Atto di citazione per il risarcimento del danno non patrimoniale per crimini contro l'umanità.InquadramentoCon l'atto di citazione per il risarcimento dei danni un soggetto deportato durante la II Guerra Mondiale in Germania e sottoposto a prigionia e lavori forzati in un campo di concentramento evoca in giudizio la Repubblica Federale Tedesca per vedersi riconoscere il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali conseguenza della deportazione, da intendersi quale crimine contro l'umanità, della quale è stato vittima. FormulaTRIBUNALE DI .... 1 ATTO DI CITAZIONE PER il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F....., residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv....., C.F....., presso il cui studio elettivamente domicilia in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ......., ovvero all'indirizzo PEC ...._ Premesso che - in data .... l'istante, all'epoca militare di leva dell'Esercito italiano, Reggimento Alpini (doc. 1), venne catturato in _________ (indicare luogo) dalle forze militari tedesche e deportato in Germania per essere avviato ai lavori forzati; - fino alla data del ...., venne mantenuto in condizioni di sostanziale schiavitù, privo dello status di prigioniero di guerra e delle relative garanzie assicurate dalla convenzione di Ginevra, nonché costretto a usuranti lavori non retribuiti, denutrito ed in condizioni igieniche inaccettabili; - solo a seguito dell'armistizio tra la Germania e le forze “alleate”, l'istante riusciva a far ritorno a casa, in condizioni psichiche e fisiche disastrose (doc. 2); - la deportazione rientra fra i crimini contro l'umanità, in quanto sostanziatasi in deportazione ed assoggettamento al lavoro forzato in condizioni di assoluta schiavitù, oramai fatto storicamente acquisito ed addirittura riconosciuto dalla stessa convenuta; - la configurazione come “crimine internazionale” della deportazione e dell'assoggettamento dei deportati al lavoro forzato trova conferma nella risoluzione 95-I dell'11 dicembre 1946, con la quale l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite confermò che la deportazione e l'assoggettamento ai lavori forzati devono essere annoverati tra i “crimini di guerra” e quindi tra i crimini di “diritto internazionale”. Tale convincimento è stato poi ribadito sia nei principi di diritto internazionale adottati nel giugno del 1950 dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, sia nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 25 maggio 1993, n. 827/1993 e 8 novembre 1994 n. 955/94, sia infine nella Convenzione con la quale è stata istituita la Corte penale internazionale, sottoscritta a Roma il 17 luglio 1998 2; - sussiste, quindi, una responsabilità aquiliana della convenuta ai sensi dell'art. 2043 c.c.... Invero, le norme di diritto internazionale che tutelano la libertà e la dignità della persona umana come valori fondamentali e che configurano come crimini internazionali i comportamenti che più gravemente attentano all'integrità di tali valori, sono parte integrante del nostro ordinamento e costituiscono parametro dell'ingiustizia del danno causato da un fatto doloso o colposo altrui; - la legislazione da applicare al caso in esame è quella italiana alla luce della l. 218/1995, art. 62, secondo cui il danneggiato può chiedere l'applicazione della norma dello Stato in cui si è verificato il fatto causativo del danno. In relazione alla fattispecie de qua la deportazione e la riduzione in schiavitù iniziarono in Italia, con la cattura dell'istante; - conseguentemente, va riconosciuto all'istante il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, consistito nella mancata percezione della retribuzione a fronte del lavoro prestato durante il periodo della deportazione (circa mesi ...., dalla data ...., alla ....). Invero, il Sig. ...., prima della guerra e della chiamata alle armi svolgeva la professione di .... (doc. 3). Invero, malgrado la Convenzione di Ginevra del 1929 prevedesse una retribuzione a favore dei prigionieri adibiti a lavori diversi dalla mera manutenzione dei campi che li ospitavano, all'istante non è mai stato riconosciuto tale beneficio, visto che lo stesso non è mai stato riconosciuto come “prigioniero di guerra”. Stante la mancanza di parametri oggettivi e sicuri, il relativo danno può essere quantificato solo in via equitativa; - sussiste, inoltre, il suo diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per le sofferenze patite durante la prigionia, per lo stato di schiavitù e di assoggettamento patito, per la privazione della libertà, per la deportazione e per gli effetti postumi della prigionia, per l'alterazione dell'equilibrio psichico e le difficoltà nel reinserimento sociale (doc. 4). Anche tale danno va determinato in via equitativa; - trattandosi di crimini contro