Ricorso del lavoratore con domanda di reintegrazione e di risarcimento del danno ante jobs actInquadramentoUn lavoratore ricorre, ai sensi dell'art. 18 legge 300/70 nel testo modificato dalla legge 92/12, avverso il licenziamento disciplinare intimatogli dal datore di lavoro, deducendone l'insussistenza del fatto contestato e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il riconoscimento dell'indennità risarcitoria. FormulaSEZIONE LAVORO RICORSO EX ART. 414 C.P.C.3 (Impugnativa di licenziamento ai sensi della legge 92/12) Per il Sig.... (C.F....) 4 , residente in... alla Via... n...., rappresentato e difeso dall'Avv.... 5 (C.F....) 6 , con domicilio eletto in..._ alla via... n.... presso il suo studio..., fax... 7 , PEC:...@..., giusta procura... 8 -RICORRENTE- CONTRO la società... spa, C.F...., P.I...., in persona del legale rappresentante p.t. ..., con sede in...; RESISTENTE- PREMESSO 9 ØIl Sig.... dal... al... lavorava presso lo stabilimento della... S.p.A. in..., azienda che supera le soglie dimensionali dell'art. 18 della l. 300/70 dato che impiega... lavoratori nello stesso stabilimento; ØCon lettera raccomandata del... la... S.p.A. comunicava il licenziamento al Sig.... adducendo... ØIl Sig.... contestava la sussistenza dei fatti addebitatigli e, in ogni caso, la rilevanza disciplinare dei medesimi, con lettera racc.ta...; ØPresentatosi il giorno... per adempiere regolarmente alle proprie mansioni, l'odierno ricorrente è stato diffidato dal sig...., amministratore della società datrice di lavoro, a ripresentarsi in azienda; Il licenziamento intimato al ricorrente è assolutamente illegittimo per i seguenti MOTIVI 10 Il sig. non ha mai posto in essere alcuna delle condotte che gli sono state ascritte e che comunque non rappresentano alcuna violazione degli obblighi gravanti sul lavoratore e sanzionati con la risoluzione del rapporto di lavoro. Ed infatti... All'accertamento dell'illegittimità del recesso datoriale dovrà seguire il riconoscimento del diritto del ricorrente, ingiustamente licenziato, al ripristino del rapporto di lavoro e al risarcimento del danno. DIRITTO Per individuare il regime di tutela spettante all'odierno ricorrente occorre aver riguardo all'articolo 18 della l.300/70 dato che il lavoratore è stato assunto in data... e dunque prima del 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del d.lgs. 23/2015), presso un datore di lavoro che supera le soglie dimensionali fissate dall'art. 18 della legge 300/1970, Tale norma, a seguito della riforma del 2012, che ha rinnovato profondamente il regime di tutela applicabile in caso di licenziamento illegittimo, prevede regimi di tutela diversi a seconda del tipo di vizio che caratterizza il licenziamento. Quando non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa, il giudice applica la cd. tutela reintegratoria c.d. attenuata, in forza della quale al lavoratore spetta sia la reintegrazione Tutto quanto sopra premesso e considerato, tanto in fatto quanto in diritto, il ricorrente come sopra rappresentato, difeso e domiciliato RICORRE all'On.le Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, affinché, fissata l'udienza di comparizione delle parti a norma dell'art. 1 co. 48 l. 92/2012, voglia dichiarare l'illegittimità del licenziamento intimato in data... per insussistenza del giustificato motivo oggettivo; ordinare alla società... S.p.A. di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e condannarla a corrispondere al ricorrente l'indennità prevista dall'art. 18 co. 4 Legge 300/70 dal licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, nella misura massima prevista dalla legge, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal recesso fino alla reintegrazione. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente procedimento. IN VIA ISTRUTTORIA Si producono i seguenti documenti - Contratto di lavoro del...; - Lettera raccomandata di licenziamento del...; - lettera raccomandata di impugnazione del licenziamento ricevuta il... Si chiede disporsi interrogatorio formale dell'amministratore unico della società... spa e prova testimoniale coi Sigg.ri... residente in... alla via... ;... residente in... alla via...sul seguente articolato: 1)Vero è che... 2)Vero è che... Ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 115/2002, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro... Luogo e data___________ Firma Avv.______________ PROCURA AD LITEM (se non a margine o su documento informatico separato) [1] [1] A norma dell'art. 413 c.p.c. 'Le controversie previste dall'articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro' [2] [2] Per quanto riguarda il foro, il secondo comma dell'art. 413 c.p.c., derogando all'art. 18 c..c., dispone che 'competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto.Nelle controversie nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell'articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell'articolo 18'. [3] [3] Ai sensi dell'art. 1 co. 48 legge 92/2012 (c.d. Legge Fornero), La domanda avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento di cui al comma 47 si propone con ricorso al tribunale in funzionedi giudice del lavoro. Ilricorso deve averei requisiti dicui all'articolo 125 del codice di procedura civile. Con il ricorsonon possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugliidentici fatti costitutivi. A seguito della presentazionedel ricorso ilgiudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delleparti. [4] [4] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio. [5] [5] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014 conv., con modif., nella legge 114/2014. [6] [6] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 3. [7] [7] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 3. