Comparsa di costituzione in tema di risarcimento danni, patrimoniali e non, da emotrasfusioneInquadramentoI presupposti applicativi della compensatio. La principale questione sottesa all'istituto della compensatio lucri cum damno è la seguente: l'individuazione dei presupposti applicativi della compensatio, tenendo presente che 1) pregiudizio ed incremento patrimoniale (id est, vantaggio economico) devono discendere dallo stesso evento; 2) danno e vantaggio devono conseguire con rapporto di causalità diretto ed immediato dall'evento (c.d. unicità del titolo); 3) le poste compensative devono avere la medesima natura giuridica. In quest'ottica, l'applicazione del citato principio va tendenzialmente esclusa qualora il rapporto tra vantaggio e danno sia di mera occasionalità necessaria. In particolare si discute sull'applicabilità del principio alle pensioni cc.dd. privilegiate, in relazione alle quali si tende ad escludere lo scomputo dell'indennizzo già acquisito da quanto liquidato come risarcimento del danno, a fronte del fatto che la pensione privilegiata non è attribuita a seguito di fatto illecito, ma per legge o per contratto, e che lo spirito informatore della stessa risiede nella solidarietà nazionale. In tal senso il fatto illecito viene valutato solo come “occasione” dell'erogazione indennitaria, così cumulabile con la somma liquidata per risarcimento danni . In relazione alla pensione privilegiata cd. tabellare, erogata in caso di menomazioni riportate a causa del servizio che si innesta su un rapporto di servizio obbligatorio (art. 52, comma 2, Cost.), la Corte di Cassazione ha ritenuto che la stessa abbia natura risarcitoria e non previdenziale. La tendenza ad ammettere la cumulabilità di indennizzo e risarcimento ha subito una battuta d'arresto, tra la fine degli anni novanta e gli inizi del duemila, in tema di indennizzo ai soggetti danneggiati per complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati (spettante in base alla legge n. 210/1992). Le Sezioni Unite, in particolare, nell'affrontare una questione di particolare importanza concernente proprio il rapporto fra indennizzo exlegge n. 210/1992 e risarcimento del danno, hanno osservato che la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria e delle somme liquidate a titolo di risarcimento danni per il contagio da emotrasfusione (a seguito di un giudizio di responsabilità extracontrattuale, promosso dal soggetto contagiato nei confronti del Ministero della sanità) non è di ostacolo allo scomputo integrale fra le due poste (cioè dell'indennizzo già versato dalla somma liquidata per risarcimento del danno subìto dal paziente contagiato), poiché “... in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati infetti) cui direttamente si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al pagamento”. La decisione di escludere la cumulabilità si poggiava su un rilievo che è stato ritenuto poco condivisibile: l'esistenza di un ingiustificato arricchimento in favore di un medesimo soggetto (il Ministero). Argomentando a contrario, si è dedotto che, nell'ipotesi in cui i soggetti tenuti ad erogare l'indennizzo ed il risarcimento siano differenti, il cumulo sarebbe ammissibile. E' stato, però, giustamente rilevato che non può farsi dipendere la detta applicabilità da un fattore del tutto casuale e che, comunque, rappresenta un posterius rispetto al pregiudizio che si intende ristorare. Dimostra ancora l'incertezza applicativa della compensatio la circostanza che le Sezioni Unite, più o meno consapevolmente, introducono un nuovo requisito: la diversità dei soggetti tenuti, per titolo differente, a pagare indennizzo e risarcimento del danno. Con comparsa di costituzione il Ministero della Salute, a fronte dell'atto di citazione con il quale viene chiesta la sua condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti dall'attore in conseguenza di una trasfusione di sangue infetto, invoca il principio della compensatio lucri cum damno, deducendo che dall'importo ex adverso preteso a titolo di risarcimento del danno subito dal paziente contagiato vada scomputato l'indennizzo già versato ai sensi dell'art. 1 della legge n. 210/1992. FormulaTRIBUNALE DI... COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA1 PER Il Ministero della Salute (C.F....), in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato (C.F....), presso cui ope legis domicilia, in ... alla Via...n. ..., domiciliato ope legis presso l'Avvocatura ... dello Stato in ..., via ..., n. ... (fax ...; indirizzo di PEC: ...@...) -convenuto CONTRO Il Sig. ..., C.F. ..., nato a ... e residente in ..., alla via ... n. ..., rappresentato e difeso dall'Avv. ... ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ...; -attori FATTO Con atto di citazione notificato il ..., il Sig. ..., conveniva in giudizio il Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t., chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti in conseguenza di una trasfusione di sangue infetto effettuatagli in data .../.../.... A tal fine l'attore deduceva che in data .../.../... , recatosi presso l'Ospedale ... di ..., dove era ricoverato per un intervento di ..., gli veniva incidentalmente riscontrata l'epatite C (HCV), contratta in via emotrasfusionale al momento della nascita. In conseguenza di ciò, l'attore sosteneva di aver subito un danno patrimoniale, derivante dalle spese sostenute per le molteplici cure sanitarie richieste dalla malattia in questione, nonché un danno non patrimoniale, derivante dalle ripercussioni negative che la malattia aveva avuto sul proprio benessere. Con il presente atto si costituisce in giudizio il Ministero della Salute, chiedendo il rigetto della domanda per i seguenti motivi di DIRITTO 1) SULLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO La domanda di parte attrice è infondata in fatto e in diritto, in quanto si fonda su una parziale ricostruzione dei fatti, volta coscientemente a precludere l'operatività dell'istituto della compensatio lucri cum damno. La locuzione compensatio lucri cum damno allude al principio giurisprudenziale per il quale il giudice, in sede di quantificazione del risarcimento del danno dovuto dall'autore, deve tenere conto non solo del pregiudizio causato dal fatto illecito (contrattuale o extracontrattuale), bensì anche degli eventuali vantaggi che si sono venuti a creare nel patrimonio del soggetto danneggiato. Tale istituto, quindi, impone al giudice di tener presente che un comportamento di per sé illecito e/o dannoso può innescare, nel caso specifico, anche effetti positivi nella sfera giuridica del danneggiato. La ratio della compensatio lucri cum damno è da rinvenire nella funzione esclusivamente riparatoria del risarcimento del danno: il risarcimento del danno non può rappresentare un'occasione per sanzionare il danneggiante, né per realizzare un arricchimento del danneggiato. Ne consegue che, se il risarcimento del danno soddisfa l'esigenza di tenere indenne il danneggiato dalle perdite subite, cioè l'esigenza di ripristinare il suo patrimonio come se l'illecito non fosse mai stato commesso, per quantificare l'ammontare del risarcimento dovuto si deve operare un conteggio differenziale tra la consistenza patrimoniale prima e dopo il fatto, tenendo in considerazione eventuali vantaggi recati alla vittima. Ciò significa che, in base a un principio di sostanziale equità, il giudice deve “compensare” le perdite con i benefici che il fatto illecito (o l'inadempimento contrattuale) abbiano determinato nella sfera giuridica della parte danneggiata, detraendo i secondi dalle prime. Nel silenzio della legge, la giurisprudenza ha riconosciuto che la compensatio lucri cum damno richiede come primo requisito l'omogeneità dei danni e dei vantaggi, vale a dire “il vantaggio deve essere inerente al bene o all'interesse leso” (Cass. III n. 5650/1996). Si richiede, inoltre, che il danno e il vantaggio da esso detraibile devono, necessariamente, provenire dal medesimo fatto illecito. La giurisprudenza ha affermato che “l'effetto della compensatio lucri cum damno, che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento [o del fatto illecito], quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio” (Cass. S.U. n. 28056/2008; Cass. sez. lav. n. 7685/2016). “Siffatto principio intende evitare che il danneggiante, tenuto al risarcimento del danno, invochi, a suo sgravio, il conseguimento di un vantaggio da parte della vittima, vantaggio che però non trova la sua fonte nello stesso fatto illecito che ha provocato il pregiudizio, bensì derivante da una circostanza diversa e distinta per l'avverarsi della quale la condotta lesiva costituisce una mera condizione e non, invece, la sua causa vera e propria. In un tale contesto, l'effetto vantaggioso procurato alla parte danneggiata non può essere computato in detrazione, in quanto i vantaggi ottenuti “non trovano titolo, bensì solo occasione, nel fatto illecito” (Cass. S.U. n. 5287/2009). Nel caso di specie l'attore omette di rappresentare che, in data .../.../..., presentava la domanda di cui all'art. 1, legge n. 210/1992 diretta al Ministero della Sanità Dir. Gen. Serv. Med. Sociale e volta ad ottenere l'indennizzo, ritenendo di aver subito proprio a seguito di quelle trasfusioni un danno permanente ed irreversibile, in quanto danneggiato da epatite post-trasfusionale. Per tale via, veniva riconosciuto all'istante un indennizzo pari a Euro .... Orbene, alla luce di quanto sopra, di tale somma non si potrà che tener conto in sede di quantificazione