Ricorso ex art. 414 c.p.c. per demansionamentoInquadramentoIl lavoratore demansionato in conseguenza dell'attribuzione da parte del datore di lavoro di una qualifica inferiore rispetto a quella per cui era stato assunto, richiede il risarcimento dei danni ex art 2103 c.c. nei confronti della ditta datrice di lavoro nonché l'attribuzione della giusta qualifica e la corresponsione delle differenze retributive. FormulaTRIBUNALE DI .... SEZIONE LAVORO [1] RICORSO EX ART. 414 C.P.C. [2] PER il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. .... [3], residente in ...., via ...., rappresentato e difeso giusta procura a margine/in calce del presente atto dall'Avv. ...., C.F. ...., con il quale elettivamente domicilia in ...., via .... Si dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC ...., [4] CONTRO la Società ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rappresentante p.t., Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., con sede legale in ...., via ....; FATTO 1) Il ricorrente è stato assunto dalla resistente in data ...., con inquadramento al livello .... del CCNL settore .... ed adibito presso lo stabilimento di ...., sino alla data del ...., allo svolgimento delle seguenti mansioni ....(doc. 1); 2) con numerose note di merito il datore di lavoro attestava la diligenza e la qualificazione professionale acquisite nel corso degli anni (doc. 2); 4) del tutto inspiegabilmente ed immotivatamente, la resistente, con nota del ...., adibiva il ricorrente a mansioni riferite ad un inquadramento inferiore rispetto a quello per cui lo stesso era stato assunto e che aveva da sempre espletato sin dalla data della sua assunzione. In particolare, veniva adibito alle seguenti mansioni ....(doc. 3); 5) Tale demansionamento, oltre alla perdita dell'inquadramento giuridico (livello e categoria legale di inquadramento inferiore), determinava anche l'applicazione della retribuzione mensile inferiore, pari ad Euro .... ; 6) In particolare, non sussisteva, alla base della detta determinazione, alcuna ragione relativa alla modifica degli assetti organizzativi aziendali; 7) La condotta datoriale, costituisce palmare violazione del disposto di cui al c.c. 2103 [5] ed ha causato al ricorrente ingenti danni di natura patrimoniale e non patrimoniale; 8) Il ricorrente, a causa del demansionamento subito, è caduto in uno stato di prostrazione psicologica derivante dall'evidente danno all'immagine subito; ciò ha avuto notevoli conseguenze anche sulla sua autostima, attuando comportamenti rinunciatari; 9) In particolare, il Sig. ...., a causa dell'intervenuto demansionamento, ha sofferto delle seguenti patologie ...., le quali inevitabilmente hanno gravemente leso la sua integrità psico-fisica (doc. 4); 10) Il ricorrente, inoltre, ha subito la perdita di notevoli chance di progressione di carriera, considerando che i lavoratori adibiti alle medesime mansioni cui il ricorrente era stato da sempre hanno successivamente partecipato ad un corso di aggiornamento professionale di durata annuale volto ad acquisire le seguenti competenze .... (doc. 5). In particolare il detto corso era dedicato esclusivamente a coloro che avevano la citata mansione; 9) il ricorrente, formalmente inquadrato nel .... livello di inquadramento, ha diritto, ex art. 2103 c.c., al corretto inquadramento economico-giuridico nel livello .... ed alla corresponsione in proprio favore da parte della società resistente di tutte quelle somme maturate a titolo di differenze retributive ed oneri accessori, così come meglio specificato nei conteggi analitici in allegato al presente atto (documento 6), da intendersi quale parte integrante dello stesso, o di quell'altra somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge. DIRITTO Sul demansionamento subito e sul diritto al risarcimento del danno L'art. 2103 c.c. stabilisce, come noto, che il datore di lavoro ha l'obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero alle mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza diminuzione della retribuzione. L'istituto in parola disciplina l'esercizio del cosiddetto ius variandi, ossia il potere da parte del datore di variare le mansioni rispetto a quelle assegnate in fase di assunzione. Pertanto, lo ius variandi si configura sia in senso orizzontale con l'attribuzione di mansioni equivalenti, sia in senso verticale con il conferimento di mansioni di carattere superiore. Nella specie, il Sig. .... sin dalla data della sua assunzione era stato inquadrato al livello .... del CCNL applicato in azienda ed adibito alle mansioni seguenti .... Il successivo inquadramento peggiorativo ed il demansionamento del ricorrente costituiscono una palmare violazione del