Ricorso del lavoratore con domanda risarcitoria da condotta antisindacaleInquadramentoUn lavoratore ricorre, ai sensi dell'art. 18 l.300/1970, avverso il licenziamento intimatogli dal datore di lavoro per motivi sindacali, deducendone la nullità e chiedendo la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento del danno. FormulaSEZIONE LAVORO RICORSO EX ART. 414 C.P.C.3 Per il Sig.... (C.F....) 4 , residente in... alla via... n...., rappresentato e difeso dall'Avv.... 5 (C.F....) 6 , con domicilio eletto in..._ alla via... n.... presso il suo studio..., fax... 7 , PEC:...@..., giusta procura... 8 -ricorrente- CONTRO la Società..., C.F...., P.I...., in persona del legale rappresentante p.t...., con sede in...; -resistente- PREMESSO 9 . Il Sig.... dal... al... ha lavorato presso l'ippodromo di..., alle dipendenze della società... spa, sin dal..., con mansioni di... Con lettera raccomandata del... la... S.p.a. appaltatrice del servizio di manutenzione delle piste per la corsa dei cavalli all'interno dell'Ippodromo di..., comunicava il licenziamento al Sig....; Con lettera raccomandata del..., ricevuta il..., l'odierno ricorrente impugnava il licenziamento ai sensi dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 6legge 604/66, domandando la reintegra nel posto di lavoro per i seguenti MOTIVI 10 La condotta della società... S.p.a., consistita nell'aver licenziato sette dipendenti, tutti iscritti al medesimo sindacato, motivata con la perdita del predetto appalto e la riduzione dell'attività di lavoro, integra un comportamento antisindacale stante l'inosservanza della procedura di cui all'art. 24 legge n. 223/1991 e il carattere discriminatorio del recesso ai sensi dell'art. 15 legge 300/1970 e 4 legge 604/1966. L'associazione sindacale... ha, quindi, sollevato l'accertamento dell'antisindacalità della condotta della società resistente ed ha richiesto la revoca degli intimati licenziamenti al fine di consentire l'attivazione della procedura di cui all'art. 4 l. n. 223/1991; ha chiesto altresì l'adozione di ogni provvedimento idoneo a far cessare la condotta antisindacale e, in ogni caso, la pubblicazione del provvedimento sulle bacheche aziendali e/o in due giornali a tiratura nazionale. Con decreto del... il Tribunale di...-_ in funzione di Giudice del lavoro ha accertato l'antisindacalità del licenziamento intimato all'odierno ricorrente e ordinato il ripristino del rapporto di lavoro. Nel caso di specie è dunque di palmare evidenza che la fattispecie integri un licenziamento collettivo, intimato ai lavoratori omettendo di avviare la procedura di consultazione prevista dall'art. 4 l. n. 223/1991 (richiamato dall'art, 24 'norme in materia di riduzione del personale'), in ciò ravvisandosi la denunciata condotta antisindacale. Né risulta pertinente, nel caso di specie, il richiamo all'art. 7, comma 4 bis, della l. n. 31/2008, di conversione del d.l. 248/2007, che testualmente prevede che "Nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l'invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l'acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative". La fattispecie considerata dalla normativa in oggetto, infatti, è quella del passaggio diretto del lavoratore dall'impresa inizialmente appaltatrice a quella subentrante. La norma, quindi, contempla l'ipotesi d'immediata riassunzione del dipendente, che passa da un'impresa all'altra sostanzialmente senza soluzione di continuità. In tali casi, effettivamente, attivare la complessa procedura prevista per il licenziamento collettivo non avrebbe alcuna reale utilità. Nel caso in esame, però, la parte convenuta (che ha invocato tale disposizione normativa al fine di sostenere l'inapplicabilità della procedura prevista dalla l. 223/1991) non ha dedotto che, nell'appalto in oggetto, sia già subentrata una nuova impresa e che quest'ultima abbia, altresì, provveduto a riassumere i lavoratori licenziati. E' dunque evidente che non possa trovare applicazione il citato art. 7, comma 4 bis, della l. n. 31/2008. In conclusione, nessun dubbio può residuare in ordine al fatto che la... S.p.a. per poter licenziare i propri dipendenti, in presenza dei presupposti di legge, avrebbe dovuto avviare la procedura di consultazione sindacale prevista dalla l. 223/1991. E', invece, pacifico che la procedura sindacale in oggetto sia stata assolutamente