del risarcimento del danno, in quanto, diversamente opinando, il risarcimento del danno non assolverebbe a una funzione meramente riparatoria e diventerebbe fonte di un ulteriore lucro per il danneggiato, consentendogli di ottenere un indebito profitto. Né può sostenersi, contrariamente a quanto prospettato da parte attrice, che dal danno risarcibile non possa essere detratto quando già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, ovvero a titolo di assegni, di equo indennizzo o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o all'invalidità, in quanto si tratterebbe di attribuzioni che si fondano su un titolo diverso dal fatto illecito, che non hanno finalità risarcitorie (Cass. III, n. 20548/2014). L'istituto della compensatio lucri cum damno, infatti, non mira a verificare l'esistenza di crediti contrapposti, di tal che rileverebbe l'omogeneità della natura dei crediti e la medesimezza delle finalità da essi perseguiti, ma è volta ad accertare se il danneggiato ha conseguito un vantaggio in conseguenza di un illecito, dovendo di tali utili tenersi conto ai fini della liquidazione del risarcimento del danno (Cass. III, n. 992/2014). Del resto, proprio in un caso non dissimile da quello di specie, le Sezioni Unite della Cassazione, affrontando il tema del rapporto fra l'indennizzo exl. n. 210/1992, dovuto dal Ministero della sanità a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, e il risarcimento del danno subito per contagio da emotrasfusione infetta riconosciuto a seguito di azione di responsabilità contro il Ministero per aver omesso di adottare adeguate misure di emovigilanza, hanno ammesso lo scomputo dell'indennizzo già versato dalla somma liquidata per risarcimento del danno subito dal paziente contagiato (Cass. S.U. n. 584/2008). A parere della Corte, infatti, pur potendosi sostenere la diversa natura dell'indennizzo rispetto alla somma riconosciuta a titolo di risarcimento, non può tacersi la reale funzione dell'istituto della compensatio lucri cum damno, che è quello di evitare la locupletazione del danneggiato. Diversamente opinando, infatti, la vittima verrebbe “…altrimenti a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo”. Pertanto, alla luce di tutto quanto premesso e considerato, ......, rappresentato e difeso come in epigrafe, rassegna le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, richiesta e conclusione: - rigettare la domanda per come formulata dall'attore, in quanto infondata in fatto e in diritto per le ragioni esposte; - in subordine, in caso di accoglimento della domanda, ridurre la quantificazione del risarcimento del danno nella misura richiesta dall'attore, in ragione di quanto da questi già percepito a titolo di indennizzo. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre IVA e CPA come per legge. In via istruttoria, in caso di ammissione di prova testimoniale dedotta da parte attrice, senza alcuna inversione dell'onere della prova, chiede prova contraria sui capitoli formulati da controparte. Indica a tesi i Sig.ri... residenti in ... si allegano: 1. atto di citazione notificato il... 2. copia assegno n....
Luogo e Data... Firma Avv. ... [1] Il contenuto della comparsa di costituzione e di risposta è disciplinato dall'art. 167 c.p.c. Per le indicazioni da effettuare nel corpo della comparsa deve farsi riferimento all'art. 125 c.p.c. Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti". CommentoIl fondamento del principio Non ha convinto il richiamo all'art. 1592, comma 2, c.c., secondo cui il conduttore che non abbia diritto ad indennità per i miglioramenti può, comunque, compensarne il valore con il deterioramento non dovuto a colpa grave, né il riferimento dall'art. 41, comma 1, legge 25 giugno 1865, n. 2359 (ora art. 33 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), in tema di espropriazioni per pubblica utilità, secondo cui «qualora dalla esecuzione dell'opera pubblica derivi un vantaggio speciale ed immediato alla parte del fondo non espropriata, questo vantaggio sarà estimato e detratto dalla indennità quale sarebbe se fosse calcolata a norma dell'articolo precedente». Tali ricostruzioni, per quanto suggestive, non sono sembrate soddisfacenti. perché la compensatio, è riconducibile all'istituto del risarcimento del danno in senso tecnico, diversamente dalle ipotesi sopra viste., che attengono alla liquidazione di un indennizzo e, quindi, alla responsabilità da atto lecito. Qualcuno ha prospettato come fondamento l'art. 2041 c.c. in relazione all'ingiustificato arricchimento. Si è condivisa l'impostazione che ha rinvenuto il fondamento normativo nell'art. 1223 c.c., del quale la compensatio sembra costituire una semplificazione della tecnica liquidatoria. Occorre, infatti, secondo i