l'umanità, rispetto ai quali va applicato il principio della “giurisdizione universale”, sussiste la giurisdizione del giudice italiano a conoscere della pretesa risarcitoria nei confronti dello Stato convenuto 3; - il diritto dell'istante non può ritenersi prescritto alla luce della norma di diritto internazionale consuetudinario, formatasi all'inizio degli anni '60, e che sancisce la imprescrittibilità dei crimini contro l'umanità, con particolare e specifico riferimento ai quelli commessi dai nazisti. Questa norma ha carattere retroattivo alla luce della CEDU, art. 7, comma 2, ed è applicabile a sistema giuridico italiano in virtù della Costituzione, art. 10. Invero, l'applicazione retroattiva della norma consuetudinaria concernente l'imprescrittibilità dei crimini contro l'umanità viene in rilievo in relazione al caso in esame solo dal punto di vista civilistico e non anche penalistico. Infatti, in ambito civile il principio della irretroattività è previsto da una norma di rango ordinario ed è quindi derogabile da altra di pari rango, purchè nel rispetto degli altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Tanto premesso, l'istante, come sopra, CITA 4 - la Repubblica Federale di Germania, C.F. ...., in persona del legale rappresentante p.t., domiciliato per la carica in ...., via ...., a comparire innanzi all'Ill.mo Tribunale di ......., Giudice istruttore designando ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., all'udienza del ...., ore di rito, con invito ex art. 163 c.p.c. a costituirsi, nelle forme e nei modi di cui all'art. 166 c.p.c., entro 70 giorni prima dell'udienza su indicata, e con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., che la difesa tecnica è obbligatoria in tutti i giudizi dinanzi al Tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 o da leggi speciali e che la parte, sussistendone i presupposti di legge può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio gratuito a spese dello stato e che, non costituendosi, si procederà, ugualmente, in sua contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: - accertare e dichiarare la responsabilità ex c.c. art. 2043 dello Stato convenuto per “crimini contro l'umanità”, consistiti nella deportazione, assoggettamento in stato di schiavitù ed ai lavori forzati dell'istante, e per l'effetto: - condannare la medesima convenuta all'integrale risarcimento in favore del Sig. .... tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, da quantificarsi in via equitativa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge sulla somma rivalutata. Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario. IN VIA ISTRUTTORIA (indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO) Si chiede, inoltre, di essere ammesso alla prove per testimoni sulle circostanze indicate in premessa/in punto di fatto, dal numero _________ al numero ...., preceduti dalla locuzione “Vero è che”, ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che....”).... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) il Sig. ...., residente in ....; 2) il Sig. ...., residente in .... Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta. Ai sensi del d.P.R. n. 115/2002 e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro ___________ e, pertanto, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato pari ad Euro .... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA ISTANZA NOTIFICA [1] [1] La competenza territoriale in tali fattispecie va affermata in base ai criteri generali stabiliti in materia di obbligazione, fra i quali rientrano quelle fondate su titolo extracontrattuale, di cui al c.p.c. artt. 18 e 19, sia in base al criterio di cui al c.p.c. art. 20 (Trib. Torino, Sent., 20 maggio 2010) [2] [2] Cass. S.U., 5044/2004. [3] [3] Cass. ord., 29 maggio 2008, statuendo su domanda di regolamento preventivo di giurisdizione ha affermato la giurisdizione dell'Italia alla luce del principio della immunità degli Stati per gli atti di espressione della loro sovranità; inoltre, in ordine al Trattato di Pace tra Italia e Germania del 10 febbraio 1947, ove il nostro Paese rinunciava a qualsiasi domanda di risarcimento nei confronti dello Stato tedesco, la Corte ha precisato che, così come altri patti, quello in esame si riferiva solo a rapporti di diritto sostanziale, senza escludere la giurisdizione. [4] [4] Ai sensi del c.p.c. art. 163-bis, se il luogo della notificazione non si trova in Italia, tra il giorno della notificazione e quello della comparizione devono trascorrere termini liberi non minori di 150 giorni. CommentoIl superamento dell'immunità degli Stati stranieri nei confronti della giurisdizione italiana Con la sentenza n. 5044/2004 le S.U. della Corte di Cassazione hanno inaugurato un nuovo filone giurisprudenziale attestato sull'importante