l'art. 311, comma 3 ult. periodo nel senso che «i criteri e metodi» di cui alla stessa disposizione «trovano applicazione anche ai giudizi pendenti non ancora definiti con sentenza passata in giudicato». In tal senso, anche la S.C. secondo cui «il giudice della domanda di risarcimento ambientale ancora pendente alla data di entrata in vigore della l. 6 agosto 2013, n. 97 (...) può ancora conoscere della domanda in applicazione del nuovo testo dell'art. 311», come modificato dall'art. 5-bis e dalla l. europea 2013 (così v. Cass., n. 16806/2015 e Cass., n. 16807/2015).

Si segnala, in argomento, la recente Cass. I, n. 14935/2016 secondo la quale “la liquidazione del danno ambientale per equivalente è ormai esclusa alla data di entrata in vigore della l. n. 97/2013, ma il giudice può ancora conoscere della domanda pendente alla data di entrata in vigore della menzionata legge in applicazione del nuovo testo dell'art. 311 del d.lgs. n. 152/2006 (come modificato prima dall'art. 5 bis, comma 1, lett. b, del d.l. n. 135/2009 e poi dall'art. 25 della l. n. 97/2013), individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e, per il caso di omessa o imperfetta loro esecuzione, determinandone il costo, da rendere oggetto di condanna nei confronti dei soggetti obbligati”. Sempre in punto di diritto intertemporale, giova riportare l'orientamento della giurisprudenza amministrativa che estende retroattivamente l'intera parte sesta del TUA (vedi così T.A.R. Sicilia, 20 luglio 2007, n. 1254, i, in cui si fanno salvi eventuali «diritti quesiti o comunque effetti definitivi).

Da ultimo, in relazione a fattispecie sussumibili, ratione temporis, non nell'art. 18 della l. 349/1986, ma nell'art. 2043 c.c., la S.C. ha evidenziato che il comportamento idoneo ad integrare l'illecito consiste in una condotta dolosa o colposa di danneggiamento dell'ambiente (non richiedendosi anche la "violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge", secondo le previsioni della suddetta "lex specialis"), destinata a persistere sino a quando il suo autore mantenga - in base a libera determinazione, sempre reversibile - le condizioni di lesione ambientale, sicché la prescrizione del diritto al risarcimento decorre solo dalla cessazione di tale contegno, sia essa volontaria ovvero dipendente dalla perdita di disponibilità del bene danneggiato (così v. Cass. III, n. 3259/2016).

Prescrizione dell'azione e legittimazione attiva

La Suprema Corte si è, inoltre, pronunciata in punto di prescrizione dell'azione risarcitoria: in particolare, viene enunciato il principio di diritto secondo il quale la lesione ecologica costituisce illecito permanente, la cui condotta antigiuridica consiste nel «mantenimento del sito ambientale in condizioni di depredazione o diminuzione» (così v. Cass., n. 9012/2015 e Cass., n. 9013/2015, nonché Cass., n. 6551/2011, cit.); ne consegue che il termine - quinquennale - di prescrizione non può che decorrere dal momento in cui siffatte condizioni vengano eliminate dal danneggiante, ovvero la condotta riparatoria sia resa impossibile, anche a fronte della perdita incolpevole circa la disponibilità del bene (v. così Cass., n. 28652/2011).

In ordine alla legittimazione attiva, si segnala che, ad oggi, pendono diversi giudizi iniziati prima dell'entrata in vigore del TUA che vedono come attori Enti Locali o associazioni ambientaliste; soggetti, questi, la cui legittimazione è venuta meno con l'abrogazione, da parte dello stesso TUA, rispettivamente dell'art. 18 l. n. 349/1986 e dell'art. 9, comma 3 d.lgs. n. 267/2000. Sul punto, quindi, è stato stabilito che, in applicazione dei principi generali di diritto processuale, nulla si può eccepire circa la prosecuzione dei giudizi iniziati da soggetti illo tempore titolari di legittimazione ad agire, ai quali andranno tuttavia applicate le previsioni della parte sesta attualmente vigenti in materia di riparazione del danno (così v. Cass., n. 9012/2015 e Cass., n. 9013/2015).

Il risarcimento del danno ambientale

Con riferimento alla disciplina di cui all'art. 18 l. n. 349/1986, in dottrina alcuni autori individuavano, nella previsione di responsabilità, una finalità compensativa, altri una «punitivo-satisfattiva» (in giurisprudenza, tale lettura è stata sposata da Cass., n. 9211/1995. cit; in senso contrario, tra le altre, Cass. pen., n. 36818/2011; emblematica nella giurisprudenza di merito Trib. Torino, 8 luglio 2008, n. 4991, in Corr. merito, 2009, 143 ss., in cui una società venne condannata per attività di sversamento illecito a una somma di Euro 1.833.475.405,49, importo calcolato soltanto sulla base della gravità della colpa).