omessa. E' evidente dunque, come già rilevato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, che il non aver per nulla attivato la procedura d'informazione e consultazione sindacale normativamente prevista, integri una condotta antisindacale (Cass. sez. lav., n. 13240/2009), comportando, implicitamente, il rifiuto del riconoscimento delle prerogative sindacali e ledendo i diritti individuali dei lavoratori licenziati, in particolare quelli dell'odierno ricorrente avente economicamente a carico il nucleo familiare composto dal coniuge e dai due figli minori rispettivamente di anni... e.... Non risultano peraltro neppure puntualmente indicate le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1 l. n. 223/1991. Il licenziamento determinato da motivi sindacali ha carattere discriminatorio ed è radicalmente nullo ai sensi dell'art. 15 e 18 l. n. 300/1970. Nel tempo successivo alla sua estromissione dall'azienda il ricorrente non ha reperito altra occupazione lavorativa, anche in considerazione dell'intervenuto decreto di accoglimento dell'azione ex art. 28 Stat. Lav. promossa dal Sindacato.... Tanto esposto e considerato il Sig ... come sopra rappresentato e difeso RICORRE All' Ill.mo Tribunale di ... affinché, rigettata ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, previa fissazione dell'udienza 11 per la comparizione delle parti per il libero interrogatorio 12 , procedere nel modo ritenuto opportuno agli atti di istruzione ritenuti indispensabili, Voglia 13 : ordinare la reintegra del Sig.... nel posto di lavoro presso... e condannare la... S.p.a. al pagamento in favore del Sig.... delle retribuzioni non versate dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi sino all'effettivo soddisfo, e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali fino all'effettiva reintegrazione. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente procedimento 14 . IN VIA ISTRUTTORIA Si producono i seguenti documenti - Contratto di lavoro del...; - Lettera raccomandata di licenziamento del...; - lettera di impugnativa del licenziamento del... - domanda di iscrizione del ricorrente al Sindacato... Si chiede disporsi interrogatorio formale dell'amministratore unico della società... spa e prova testimoniale col sig.... residente in... alla via... sulle posizioni sul seguente articolato: 1)Vero è che tutti i lavoratori licenziati in seguito alla cessazione dell'appalto... sono iscritti al sindacato... 2)Vero è che... Ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 115/2002, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro... Luogo e data___________ Firma Avv.______________ PROCURA AD LITEM (se non a margine o su documento informatico separato) [1] [1] A norma dell'art. 413 c.p.c. 'Le controversie previste dall'articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro' [2] [2] Per quanto riguarda il foro, il secondo comma dell'art. 413 c.p.c., derogando all'art. 18 c..c., dispone che 'competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto.Nelle controversie nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell'articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell'articolo 18'. [3] [3] Ai sensi dell'art. 414 c.p.c. la domanda si propone con ricorso. [4] [4] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio. [5] [5] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., nella legge 114/2014. [6] [6] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. [7] [7] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata,«Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà». [8] [8] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione (art. 16-bis comma 1-bis d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: 'giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.'