surrichiamato art. 2103 c.c., con il conseguente diritto del ricorrente di vedersi risarcito il danno patrimoniale e non patrimoniale subito per l'inadempimento contrattuale datoriale [6]. Al riguardo, come esposto in premessa, il ricorrente ha perso l'occasione di partecipare al corso di riconversione professionale riservato ai dipendenti adibiti alle medesime mansioni da sempre in possesso dello stesso. Il ricorrente in tal modo ha diritto al risarcimento del danno da perdita della professionalità, che può equitativamente determinarsi in percentuale commisurata alla retribuzione astrattamente spettante. Inoltre, il demansionamento subito in azienda ha determinato, in capo al ricorrente, una sindrome depressiva evidenziata dalla certificazione medica allegata; il demansionamento è uno dei disagi lavorativi più pesanti da affrontare, poiché pone il lavoratore in una condizione di forte stress emotivo e che questo arreca danni sia morali che professionali. Inoltre, le stesse abitudini di vita del ricorrente sono state alterate. Tali ultime voci di danno trovano fondamento giuridico nell'art. 2087 c.c., che tutela l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, nonché nella Costituzione, artt. 1, 2, 3, 4, 35, 41. Tanto esposto e considerato il sig. ...., come sopra rappresentato e difeso, RICORRE affinché l'ill.mo tribunale adito, in funzione di giudice del lavoro, fissata l'udienza di comparizione delle parti e adempiuto ogni altro incombente, voglia così provvedere: — accertare e dichiarare il diritto del Sig. .... ex art. 2103 c.c. ad ottenere l'inquadramento al livello .... del CCNL settore ...., così come da atto di assunzione, e ad essere adibito alle mansioni di ....; — per l'effetto condannare la società resistente al pagamento in favore del ricorrente di tutte quelle somme dovute a titolo di differenze retributive ed oneri accessori tra il .... livello retributivo ed il .... livello retributivo, così come calcolate nei conteggi analitici in allegato al presente atto, o di quell'altra somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge; — condannare la società resistente al risarcimento del danno biologico, morale, esistenziale ed alla vita di relazione, quantificabili in complessivi Euro ...., come da allegata CT medico-legale, ovvero nella diversa somma, minore o maggiore che l'Ecc.mo Giudice vorrà accertare, oltre interessi e rivalutazione; — condannare la società resistente al risarcimento del danno da perdita della professionalità subita da determinarsi, tenuto conto della durata del demansionamento, nella percentuale del .... della retribuzione astrattamente spettante, o in quella minore o maggiore ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge. Con vittoria di spese, diritti ed onorari, con attribuzione. IN VIA ISTRUTTORIA (Indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO) Si chiede, inoltre, di essere ammesso alle prove per testimoni sulle circostanze indicate in premessa/in punto di fatto, dal numero .... al numero ...., preceduti dalla locuzione “Vero è che”, ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che .... ”) .... A tal fine si indicano come testimoni i Sigg.ri: 1) Sig. ...., residente in ....; 2) Sig. ...., residente in .... Si chiede altresì che il Sig. Giudice .... adito voglia nominare CTU medico al fine di valutare le patologie da cui è affetto il ricorrente e lo stato di salute in cui lo stesso versa a far data dal ....a tutt'oggi. Si fa riserva di formulare ulteriori richieste istruttorie e di produrre altri documenti anche in conseguenza del comportamento processuale di controparte. Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta. Ai sensi del d.P.R. n. 115/2002, e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro .... e, pertanto, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato pari ad Euro .... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA [1] La competenza per le cause relative al demansionamento o dequalificazione professionale derivanti dal comportamento datoriale si appartengono alla competenza funzionale del giudice del lavoro. [2] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011). [3] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014. [4] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [5] Il novellato art. 2103 c.c. (art. 3 d.lgs. n. 81/2015) al primo comma chiarisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o eventualmente, alle mansioni superiori nel frattempo acquisite ovvero a mansioni corrispondenti allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. Tuttavia, la stessa disposizione sancisce la possibilità che il dipendente possa essere assegnato a mansioni appartenenti ad un