L'emanazione della normativa sovranazionale, informata a principi nuovi per l'ordinamento italiano, quali quello di precauzione, di correzione alla fonte e sviluppo sostenibile, ha comportato un radicale cambio di prospettiva: il legislatore europeo ha basato il proprio intervento armonizzatore su una concezione "ecocentrica", conferendo rilievo preminente all'integrità e al recupero dell'ambiente, quest'ultimo inteso come l'insieme di risorse e servizi naturali che esso fornisce, nonché della loro interrelazione. In tale prospettiva, incentrata sul bene-ambiente, si giustifica appieno la diffidenza verso sistemi risarcitori di natura pecuniaria e la previsione di strumenti come le misure riparatorie, che non mirano né alla compensazione né alla pura reintegrazione del danno subito, bensì alla sua eliminazione. La direttiva non contempla la misura del ripristino in senso stretto, al più prevedendo la "riparazione primaria" (definita come «qualsiasi misura di riparazione che riporta le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle o verso le condizioni originarie»), affiancata da quelle "complementare" e "compensativa", volte, rispettivamente, alla ricostituzione dell'ambiente danneggiato in sito diverso da quello originario, e a porre rimedio alle c.d. "perdite provvisorie", verificatesi nelle more del recupero totale dell'ecosistema stesso. In tale contesto, al diritto comune va affidato un ruolo marginale, di salvaguardia rispetto alle occasioni in cui la prevenzione o la riparazione del danno ambientale non si rivelino in concreto esperibili, sempre a condizione che sussistano tutti i crismi necessari per la sua applicazione (ciò si desume dal Considerando n. 13 alla direttiva, in cui si afferma che la responsabilità civile può rappresentare uno strumento efficace laddove vi siano «uno o più inquinatori individuabili», un danno «concreto e quantificabile» e si riesca ad «accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati»).

Detta novella prospettiva è stata recepita dalla recente riforma alla parte sesta TUA e dalle prime pronunce ad essa successive: cfr., sul punto, Trib. Livorno, 13 aprile 2015, n. 5261 che, in una questione relativa a inquinamenti nei siti siderurgici di Piombino e Trieste, ha indicato come l'Autorità pubblica non possa avanzare pretese risarcitorie di natura pecuniaria, se non limitatamente alle spese «per gli interventi di riparazione soltanto all'esito della loro esecuzione», nonché Cass., n. 9012/2015 e Cass., n. 9013/2015 cit., ove si afferma che «il principio generale, di derivazione eurounitaria, è l'esigenza di porre rimedio alle alterazioni e ai danni della risorsa ambiente esclusivamente mediante il recupero della stessa, in relazione alla sua peculiarità, quale contesto generale di quotidiana estrinsecazione esistenziale di una massa tendenzialmente indeterminata di individui», sicché il recupero dell'ecosistema dev'essere improntato, altresì, a una riconsiderazione «dei numerosi e differenziati interessi - generali e particolari, mai soltanto economici o patrimoniali in senso stretto - coinvolti, facenti capo a una collettività potenzialmente indeterminabile ex ante e coinvolgenti valutazioni complesse».

Dunque, il danno ambientale va risarcito esclusivamente individuando le misure riparatorie ambientali più opportune ovvero, in via residuale, quantificando i costi delle stesse; quantificazione, quest'ultima, da parametrare non tanto al valore delle risorse e dei servizi ambientali compromessi, bensì all'effettiva graduazione delle stesse misure di riparazione da adottare nel caso concreto.

Responsabilità solidale e lesioni ambientali.

 

Con riferimento alle lesioni ambientali, si pone il problema di individuare le responsabilità in caso di compartecipazione di più soggetti al medesimo evento dannoso: è il caso dei c.d. inquinamenti diffusi - in cui si hanno distinte lesioni dell'ambiente, scindibili in quanto riconducibili a differenti decorsi causali – ovvero di quelle condotte unitarie, attribuibili a diverso titolo a una pluralità di soggetti, siano essi persone fisiche o giuridiche. Sulla peculiare questione va inevitabilmente ad incidere il principio generale di diritto comune, che prevede la solidarietà passiva in caso di fatto illecito plurisoggettivo.

Nella prima normativa sul danno ambientale (l. n. 349/86 cit.), vi era proprio l'espressa deroga all'art. 2055 c.c. e il conseguente regime di imputazione parziaria della responsabilità (così era previsto dall'art. 18, comma 7 l. n. 349/1986, il quale recitava che «nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale».). Medesimo approccio è stato seguito - sebbene non originariamente - dalla parte sesta TUA, con la manifesta esclusione degli inquinamenti a carattere diffuso, in caso di impossibilità ad accertare un nesso causale «tra il danno e l'attività di singoli operatori» (il regime di responsabilità parziaria è stato introdotto all'art. 311, comma 3, dall'art. 5-bis d. l. n. 135/2009, sì da sostituire l'originale impostazione basata sul ricorso alla responsabilità solidale).