. [9] [9] Il ricorso deve tra l'altro contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni (art. 414 n. 4 c.p.c.). [10] [10] Ai sensi dell'art. 125 c.p.c. il ricorso deve contenere l'indicazione del tipo di provvedimento richiesto (petitum) nonché l'esposizione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere con il ricorso (causa petendi). La domanda deve contenere, altresì, l'indicazione delle condizioni dell'azione cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora), degli elementi che consentano di individuare la futura (eventuale) domanda di merito (strumentalità). [11] [11] Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa, con decreto, l'udienza di discussione, alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente (art. 415 c.p.c.). [12] [12] Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti (1) e tenta la conciliazione della lite. La mancata comparizione personale delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione (art. 420 c.p.c.). [13] [13] Se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo. Nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti, disponendo, con ordinanza resa nell'udienza, per la loro immediata assunzione. Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima concedendo alle parti ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell'udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive (art. 420, co. 4 c.p.c.). [14] [14] La disciplina delle spese di giudizio segue quella ordinaria prevista dall'art. 91 c.p.c., secondo cui vanno poste a carico della parte soccombente o comunque di quella che ha dato causa alla lite. CommentoNozione di condotta antisindacale L'art. 28 St. Lav. definisce condotta antisindacale "ogni comportamento diretto ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero". Tale norma è considerata il vero cardine della tutela dell'azione sindacale. Il comportamento illegittimo del datore di lavoro non viene definito nella sua struttura ma è individuato solo per la sua idoneità a ledere i beni protetti: libertà, attività sindacale, diritto di sciopero, sicchè esso è definito in dottrina "strutturalmente aperto" ma "teleologicamente determinato". La norma 'pone una fattispecie tipizzata solo dal punto di vista dei beni protetti, ma non anche da quello dei comportamenti' (Cass. n. 5454/1992). Il legislatore ha individuato solo alcune fattispecie specifiche di comportamento antisindacale. Un esempio di condotta antisindacale legislativamente tipizzata è contenuto nell'art. 47, comma 3, l. n. 428/1990 (sostituito dall'art. 2 d.lgs. n. 18/2001), ove si stabilisce che l'inosservanza degli obblighi di comunicazione e consultazione con le rappresentanze sindacali in caso di trasferimento di azienda costituisce, per il cedente e il cessionario, condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 St. Lav. Inoltre, l'art. 7 l. n. 146/1990 (sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (art. 7 l. n. 146/1990) indica quale condotta antisindacale la violazione da parte del datore di lavoro di clausole concernenti diritti e attività sindacali di accordi e contratti collettivi che disciplinano il rapporto di lavoro nei servizi essenziali). Per quanto attiene all'ambito di applicazione della norma, in considerazione dei beni da questa protetti, è ormai dominante l'opinione secondo cui i diritti tutelati dall'art. 28 non sono solo quelli contenuti nel titolo II e III dello Statuto, dovendo accedersi ad un'interpretazione lata dell'espressione 'libertà, attività sindacale e diritto di sciopero' . Non tutti i comportamenti del datore di lavoro 'di antagonismo' al sindacato sono tuttavia per ciò stesso antigiuridici. La condotta, infatti, non potrebbe qualificarsi come antisindacale se 'dovuta all'esercizio del non contestabile diritto del datore di lavoro al quale non si contrapponga un opposto diritto dei lavoratori (...) o dall'adempimento di un dovere', anche se apparentemente lesiva della libertà sindacale o del diritto di sciopero (Cass. n. 13383/1999). Sono dunque certamente legittime le condotte che non ledono i beni garantiti dall'art. 28 dello Statuto, come ad esempio i comportamenti volti a contestare la legittimità di alcune attività sindacali e a pretendere una 'loro particolare modalizzazione', oppure quelle con cui il datore di lavoro esercita un diritto che gli viene attribuito dalla legge o dal contratto collettivo (Cfr. Cass. n. 5815/2004); non incorre, dunque, in comportamento antisindacale il datore di lavoro che adotta iniziative che, senza incidere sull'esercizio del diritto di sciopero, consentano di minimizzare le perdite economiche indotte dall'agitazione sindacale e a contenerne gli effetti dannosi, specie ove ricadano su servizi pubblici essenziali (Cass. n. 8670/2019; anche Corte cost. 125/1980). Neppure la violazione, da parte del datore di lavoro, di diritti individuali del lavoratore previsti dalla legge o anche direttamente dalla Costituzione (come il diritto alla retribuzione o alle ferie) non concreta condotta antisindacale, quando non sia idonea a compromettere il diritto di sciopero o a ledere la libertà o l'attività sindacali, ossia interessi collettivi di cui il sindacato è portatore (Cass. n. 10031/2002). L'art. 28 fa riferimento sia alle attività materiali poste in essere dal datore di lavoro (es. minacce, intimidazioni ecc) sia ai comportamenti omissivi. In ragione della genericità e indeterminatezza della fattispecie, la giurisprudenza ha individuato una serie di comportamenti del datore di lavoro, anche di tipo omissivo, rientranti nell'art. 28, comma 1 St.lav. Costituisce pertanto condotta antisindacale: il divieto opposto dal datore di lavoro ai dipendenti di tenere assemblee non retribuite all'interno dei locali aziendali nel corso di uno sciopero (Cass. n. 11352/1995); il comportamento del datore che minacci la trattenuta della retribuzione nel caso di partecipazione ad un'assemblea da tenersi ai sensi dell'art. 20 St.Lav. ovvero effettui la trattenuta a seguito della partecipazione all'assemblea stessa (Cass. n. 6080/1997); il comportamento del datore di lavoro ostativo all'attività di volantinaggio all'interno dei luoghi di lavoro, la quale è stata inquadrata nel diritto all'attività sindacale sancito dall'art. 14 St. Lav. (in particolare nel diritto al proselitismo). (Trib. Vicenza, n. 322 del 5 luglio 1997); l'inosservanza da parte del datore di lavoro degli obblighi di comunicazione e concertazione previsti in favore del sindacato nell'ambito della procedura per la concessione dell'integrazione salariale, con conseguente illegittimità della collocazione dei lavoratori in cassa integrazione (Cass. 13240/2009); in caso di sciopero dei lavoratori, il comportamento del datore di lavoro che affida le mansioni svolte dai lavoratori in sciopero ad altri dipendenti in violazione delle norme di legge o di contratto. (Cass. 26368/2009). Viceversa, non è stato considerata antisindacale la condotta del datore di lavoro che utilizzi del personale rimasto in servizio con l'assegnazione a mansioni inferiori, se tali mansioni sono marginali, funzionalmente accessorie e complementari a quelle dei lavoratori interessati (Cass. n. 12811/2009; Cass. n. 14444/2015). la condotta di un datore di lavoro che, in occasione di uno sciopero, utilizza personale dirigente, quadri, impiegati di elevato livello per svolgere le mansioni degli addetti del pedaggio che hanno aderito all'astensione (Cass. n.12811/2009); Le trattative condotte solo con alcune organizzazioni sindacali per il rinnovo di un contratto integrativo aziendale se il datore fa un uso distorto della sua libertà contrattuale, con apprezzabile lesione della libertà sindacale dell'organizzazione esclusa (Cass. n. 1677/1990; Cass. n. 14511/2013). Con riferimento alla discriminazione tra associazioni sindacali, la Corte di Cassazione ha sancito che non sussiste un principio di parità di trattamento tra le varie organizzazioni sindacali (Cass. n. 212/2008) e pertanto il datore di lavoro può escludere alcune organizzazioni da determinate organizzazioni. E' tuttavia ritenuta antisindacale la conduzione di una trattativa per la stipula di nuove intese collettive senza la previa informazione e consultazione di una sigla sindacale, con il consapevole risultato della sua esclusione dal novero delle controparti sindacali (Trib. Torino 23 gennaio 2012); la comunicazione tardiva e lacunosa dei criteri di scelta e dei meccanismi di rotazione dei lavoratori da sospendere in CIGS (Cass. n. 22736/2013). L'art 28 statuto individua nel datore di lavoro il soggetto attivo del comportamento antisindacale (e, dunque, anche il soggetto passivamente legittimato rispetto all'azione), a prescindere dal numero di dipendenti occupati. E' infatti opinione pacifica che la condotta antisindacale posta in essere non direttamente dal datore di lavoro, ma da uno dei soggetti che, nella gerarchia aziendale, svolgono attività direttamente riferibile al datore di lavoro, vengano imputati solo direttamente a quest'ultimo Per qualificare la condotta del datore come antisindacale è necessaria e sufficiente la ricorrenza del solo elemento oggettivo (Cass. sez. lav. n. 3837/2016; Cass. n. 13726/2014; Cass. n., 26286/2013; Cass. S.U. n. 24581/1997), cioè la lesione concreta degli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, mentre