livello contrattuale di inquadramento inferiore, a patto che le nuove mansioni “siano riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”. Peraltro, al secondo comma dello stesso articolo, si specifica chiaramente che la fattispecie normativa può trovare applicazione solo nei casi “di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore” e, che il passaggio ad altra mansione deve avvenire all'interno della stessa categoria legale di appartenenza del lavoratore; meglio, i livelli di sottoinquadramento dovranno essere individuati per operai, impiegati e quadri all'interno della medesima categoria. [6] La Cassazione ha stabilito che in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio dall'esistenza di un pregiudizio provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. È necessaria altresì la dimostrazione del nesso causale tra il danno e il demansionamento (Cass. sez. lav., n. 14214/2013). Il danno da dequalificazione professionale non è in re ipsa, ma richiede di essere provato dal lavoratore che, a seguito del demansionamento, lamenta di aver subito un pregiudizio risarcibile. Tuttavia, tale danno può essere provato con tutti i mezzi messi a disposizione e ricavato in via presuntiva o facendo ricorso a massime di comune esperienza (Cass. sez. lav., n. 20677/2016). CommentoInquadramento e fondamento normativo La fattispecie risarcitoria in esame attiene alle ipotesi in cui il lavoratore sia adibito, da parte del datore di lavoro, a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto ed ai danni derivanti dalla corrispondente dequalificazione professionale. Se da un lato, il precetto civilistico di riferimento deve individuarsi, senz'altro, nell'art. 2103 c.c., la detta norma deve, altresì, correlarsi con quelle degli artt. 2087 e 1218 c.c. ma anche, e soprattutto, con quelle degli artt. 1,2,4 e 35 Cost. La tutela del lavoratore e della relativa professionalità è viepiù garantita sia dallo Statuto dei Lavoratori (in primis, l'art. 13 che ha modificato l'art. 2103 c.c.) che dalla contrattazione collettiva; soprattutto quest'ultima con il sistema di qualifiche e declaratorie costituisce, secondo la dottrina maggioritaria, strumento imprescindibile per la verifica formale della corrispondenza tra le mansioni svolte dal lavoratore e quelle cui dovrebbe essere adibito in forza del contratto di assunzione e della sua professionalità acquisita. Dalla violazione delle citate norme e dall'inadempimento datoriale possono derivare al lavoratore svariati danni rispetto ai quali, stante la prevalente valenza non patrimoniale, particolare rilievo viene ad assumere l'atteggiarsi dell'onere della prova in capo al lavoratore. Giova sottolineare che a prescindere dalla recente riformulazione dell'art. 2103 c.c., come disposta dal d.lgs. 81 del 2015, la giurisprudenza suole considerare legittimo il patto di demansionamento in presenza di condizioni tali da legittimare il licenziamento del lavoratore in mancanza di accordo purché il consenso sia stato espresso liberamente, sebbene in forma tacita ma attraverso fatti univocamente attestanti la volontà del lavoratore di aderire alla modifica "in peius" delle mansioni (cfr. in tal senso Cass. sez. lav. n. 5621/2019). Il riparto dell'onere probatorio nella giurisprudenza di legittimità Stante la natura contrattuale dell'illecito in esame, quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all'art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (così tra le molte cfr. Cass. sez. lav., n. 4211/2016). In ordine alla prova dei danni da demansionamento o dequalificazione professionale (con particolare riguardo al danno esistenziale, suscettibile di liquidazione equitativa), si erano profilati in seno alla sezione lavoro della S.C. due diversi orientamenti: 1) il danno consegue in re ipsa al demansionamento (Cass. sez. lav., n. 14199/2001; Cass. sez. lav., n. 1443/2000; Cass. sez. lav., n. 13299/1992), tal che è suscettibile di liquidazione in via equitativa da parte del giudice in base all'apprezzamento degli elementi presuntivi acquisiti al giudizio e relativi alla natura, all'entità e alla durata del demansionamento, nonché ad altre circostanze del caso concreto ed anche in mancanza di specifica prova da parte del lavoratore della relativa sussistenza; 2) il riconoscimento del danno è subordinato all'assolvimento da parte del lavoratore dell'onere di provare l'esistenza del pregiudizio (Cass. sez. lav., n. 26666/2005, Cass. sez. lav., n. 8904/2003, Cass. sez. lav., n. 6992/2002). Le Sezioni Unite con sentenza n. 6572/2006 hanno risolto il contrasto sposando il secondo orientamento: il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; in