Ricorso ex art. 414 c.p.c. per risarcimento danno al lavoratore da esposizione ad amiantoInquadramentoCon il ricorso ex art. 414 c.p.c. l'erede di un lavoratore deceduto in conseguenza della patologia contratta per l'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro fa valere la responsabilità del datore di lavoro per non aver adottato le misure di precauzione necessarie ad evitare l'insorgenza della patologia. FormulaTRIBUNALE DI [1] .... Sezione Lavoro RICORSO EX ART. 414 C.P.C. PER la Sig.ra ...., nata a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., rappresentata e difesa, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domiciliano in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax...., ovvero all'indirizzo PEC.... CONTRO la ditta ...., C.F/P.I....., in persona del legale rappresentante p.t., Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., con sede legale in ...., via ...., PREMESSO CHE - la ricorrente è unica erede del Sig. ...., nato a ...., il ...., e deceduto in ...., in data .... (doc. 1); - il Sig. .... era stato dipendente della ditta convenuta con contratto a tempo indeterminato, dalla data .... alla data ...., con la mansione di ...., ed addetto presso l'Officina Grandi Riparazioni di .... (doc. 2); - in data .... era stato diagnosticata al Sig. .... una neoplasia (carcinoma squamoso del polmone) a seguito di un esame istopatologico (doc. 3); - nel mese di .... dell'anno ...., il de cuius veniva convocato dalla ASL di ...., per essere sottoposto a visita medica al fine di procedere ad accertamenti su malattie di origine professionale. All'esito della stessa veniva emesso ed inviato al Sig. .... ed all'INAIL un primo certificato di malattia professionale in cui la causa della neoplasia polmonare veniva attribuita all'amianto presente nel posto di lavoro (doc. 4); - in data ...., il Sig. .... a causa della accertata neoplasia decedeva presso l'Ospedale di ...., dopo un lungo ricovero (doc. 5); - nel compimento della citata mansione non era previsto l'utilizzo di mascherine né di altro presidio di protezione nonostante la presenza, nell'area di lavoro occupata dagli operai e dallo stesso dante causa della ricorrente, di particelle d'amianto, polveri sospese e resine tossiche. Il lavoratore non era mai stato messo al corrente da parte del suo datore di lavoro dei rischi connessi con lo svolgimento delle attività lavorative demandate, nè aveva frequentato corsi in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali; - le patologie tumorali da cui il dante causa dei ricorrenti era stato colpito e il successivo decesso devono essere poste in relazione causale con l'esposizione alle fibre di amianto; - sussiste, pertanto, la responsabilità della ditta convenuta, quale datore di lavoro, che non aveva posto in essere tutte le dovute e necessarie misure di prevenzione di carattere generale, così come previste dall'art. 2087 c.c., nonché quelle specifiche poste dalla legislazione speciale. La norma in esame è disposizione inderogabile di legge ed è posta a tutela del diritto alla salute dei lavoratori e del dovere di tutela gravante sull'imprenditore, in ottemperanza alla Costituzione artt. 2, 32 e 41; - invero, la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non essendo di carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo da lavorazione e del connesso rischio. Infatti, una volta assodato che, fin dagli inizi del 1900, vi era la consapevolezza della dannosità per la salute umana dell'amianto e la sua correlazione con le patologie tumorali, non può ritenersi immune da responsabilità il datore di lavoro che non appronti tutte le cautele in chiave preventiva conosciute all'epoca di riferimento per il solo fatto che la patologia specifica non era stata ancora compiutamente correlata all'amianto perché, comunque, era conosciuta la pericolosità di detta sostanza indipendentemente dalla patologia che ne è derivata; - in relazione al caso di specie, l'ambiente di lavoro in cui il Sig. .... aveva svolto la propria attività non aveva i caratteri della salubrità necessari per garantire una piena tutela della salute e non risultava rispettata da parte datoriale la normativa esistente all'epoca in termini di prevenzione rispetto alla patologia che aveva determinato la morte del lavoratore, con conseguente responsabilità della società anche se tali misure preventive avrebbero potuto solo ridurre il rischio di contrarre la patologia rivelatasi letale; - sussiste, pertanto, il diritto della ricorrente al risarcimento jure hereditatis [2] del danno biologico e morale sofferto in vita dal de cuius sul presupposto che il decesso è ascrivibile solo ed esclusivamente alla responsabilità del datore di lavoro convenuto che non aveva rispettato le prescrizioni generali di cui all'art. 