più, riportare correttamente il problema esclusivamente nell'ambito della quantificazione del danno risarcibile, e cioè, appunto, nel territorio regolato dall'art. 1223 c.c. (per quanto concerne il danno patrimoniale) e dall'art. 2056 c.c. (per quello extracontrattuale), al di fuori di ogni commistione con il rapporto di causalità cd. materiale, quello che intercorre tra fatto e pregiudizio (id est, danno evento). Più propriamente il tema attiene al danno-conseguenza ed al nesso di causalità giuridica che deve intercorrere tra danno evento e danno conseguenza. Il problema della compensatio lucri cum damno ruota intorno ad un elemento cardine: le conseguenze o le ripercussioni patrimoniali di un determinato fatto dannoso, imputabile ad un responsabile, possono essere per lo più tutte negative, ma a volte possono dar luogo anche a ripercussioni o incrementi patrimoniali positivi. Tuttavia, il danno patrimoniale è costituito dal giudizio ipotetico di differenza tra due situazioni, vale a dire tra la situazione patrimoniale attuale e quella che sarebbe stata senza le ripercussioni patrimoniali che il fatto dannoso ha prodotto nel patrimonio del danneggiato. Se così non fosse, verrebbe meno la funzione riequilibratrice o compensativa del risarcimento, perché il danneggiato (recte, la vittima dell'illecito) si troverebbe in una situazione migliore rispetto a quella anteriore al fatto dannoso. Si afferma, in proposito che, ai fini della determinazione del danno da risarcire a seguito di un fatto illecito, occorre operare «un raffronto tra il valore attuale del patrimonio del danneggiato e quello precedente all'illecito». La compensatio e le funzioni del risarcimento del danno. Si è evidenziato che la soluzione dipende anche da che ricostruzione si segue in tema di funzioni del risarcimento del danno. Alla tradizionale concezione del risarcimento del danno come strumento di compensazione pecuniaria del danno si accompagna la convinzione che allo stesso possa affiancarsi anche una funzione punitiva. Di fronte a quelle sentenze che negano funzione sanzionatoria al risarcimento del danno, si collocano altre sentenze che, timidamente, ammettono questa secondaria, eccezionale funzione, come Cass. S.U., n. 9100/2015. Chi accede alla ricostruzione secondo cui la funzione del risarcimento del danno ha natura sanzionatoria applica in senso ampio la compensatio, diversamente da chi accede all'impostazione tradizionale secondo cui il risarcimento del danno ha funzione compensativa del danno patito. I profili processuali Secondo un orientamento, il generale principio della compensatio deve essere inteso come un fatto impeditivo del diritto al risarcimento del danno: l'onere di eccepirlo e provarlo grava sul danneggiante e, in mancanza di tale eccezione o di tale prova, non può darsi luogo a nessuna detrazione di quanto riconosciuto a titolo di mancato guadagno. Diversamente, si trasformerebbe irragionevolmente l'(assenza della) compensatio da fattore impeditivo ad elemento costitutivo della pretesa risarcitoria, facendo, peraltro, gravare sul soggetto che chiede il risarcimento la difficile prova di un fatto negativo. Da questa impostazione deriverebbe che non potrebbe mai essere rilevato d'ufficio, ma dovrebbe essere frutto di un'eccezione (in senso stretto) che il danneggiante dovrebbe sollevare tempestivamente in giudizio. Nel solco di tale impostazione, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 33900 del 4 dicembre 2023 ha affermato che, in tema di liquidazione del danno da fatto illecito, dall'ammontare del risarcimento deve essere detratto l'importo dell'indennità che il danneggiato-assicurato abbia eventualmente riscosso, in forza di polizza assicurativa contro i danni, in conseguenza di quel fatto, in quanto detta indennità è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall'assicurato in conseguenza del verificarsi dell'evento dannoso e soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito; ne consegue che l'eccezione di "compensatio lucri cum damno", essendo finalizzata ad accertare se il danneggiato abbia conseguito un vantaggio in conseguenza dell'illecito e non già a verificare l'esistenza di contrapposti crediti, non ha natura di eccezione in senso stretto e non è soggetta a preclusioni . Di segno diverso è stata la pronuncia del Trib. Bari III, n. 4937/2015, secondo cui l'eccezione di compensatio lucri cum damno costituisce un'eccezione in senso lato, vale a dire non l'adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all'esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato ed è, come tale, rilevabile d'ufficio dal giudice, il quale, per determinare l'esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell'acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio. Il