particolare, mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove. Posta la natura contrattuale della responsabilità datoriale, dall'inadempimento ex art. 2103, c.c., sanzionato espressamente con l'obbligo di corresponsione della retribuzione, non deriva automaticamente l'esistenza del danno, nel senso che esso non è, immancabilmente, ravvisabile a causa della (mera) potenzialità lesiva della condotta illegittima del datore di lavoro, onde - configurandosi come solo eventuale la produzione del pregiudizio in dipendenza della violazione dei richiamati obblighi - è necessario dimostrarne la sussistenza ed il relativo onere probatorio incombe sul lavoratore danneggiato. quanto, in particolare, al risarcimento del danno esistenziale, la relativa prova è riscontrabile anche a mezzo di presunzioni, le quali, anzi, assumono - in questo particolare ambito - un precipuo rilievo. Conformi all'autorevole arresto cfr. Cass. sez. lav., n. 14729/2006, Cass. sez. lav., n. 29832/2008, Cass. sez. lav., n. 19785/2010; da precisarsi che in seguito al noto arresto delle Sezioni Unite del novembre n. 26972/2008, il danno esistenziale va più correttamente indicato come danno non patrimoniale ed è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, ovvero di lesioni di valori costituzionale inviolabili attinenti alla persona ovvero in ipotesi di reato (si veda per approfondimenti formula su danno esistenziale - relazionale). La prova del danno Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale (da intendere come ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno) va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno. Sul punto si segnala la recente Cass. sez. lav. ord. n. 21/2019 secondo cui il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma può essere provato dal lavoratore, ai sensi dell'art. 2729 c.c., attraverso l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione. L'orientamento, pressoché consolidato, delle corti di merito risulta conforme ai principi, espressi dalle Sezioni Unite del 2006, in merito all'onere probatorio e alla sussistenza del nesso causale: in molteplici pronunce viene richiesto che il ricorrente offra una prova ulteriore rispetto a quella concernente il cattivo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, dovendo dimostrare la sussistenza della lesione che si assume di aver subito, oltre al nesso di causalità con il demansionamento (tra le molte v. App. Firenze 12 febbraio 2013; Trib. Milano 19 novembre 2012; Trib. Arezzo 4 maggio 2012 n. 88; Trib. Milano 28 giugno 2012; Trib. Brindisi 10 febbraio 2012 n. 561; Trib. Napoli 8 febbraio 2012; App. Roma 12 dicembre 2011; Trib. Tivoli 28 ottobre 2011; Trib. Bologna 18 luglio 2011; Trib. Teramo 10 giugno 2011 n. 571; Trib. Roma 10 maggio 2011; Trib. Brescia 15 aprile 2011; T.A.R. Puglia 10 gennaio 2011 n. 19). In particolare, Trib. Brindisi 10 febbraio 2012, afferma che il risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale «non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio». Se, dunque, per il danno alla salute la prova elettiva è data dall'accertamento medico-legale, gli ulteriori ed eventuali pregiudizi alla persona, possono essere provati con ogni mezzo. Nella sentenza citata, il Tribunale di Brindisi ha ritenuto soddisfatta la prova per il danno derivante «dalla perdurante dequalificazione con particolare riferimento alle ripercussioni nella vita personale e relazionale» sulla base della testimonianza resa dal marito della ricorrente, «seppur in regime di comunione legale», in quanto ha richiamato fatti specifici, come l'incapacità di guidare l'auto o l'anticipata richiesta di pensionamento, e non circostanze generiche. Tuttavia, non sempre la prova testimoniale supera il giudizio di attendibilità da parte del giudice e, dunque, in tali casi le presunzioni, exartt. 2727 ss. c.c., costituiscono lo strumento più utile ed idoneo a dar prova della sussistenza di pregiudizi alla persona: in tal senso, conformandosi all'orientamento espresso in sede di legittimità da Cass. sez. lav., n. 7667/2013 e da Cass. sez. lav., n. 13281/2010 la Corte d'Appello di Firenze ha ritenuto presunta la sussistenza di un pregiudizio “morale-esistenziale” conseguente al demansionamento sulla base «della lunga odissea terapeutica cui il ricorrente è stato costretto a sottoporsi, oltre che dalla lunghezza del periodo per il quale si è protratta la situazione mortificante per il lavoratore (circa 6 anni) e delle concrete modalità assunte da tale mortificazione» (App. Firenze 12 febbraio 2013) . Con specifico riguardo al danno alla professionalità, si reputa raggiunta la relativa prova in considerazione di elementi, quali la durata dell'inadempimento datoriale, «la