2087 c.c. e quelle specifiche previste dalla legislazione speciale; - il danno va determinato in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., tenuto conto della malattia sofferta dal de cuius, della estrema gravità e della afflittività della patologia, nonché della consapevolezza del malato della ineludibile infausta conclusione della stessa; [3] - in relazione alla fattispecie de qua non è decorso il termine prescrizionale per l'esercizio della relativa azione; - senza esito rimaneva la richiesta di risarcimento formulata con racc. a/r del .... Tanto premesso, la ricorrente, come sopra rapp.ta, difesa e dom.ta, RICORRE perché l'Ecc.mo Tribunale adito, fissata l'udienza di discussione del ricorso ed espletato ogni altro incombente di rito, voglia così provvedere: - accertare e dichiarare la responsabilità della ditta ...., in persona del legale rapp.te p.t., per la morte del Sig. .... causata da neoplasia (carcinoma squamoso del polmone), derivante dalla mancata adozione da parte della convenuta di tutte le prescrizioni generali di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla legislazione speciale, e per l'effetto: - condannare la ditta ...., in persona del legale rapp.te p.t., al risarcimento jure hereditatis del danno biologico e morale sofferto in vita dal de cuius, da quantificarsi in via equitativa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge sulla somma rivalutata. Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario. IN VIA ISTRUTTORIA (indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO) Si chiede, in caso di contestazione, che venga disposta apposita CTU medico-legale (consulenza tecnica d'ufficio), al fine di accertare il nesso di causalità tra l'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro e l'insorgenza della patologia, nonché per la quantificazione del danno lamentato. Si chiede, inoltre, di essere ammesso alla prove per testimoni sulle circostanze indicate (in premessa/in punto di fatto) ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che....”)....A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) Sig. ...., residente in ....; 2) Sig. ...., residente in .... Si deposita copia dei seguenti documenti, con riserva di ulteriori produzioni ed articolazioni di richieste istruttorie: 1) ....; 2) ....; 3) .... [4] Ai sensi del d.P.R. n. 115/2002 e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro .... e, pertanto, trattandosi di causa di lavoro, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato ridotto del 50% e pari ad Euro ..... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA [1] Si veda in punto di giurisdizione Cass. S.U. ord., n. 22043/2014 secondo cui «in materia di pubblico impiego, la domanda di risarcimento danni, proposta nei confronti della P.A. datrice di lavoro, per lesione dell'integrità psicofisica da esposizione ad amianto, appartiene, qualora la patologia sia stata diagnosticata in data successiva al 30 giugno 1998, alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto il fatto costitutivo del diritto, in base al quale deve essere determinata la giurisdizione "quoad tempus" ex art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001, va individuato nell'insorgenza della patologia». [2] Cass. sez. lav., n. 8655/2012. [3] Cass. sez. lav., n. 15156/2001 «In caso di lesione dell'integrità fisica conseguente a malattia occorsa al lavoratore per la violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c., ove dalla malattia sia derivato l'esito letale e la vittima abbia percepito lucidamente l'approssimarsi della fine attivando un processo di sofferenza psichica, l'entità del danno non patrimoniale (il cui risarcimento è reclamabile dagli eredi) deve essere determinata sulla base non già' (e non solo) della durata dell'intervallo tra la manifestazione conclamata della malattia e la morte, ma dell'intensità della sofferenza provata, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e delle altre particolarità del caso concreto». [4] Cass. sez. lav., n. 15082/2014 “Quanto alla ripartizione degli oneri probatori, la giurisprudenza di legittimità è altrettanto univoca nel ribadire che – posta la natura contrattuale della responsabilità che incombe sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 C.C. – al lavoratore spetta l'onere di riscontrare il fatto costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza, nonché il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre non è gravato dall'onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, onere che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità dell'inadempimento”. CommentoInquadramento Il fondamento principale della fattispecie di responsabilità in esame va, senz'altro, ricercato nell'art. 2087 c.c., norma cardine dell'impianto di tutela