Per quanto concerne, quindi, gli eventi di danno in cui sia possibile riscontrare un nesso causale fra le condotte di plurimi soggetti, l'art. 311, comma 3° fa propria la dizione della legislazione previgente, stabilendo che «nel caso di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale». Il legislatore, circoscrivendo la responsabilità alla dimensione personale, ha concentrato l'indagine sull'accertamento circa l'effettiva sussistenza dell'elemento soggettivo in capo ai potenziali responsabili individuati, nondimeno in base a plurime modalità di imputazione dell'obbligazione risarcitoria: si ha, infatti, responsabilità oggettiva per chi svolge attività professionali ex All. 5 alla parte sesta (art. 311, comma 2, primo periodo), per i soli operatori, con riferimento ai costi delle misure di prevenzione e riparazione ambientale sostenuti dallo Stato (art. 308), nonché per titolari di interessi nel fatto dannoso, o che comunque ne abbiano «obiettivamente tratto vantaggio economico» (art. 313, comma 3); responsabilità a titolo di dolo o colpa per tutti gli altri soggetti (art. 311, comma 2 secondo periodo); ha, altresì, conferito ruolo portante all'eziologia tra la condotta e l'evento dannoso, elemento definito peraltro dalla giurisprudenza europea come il fondamento logico e giudico dell'essenziale principio "chi inquina paga" (così Corte Giust. UE, 9 marzo 2010, causa C-378/08).

La S.C. sul punto ha affermato come la responsabilità parziaria, integrando una deroga a un principio fondamentale in tema di tutela sostanziale del danneggiato, deve necessariamente mirare ad «ascrivere a ogni compartecipe anche per un modesto segmento di una delle condotte sfociate in un danno ambientale complessivo la responsabilità per l'ingentissimo danno che ne è derivato, anche quanto alle specifiche conseguenze non prevedibili o perfino non controllabili perché da ascriversi alla condotta indipendente di altri»: siffatta limitazione non potrebbe, quindi, che operare nei casi in cui vi sia netta distinguibilità fra plurime condotte indipendenti, di guisa che, a fronte di eventi lesivi frutto di azioni - dolose o colpose - tra loro inscindibili, «concorrenti in senso stretto» e legate da «reciproci nessi di consequenzialità», tornerà ad applicarsi il regime generale ex art. 2055 c.c. (cfr. Cass. n. 9012/2015 e Cass. n. 9013/2015 cit.).

Si segnala, in argomento, da ultimo Cass. III, n. 9012/2015 secondo la quale “la regola di cui all'art. 311, comma 3, penultimo periodo, del d.lgs. n. 152/2006, nel testo modificato, da ultimo, dall'art. 25 della legge 6 agosto 2013, n. 97 - per la quale "nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale" - mira ad evitare la responsabilità anche per fatti altrui, sicché opera nei casi di plurime condotte indipendenti e non anche in quelli di azioni od omissioni concorrenti in senso stretto alla concretizzazione di un'unitaria condotta di danneggiamento dell'ambiente, che restino tutte tra loro avvinte quali indispensabili antefatti causali di questa. Ne consegue che, in tale ultima ipotesi, non soffre limitazione la regola di cui all'art. 2055 c.c. in tema di responsabilità di ciascun coautore della condotta per l'intero evento causato” .

Da ultimo, in punto di estensibilità della responsabilità della società madre per il fatto delle società operative per effetto dell’applicazione della concezione sostanzialistica d’impresa contemplata dalla giurisprudenza comunitaria (secondo cui è possibile applicare il principio della prevalenza dell’unità economica del gruppo rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate), si segnala Cons. di Stato, Sez. IV, n. 2301/2020, : ivi viene affermata la responsabilità delle società madri che detengano le quote di partecipazione delle società operative autrici dell’illecito, in misura tale da evidenziare un rapporto di dipendenza e quindi da escludere una sostanziale autonomia decisionale delle controllate stesse. Il principio sostanzialistico impone di non fermarsi a verificare chi abbia materialmente posto in essere la condotta inquinante, dovendosi altresì individuare chi, pur non avendo realizzato la condotta illecito, abbia avuto un ruolo direzionale, decisionale e di controllo sulla situazione inquinante e sul soggetto agente e se tale soggetto abbia tratto dei vantaggi o degli utili dall’attività inquinante, quali distribuzioni di dividendi o risparmio di spesa.

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