Comparsa di risposta per danni da mancato recepimento di direttiva comunitaria

Emanuela Musi

Inquadramento

L'atto ha ad oggetto una comparsa di costituzione nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri in un giudizio civile azionato da un cittadino per vedersi risarcito dei danni subiti per effetto dell'inadempimento statale nel recepimento della Direttiva 2004/80/CE

Formula

TRIBUNALE DI ....

Sez. ....; R.G. ....; G.U. ....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1]

PER

La Presidenza del Consiglio Dei Ministri (C.F.....) [2], in persona del legale rapp.te p.t, ope legis rapp.to e difeso, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avvocatura dello Stato, con la stessa dom.to in .... alla via ...., n. .... . Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC..... [3]

CONTRO

la Sig.ra ...., nata a ...., il ........, C.F. ...., residente in ...., via ...., rappresentata e difesa, come da procura in calce (oppure, a margine) al ricorso ex art. 702 bis, c.p.c., dall'Avv. ...., C.F. ......, presso il cui studio elettivamente domicilia in ....alla via n. .... .

nell'ambito dell'intestato procedimento

instaurato dalla Sig.ra .... mediante ricorso ex art. 702 bis, c.p.c., ai fini dell'ottenimento del risarcimento danni, ad essa arrecati dalla condotta illecita dello Stato, consistente nella mancata attuazione della direttiva comunitaria 2004/80/CE concernente l'indennizzo per le vittime di reati intenzionali e violenti.

FATTO

- Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato in cancelleria il .... e notificato il successivo ...., la Sig.ra .... conveniva innanzi all'Ecc.mo Tribunale in epigrafe la Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di ottenere la condanna della stessa al risarcimento dei danni quantificati in complessivi Euro ...., previa accertamento della responsabilità dello Stato per non aver completamente recepito nell'ordinamento interno la direttiva comunitaria 2004/80/CE, che prevedeva per le vittime di reati intenzionali e violenti il diritto delle stesse ad ottenere un indennizzo a carico dello Stato, in caso di impossibilità di vedersi risarcite dall'autore del reato.

- Deduceva, in proposito, la ricorrente di essere stata vittima di violenza sessuale commessa da ..... e che la responsabilità di quest'ultimo, per il detto reato, veniva accertata e confermata rispettivamente dal Tribunale di .... e dalla Corte di Appello di ...., rispettivamente con sentenza n. .... del .... e n. .... del ...., quest'ultima confermata dalla Corte di Cassazione (sentenza n. .... del....).

- Aggiungeva, al riguardo, l'istante che .... era stato anche condannato a risarcirle i danni, con provvisionale pari ad ...., mai corrisposta e che il reo, al momento detenuto, era nullatenente e sprovvisto di qualsiasi occupazione lavorativa e/o dimora.

- Pertanto, rilevava, inoltre, la ricorrente che il soggetto condannato, una volta uscito dal carcere, non sarà economicamente aggredibile, tanto più che verrà espulso, con conseguente perdita per la medesima della possibilità di ottenere un congruo risarcimento dal reo.

- Ciò posto, in punto di diritto, parte ricorrente riteneva che la presente vicenda dovesse essere sussunta sotto l'ambito applicativo della disciplina di cui alla Direttiva 2004/80/CE (art. 12), che impone agli Stati membri dell'Unione Europea di garantire un adeguato ed equo ristoro alle vittime dei reati intenzionali e violenti impossibilitate a conseguire dai loro offensori un tutela risarcitoria.

- A tale riguardo, la Sig.ra .... sosteneva che l'Italia, nonostante i numerosi inviti e un procedimento di infrazione all'uopo avviato dalla Commissione Europea, che ha visto lo Stato condannato, non aveva ancora adottato tutte le misure idonee a garantire un appropriato ristoro per le vittime dei reati intenzionali e violenti, tra cui rientrano, con ogni evidenza, i reati di violenza sessuale.