della salute e della dignità del lavoratore all'interno del rapporto di lavoro. In base ad un orientamento consolidato, la disposizione, «come tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante realtà socio-economica", e, pertanto, "vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima e di adeguamento di essa al caso concreto» (Cass. sez. lav., n. 4012/1998; Cass. sez. lav., n. 5048/1988). Sicché adottare "tutte le misure" significa che il datore non può ometterne nessuna tra quelle previste dall'ordinamento (siano esse misure oggettive o dispositivi personali di protezione; misure relative all'ambiente o obblighi strumentali riferiti al controllo o alla formazione dei lavoratori); comporta, altresì, che, per giudicare della completezza della protezione, bisognerà servirsi del criterio della "massima sicurezza tecnologicamente possibile", in base al quale il datore deve adoperarsi per evitare o ridurre l'esposizione al rischio dei dipendenti, aldilà delle specifiche previsioni dettate dalla normativa prevenzionale e conformando il proprio operato ad una diligenza particolarmente qualificata, che tenga conto delle caratteristiche del lavoro, dell'esperienza e della tecnica. Inoltre, la natura degli interventi protettivi da adottare non può essere affidata alla mera discrezionalità del datore, essendo funzionale alla più efficace tutela dell'integrità fisica e morale del lavoratore il rispetto di un ordine gerarchico che privilegi, prima di tutto, quelli che mirano ad evitare i rischi, e, poi, (rispetto ai rischi che non possono essere evitati) quelli che mirino a combatterli alla fonte. I riferimenti normativi Con specifico riguardo ai rischi connessi all'esposizione all'amianto, il d.P.R. n. 303/1965, il quale reca le norme per l'igiene sul lavoro, stabilisce i requisiti generali degli ambienti di lavoro e prescrive visite mediche obbligatorie preventive e periodiche per i lavoratori esposti all'azione di sostanze tossiche o comunque nocive. In particolare, all'interno del d.P.R. n. 303/56 rileva, anzitutto, l'assolvimento del fondamentale obbligo di informazione stabilito a carico del datore (dall'art. 4): «rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza i modi di prevenire i danni derivanti dai rischi predetti». Notevole importanza rivestono anche: l'art. 9 del d.P.R. n. 303/1956 riguardante l'areazione dei luoghi di lavoro; l'art. 15 che regola la pulizia dei locali; l'art.19 in materia di separazione dei lavori nocivi). Anche l'art. 387 del diverso d.P.R. n. 547/1955 può essere invocato in questa materia, dal momento che attiene ai mezzi di protezione personale contro le inalazioni e prescrive che i lavoratori debbano essere dotati di maschere respiratorie: «i lavoratori esposti a specifici rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi devono avere a disposizione maschere respiratorie o altri dispositivi idonei, da conservarsi in luogo adatto facilmente accessibile e noto al personale». La norma del d.P.R. n. 303/1956 invocata più di frequente quale fondamento della responsabilità del datore di lavoro è l'art. 21, che si intitola "difesa contro le polveri" e disciplina in modo chiaro gli obblighi gravanti sui datori. Rilevano, altresì, gli artt. 174 e 175 del d.P.R. n. 1124/1965 per effetto del richiamo effettuato all'art. 21 del d.P.R. n. 303/1956. La l. n. 244/2007 ha istituito il fondo vittime dell'amianto: al riguardo, la giurisprudenza di legittimità si è espressa chiaramente nel senso che le prestazioni del Fondo vittime dell'amianto di cui all'art.1, comma 241 e seguenti, della l. n. 244 del 2007, ai sensi del comma 242, si cumulano alle prestazioni diverse dovute in favore dei lavoratori secondo disposizioni generali o speciali, quali la rendita diretta o in favore dei superstiti dovuta dall'INAIL o il risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro; ne consegue che l'istituzione di un fondo dedicato non implica l'esclusione di alcuno degli altri diritti stabiliti dall'ordinamento per i soggetti destinatari della specifica misura di prevenzione e tutela contro l'esposizione all'amianto, né che possa opporsi alcuna compensazione o calcolo differenziale tra le prestazioni erogate dal predetto Fondo e il diritto al risarcimento del danno spettante alle stesse vittime (in tal senso v. la recente Cass. sez. lav. n.. 24217/2017). Le misure di precauzione specifiche e generiche: la colpa datoriale La responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 c.c. è di natura contrattuale, per cui ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo. In sostanza, la responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, quando queste non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all'art. 2087 c.c., la quale impone all'imprenditore