principio per cui va affermata la giurisdizione civile italiana per quegli atti dello stato tedesco riconducibili, in forza di consuetudini internazionali alla categoria di crimini internazionali, dovendosi pertanto negare l'immunità giurisdizionale dello stato tedesco per atti compiuti in periodo bellico quale espressione dello iure imperii del terzo Reich. In precedenza, la giurisprudenza italiana era costantemente orientata nel senso di negare la giurisdizione del giudice italiano nei confronti di uno Stato straniero allorché i fatti dedotti in giudizio, anche se connotati dall'efferatezza, fossero diretta emanazione della sovranità nazionale quali acta iure imperii ed in quanto tali non sindacabili da parte di altro giudice nazionale in virtù di una consuetudine internazionale consolidata in tal senso (quale espressione del consolidato orientamento difforme precedente v. Cass. S.U., n. 8157/2002; Cass. S.U., n. 530/2000). La sentenza Ferrini (la cit. n. 5044) ha in particolare affermato che l'obbligo di astensione dall'esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dello Stato straniero “non ha carattere assoluto”, non potendo essere invocato qualora la gravità degli atti dello Stato straniero sia tale da configurare crimini internazionali lesivi di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali. Sicché di fronte a due prassi consuetudinarie potenzialmente in contrasto tra loro formatesi nel diritto internazionale, l'una volta a garantire l'immunità degli Stati sovrani dalla giurisdizione di un altro giudice statale per gli acta iure imperii, l'altra tesa alla tutela contro la persecuzione d i crimini di guerra e contro l'umanità, le S.U. hanno deciso che quest'ultima debba prevalere sull'immunità statale. Successivamente alla sentenza cd. Ferrini, furono instaurate nei Tribunale Italiani svariate cause di risarcimento danni nei confronti della Repubblica Federale Tedesca; in particolare, in alcuni di tali procedimenti la Repubblica Federale Tedesca proponeva regolamento preventivo di giurisdizione, all'esito del quale la Corte di Cassazione ribadiva il proprio orientamento, confermando la giurisdizione del giudice civile italiano (V. Cass. S.U., n. 14201/2008; Cass., S.U., n. 14199/2008). La Germania, sul presupposto che l'Italia avesse violato la norma consuetudinaria di diritto internazionale sulla immunità di uno Stato sovrano dalla giurisdizione civile di un altro Stato, ricorreva alla C.I.G che, con la propria decisione del 3.2.2012, si esprimeva in favore dello Stato tedesco dichiarandone l'immunità dalla giurisdizione civile italiana per i fatti commessi dai propri militari tra il 1943 e il 1945 ed ordinando all'Italia di adottare tutti i provvedimenti legislativi e le altre misure necessarie ad annullare l'efficacia delle decisioni delle proprie corti su tale materia. L'attuazione di quanto stabilito dalla C.I.G. avveniva con l'art. 3 della L. n. 5 del 14 gennaio 2013, rubricato “Esecuzione delle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia". A questo punto, il Tribunale di Firenze, chiamato a decidere su azioni di risarcimento del danno promosse da italiani deportati durante la guerra, sollevava questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 2 e 24 Cost. ad opera della menzionata norma, della norma consuetudinaria relativa alla immunità giurisdizionale degli Stati prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento operato ai sensi dell'art. 10 della Cost., nonché dell'art. 3 della l. n. 5/2013 e dell'art. 1 della l. n. 848/1957 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite), limitatamente all'esecuzione data all'art. 94 della Carta ONU, nella parte in cui obbliga il Giudice italiano a conformarsi alla decisione della C.I.G. del 3 febbraio 2012. Con la sent. n. 238 del 22 ottobre 2014 (nonché, con motivazione similare, con l'ord. n. 30/2015) la Corte costituzionale dichiarava che nel nostro ordinamento non è mai avvenuto il recepimento della norma consuetudinaria sulla immunità giurisdizionale degli Stati, poiché essa avrebbe costituito una inammissibile compressione di un principio fondamentale dell'ordinamento, quale quello della tutela giurisdizionale dei diritti. La Corte dichiarava, altresì, l'incostituzionalità dell'art. 3 della l. n. 5/2013 e dell'art. 1 della l. n. 848/1957, nei limiti sopra enunciati. In seguito alla riassunzione dei procedimenti operata sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale, il Tribunale di Firenze, con sentenza del 6 luglio 2015, accertata la propria giurisdizione riteneva prevalente il diritto del cittadino all'accesso giurisdizionale e al risarcimento del danno patito, rispetto alla possibile violazione dell'ordinamento internazionale in relazione alla sentenza C.I.G. del 3 febbraio 2012, accogliendone la