Con il presente atto si costituisce nell'intestato giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, come sopra, la quale, in via preliminare, impugna e contesta tutto quanto ex adverso prodotto, dedotto ed eccepito, chiedendone il rigetto siccome inammissibile e totalmente infondato, in fatto e sulla base dei seguenti motivi in

DIRITTO

I. La domanda spiegata dalla ricorrente si appalesa totalmente infondata, in primo luogo, poiché nella specie non sussiste alcun inadempimento imputabile allo Stato Italiano nel recepimento della direttiva 2004/80/CE.

Infatti, con riguardo a tale ultimo provvedimento normativo comunitario, il Legislatore Italiano ha provveduto a darvi attuazione mediante il d.lgs. n. 204/2007, intitolato, appunto, “Attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato”.

Pertanto, l'avversa richiesta di risarcimento danni è destituita di fondamento, mancando di un elemento costitutivo (la condotta inadempiente dello Stato Italiano, posta in essere in violazione del diritto comunitario).

II. Inoltre, la pretesa risarcitoria azionata in questa sede dalla Sig.ra .... è priva di fondamento in quanto, nel caso in esame, non può affatto trovare applicazione la direttiva comunitaria 2004/80, invocata da controparte, siccome tale provvedimento si pone come obiettivo esclusivamente quello di garantire un adeguato ristoro alle vittime di reati violenti nelle situazioni c.d. transfrontaliere, ovvero nei casi in cui la vittima del delitto violento appartenga ad uno Stato Membro diverso da quello in cui si è verificato l'illecito penale. La disciplina in oggetto, quindi, non riconosce alcuna tutela a casi come quello in esame, laddove il fatto penalmente rilevante è avvenuto nel territorio italiano ed ai danni di una cittadina italiana.

Orbene, alla luce dei considerando 7 e 11 della direttiva in oggetto, emerge come la stessa si ponga come scopo quello di predisporre misure per consentire l'indennizzo delle vittime di reato nelle situazioni transfrontaliere.

Ed invero: “La presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere; .... .” (considerando 7) ed ancora: “Dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorità degli Stati membri per facilitare l'accesso all'indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede”. (considerando 11)

In proposito, un tale ordine di considerazioni trova puntuale ed autorevole conferma da parte della Corte di Giustizia UE, la quale ha avuto modo di sottolineare che “... la direttiva 2004/80 prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente” (sentenza del 28 giugno 2007, Dell'Orto, C-467/05).

Tale principio di diritto è stato, altresì, confermato dal giudice comunitario, in sede di rinvio pregiudiziale ad opera del Tribunale di Firenze sull'esatta interpretazione da dare all'art. 12 della direttiva 2004/80/CE: “Nell'ambito del procedimento principale, tuttavia, emerge dalla decisione di rinvio che la sig.ra .... è stata vittima di un reato intenzionale violento commesso nel territorio dello Stato membro in cui ella risiede, vale a dire la Repubblica italiana. Pertanto, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 2004/80, bensì solo del diritto nazionale.

Orbene, in una situazione puramente interna, la Corte non è, in linea di principio, competente a statuire sulla questione posta dal giudice del rinvio” (Ordinanza del 30 gennaio 2014, causa C-122/13).

Discende dall'autorevole giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che deve escludersi che la direttiva 2004/80 imponga agli Stati Membri di adottare un sistema di indennizzo per reati non transfrontalieri, ovvero per quei delitti commessi nel territorio dello Stato di appartenenza della vittima.

Ne deriva, in relazione al caso di specie, che la normativa comunitaria in commento, come interpretata dalla Corte UE - le cui pronunce, come è noto, vincolano il giudice nazionale - nella misura in cui si applica ai soli reati transfrontalieri, comporta l'insussistenza di qualsivoglia inadempimento imputabile al legislatore italiano, con conseguente necessità di rigettare la domanda di controparte sul risarcimento danni per violazione del diritto comunitario

III. Infine, la domanda di parte ricorrente si palesa infondata anche per mancanza della condizione di cui al considerando 6 della direttiva in commento, riguardante, in particolare, l'acclarata impossibilità per la vittima del reato di essere risarcita dall'autore del delitto intenzionale e violento.

