Ricorso del lavoratore con domanda di reintegrazione e di risarcimento del danno dopo jobs act

Giovanna Nozzetti

Inquadramento

Un lavoratore assunto successivamente al 7 marzo 2015 impugna il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimatogli dal datore di lavoro, deducendo l'insussistenza del fatto contestato, e invoca la tutela reintegratoria prevista, per tale ipotesi, dall'art. 3 comma 2, d.lgs. n. 23/2015.

Formula

TRIBUNALE 1 DI ... 2

SEZIONE LAVORO

RICORSO EX ART. 414 C.P.C.3

Impugnativa di licenziamento ai sensi del d.lgs. 23/2015

Per il Sig. ... (C.F. ...) 4 , residente in ... alla Via ... n. ..., rappresentato e difeso dall'Avv. ... 5 (C.F. ...) 6 , con domicilio eletto in ..._ alla via ... n. ... presso il suo studio ..., fax ... 7 , PEC: ...@..., giusta procura ... 8

-RICORRENTE-

Contro

la società ... spa, C.F. ..., P.I. ..., in persona del legale rappresentante p.t...., con sede in ...;

RESISTENTE-

PREMESSO 9

ØIl Sig. ..., assunto con contratto del ... (data successiva al 6 marzo 2015), ha lavorato sino al ... presso lo stabilimento della ... S.p.A. in ..., azienda che supera le soglie dimensionali dell'art. 18 della l. 300/70 dato che impiega ... lavoratori nello stesso stabilimento;

ØCon lettera raccomandata del ... la ... S.p.A. comunicava il licenziamento al Sig. ... adducendo ...

ØIl Sig. ... contestava la sussistenza dei fatti addebitatigli e, in ogni caso, la rilevanza disciplinare dei medesimi, con lettera racc.ta ...;

ØPresentatosi il giorno ... per adempiere regolarmente alle proprie mansioni, l'odierno ricorrente è stato diffidato dal Sig. ..., amministratore della società datrice di lavoro, a ripresentarsi in azienda;

Il licenziamento intimato al ricorrente è assolutamente illegittimo per i seguenti

MOTIVI 10

Il sig. non ha mai posto in essere alcuna delle condotte che gli sono state ascritte e che comunque non rappresentano alcuna violazione degli obblighi gravanti sul lavoratore e sanzionati con la risoluzione del rapporto di lavoro.

Ed infatti ...

All'accertamento dell'illegittimità del recesso datoriale dovrà seguire il riconoscimento del diritto del ricorrente, ingiustamente licenziato, al ripristino del rapporto di lavoro e al risarcimento del danno.

DIRITTO

Il regime cui è sottoposto il rapporto di lavoro dell'odierno ricorrente è quello del contratto c.d. a tutele crescenti disciplinato dal d.lgs. n. 23/2015.

Nell'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, rispetto al quale sia dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, l'art. 3 del menzionato decreto prevede la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e il pagamento di una indennità risarcitoria.

L'indennità è commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e copre il periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione. A tale indennità va dedotto sia quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative (il c.d. aliunde perceptum) sia le somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro. In ogni caso, l'indennità non può essere superiore a 12 mensilità.

In tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte dalla legge (ad es. in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità che oscilla tra le 4 e le 24 mensilità (da 2 a 12, se si tratta di violazione procedimentale).

Alla dimostrazione dell'insussistenza dell'ingiustificato motivo soggettivo, per non essersi il fatto mai verificato con le modalità enunciate dalla società ... nella lettera di comunicazione del recesso, deve pertanto seguire il ripristino del rapporto di lavoro e la liquidazione dell'indennità prevista dalla legge. Soltanto in via subordinata, nel denegato caso in cui non si ritenesse operante la tutela di cui al secondo comma dell'art. 3 d.lgs. n. 23/2015, andrà comunque riconosciuta al ricorrente l'indennità prevista da primo comma, nella misura di Euro ...

Tutto quanto sopra premesso e considerato, tanto in fatto quanto in diritto, il ricorrente come sopra rappresentato, difeso e domiciliato.

RICORRE

all'On.le Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, affinché, fissata l'udienza di discussione della causa, voglia

dichiarare l'illegittimità del licenziamento intimato in data ... per insussistenza del giustificato motivo oggettivo;

ordinare alla società ... s.p.a. di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e condannarla a corrispondere al ricorrente l'indennità prevista dall'art. 3 comma 2 d.lgs. n. 23/2015 dal licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, nella misura massima consentita, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal recesso fino alla reintegrazione.

In subordine, condannare la società ... s.p.a. a corrispondere al ricorrente l'indennità prevista dall'art. 3 comma 1 d.lgs. n. 23/2015 nella misura massima consentita, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente procedimento.