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà». [8] [8] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione (art. 16-bis comma 1-bis D.L. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: 'giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.'. [9] [9] Il ricorso deve tra l'altro contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni (art. 414 n. 4 c.p.c.). [10] [10] Ai sensi dell'art. 125 c.p.c. il ricorso deve contenere l'indicazione del tipo di provvedimento richiesto (petitum) nonché l'esposizione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere con il ricorso (causa petendi). La domanda deve contenere, altresì, l'indicazione delle condizioni dell'azione cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora), degli elementi che consentano di individuare la futura (eventuale) domanda di merito (strumentalità). CommentoIl licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può cessare solo per le specifiche cause tipizzate dalla legge, ovvero per recesso dei contraenti (ossia per licenziamento o dimissioni). Non è consentito ai contraenti introdurre altre ipotesi di recesso, oltre a quelle previste dalla legge (Cass. n. 7899/2015, Cass. n. 1725/2014). Unica forma alternativa di cessazione, disciplinata dal diritto comune, è costituita dalla risoluzione consensuale del rapporto che, tuttavia, deve essere assistita, a pena di inefficacia, da determinate formalità (art. 26 d.lgs. n. 151/2015). Il licenziamento è l'atto unilaterale con il quale il datore di lavoro recede dal rapporto di lavoro subordinato. Tra le diverse ipotesi di recesso legittimo, il licenziamento per motivi soggettivi, o disciplinare, presuppone una condotta del lavoratore gravemente inosservante degli obblighi su di esso gravanti, idonea a ledere il rapporto fiduciario tra le parti e tale da giustificare la risoluzione (per inadempimento) del rapporto di lavoro. A seconda della gravità della violazione, si distingue ulteriormente il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (art. 3 legge 604/66), con preavviso, determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, da quello per giusta causa (art. 2119 c.c.), consistente in una causa che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro. In entrambi i casi, il licenziamento deve avvenire nel rispetto della c.d. procedura disciplinare (art. 7 legge 300/70), con la preventiva contestazione degli addebiti rivolti al lavoratore e la possibilità di fornire giustificazioni. Il datore di lavoro è tenuto al rispetto del codice disciplinare, normalmente contenuto nel contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro, il quale distingue le condotte passibili di sanzioni conservative del rapporto di lavoro e quelle, più gravi, suscettibili di licenziamento, con o senza preavviso. La giurisprudenza ritiene comunque suscettibili di determinare il licenziamento, a determinate condizioni, anche violazioni di norme etiche o giuridiche di carattere generale o proprie dell'attività concretamente esercitata (cfr. Cass. sez. lav., n. 5548/2010) nonché, evidentemente, il rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa (Cass. n. 19689/2003; Cass. n., 25313/2007). La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato (art. 2 comma 2 l. 604/66 modificato dall'art. 1 comma 37 legge 92/12). Il lavoratore che intenda contestare il licenziamento per motivo soggettivo ha l'onere di impugnarlo nel termine di decadenza previsto dall'art. 6 legge 604/66 (nel testo risultante dopo l'intervento della legge 92/12), oggi ridotto a 180 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore. I vizi che possono inficiare un licenziamento disciplinare - a prescindere dai casi in cui ne sia addirittura dimostrato il carattere discriminatorio o nullo - sono innumerevoli; tra i più ricorrenti, la violazione della procedura ex art. 7 legge 300/70, il difetto di immediatezza e tempestività della contestazione, l'infondatezza delle accuse rivolte al dipendente (per insussistenza del fatto contestato, per la difformità tra la contestazione e il reale accadimento, per la sussistenza di una causa di giustificazione o non imputabilità), la mancanza di proporzionalità, il difetto di rilevanza disciplinare della condotta contestata (la condotta del lavoratore è sussistente ma non costituisce un inadempimento). Sino al 2012, i vizi suelencati davano luogo - per i rapporti soggetti all'art. 18 dello statuto dei lavoratori - ad un unico regime sanzionatorio, consistente nel diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento integrale del danno retributivo, oltre al versamento dei contributi previdenziali, per il periodo intercorso tra il momento del licenziamento e la reintegrazione. Era