Invero, nella fattispecie, un tale requisito non è stato affatto dimostrato dalla sig.ra Tizia, la quale non ha affatto documentato tale impossibilità, limitandosi ad affermare che .... è nullatenente e sprovvisto di qualsiasi occupazione lavorativa e/o dimora, senza addurre alcun elemento probatorio al riguardo. Anzi, dalla vicenda fattuale, emerge, in senso contrario, che l'istante non ha portato ad esecuzione, escutendo il patrimonio del reo, la condanna in via provvisionale, circostanza, quest'ultima, ostativa alla fondatezza dell'avversa domanda.

Tanto premesso in fatto ed argomentato in diritto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ut supra, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, reietta ogni contraria istanza, eccezione e/o deduzione così provvedere:

- dichiarare infondata e rigettare la domanda risarcitoria, come formulata dalla ricorrente nel proprio atto introduttivo.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

IN VIA ISTRUTTORIA

(indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere)

Si deposita copia dei seguenti documenti, con riserva di ulteriori produzioni ed articolazioni di richieste istruttorie: 1) ....; 2) ....; 3) ....

Luogo e data ....

Firma dell'Avv. ....

PROCURA

[1] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n.98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011).

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014.

[3] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

Commento

Nozione ed inquadramento.

La responsabilità dello Stato Italiano per mancata, tardiva e/o inesatta attuazione delle direttive comunitarie attiene a quelle conseguenze di natura economica, subite dai cittadini comunitari per effetto di una condotta omissiva dello Stato-Legislatore, nell'ambito del proprio obbligo di dare piena e diretta attuazione al diritto comunitario e, in particolare, agli obblighi imposti con le direttive.

Tale tipologia di responsabilità risarcitoria dello Stato per violazione del diritto comunitario, e segnatamente per mancata attuazione di una direttiva europea, è stata per la prima volta riconosciuta in via giurisprudenziale dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea con la sentenza Francovich (19 novembre 1991 cause riunite C-6/90 e C-9/90).

Il caso sottoposto all'esame della Corte di Giustizia concerneva il mancato recepimento della direttiva 80/97/CEE, che imponeva agli Stati Membri la predisposizione di un meccanismo di tutela volto a garantire la liquidazione dei salari dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro.

Nel dettaglio, i Pretori di Bassano del Grappa e di Vicenza adirono in sede di rinvio pregiudiziale la Corte di Giustizia, sottoponendole il quesito dell'eventuale effetto diretto di alcune disposizioni della menzionata direttiva e quello della possibilità per i singoli di pretendere un risarcimento dallo Stato per il pregiudizio subìto a causa dell'omessa trasposizione di una direttiva comunitaria.

Dopo aver accertato che la direttiva 80/97/CEE non presentava i caratteri di sufficiente precisione, necessari per sancirne la sua diretta applicabilità, con la sentenza de qua il Giudice comunitario dichiarava la responsabilità dello Stato Italiano, derivante dal non aver dato attuazione agli obblighi sanciti dalla detta direttiva, responsabilità sensibilmente aggravata dall'impossibilità concreta di far valere l'effetto diretto della direttiva non trasposta, con l'ovvia conseguenza che l'unica forma di protezione per il descritto illecito statale era costituita dalla tutela risarcitoria in favore dei singoli.

Tale decisione è importante non solo per avere accolto il principio del diritto al risarcimento di posizioni giuridiche soggettive riconosciute da una direttiva non puntuale e non autoesecutiva - sul postulato che, in ossequio al principio di effettività (art. 5, ora 10 del Trattato), lo Stato sia comunque responsabile ogniqualvolta non ottemperi agli obblighi che derivano dal Trattato (art. 189, ora 249) - ma anche per aver fatto filtrare, nel nostro ordinamento, un principio fino ad allora sconosciuto e cioè quello della responsabilità giuridica dello Stato nella sua veste di Legislatore.