domanda risarcitoria. Di contrario avviso alla sentenza Ferrini Cass. S.U. ord. n. 4284/2013 secondo cui “non sussiste la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa nei confronti della Repubblica federale di Germania con riguardo ad attività "iure imperii" lesive dei valori fondamentali della persona o integranti crimini contro l'umanità, commesse dal Reich tedesco fra il 1943 ed il 1945, dovendosi escludere che il principio dello "jus cogens" deroghi al principio dell'immunità giurisdizionale degli Stati. In piena continuità con l'orientamento inaugurato nel 2004 v., invece, Cass. S.U., n. 762/2017). Profili sostanziali: la prescrizione del diritto al risarcimento del danno e la quantificazione La prima eccezione sollevata nei giudizi che hanno interessato diversi Tribunali italiani è stata quella relativa alla prescrizione del diritto, fondata sul seguente ragionamento: partendo dal principio base sancito dall'art. 2947 comma 3 c.c. a norma del quale «se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il fatto è stabilita una prescrizione più lunga questa si applica anche all'azione civile», la Germania considera prescritto il relativo diritto al risarcimento in sede civile in quanto, da un lato, la fattispecie andrebbe ricondotta ai reati di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) e/o tratta di schiavi (art. 601 c.p.), con la conseguenza che essendo il termine di prescrizione di venti anni lo stesso sarebbe ampiamente decorso e, dall'altro, non esiste alcuna norma consuetudinaria internazionale sulla scorta della quale poter considerare imprescrittibili i diritti risarcitori discendenti da crimini contro l'umanità (ovvero se la stessa esistesse risalirebbe alla fine del secolo scorso, conseguendone l'inapplicabilità retroattiva in forza dell'art. 25 Cost.). In realtà, secondo quanto argomentato dal giudice di merito (il riferimento è a Trib. Torino 20.5.2010) la detta consuetudine nel senso della imprescrittibilità dei crimini contro l'umanità sarebbe sorta nei primi anni 60 del secolo scorso: se, infatti, elementi essenziali della consuetudine sono l' opinio iuris ac necessitatis gli stessi devono farsi risalire al momento in cui il problema della prescrizione dei crimini contro l'umanità si è cominciato a manifestare; le consuetudini sono il frutto di un processo giuridico volto a cristallizzare in una norma di diritto quanto il precetto oggetto di disciplina già disponeva in punto di obbligatorietà morale e giuridica. Ed un dato oggettivo militerebbe nel senso di ritenere già consolidata la prassi consuetudinaria, ovverosia l'avvenuta stipula di due convenzioni sullo specifico tema della prescrizione dei crimini contro l'umanità, sintomatiche della consapevolezza da parte della comunità internazionale dell'epoca circa il fatto che tali crimini non potessero essere soggetti alla prescrizione. Quanto agli elementi costitutivi del fatto illecito, giova evidenziare che la mancata contestazione da parte della convenuta Repubblica Federale di Germania ha consentito ai giudici investiti delle controversie in esame, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., di ritenere provati i fatti così come narrati dagli attori: il fatto dell'apprensione in territorio italiano, della successiva deportazione via treno in campi di concentramento in territorio sotto il controllo nazista e della detenzione in loco in condizioni di schiavitù per diversi mesi, fino alla liberazione per mano dei comandi Alleati, non contestati dalla Repubblica Federale Tedesca, sono stati ritenuti integrativi di un crimine di guerra e di un crimine contro l'umanità, secondo la lettura di diversi Statuti internazionali fornita dalla Corte di cassazione con la sentenza a Sezioni Unite del 29 maggio 2008, n. 14202. Una volta accertato che il trattamento subito dagli attori durante la prigionia integra un danno risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. la descrizione dei danni diventa superflua o comunque affidata alle presunzioni, stante la tragica notorietà delle condizioni di vita nei campi di concentramento nazisti, così come ampiamente documentate dalla storiografia moderna. Sotto questo profilo, sono numerosi i danni ipoteticamente risarcibili subiti dai deportati: dalla riduzione in schiavitù fino alla mancata retribuzione per il lavoro coattivamente prestato (ove il risarcimento è parametrato con riferimento alla Convenzione di Ginevra del 1929 art. 32; v. Trib. Torino 20 maggio 2010 cit.: il Giudice considerando il valore di una giornata lavorativa dell'epoca, liquida in Euro 8000,00 il danno patrimoniale sofferto dall'attore), dalla sofferenza fisica e psichica subita durante la deportazione sui carri piombati fino al costante terrore per la propria sopravvivenza. Non ultimo deve essere valorizzato l'aspetto