l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori (v. per approfondimenti formula su responsabilità del datore di lavoro per infortuni e malattie professionali). In particolare, con riguardo all'inalazione di polveri di amianto, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, sanzionando anche, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia (tra le altre v. Cass. sez. lav., n. 13956/2012, Cass. sez. lav., n. 2491/2008). Le prime specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto risalgono all'emanazione del d.P.R. n. 15/1982; tuttavia, anche in epoca precedente, alla luce della clausola generale dell'art. 2087 e del testo del citato art. 21 d.P.R. n. 3030/1956 senz'altro si imponeva l'adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di tali materiali, tali cioè da avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Il rapporto tra obbligo di sicurezza ed acquisizioni scientifiche è stato affrontato anche dalla Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 15 novembre 2001, nella quale si è affermato che i rischi professionali oggetto di valutazione da parte del datore di lavoro non sono stabiliti una volta per tutte, ma si evolvono in funzione dello sviluppo, delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia. Escluso che chi svolga attività rischiose, che richiedano conoscenze tecniche o scientifiche, possa addurre la propria ignoranza individuale, in caso di verificazione di eventi avversi, deve essere, altresì, negato che il criterio della cd. "sicurezza generalmente praticata" possa consentire un abbassamento della soglia di prevenzione, in ragione di standards eventualmente non adeguati, praticati in una determinata cerchia di imprenditori, rispetto a quelli che sarebbe stato necessario adottare in ragione dello sviluppo tecnico concretamente disponibile (si veda sul rapporto tra mesotelioma e amianto, la sentenza della Cass. pen. IV, n. 43786/2010). Appare piuttosto evidente che, allorché il datore di lavoro non abbia adottato alcuna misura di protezione dal rischio, alcun rilievo potrà assumere il criterio della “sicurezza generalmente praticata”: si veda, al riguardo, Cass. sez. lav., n. 18503/2016 dove si evidenzia come alcune misure di precauzione, quali la periodica pulizia ed asportazione della polvere, un sistema di areazione all'interno della cabina, l'adozione di idonee maschere protettive, l'informazione dovuta al lavoratore, fossero tutte idonee a diminuire l'entità delle fibre disperse nell'ambiente di lavoro e di “intuitiva evidenza”. La colpa del datore di lavoro viene, in particolare, individuata nel fatto che lo stesso non poteva non essere a conoscenza della pericolosità dell'utilizzo dell'amianto e delle regole cautelari necessarie per garantire il suo uso con minimi rischi ed, in ogni caso, aveva il dovere di informarsi circa le più evolute metodologie di lavoro compatibili con la tutela della salute dei lavoratori (si veda, anche, Cass. pen., n. 43786/2010 cit., secondo la quale l'agente garante ha l'obbligo di acquisire le conoscenze disponibili nella comunità scientifica per assicurare la protezione richiesta dalla legge; nonché Cass. sez. lav., n. 10425/2014 secondo cui «qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all' amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie»). È autonomamente risarcibile, in caso di condotta datoriale violativa de ll'art. 2087 c.c., il danno morale soggettivo patito dal lavorat ore ed esplicatosi in forme di patemi d'animo, preoccupazione e sofferenze legate alla consapevolezza di essere stato esposto per anni a sostanze nocive, anche laddove tale esposizione non abbia arrecato un nocumento all'integrità fisica ovvero altro di natura patrimoniale (cfr. Cass. 19621/2022 , che richiama il principio di diritto enucleato dalle Sezioni Unite con sentenza n . 2611/2017, secondo cui "il danno derivante dallo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, rafforzati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, art. 8" ; Cass. 33123/2021) . Trattasi, tuttavia, di un danno la cui esistenza va provata, anche per il tramite di presunzioni. In particolare il nesso causale e l'esposizione a basse dosi La conoscenza della nocività dell'amianto per la salute risale all'inizio del 1900 (se ne parla già nel r.d. n. 442/1909 in tema di lavori ritenuti insalubri; idem, nel d.lgs. n. 1136/2016; e nel r.d. n. 1720/1936). Secondo un'acquisizione, divenuta patrimonio comune della giurisprudenza di merito e di legittimità, la conoscenza della pericolosità dell'esposizione all'amianto per il rischio di mesotelioma risale almeno ai primi anni sessanta, sia in ambito scientifico che imprenditoriale (cfr. Cass. pen. IV, n. 43786/2010 cit. e Cass. pen. IV, n. 38991/2010). Mentre l'asbestosi - pure essa una malattia