In virtù dei principi sanciti dalla pronuncia in oggetto, gli Stati Membri non sono liberi di stabilire i presupposti sui quali valutare la propria responsabilità nei confronti dei soggetti lesi, ma, essendo tenuti al rispetto del diritto Comunitario, sono chiamati a rispondere dei pregiudizi cagionati ai singoli in caso di sua violazione.

Le condizioni per il sorgere della responsabilità.

Per accertare tale tipo di responsabilità dello Stato occorrono, sempre secondo la giurisprudenza comunitaria inaugurata con la sentenza Francovich, tre condizioni: 1) la norma comunitaria violata deve attribuire in modo sufficientemente chiaro e preciso diritti a favore dei singoli; 2) il contenuto di tali diritti deve essere individuato sulla base delle disposizioni di tale norma; 3) deve sussistere un nesso di causalità diretto tra la violazione dell'obbligo che incombe allo Stato e il danno subìto da parte del singolo.

La Corte di Giustizia ha ritenuto che, in presenza delle cennate condizioni, possa ritenersi configurabile un vero e proprio diritto al risarcimento del cittadino nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario; tale situazione giuridica soggettiva trova fondamento nei principi generali del diritto comunitario, avente il precipuo fine di rendere uniformi gli ordinamenti nazionali dei Paesi Membri.

In sostanza, la giurisprudenza comunitaria ha riconosciuto soggetti di diritto comunitario, non solo gli Stati Membri dell'Unione, ma anche e soprattutto i cittadini di tali Stati, attribuendo ai medesimi, per quel che qui rileva, lo specifico diritto a che lo Stato di appartenenza dia attuazione alla normativa comunitaria, sul presupposto che sarebbe inficiata la tutela dei loro diritti riconosciuti, nel caso in cui non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento in conseguenza della lesione delle loro posizioni giuridiche da parte dello Stato Membro, realizzata in violazione del diritto comunitario.

Segue. L'ambito operativo della responsabilità.

A seguito delle menzionata sentenza Francovich, era sorto un dibattito in ordine alla portata della responsabilità dello Stato-legislatore per mancata attuazione di una direttiva comunitaria, ovvero se tale responsabilità assumesse, o meno carattere, residuale, operante esclusivamente nel caso di non diretta azionabilità delle posizioni riconosciute dal diritto comunitario (cioè per il solo caso di direttive inattuate non autoesecutive, in quanto prive di effetto diretto), oppure se il principio della tutela risarcitoria potesse valere anche nell'ipotesi di violazione di norme comunitarie pienamente efficaci, aventi cioè effetto diretto, attribuendo diritti esercitabili tanto nei rapporti intersoggettivi (efficacia orizzontale), quanto nei rapporti con lo Stato (efficacia verticale).

La questione fu risolta dalla Corte di Giustizia con la sentenza 5 marzo 1996-Cause riunite C-46/93 e C-48/93 (“Sentenza Brasserie du Pêcheur – Factortame LTD”), la quale contribuì a specificare i caratteri della fattispecie di responsabilità in esame. In particolare, con riguardo alla portata della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, la pronuncia in oggetto ne ha sancito il carattere generale, affermando che il relativo principio per cui gli Stati Membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili deve trovare applicazione anche quando la violazione riguardi una norma di diritto comunitario direttamente efficace.

In proposito, infatti, la Corte ha sostenuto che, nel caso di direttive ad effetto diretto, la possibilità per i singoli di azionarle direttamente innanzi ai giudici nazionali costituisce solo una garanzia minima dell'ordinamento comunitario che, da sola, non assicura la piena applicazione del diritto comunitario in tutti gli Stati Membri, né i diritti dallo stesso attribuiti ai singoli. Infatti, anche in caso di normativa comunitaria direttamente applicabile, ben può verificarsi un'ipotesi di violazione della medesima ad opera di uno Stato Membro e, in conseguenza di tale violazione, un pregiudizio da risarcire al cittadino i cui diritti riconosciutigli dalle disposizioni comunitarie ad efficacia diretta siano stati lesi.