IN VIA ISTRUTTORIA

Si producono i seguenti documenti

- Contratto di lavoro del ...;

- Lettera raccomandata di licenziamento del ...;

- lettera raccomandata di impugnazione del licenziamento ricevuta il ...

Si chiede disporsi interrogatorio formale dell'amministratore unico della società ... spa e prova testimoniale coi Sigg.ri ... residente in ... alla via ... ; ... residente in ... alla via ...sul seguente articolato:

1)Vero è che ...

2)Vero è che ...

Ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 115/2002, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro ...

Luogo e data...

Firma Avv....__

PROCURA AD LITEM

(se non a margine o su documento informatico separato)

[1] [1] A norma dell'art. 413 c.p.c. 'Le controversie previste dall'articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro'

[2] [2] Per quanto riguarda il foro, il secondo comma dell'art. 413 c.p.c., derogando all'art. 18 c..c., dispone che 'competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto.Nelle controversie nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell'articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell'articolo 18'.

[3] [3] L'art. 11 d.lgs. 23/15 esclude espressamente che ai licenziamenti disciplinati dal decreto medesimo trovino applicazione i commi da 48 a 68 dell'art. 1 legge 92/12. Esclusa, dunque, l'applicabilità del c.d. rito Fornero, l'impugnativa del licenziamento deve avvenire nelle forme del rito speciale del lavoro, disciplinato dagli artt. 414 e segg. c.p.c.

[4] [4] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[5] [5] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014 conv., con modif., nella legge 114/2014.

[6] [6] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 3.

[7] [7] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 3. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà».

[8] [8] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione (art. 16-bis comma 1-bis D.L. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: 'giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.'.

[9] [9] Il ricorso deve tra l'altro contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni (art. 414 n. 4 c.p.c.)

[10] [10] Ai sensi dell'art. 125 c.p.c. il ricorso deve contenere l'indicazione del tipo di provvedimento richiesto (petitum) nonché l'esposizione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere con il ricorso (causa petendi). La domanda deve contenere, altresì, l'indicazione delle condizioni dell'azione cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora), degli elementi che consentano di individuare la futura (eventuale) domanda di merito (strumentalità).

Commento

Regole e sanzioni del licenziamento nel contratto a tutele crescenti

Per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015, soggetti al regime del contratto a tutele crescenti, sono profondamente cambiate le regole del licenziamento, ovvero quelle che ne disciplinano il regime sanzionatorio prevedendone le conseguenze nel caso in cui il recesso datoriale sia ritenuto illegittimo dal Giudice.

Le regole sostanziali del recesso, ovvero le ipotesi di licenziamento legittimo, sono le medesime per i vecchi e i nuovi assunti, tuttavia soltanto i primi continueranno a beneficiare di un regime sanzionatorio assai più efficace, sia quanto a finalità deterrente che quanto a soddisfacimento delle ragioni del prestatore ingiustamente licenziato.

La legge delega n. 183/2014 aveva, infatti, previsto nel caso di accertata illegittimità del licenziamento il riconoscimento a favore del lavoratore di «un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio» con la limitazione del «diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori, nonché a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato»; aveva, altresì, affermato l'esigenza di prevedere «termini certi per l'impugnazione del licenziamento».

Il legislatore delegato all'art. 3 ha, in ottemperanza ai predetti criteri individuati dalla legge delega, disciplinato le conseguenze del licenziamento disciplinare ingiustificato nelle realtà datoriali di maggiori dimensioni («di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970»), ponendo come regola la mera tutela indennitaria con limitazione del diritto alla reintegrazione al solo caso in cui «sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento».

Al successivo articolo 4 ha disciplinato le conseguenze del licenziamento intimato senza motivazione e/o in violazione della procedura dell'articolo 7 dello Statuto, prevedendo anche in questo caso una tutela solamente indennitaria in misura ridotta rispetto all'ipotesi di accertata carenza di giustificazione.

Per i dipendenti delle imprese minori l'articolo 9 ha espressamente escluso l'invocabilità della tutela reintegratoria e ha previsto una riduzione dell'indennità risarcitoria liquidabile sia per il caso di licenziamento ingiustificato sia per quello di licenziamento che presenti vizi formali o procedimentali.

E' stata inoltre introdotta una nuova procedura conciliativa finalizzata ad una composizione economica non assoggettata ad imposta sul reddito e a contribuzione previdenziale, in coesistono l'esigenza di monetizzazione del recesso e quella di deflazione del contenzioso.

Tutela reale

La tutela reale sopravvive solo in due casi. Il primo coincide con quello previsto dall'art. 18 (sia nel testo originario che in quello modificato dalla legge 92/2012) e riguarda il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale.

L'art. 2 del d.lgs. n. 23/2015 prevede, infatti, per i nuovi assunti una tutela reintegratoria "piena" a) in presenza di nullità del licenziamento perchè discriminatorio a norma dell'art. 15 della legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni, ovvero perchè riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, b) in caso di licenziamento dichiarato inefficace perchè intimato in forma orale o nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli artt. 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68.