principio è stato di recente ribadito da Sez. 3, Ordinanza n. 24177 del 2020. La questione era stata nel 2016 sottoposta all'attenzione delle Sezioni Unite, ma queste ultime non si erano poi pronunciate sulla stessa, avendo risolto sulla base di una pregiudiziale di rito la controversia. Cass., Sez. III, il 22.6.2017, con le ordinanze interlocutorie nn. 15534 e 1536, aveva nuovamente sollevato la questione, in particolare chiedendo alle Sezioni Unite: A) Ordinanza n. 15534: 1) <<Se nella liquidazione del danno debba tenersi conto del vantaggio che la vittima abbia comunque ottenuto in conseguenza del fatto illecito, ad esempio percependo emolumenti versatigli da assicuratori privati (come nella specie), da assicuratori sociali, da enti di previdenza, ovvero anche da terzi, ma comunque in virtù di atti indipendenti dalla volontà del danneggiante>>. 2) <<Se la cd. "compensatio lucri cum damno" possa operare come regola generale del diritto civile ovvero in relazione soltanto a determinate fattispecie>>. B) Ordinanza n. 15536: 1) <<Se, in tema di risarcimento del danno, ai fini della liquidazione dei danni civili, il giudice debba limitarsi a sottrarre dalla consistenza del patrimonio della vittima anteriore al sinistro quella del suo patrimonio residuato al sinistro stesso, senza far ricorso prima alla liquidazione e poi alla cd. compensatio lucri cum damno (istituto o principio non individuabile nell'ordinamento giuridico); se, di conseguenza, quando l'evento causato dall'illecito costituisce il presupposto per l'attribuzione alla vittima, da parte di soggetti pubblici o privati, di benefici economici il cui risultato diretto o mediato sia attenuare il pregiudizio causato dall'illecito, di questi il giudice debba tenere conto nella stima del danno, escludendone l'esistenza per la parte ristorata dall'intervento del terzo>>. 2) <<Se il risarcimento del danno patrimoniale patito dal coniuge di persona deceduta e consistito nella perdita del sostegno economico offertole dal defunto vada liquidato detraendo dal credito risarcitorio il valore capitalizzato della pensione di reversibilità erogata dall'ente di previdenza al superstite>>. Le pronunce a Sezioni Unite Le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto: 1) Dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo (Cass. S.U., n. 12564/2018). 2) In tema di assicurazione contro i danni, il pregiudizio derivante da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall'assicurato in conseguenza del verificarsi dell'evento dannoso e la stessa soddisfacendo, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito (12565/2018). In proposito, Cass.III, ord. n. 19629/2020 ha ulteriormente precisato che gli importi liquidati a titolo risarcitorio ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica del 27 giugno 1980 non si cumulano ai benefici loro liquidati ai sensi della l. n. 302/1990, ad essi estesi dalla l. n. 340/1995, né assume rilievo il momento, anteriore o successivo al risarcimento del danno, di erogazione di tali provvidenze, poiché si applica comunque la regola della decurtazione dell'indennità dall'ammontare del risarcimento, secondo il principio, appunto, della "compensatio lucri cum damno". 3) Le somme liquidate dall'INAIL in favore del danneggiato da sinistro stradale a titolo di rendita capitalizzata ex art. 28 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, vanno detratte, in base al principio indennitario, dall'importo del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del responsabile onde evitare una duplicazione di risarcimento sia in favore del danneggiato, che a carico dell'assicuratore o del responsabile, atteso che, eseguita la prestazione in favore del danneggiato da parte dell'INAIL ed esercitato dall'assicuratore il diritto di surroga con la comunicazione al terzo responsabile della volontà di surrogarsi nei diritti del danneggiato, quest'ultimo perde la titolarità del credito per la quota corrispondente all'indennizzo assicurativo corrispostogli ed in tale credito succede l'ente surrogatosi (12566/2018). 4) Dall'ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l'assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall'Inps in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall'illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto (12567/2018). In estrema sintesi, due sembrano i cardini su cui si poggia la motivazione delle indicate decisioni: 1) la sollecitazione a compiere la verifica in tema di assorbimento del beneficio nel danno in base a un test eziologico unitario, secondo il medesimo criterio causale prescelto per dire risarcibili le poste dannose, non può spingersi fino al punto di attribuire rilevanza a ogni vantaggio indiretto o mediato, perché ciò condurrebbe ad un'eccessiva dilatazione delle poste imputabili al risarcimento, finendo con il considerare il verificarsi stesso del vantaggio un merito da riconoscere al danneggiante; in quest'ottica, non potrebbero rientrare nel raggio di operatività della compensatio i casi in cui il vantaggio si presenti come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, come avviene nell'ipotesi della nuova prestazione lavorativa da parte del superstite, prima non occupato, in conseguenza della morte del congiunto. 