La sentenza Brasserie du Pêcheur – Factortame LTD ha sancito importanti principi in materia di responsabilità degli Stati Membri.

Il primo, desumibile dalla riconosciuta portata generale della responsabilità risarcitoria in oggetto, è quello inerente l'autonomia della relativa azione per danni rispetto alle caratteristiche intrinseche della norma comunitaria violata. Invero, come sopra riportato, il dovere dello Stato Membro di risarcire i pregiudizi arrecati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili sussiste anche quando ad essere violata è una norma comunitaria direttamente efficace, e tanto in base alla considerazione che, come affermato sopra, il fondamento della risarcibilità del danno è dato dal carattere obbligatorio dell'ordinamento comunitario.

L'altro principio cardine, con riguardo al tema in oggetto, concerne l'autonomia dell'azione risarcitoria esperibile dal singolo danneggiato dallo Stato Membro, rispetto all'azione per inadempimento diretta ed al relativo accertamento giurisdizionale delle violazioni del diritto comunitario da parte dello Stato Membro medesimo. Ciò, sempre in base all'acclarata considerazione che il diritto al risarcimento in oggetto deriva al singolo direttamente dall'ordinamento comunitario.

Ed, invero, al riguardo solo illuminanti i passaggi sul punto della sentenza della Corte di Giustizia 5 marzo 1996-Cause riunite C-46/93 e C-48/93: L' obbligo, a carico di uno Stato membro, di risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronuncia di una sentenza della Corte che accerti l'inadempimento conseguente a tali violazioni. Infatti, il diritto al risarcimento esiste, sulla base del diritto comunitario, sempreché siano soddisfatte le condizioni prescritte, talché non può ammettersi che l' obbligo di risarcimento a carico dello Stato membro interessato possa essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronuncia di una sentenza della Corte che accerti il suo inadempimento. Inoltre, subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile allo Stato membro interessato urterebbe contro il principio dell' effettività del diritto comunitario, poiché esso porterebbe ad escludere qualsiasi risarcimento tutte le volte che il preteso inadempimento non abbia costituito oggetto di un ricorso proposto dalla Commissione ai sensi dell' art. 169 del Trattato e di una dichiarazione d' inadempimento pronunciata dalla Corte”.

Segue. I caratteri della violazione della normativa comunitaria.

Una precisazione della sentenza in oggetto è stata effettuata, rispetto alla sentenza Francovich, con riguardo ai caratteri della violazione del diritto comunitario che può essere fonte di danno per i singoli, affermandosi che il criterio decisivo per rilevare l'esistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata della norma comunitaria è quello della violazione grave e manifesta, da parte dello Stato membro, dei limiti posti al suo potere discrezionale.

La Corte, con tale pronunciamento, ha poi proceduto ad enucleare dei parametri sulla scorta dei quali il giudice nazionale, investito della richiesta risarcitoria, possa individuare la gravità e la manifesta violazione dell'ordinamento comunitario: 1) il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, nel senso che quanto più la norma risulti ambigua, tanto più difficile sarà individuare una violazione “grave e manifesta”; 2) l'ampiezza del potere discrezionale, nel senso che quanto maggiore è la discrezionalità di uno Stato in sede di esecuzione e/o di recepimento, tanto minore sarà la possibilità di ritenere “grave” la violazione di un obbligo comunitario; 3) il carattere intenzionale o volontario della violazione commessa; 4) la perduranza del comportamento violativo, anche a seguito di un intervento chiarificatore della Corte di Giustizia nonché dopo l'avvio di una procedura per infrazione.

In proposito, giova rilevare che nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia e decisa con la sentenza Francovich, la gravità della violazione, rappresentata dall'omessa trasposizione di una direttiva, era stata considerata in re ipsa. Tale orientamento ha ricevuto ulteriore conferma, sempre ad opera della Corte di Giustizia, con la sentenza 8.10.1996 nei procedimenti riuniti C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94 (“Sentenza Dillenkofer”), la quale appunto ha precisato che l'omessa trasposizione di una direttiva costituisce in re ipsa una violazione grave e manifesta, e che, ai fini della gravità della violazione, rileva non soltanto l'omessa trasposizione della direttiva, ma anche l'ipotesi dell'attuazione scorretta o incompleta della direttiva stessa.