La tutela reale piena è uguale per tutti i datori di lavoro: prescinde dal numero dei dipendenti occupati e si applica ai lavoratori assunti dalla data del n. 7 marzo 2015.

Il Giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento, condanna il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, salvo la facoltà del dipendente di chiedere un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Tale indennità non è soggetta a contribuzione previdenziale e assistenziale.

Il datore di lavoro è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore un'indennità risarcitoria per il danno subito non inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, diminuito di quanto eventualmente percepito per tale periodo; tale indennità risarcitoria è soggetta a contribuzione previdenziale e assistenziale ed è soggetta a sanzioni per omissione o ritardato versamento contributivo.

Tale disciplina si applica anche nelle ipotesi in cui il Giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.

Il meccanismo sanzionatorio coincide con quello prevista per i vecchi assunti, ad eccezione del fatto che l'indennità risarcitoria va calcolata facendo riferimento all'ultima retribuzione utile per il trattamento di fine rapporto.

L'altro caso rappresenta una deroga alla regola generale della previsione della sola tutela economica per il licenziamento c.d. disciplinare ingiustificato.

Si tratta della tutela reale 'attenuata', disciplinata dall'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23/2015, applicabile solo se il datore di lavoro occupa più di 15 dipendenti (5 se imprenditore agricolo) ed esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo e giusta causa, nei casi in cui venga direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (senza entrare nel merito della valutazione della sproporzione del licenziamento, caso che invece interessa il precedente comma): il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. È attribuita la facoltà al lavoratore di cui all'art. 2 comma 3 di chiedere, in alternativa alla reintegrazione del posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento, corrispondente al periodo dal licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, diminuito di quanto eventualmente percepito in tale periodo per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché di quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi del comma 1, lett. c dell'art. 4 del d.lgs. n. 181/2000. Tale indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità.

Il riferimento alla sola insussistenza del 'fatto materiale' contestato sembra non lasciare spazio alle più favorevoli letture interpretative che hanno esteso l'applicazione del corrispondente co. 1 dell'art. 18 Statuto dei Lavoratori (nel testo modificato dalla legge 92/12) ai casi in cui il fatto, pur sussistente, sia tuttavia privo del carattere della illiceità, perché sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore (Cass. sez. lav., n. 13178/2017).

L'inserzione dell'aggettivo 'materiale' sarebbe, allora, funzionale ad espellere dal 'fatto' l'elemento soggettivo, costituito dalla colpa o dal dolo, e a negare qualsiasi rapporto proporzionale in termini di gravità tra fatto addebitato ed effetto sanzionatorio (il legislatore avrebbe così recepito l'obiter dicta contenuto nella sentenza n. 23669/2014 in cui la Suprema Corte, discostandosi da precedenti di segno contrario, aveva inteso l'art. 18 co. 1 statuto come riferentesi al solo fatto materiale e, di conseguenza, la tutela possibile soltanto nel caso di insussistenza del fatto storico inteso nella sua materialità, con esclusione di alcuna valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del fatto addebitato).

Tutela meramente obbligatoria

In tutti gli altri casi cui difettano i presupposti del giustificato motivo oggettivo o soggettivo o della giusta causa, nel caso di datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti (5 se imprenditore agricolo), il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 mensilità e non superiore a 24 mensilità.

Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'art. 2 comma 2, della legge n. 604/1966 o della procedura prevista dall'art. 7 St. lav. il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità , non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità.

Nei casi in cui mancano i presupposti del giustificato motivo oggettivo nelle aziende con meno di 15 dipendenti (5 se imprenditore agricolo) -art. 9- non si applica la tutela reintegratoria attenuata di cui all'art. 3, comma 2, e l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, e dall'art 4, comma 1 è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità.

In tutte le fattispecie normativamente previste, l'indennità è calcolata - tra un minimo e un massimo - in un importo pari a un certo numero di mensilità per ogni anno di servizio, da che la tutela appunto crescente (in termini puramente economici) all'aumentare dell'anzianità di servizio).

Nella quantificazione dell'indennità il giudice deve limitarsi ad una mera operazione di calcolo senza poter svolgere alcuna altra valutazione discrezionale. Ne consegue che il risarcimento attribuito a lavoratori con la medesima anzianità sarà sempre quantificato nella stessa identica misura senza potersi tenere in alcuna considerazione né le condizioni soggettive del lavoratore, né quelle oggettive del datore, prima fra tutte la sua capacità economica.