mortale o comunque produttrice di una significativa abbreviazione della vita - è stata inserita nell'elenco tipizzato delle malattie professionali dalla l. n. 455/1943. Per individuare la condotta del datore da sottoporre alla valutazione della colpa nel caso concreto di esposizione professionale, occorre risolvere la questione della conoscenza della pericolosità dello stesso, della individuazione delle dosi di amianto eziologicamente rilevanti nell'insorgenza e nello sviluppo delle patologie asbesto correlate, nonché quella relativa alla rilevanza causale delle esposizioni successive a quelle di innesco della malattia. In relazione a tale ultimo profilo, è appena il caso di rilevare che la S.C. afferma costantemente come sia destinata a trovare applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, principio secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo il temperamento previsto nello stesso art. 41 c.p., in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni. Del resto, in ambito civilistico, la prova del nesso causale consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio ispirato alla regola della normalità causale ossia del "più probabile che non". In particolare, poi, è stato anche precisato che «nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di "probabilità qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale» (così v. tra le molte Cass. III, n. 21619/2007, Cass. III, n. 9057/2004). In relazione alla problematica dell'epoca di conoscenza della nocività dell'amianto, va tenuto conto del consolidato orientamento di legittimità secondo cui l'accertamento della detta epoca non rileva ai fini della responsabilità del datore per mesotelioma pleurico, perché le misure protettive da adottare sarebbero state comunque quelle già prescritte dall'ordinamento per l'asbestosi (malattia anch'essa mortale e comunque gravemente invalidante) ossia quelle prescritte per tutelare il medesimo bene salute offeso (dall'una o dall'altra malattia): ciò in quanto, ai fini del nesso causale tra colpa ed evento, quest'ultimo va considerato come grave danno alla salute del lavoratore e non inteso come specifico evento concretamente poi verificatosi (v. Cass. pen. IV, n. 43786/2010 e Cass. IV, n. 38991/2010 cit., nonché Cass. pen. IV, n. 4675/2007). Da ultimo, si veda Cass. sez. lav., n. 18503/2016 ove si ribadisce che non è e non era prescritto dalla normativa che, ai fini dell'adozione delle misure protettive, occorresse che le polveri nocive fossero presenti nell'ambiente in modo che fosse "avvertibile la presenza in tale consistenza" o per le sole lavorazioni in cui le polveri producessero "effetti visibili”, avendo il lavoratore diritto ad essere protetto in base alla legge da tutte le polveri di cui si doveva conoscere l'esistenza e la nocività (fini o ultrafini; visibili od invisibili che fossero); e ciò anche perché, come già detto, il d.P.R. n. 303/1956 è esplicitamente richiamato per la protezione dall'amianto, e quelle prodotte dall'amianto sono testualmente definite dalle legge polveri; mentre il rischio di esposizione ad alte ed altissime concentrazioni non richiede necessariamente alcuna visibilità e consistenza materiale delle polveri (posto che altissime concentrazioni di amianto sono presenti anche in quantitativi relativamente bassi di polveri). Cosicché non esime da responsabilità il datore di lavoro l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, essendo necessaria da parte datoriale la dimostrazione delle cautele adottate in positivo, «senza che rilevi il riferimento ai valori limite di esposizione agli agenti chimici (cd. tlv, "threshold limit value") poiché il richiamato articolo 21 non richiede il superamento di alcuna soglia per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte». L a difficoltà di ordine probatorio legat a all'individuazione di una correlazione certa ed effettiva tra esposizione alla sostanza nociva ed insorgenza delle patologie asbesto – correlate ha spinto la Corte di legittimità a ricorrere al la cd. teoria dell'effetto acceleratore, sulla scorta della quale non è rilevante individuare l'esposizione che innescato il processo canceroso, in quanto tutte le esposizio ni sono atte ad accelerare il decorso patologico ed a costituire concause del decesso. Occorre, pertanto, “spostare” l'indagine dalla causalità generale all a causalità individuale al fine di verificare se l'amianto, presente sui luoghi di lavoro, abbia rappresentato un mero fattore di rischio per l'insorgenza della patologia cancerosa ovvero se piuttosto la malattia sia stata alimentat a proprio dall'inalazione della sostanza nociva nell'esecuzione delle prestazioni di lavoro , allorquando non sussistano altre occasioni alternative di esposizione all'amianto (Cass. pen. 12151/2020). |