dell'aver assistito personalmente allo sterminio, programmato ma anche casuale, di centinaia di altre persone ridotte nelle medesime condizioni dei sopravvissuti. Nella difficoltà di ancorare il risarcimento ad un parametro equitativo il più possibile adeguato al singolo caso, un elemento quantificativo viene individuato sotto il profilo della durata della prigionia, che giustifica un diverso trattamento compensativo in sede di liquidazione del danno. Ad es. per una deportazione e detenzione durata all'incirca 12 mesi, il risarcimento riconosciuto è pari ad Euro 35.000, mentre per fatti analoghi protrattisi fino a 20 mesi di cattività, il risarcimento è pari ad Euro 50.000, somme già all'attualità (ovverosia comprensive di rivalutazione monetaria). Altra posta risarcitoria riconosciuta dalle sentenze di merito riguarda il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione di risarcimento da parte dell'obbligata Repubblica tedesca, mediante la corresponsione in favore degli attori di interessi sulla somma rivalutata anno per anno, previa devalutazione del capitale, ad un tasso equitativamente fissato al 4%, con decorrenza dalla data giudizialmente stabilita al 1° gennaio 1945. Principali questioni processuali dei giudizi risarcitori Sotto il profilo processuale, è bene evidenziare che la Repubblica Federale tedesca aveva contestato la giurisdizione italiana anche richiamando il Trattato di Pace tra Italia e potenze alleate ed associate del 10 febbraio 1947 (nonché il successivo accordo di Bonn del 2 giugno 1961, art. 2): in esso si sanciva all'art. 77 comma 4 che l'Italia rinunciava a nome proprio e dei cittadini italiani a qualsiasi domanda di risarcimento nei confronti della Germania pendente alla data dell'8 maggio 1945. Su regolamento di giurisdizione proposto in pendenza di giudizio dalla Germania la Corte di Cassazione con ordinanza del 29 maggio 2008 n. 14201 sancisce che le disposizioni contenute nel trattato di pace concernono questioni di diritto sostanziale, spettando pertanto al giudice del merito accertare se ed in che limiti vi sia stata rinuncia a far valere i diritti azionati in giudizio. Una questione che il giudice del merito può agevolmente superare facendo riferimento alla circostanza che la rinuncia riguardava i soli giudizi pendenti alla data dell'8 maggio 1945 non potendo pertanto involgere quelle richieste risarcitorie promosse molti anni dopo. Giova sottolineare che nei giudizi risarcitori promossi, la Repubblica Federale Tedesca chiedeva di poter chiamare in causa la Repubblica Italiana per essere manlevata in virtù di quel trattato di Bonn dianzi richiamato. La Repubblica Italiana, dal canto suo, contestava che il Trattato di Pace italo-tedesco del 1947, integrato dall'Accordo di Bonn del 1961 (reso esecutivo con il d.P.R. n. 1263/1962), contenesse alcun obbligo di manlevare lo Stato tedesco dalle domande di risarcimento successive all'8 maggio 1945 e che il medesimo contempli la rinuncia ai danni non patrimoniali da crimini di guerra o da deportazione subiti dai cittadini italiani. Su quest'ultimo punto, il Tribunale di Firenze (nella sentenza più volte citata), in adesione alla decisione della Cass. pen., n. 1072/2008, rigetta l'eccezione della parte convenuta, ritenendo che non possa essere oggetto di rinuncia da parte dello Stato italiano un diritto personalissimo e non patrimoniale di un proprio cittadino, peraltro oggetto di una controversia non ancora iniziata al momento della stipula dell'accordo. In ordine alla domanda di manleva, appare piuttosto evidente come la garanzia non possa contemplare cause personali dei cittadini e in ogni caso non iniziate al momento della stipula dei trattati; più complessa la questione relativa alla portata della sentenza della C.I.G. posto che la condotta di uno Stato che consente ai cittadini di pretendere un risarcimento da parte di un altro Stato per la condotta di un suo rappresentante costituisce illecito internazionale; nondimeno, i Tribunali di merito che hanno accolto le domande risarcitorie, hanno ritenuto prevalente la tutela della dignità umana da garantire attraverso l'accesso alla giurisdizione reputando pertanto la violazione necessaria in ragione del dovere di dare attuazione a principi supremi dell'ordinamento ed invocando all'uopo, ai fini della non punibilità dell'illecito, l'art. 2045 c.c.. Seguendo questo ragionamento, la necessità di tutelare principi supremi dell'ordinamento intercostituzionale comune ai due Stati opera da esimente ex art. 2045 c.c., costringendo l'Italia (proprio nella "persona" del Tribunale che riconosce il diritto del danneggiato al risarcimento dei danni) a consumare l'illecito internazionale pur di salvaguardare il personalissimo diritto alla tutela, in via giurisdizionale, della dignità dei cittadini attori. |