nettezza del divario mansionale e la notevole anzianità pregressa», ovvero «la specificità e complessità tecnica delle mansioni spettanti ai ricorrenti e la loro collocazione in un settore notoriamente soggetto ad una continua evoluzione tecnologica» (v. Trib. Milano 28 giugno 2012). I danni risarcibili La molteplicità delle voci di danno liquidate a fronte dell'inadempimento datoriale ex art. 2103 c.c. si giustifica in ragione dell'incidenza del demansionamento su più aspetti della persona del lavoratore; meno giustificabile l'utilizzo della retribuzione percepita dal lavoratore dequalificato quale parametro per la liquidazione, trattandosi di danno prevalentemente non patrimoniale. Nelle sentenze di merito dianzi citate, il danno non patrimoniale non assume quella valenza omnicomprensiva che, successivamente alle note sentenze del 2008 (Cass. S.U., n. 26972/2008 cit.) ci si sarebbe potuti aspettare, venendo invece ancora evidenziata una «valenza esistenziale del rapporto di lavoro» (Trib. Brindisi del 7 ottobre 2011) richiamata in forza di norme costituzionali quali gli artt. 2 e 4 Cost. Ben vero, il danno non patrimoniale conseguente al demansionamento viene liquidato a titolo di danno “morale-esistenziale”, come, ad esempio, nella pronuncia della Corte d'Appello fiorentina, già citata, o quale danno alla vita personale e relazionale, come nella pronuncia del Trib. Brindisi del 10 febbraio 2012. Nella maggior parte dei casi, però, il danno conseguente al demansionamento viene qualificato come “danno alla professionalità” del lavoratore: tale voce di danno assume ogni volta caratteristiche diverse, potendo ristorare aspetti di natura patrimoniale e non. Trib. Roma 10 maggio 2011 lo qualifica quale danno non patrimoniale, individuando nella condotta datoriale una violazione dell'art. 4 Cost. e quindi una lesione al valore professionale del lavoratore, il Tribunale di Tivoli (28 ottobre 2011) rileva che il demansionamento ha causato al lavoratore un danno professionale di natura patrimoniale, avendo leso la sua dignità personale e professionale (ma v. anche Trib. Teramo del 10 giugno 2011, secondo cui la condotta demansionante può dar luogo a danni sia di natura patrimoniale che non, con la precisazione che «la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni, incidendo su di un diritto fondamentale costituzionalmente garantito, è risarcibile indipendentemente dai riflessi patrimoniali che da tale lesione conseguano, i quali integrano invece una voce di danno eventuale, autonoma ed aggiuntiva». Sia, sub specie di pregiudizio patrimoniale che quale danno non patrimoniale, il danno viene, comunque, generalmente quantificato sulla base della retribuzione percepita dal lavoratore: la quantificazione del danno varia da un minimo del «25% della retribuzione media annua lorda» moltiplicata per gli anni interessati dalla dequalificazione (Trib. Roma 20 maggio 2011) al massimo del «50% della retribuzione lorda percepita per ogni mese di svuotamento delle mansioni» (Trib. Napoli 8 febbraio 2012). In merito all'utilizzo del detto parametro, Trib. Brindisi 10 febbraio 2012 precisa che la retribuzione è «indice anche dell'apprezzamento della professionalità, in senso lato, del lavoratore, e non solo del prezzo della prestazione resa». In particolare, in ordine al risarcimento del danno non patrimoniale, la S.C. con la recente sentenza Cass. n. 29047/2017, ha avuto modo di precisare che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell'esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Invero, tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale. Si segnala Cass. Lav., n. 4410/2022 che riconosce l'interesse del lavoratore ad ottenere una pronunzia che accerti l'illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, da intendersi quale presupposto per il riconoscimento di un risarcimento del danno, anche dopo l'estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest'ultimo evento soltanto sull'eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, ma non sul diritto all'accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto. In particolare, nel caso affrontato, la S.C. - con riferimento a vicenda in cui era intervenuta, nel corso del giudizio di primo grado, la cessazione del rapporto di lavoro in conseguenza della declaratoria giudiziale, emessa in altro procedimento, di legittimità del licenziamento irrogato al lavoratore - ha cassato la sentenza impugnata che aveva dichiarato il sopravvenuto difetto di interesse ad agire del lavoratore medesimo, nonostante quest'ultimo, sin dal ricorso introduttivo, avesse fatto espressa riserva di proporre azione per il risarcimento del danno da demansionamento. |