dunque sempre garantita - nel caso di ritenuta illegittimità del recesso - la stabilità del posto di lavoro, salvo il diritto del lavoratore di rinunciare al rientro in servizio, una volta ottenuta la condanna del datore alla reintegrazione, optando per un'indennità alternativa, pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto, aggiuntiva rispetto al risarcimento ottenuto per il periodo di illegittimo allontanamento. L'art. 18 dello Statuto dei lavoratori è stato profondamente inciso dalla legge 92/2012 e oggi prevede regimi sanzionatori distinti, che troveranno applicazione rispetto ai lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015, non interessati dalla disciplina del contratto a tutele crescenti. Per quel che riguarda in particolare, il licenziamento per motivi soggettivi, il trattamento sanzionatorio è addirittura triplice: a)La reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno per il periodo di allontanamento - ma con un tetto massimo equivalente a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto - continua ad applicarsi in tutti i casi in cui il giudice accerta che non ricorrono il giustificato motivo soggettivo o la giusta causa addotti dal datore di lavoro 'per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili; b)Va riconosciuta esclusivamente una tutela economica, senza ricostituzione del rapporto di lavoro, nelle altre ipotesi in cui il Giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro: in questi casi il Giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva, variabile da dodici a ventiquattro mensilità della retribuzione globale di fatto; c)Spetta al lavoratore una tutela esclusivamente economica ma ridotta, quando si sia verificata soltanto una violazione dell'obbligo di specifica motivazione del licenziamento e della procedura disciplinare di cui all'art. 7 Statuto (e sempre che non sussista anche uno dei vizi sostanziali di cui ai precedenti regimi): anche in questi casi il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria, variabile tra sei e dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Se non si fa luogo alla reintegrazione, il lavoratore avrà diritto anche al pagamento dell'indennità di preavviso, nell'ipotesi in cui sia stato licenziato per giusta causa, dunque in tronco, e questa non sia stata confermata in sede di giudizio. Le modifiche apportate dalla legge Fornero hanno sollevato alcuni dubbi applicativi essendosi posta l'esigenza di tracciare un'esatta linea di demarcazione tra i licenziamenti ingiustificati che meritano la sanzione della reintegrazione e quelli soggetti alla sola sanzione economica. A fronte di una tesi, rimasta minoritaria, che tendeva ad identificare il 'fatto' con la sola condotta materiale del dipendente, la giurisprudenza prevalente si è invece orientata nel senso di intendere il 'fatto' contestato come comprensivo anche delle sue connotazioni giuridiche, quali l'imputabilità, l'elemento soggettivo, la presenza o meno di scriminanti (Cass. sez. lav., n. 13383/2017; idem, n. 13178/2017). La tutela reintegratoria c.d. attenuata è inoltre riconosciuta nelle ipotesi in cui il fatto sussista ma sia privo del carattere dell'illiceità, perchè sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare; la non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato e accertato non rientra invece nel comma 4 dell'art. 18 quando il fatto medesimo sia previsto dai contratti collettivi o dai codici disciplinari applicabili, che stabiliscono per esso una sanzione conservativa, diversamente verificandosi 'le altre ipotesi' di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per le quali l'art. 18 comma 5 prevede la c.d. tutela indennitaria forte. In altri termini, in presenza di un licenziamento illegittimo per difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva, spetta comunque al lavoratore la sola tutela risarcitoria ove la condotta in addebito non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa (Cass. 13533/2019). Le Sezioni Unite (Cass. n. 30985/2017) hanno frattanto risolto il contrasto che stava emergendo a proposito del tipo di sanzione da applicare al licenziamento intervenuto dopo una contestazione disicplinare tardiva, in relazione al nuovo art. 18 st. lav. come novellato dalla legge 92/12. La questione era stata rimessa al Supremo Collegio proprio perché, accanto a sentenze che avevano applicato a tale fattispecie la sola tutela indennitaria – sia pure poi distinguendo le ipotesi di vizio procedimentale a cui applicare il 6° comma da quelle rientranti nella tardività – ingiustificatezza a cui applicare invece il 5° comma – altre avevano invece ritenuto di applicare la sanzione della reintegrazione ex comma 4. Le Sezioni Unite hanno aderito al primo orientamento, escludendo sia che la tardività della contestazione possa comportare l'applicabilità della tutela reale piena, stante che la tardività non integra alcuna delle ipotesi di nullità tassativamente previste a tale norma, sia che tale fattispecie sia assimilabile alla mera violazione di regole procedimentali (rientrante nella previsione del 4° comma), sul rilievo che il principio di tempestività della contestazione assolve alla duplice esigenza di garantire al lavoratore una