è irrilevante la consapevolezza e l'intenzione lesiva del datore di ledere (ex multis, Cass. n. 20078/2008, Cass. n. 3298/2001), e ciò sia nel caso di condotte tipizzate, perché consistenti nell'illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), sia nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicchè ciò che il Giudice deve accertare è l'obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l'effetto che la disposizione intende impedire ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero (v. anche Cass. sez. lav. n. 2375/2015). Ulteriore presupposto essenziale per il ricorso al rimedio all'art. 28 è l'attualità della condotta o il perdurare dei suoi effetti: l'attualità non è esclusa dall'esaurimento della singola azione ove il comportamento illegittimo risulti persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua natura intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo allo svolgimento dell'attività sindacale (Cass. sez. lav., n. 3837/2016). La plurioffensività della condotta antisindacale e il regime delle tutele La condotta antisindacale può restare monoffensiva allorquando lede esclusivamente i diritti riconosciuti in via diretta ed esclusiva al sindacato, ma può ledere contemporaneamente un diritto collettivo e un diritto individuale (come nella ipotesi del licenziamento o del demansionamento del n lavoratore che abbia partecipato ad uno sciopero). Tale condotta è definita come plurioffensiva e legittima la reazione e dell'organizzazione sindacale e del lavoratore direttamente interessato dal comportamento datoriale lesivo. Il procedimento speciale previsto dall'art. 28 St. Lav. è, però, riservato esclusivamente ai sindacati per cui il lavoratore può soltanto intervenirvi a sostegno delle ragioni di sindacato (Cass. sez. lav., n. 9950/2005) e dovrà contestare la condotta datoriale nelle forme previste per la generalità delle controversie individuali di lavoro. Di conseguenza, in caso di condotta plurioffensiva possono agire in giudizio sia il sindacato che il singolo lavoratore, con due azioni autonome: il sindacato agisce con il procedimento ex art. 28 St.lav. mentre il lavoratore con ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro secondo il procedimento ordinario ex artt. 410 ss c.p.c., contestando gli specifici atti (demansionamento, licenziamento ritorsivo o discriminatorio, trasferimento, mobbing, etc.) nel quale la condotta antisindacale si sia sostanziata ed azionando, se del caso, le conseguenti pretese risarcitorie. Il sindacato infatti agisce in giudizio per la tutela del proprio interesse collettivo e non già in rappresentanza dei lavoratori colpiti dai provvedimenti antisindacali. Pertanto può esperire il ricorso anche in caso di inerzia o contraria volontà dei lavoratori interessati. L'azione esercitabile dal sindacato ai sensi della l. n. 300/1970 è distinta e autonoma rispetto alle azioni che possono esercitare i lavoratori a tutela dei propri diritti individuali eventualmente colpiti dagli stessi comportamenti antisindacali denunciati dal sindacato, essendo diversi sia la causa petendi sia il petitum. Da tale diversità ontologica delle due azioni deriva che l'azione proposta dal sindacato non può avere alcuna efficacia di giudicato esterno nella diversa azione proposta dal lavoratore, a tutela di un proprio diritto soggettivo (Cass. sez. lav., n. 18539/2015; conforme Cass. sez. lav. n. 4899/2017; v. anche Cass. III, n. 57/2015). L'azione collettiva del sindacato e l'azione individuale del lavoratore, stante la diversità degli interessi tutelati, si pongono invero su un piano, sostanziale e processuale, di reciproca indifferenza, con la conseguenza che l'esperimento e l'esito di una di esse non può incidere sulle vicende e sulla sorte dell'altra (Cass. n. 16776/2009). Per tale ragione, il Giudice adito ex art. 28 Statuto può emanare un ordine di reintegrazione del lavoratore licenziato ma non può condannare il datore di lavoro al licenziamento del danno. L'ordine di reintegrazione è peraltro ineseguibile in forma specifica. L'autonomia delle due azioni pone in dubbio che la sentenza che abbia accertato in via definitiva l'antisindacalità della condotta plurioffensiva del datore di lavoro possa costituire titolo per la richiesta di risarcimento del danno da parte del dipendente discriminato. Può invece senz'altro