La natura giuridica della responsabilità.

In riferimento alla natura giuridica della responsabilità dello Stato per mancata attuazione di una direttiva e, più in generale, del diritto comunitario, va segnalato che a livello di diritto positivo giurisprudenziale interno, si è assistito ad una serie di oscillazioni.

Invero, dopo la più volte citata sentenza Francovich, la Corte di Cassazione, riconobbe la natura risarcitoria della corresponsione e quella extracontrattuale della relativa responsabilità (Cass. sez. lav., n. 10617/1995).

Tuttavia, in alcuni settori dell'ordinamento interno, ad esempio con riguardo alla responsabilità dello Stato per i danni cagionati ai medici specializzandi per effetto di tardiva ed incompleta trasposizione delle direttive comunitarie a loro relative, la giurisprudenza ne ha affermato la natura contrattuale, ovvero derivante dalla violazione di un'obbligazione nascente ex lege (Sul punto, V. più diffusamente la formula relativa ai medici specializzandi).

In ambito normativo, di recente, con l'art. 4, comma 43, l. n. 183/2011, è stato chiarito che la prescrizione del diritto al risarcimento danni derivanti dalla responsabilità statale per violazione degli obblighi comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947, c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si e' effettivamente verificato.

Tale norma, dunque, denota un'opzione legislativa, sulla natura della responsabilità de qua, in termini di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, operando un rinvio espresso alla norma codicistica che si occupa proprio della prescrizione del diritto al risarcimento danni derivanti da illecito.

I soggetti passivi della responsabilità.

La sentenza 5 marzo 1996-Cause riunite C-46/93 e C-48/93 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che il principio della responsabilità degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili assume portata generale, non solo con riguardo alla tipologia delle norme europee dalla cui violazione può scaturire, ma anche con riferimento ai soggetti pubblici che possono essere chiamati a rispondere dei danni.

Invero, la pronuncia in esame ha solennemente affermato che il principio in parola, “... che è inerente al sistema del Trattato, ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l'organo di quest'ultimo la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione, e l'obbligo di risarcire i danni che da esso discende non può, avuto riguardo alla fondamentale esigenza dell'ordinamento giuridico comunitario costituita dall'uniforme applicazione del diritto comunitario, dipendere da norme interne sulla ripartizione delle competenze tra i poteri costituzionali”.

Ne deriva, dunque, che la regola della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario ha portata del tutto generale e prescinde, come detto, dal fatto che il diritto leso sia attribuito da una norma non immediatamente esecutiva, nonché trova applicazione tutte le volte che il Legislatore nazionale, l'Amministrazione, ovvero il Potere giudiziario, anche attraverso una non corretta trasposizione, applicazione od interpretazione di una normativa comunitaria, abbiano leso un diritto del singolo derivantegli dall'ordinamento comunitario.

In altri termini, il giudice comunitario ha proceduto ad una generalizzazione della responsabilità in oggetto, la quale, in base ai pronunciamenti della Corte, può scaturire sia da condotte omissive che da misure positive (atti giuridici e/o fatti materiali), nonché può concretizzarsi in ogni ipotesi di mancato rispetto della portata precettiva delle disposizioni comunitarie (purché con le condizioni sopra-descritte inerenti la “violazione manifesta e grave”) ad opera di ogni organo e/o articolazione territoriale dello Stato Membro.