L'indennità risarcitoria associata alla reintegra costituisce espressione - al pari di quella prevista dall'art. 18 Statuto - di una presunzione iuris tantum di lucro cessante: il datore di lavoro può dimostrare, d'altro canto, l'aliunde perceptum o la colpa del lavoratore nell'aggravare il danno. Inoltre egli può dimostrare, ai fini dell'abbattimento del risarcimento (salvo che per la misura 'minima ' prevista), la propria mancanza di colpa (In questi termini si era espressa Cass. n. 22398 dell'1 ottobre 2013 relativamente ad un licenziamento derivante dalle giustificazioni, erronee o fuorvianti, fornite dal lavoratore in relazione alla propria condotta in sede di procedimento disciplinare).

Infine, il d.lgs. 23/2015 risolve normativamente, con riferimento ai nuovi contratti a tutele crescenti, i problemi postisi relativamente al testo storico dell'art. 18 legge 300/70 in merito all'operatività della presunzione e alla conseguente spettanza dell'indennità minima (cinque mensilità della retribuzione globale di fatto), prevista dall'ultimo inciso del quarto comma della disposizione statutaria, pure in caso di revoca del licenziamento accettata dal lavoratore o di mancata interruzione - e quindi di continuazione - di fatto del rapporto di lavoro nonostante il recesso.

L'art. 5 stabilisce infatti che, nell'ipotesi di revoca dellicenziamento,purche'effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturatanel periodo precedentealla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal decreto.

La tutela risarcitoria di diritto comune - il fatto ingiusto aggiuntivo

L'unico rimedio attivabile dal lavoratore, a fronte di un licenziamento illegittimo, per ottenere la ricostituzione del rapporto di lavoro, è quello previsto dalla disciplina speciale e non vi è spazio per l'azione di adempimento ex art. 1453 cc o per il rimedio del risarcimento in forma specifica ex art. 2058 cc.

Inoltre, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidatosi rispetto alla disciplina anteriore al d.lgs. n. 23/2015, l'intervenuta inoppugnabilità del licenziamento, per inutile decorso del termine decadenziale di 60 giorni previsto dall'art. 6 legge 604/66, osta a che il Giudice possa conoscere della illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune; ed infatti, poiché l'inadempimento (sub specie di recesso illegittimo) costituisce presupposto dell'obbligo risarcitorio a carico del contraente inadempiente, a norma dell'art. 1218 c.c., l'impossibilità di tale accertamento esclude la possibilità di riconnettere al preteso inadempimento del datore di lavoro l'0bbligazione risarcitoria in favore del lavoratore.

Vi è tuttavia uno spazio residuale per l'azione risarcitoria di diritto comune, ammettendosene l'esercizio per far valere profili di illegittimità del licenziamento diversi da quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti individuali o collettivi (Cass. sez. lav., n. 21833/2006).

Nel proporre la normale azione risarcitoria da fatto illecito (contrattuale) occorre, allora, che sia puntualmente indicato e allegato il fatto ingiusto ulteriore che si sia accompagnato al licenziamento, quale un atteggiamento idoneo a ledere l'onore, il decoro, la reputazione del lavoratore (c.d. licenziamento ingiurioso cfr. Cass. n. 5927/2008), o a concretare, nel recesso, il culmine di una progressiva condotta di mobbing, o ancora la pubblicizzazione del licenziamento al difuori dell'azienda, con la finalità di nuocere all'immagine professionale del lavoratore.

Il fatto ingiusto che dà adito alla normale azione risarcitoria in presenza di un licenziamento inoppugnabile non può che essere un fatto che lede un interesse diverso da quello protetto dalle norme limitative del recesso, ossia un interesse ulteriore rispetto a quello tutelato dalle norme poste a presidio dell'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Le tutele contro il licenziamento illegittimo nel rapporto di lavoro pubblico

Nelle diverse fasi della profonda revisione della disciplina dei licenziamenti, avviata con la legge 92/2012 e completata con il d.lgs. 23/2015, il legislatore non aveva assunto una posizione definita sull'applicabilità delle due riforme al settore pubblico, per cui la questione era rimasta affidata al dibattito politico e scientifico e all'elaborazione giurisprudenziale.

Con la sentenza n. 11868/2016 la Corte di Cassazione aveva optato per l'applicazione della previgente formulazione della norma, nel testo anteriore alle modifiche del 2012, almeno fino all'intervento di armonizzazione previsto dal comma 8 dell'art. 1 legge 92/12. L'argomento a sostegno di tale soluzione interpretativa, che manteneva la tutela reintegratoria nel settore pubblico, escludendo quella meramente indennitaria, faceva leva sulla natura fissa e non mobile del rinvio all'art. 18 legge 300/70 contenuto nell'art- 51 comma 2 d.lgs. 165/2001.

Il problema è stato poi superato dall'art. 21 d. lgs. 75/2017 che, intervenendo sul testo dell'art. 63 d.lgs. 165/2001, ha previsto che, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, il giudice condanna l'amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoris commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore a ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

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