affermarsi che essendo il licenziamento determinato da motivi sindacali viziato da nullità ai sensi dell'art. 4 l. n. 605/1966, la declaratoria d'antisindacalità del comportamento aziendale che vi abbia dato causa, eventualmente ottenuta dal sindacato mediante il ricorso allo speciale procedimento ex art. 28 Statuto, reca con sé la declaratoria di validità ed efficacia del rapporto di lavoro, con conseguente applicabilità dei principi della mora credendi sia a favore del dipendente licenziato, sia a favore dell'ente previdenziale (relativamente all'obbligo contributivo; in questo senso si è recentemente espressa Cass. sez. lav., n. 4899/2017). Il licenziamento nullo per motivi sindacali è dunque inidoneo a determinare l'estinzione del rapporto di lavoro e l'obbligo contributivo (al pari di quello retributivo) del datore di lavoro permane come conseguenza della necessaria persistenza del rapporto stesso. La comminatoria di nullità è applicabile a tutti i rapporti di lavoro indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda e dunque anche in mancanza di garanzia di stabilità reale. In ogni caso, l'onere della dimostrazione del motivo antisindacale grava sulla parte che lo deduce. L'art. 15 l. n. 300/1970, a tutela del diritto dei lavoratori ad iscriversi a sindacati e svolgere attività sindacale nei luoghi di lavoro, commina la nullità qualsiasi atto o patto diretto a: a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Il successivo art. 16 vieta invece la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio ai sensi dell'art. 15. Attualmente, sia l'art. 18 (nella formulazione introdotta dalla legge Fornero n. 92/12) sia l'art. 2 d.lgs. n. 23/2015 prevedono il licenziamento discriminatorio (categoria nella quale rientra il licenziamento determinato da motivi antisindacali) tra le fattispecie di licenziamento nullo ivi specificamente elencate, richiamando per la sua definizione l'uno l'articolo 3 della legge 11 maggio 1990 n. 108, l'altro l'art. 15 legge n. 300/1970 e successive modificazioni. La tutela assicurata al lavoratore rispetto al licenziamento discriminatorio nei due regimi del contratto di lavoro subordinato «tradizionale» (ante 7 marzo 2015) e del contratto a tutele crescenti, è sovrapponibile: per tutti i lavoratori- indipendentemente dalla data di assunzione- la natura discriminatoria del licenziamento dà luogo a reintegra nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra- con la soglia minima di cinque mensilità e detratto quanto percepito nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum) - oltre al pagamento dei contributi. E' riconosciuto al lavoratore il diritto di opzione per la indennità sostitutiva della reintegra, in misura di quindici mensilità. L'unica differenza per i lavoratori del contratto a tutele crescenti riguarda la commisurazione delle suddette indennità alla retribuzione utile al TFR piuttosto che alla retribuzione globale di fatto. L'articolo 18 specifica che la tutela avverso il licenziamento discriminatorio (e, in generale, avverso il licenziamento nullo e a quello intimato in forma orale) si estende anche ai dirigenti; eguale disposizione manca nell'articolo 2 del d.lgs. n. 23/2015, in coerenza con il fatto che - a norma del precedente articolo 1 - i dirigenti sono estranei all'intero impianto normativo del contratto a tutele crescenti. Per i dirigenti, dunque, in caso di licenziamento discriminatorio continuano a trovare applicazione (anche se assunti successivamente al 6 marzo 2015) i commi da 1 a 3 dell'articolo 18 l. 300/1970 e così pure il rito introdotto dalla l. n. 92/2012. La tutela descritta prescinde dal requisito dimensionale tanto nel regime dell'articolo 18 l. n. 300/1970 (ai sensi del successivo comma 8) che ai sensi del d.lgs. n. 23/2015 (si veda l'articolo 9 del suddetto decreto legislativo). Rispetto agli interessi di cui è portatore il sindacato, a protezione dei quali è data l'azione disciplinata dall'art. 28 l. n. 300/70, l'unica tutela realmente efficace è quella di natura inibitoria, diretta cioè ad ottenere l'ordine del giudice di interruzione della continuazione della condotta illecita o di cessazione del fatto lesivo. Il risarcimento non può infatti aver luogo per equivalente (v. Cass. S.U., n. 5295/1997) ma soltanto mediante il ripristino della situazione quo ante, determinata dal comportamento illegittimo. |