Il vincolo della corretta attuazione del diritto comunitario astringe, infatti, lo Stato inteso nel suo complesso e nelle sue articolazioni; lo Stato Membro, dunque, non può esimersi all'osservanza di tale obbligo, né richiamando il proprio diritto costituzionale, né invocando eventuali difficoltà di ordine pratico, manifestatesi in sede di attuazione dello stesso. L'unica possibile esimente è rappresentata dalla presenza di un errore scusabile, oppure dalla sussistenza di una oggettiva difficoltà attuativa riferibile agli stessi organi comunitari (ad esempio, un difetto di chiarezza nella formulazione della norma violata oppure la tolleranza o l'avallo da parte delle istituzioni comunitarie di disposizioni o prassi nazionali difformi).

In proposito, si è fatto riferimento al “principio dell'indifferenza” della Comunità rispetto alle scelte degli Stati nazionali circa l'articolazione interna delle competenze, che, in nessun caso, può indebolire la effettività della tutela e della protezione dei diritti assicurati ai singoli dall'ordinamento comunitario.

Con riguardo alla giurisprudenza interna, a siffatto principio si è ispirata la Corte Costituzionale (sentenza 27 novembre 1999, n. 425), affermando che l'esistenza di una normativa comunitaria comportante obblighi di attuazione nazionali non determina, di per sé, alcuna alterazione dell'ordine normale delle competenze statali, regionali o provinciali, conformemente al principio che l'ordinamento comunitario è, in linea di massima, indifferente alle caratteristiche costituzionali degli Stati membri, alla luce delle quali hanno da svolgersi i processi nazionali di attuazione. La Corte costituzionale ha proseguito ritenendo che lo Stato, tuttavia, per la forza della responsabilità che ha sul piano comunitario, e per la particolare cogenza che tale responsabilità assume nell'ordinamento costituzionale in conseguenza dell'art. 11, Cost., (ora anche in forza della disposizione di cui al novellato art. 117, comma 1, Cost., per il quale la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni deve rispettare, tra l'altro, i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario) è tenuto e, quindi, abilitato a mettere in campo tutti gli strumenti compatibili con la garanzia delle competenze regionali e provinciali, idonei ad assicurare l'adempimento degli obblighi di natura comunitaria.

In tale ottica, sempre a livello di ordinamento interno, si segnala che tra i soggetti chiamati a dare attuazione al diritto comunitario, dunque responsabili nei confronti dei singoli per eventuali violazioni del medesimo, il nostro sistema costituzionale indica, accanto allo Stato-Governo, le Regioni e le Provincie Autonome.

Invero, a mente dell'art. 117, comma 5, Cost., tali Enti, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

Invero, nell'intento di dare concreta attuazione ai principi inerenti la portata generale della responsabilità dello Stato per lesione di diritti riconosciuti ai singoli dall'ordinamento comunitario indipendentemente dal proprio assetto costituzionale, nonché in conformità alla giurisprudenza della Consulta, la quale, proprio in applicazione del menzionato “principio dell'indifferenza” del diritto comunitario rispetto alle all'articolazione di competenze interna agli Stati Nazionali, ha sancito il dovere dello Stato di assicurare comunque l'adempimento degli obblighi di natura comunitaria, la nostra Carta Fondamentale, al suo art. 120, comma 2, ha attribuito al Governo il potere di sostituirsi alle Regioni, Citta' metropolitane, Province e Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria.

A livello di legislazione ordinaria la disciplina dei poteri sostitutivi riconosciuti dalla Costituzione al Governo, sia nell'ipotesi in cui le Regioni e le Provincie autonome omettano di dare attuazione agli atti comunitari, nelle materie di loro pertinenza (art. 117, comma 5, Cost.), sia nel caso in cui gli Enti territoriali, più in generale, non rispettino la normativa comunitaria (art. 120, comma 2, Cost.) è contenuta nella l. n. 131/2003.

Con riguardo ai soggetti pubblici responsabili verso i cittadini per mancata attuazione di direttive e, in generale, del diritto comunitario, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha evidenziato alcuni elementi di dettaglio, in virtù della progressiva attenuazione del ruolo dello Stato Nazionale come elemento di mediazione tra le Istituzioni comunitarie ed i cittadini stessi.