difesa effettiva e di sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento del procedimento disciplinare, impedendo che l'indugio del datore di lavoro possa avere effetti intimidatori. Ad avviso della Corte, il datore di lavoro che ritarda oltre modo e senza un'apprezzabile giustificazione la contestazione disciplinare viola i fondamentali precetti di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) nell'attuazione del rapporto di lavoro, per cui sussistendo l'inadempimento posto a base del licenziamento, ma non essendo tale provvedimento preceduto da una tempestiva contestazione disciplinare a causa dell'accertata contrarietà del comportamento del datore di lavoro ai canoni di correttezza e buona fede, la conclusione non può che essere l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, comma 5. Diversamente, qualora le norme di contratto collettivo o la stessa legge dovessero prevedere dei termini per la contestazione dell'addebito disciplinare, la relativa violazione verrebbe attratta, in quanto caratterizzata da contrarietà a norma di natura procedimentale nell'alveo di applicazione del citato art. 18 comma 6 che, nella sua nuova formulazione è collegato alla violazione delle procedure di cui alla legge 300 del 1970, art. 7 e della legge n. 604 del 1996, art. 7. La quantificazione dell'indennità Ai fini della determinazione dell'indennità dovuta dal datore di lavoro a fronte del licenziamento illegittimo, tanto nel caso di tutela ripristinatoria che di tutela meramente economica, nella retribuzione globale di fatto, costituente il parametro normativo di liquidazione del danno 'presunto', deve intendersi ricompresa la normale retribuzione base, oltre le poste accessorie, di carattere continuativo, connesse alle particolari modalità di svolgimento della prestazione in atto al momento del licenziamento (Cass. 16 settembre 2009, n. 19956, Cass. sez. lav., 17/07/2015, n. 15066). Sull'indennità gravano, cumulativamente, interessi e rivalutazione ex art. 429, comma 3, c.p.c., poichè, sebbene non sia sinallagmaticamente collegata con una prestazione lavorativa, essa rappresenta pur sempre l'utilità economica che da questa il lavoratore avrebbe tratto ove la relativa esecuzione non gli fosse stata impedita dall'ingiustificato recesso della controparte. Ne consegue che sia la rivalutazione che gli interessi legali vanno attribuiti d'ufficio, con decorrenza dalla data del licenziamento sulla somma capitale via via rivalutata (Cass. n. 11235/2014). Aliunde perceptum L'indennità risarcitoria del lucro cessante subito dal lavoratore, che l'art. 18 commisura all'ultima retribuzione globale di fatto percepita, è assistita da una presunzione iuris tantum che è onere del datore di lavoro superare allegando circostanze di fatto specifiche e puntuali a dimostrazione dell'aliunde percpeptum o percipiendum(Cass. sez. lav., n. 2499/2017; idem, n. 9616/2015) ed avvalendosi a tal fine anche di elementi presuntivi, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall'azienda, escludendosi che quest'ultimo abbia l'onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito. L'aliunde perceptum, tuttavia, non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto ed è perciò rilevabile ex officio dal Giudice se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo anche se ad iniziativa del lavoratore (Cass. sez. lav., n. 26828/2013; idem, n. 18093/2013). La valutazione della diligenza del debitore nel contenere le conseguenze dannose del licenziamento illegittimo va sempre condotta conformemente al principio generale per cui l'obbligo di cooperazione e di attivazione del creditore, volto ad evitarsi l'aggravarsi del danno, ai sensi dell'art. 1227 c.c., riguarda solo le attività non gravose né eccezionali, o tali da non comportare notevoli rischi o sacrifici, sicchè non sono imputabili al lavoratore le conseguenze dannose derivanti dal tempo impiegato per la tutela giurisdizionale, sia che si tratti di inerzia endo che preprocessuale, tutte le volte che poteri paritetici siano attribuiti al datore di lavoro per la tutela dei propri diritti e la riduzione del danno (così Cass. sez. lav., n. 4865/2016; per un'opinione contraria, si veda Cass. sez. lav., n. 12352/2003, vedi anche Cass. sez. lav., n. 11786/2002). Si è ritenuto che non rientrino nell'aliunde perceptum e non siano pertanto detraibili dall'importo risarcibile le somme che sarebbero state ugualmente percepite anche in costanza dell'attività lavorativa interrotta dal licenziamento, come i redditi derivanti da impiego compatibile con l'attività lavorativa oggetto del rapporto di lavoro interrotto (Cass. sez. lav., 12/04/2005 n. 7453), come il reddito conseguito dal lavoratore part time per effetto di una nuova occupazione a tempo parziale che quest'ultimo avrebbe potuto svolgere in costanza del rapporto di lavoro poi ripristinato con l'ordine di reintegrazione (Cass. sez. lav. n. 18837/2010 e Cass. n. 3319/1995), nonché le indennità previdenziali di natura temporanea che, a seguito dell'annullamento del licenziamento e del ripristino del rapporto di lavoro, dovranno essere restituite all'ente previdenziale (Principio affermato ad es. da Cass. sez. lav., n. 18137/2006 con riferimento all'indennità di mobilità). |