In particolare, sulla scia dei principi sanciti dalla sentenza 5 marzo 1996-Cause riunite C-46/93 e C-48/93, e della loro generalizzazione ad opera della Corte, la successiva giurisprudenza comunitaria ha esteso la responsabilità in oggetto, oltre che allo Stato-Legislatore, anche allo Stato-Amministrazione. Con la sentenza 23 maggio 1996, causa C-5/94, pronunciata nell'ambito del caso Hedley Lomas, è stata espressamente e per la prima volta riconosciuta un'ipotesi di danno derivante da un atto amministrativo; il caso ha presentato al giudice comunitario, altresì, l'occasione di sancire l'ulteriore principio per il quale tutte le posizioni giuridiche riconosciute dal diritto comunitario risultano meritevoli di tutela indipendentemente dalla qualificazione data alle stesse nell'ordinamento interno.

Ulteriori principi in tema di responsabilità dello Stato nella sua veste di “amministratore” e, più in generale, sull'individuazione degli organi all'uopo passivamente legittimati, vengono enucleati con la sentenza 1 giugno 1999, causa C-302/97 (“Sentenza Konle”), mediante la quale la Corte ha riconosciuto come - ad esempio negli Stati a struttura federale - al risarcimento dei danni causati ai singoli da provvedimenti amministrativi interni adottati in violazione del diritto comunitario, non debba necessariamente provvedere il potere centrale, bensì anche una struttura amministrativa decentrata e/o periferica.

Con la successiva “Pronuncia Salomone Haim” (sentenza 4 luglio 2000, causa C-424/97), il giudice sovranazionale ha ammesso la concorrenza della responsabilità nazionale con quella gravante su un organismo di diritto pubblico nell'obbligo di risarcire i danni provocati ai singoli da atti amministrativi che siano stati adottati in violazione del diritto comunitario.

Infine, con specifico riguardo all'obbligo degli Stati Membri e, in particolare, delle loro strutture amministrative di dare attuazione alle norme comunitarie, la sentenza della Corte di Giustizia 12 febbraio 2008, causa C-2/06, ha puntualizzato che ove si instauri un procedimento davanti ad un organo amministrativo diretto a riesaminare una decisione amministrativa divenuta definitiva in virtù di una sentenza di un giudice di ultima istanza, fondata su una erronea interpretazione del diritto comunitario, l'organo amministrativo è obbligato a riesaminare la decisione e non è necessario che il ricorrente abbia invocato il diritto comunitario nell'ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno contro la decisione.

I criteri di determinazione del danno.

Per quanto concerne, invece, le procedure ed i criteri volti alla definizione quantitativa del danno subìto dal singolo, la Corte di Giustizia ha sottolineato che, al riguardo, resta ferma la riserva in favore delle legislazioni nazionali.

In proposito, il giudice comunitario si è limitato a sancire che il risarcimento, posto a carico degli Stati membri, dei danni cagionati ai singoli da violazioni del diritto comunitario dev'essere adeguato al danno subito e che, in linea col principio dell' “adeguato ristoro del danno”, testè citato, non è conforme al diritto comunitario una disciplina nazionale che, in via generale, limiti il danno risarcibile ai soli danni arrecati a determinati beni dei singoli specialmente tutelati, escludendo il lucro cessante subito dai singoli.

Per il resto, in mancanza di norme comunitarie in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro fissare i criteri che consentono di determinare l' entità del risarcimento.

Tuttavia, a tal riguardo, la giurisprudenza comunitaria ha tracciato due direttrici cui il diritto interno degli Stati Nazionali deve uniformarsi nello stabilire i criteri e le procedure risarcitorie in caso di violazione del diritto comunitario.

Da un lato, il cd. “principio di equivalenza”, per il quale le condizioni interne per ottenere il risarcimento in esame non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami o azioni analoghi fondati sul diritto interno. Dall'altra parte, il cd. “principio di effettività”, in virtù del quale gli stessi criteri e le procedure di risarcimento nazionali non possono in nessun caso essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile la riparazione dei pregiudizi.

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