2) occorre altresì accertare se l'ordinamento abbia coordinato le diverse risposte istituzionali, del danno da una parte e del beneficio dall'altra, prevedendo un meccanismo di surroga o di rivalsa, capace di valorizzare l'indifferenza del risarcimento, ma nello stesso tempo di evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l'autore dell'illecito; solo attraverso la predisposizione di quel meccanismo, teso ad assicurare che il danneggiante rimanga esposto all'azione di "recupero" ad opera del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio collaterale, potrebbe aversi detrazione della posta positiva dal risarcimento. La Terza Sezione, solo apparentemente inserendosi nel solco delle menzionate pronunce delle Sezioni Unite, ha affermato che dal danno non patrimoniale liquidato iure proprio ai familiari di un militare deceduto per una patologia tumorale contratta a causa di inquinamento ambientale da uranio impoverito durante una missione internazionale, deve essere detratto l'indennizzo già erogato agli stessi familiari in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di un emolumento “omnicomprensivo”, avente finalità compensativa, posto a carico del medesimo soggetto (Amministrazione statale) obbligato al risarcimento del danno (Cass. III, n. 31007/2018). Cass. III, n. 20909/2018, ha, invece, confermato che, nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno ("compensatio lucri cum damno") solo se sia stato effettivamente versato o, comunque, sia determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il lucrum. Parimenti, Cass. III, ord. n. 32944/2018, ha affermato che, in caso di danno da emotrasfusione, l'ammissione della compensazione dell'indennizzo eventualmente già corrisposto dalla somma liquidata a titolo di risarcimento impone l'allegazione e la prova, di cui è normalmente onerato chi adduce un fatto (parzialmente) estintivo, dell'effettiva corresponsione dell'indennizzo stesso, oltre che della sua esatta entità. La giurisprudenza della S.C. all'indomani delle pronunce a Sezioni Unite Cass. III, n. 31007/2018, ha chiarito che, in caso di morte di un militare in servizio, a seguito di patologia contratta a causa dell'inquinamento ambientale radioattivo da uranio impoverito cui era stato sottoposto durante una missione internazionale, dal risarcimento del danno non patrimoniale liquidato iure proprio ai suoi familiari deve essere detratto, in applicazione del principio della "compensatio lucri cum damno", l'indennizzo già erogato agli stessi familiari in conseguenza del decesso del congiunto, trattandosi di una forma di tutela avente finalità compensativa ed essendo posto a carico del medesimo soggetto (Amministrazione statale) obbligato al risarcimento del danno. Cass. III, n. 20909/2018, ha confermato che, nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno ("compensatio lucri cum damno") solo se sia stato effettivamente versato o, comunque, sia determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il lucrum. Parimenti, Cass., sez. III, ord. n. 32944 del 20 dicembre 2018, ha affermato che, in caso di danno da emotrasfusione, l'ammissione della compensazione dell'indennizzo eventualmente già corrisposto dalla somma liquidata a titolo di risarcimento impone l'allegazione e la prova, di cui è normalmente onerato chi adduce un fatto (parzialmente) estintivo, dell'effettiva corresponsione dell'indennizzo stesso, oltre che della sua esatta entità>>. Sempre in caso di infezione conseguente ad emotrasfusioni o ad utilizzo di emoderivati, opera la “compensatio lucri cum damno” fra l'indennizzo ex l. n. 210/1992 ed il risarcimento del danno anche laddove non sussista apparente coincidenza – nella specie, di carattere solo formale – tra il danneggiante ed il soggetto che eroga la provvidenza – nella specie, rispettivamente, Azienda Sanitaria Locale e Regione Umbria -, allorquando possa comunque escludersi che, per effetto del diffalco, si determini un ingiustificato vantaggio per il responsabile, benché la l. n. 210/1992 non preveda un meccanismo di surroga e rivalsa in favore di chi abbia erogato l'indennizzo (Cass. III, n. 4309/2019). Cass. n. 16808/2023, nel confermare che nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento dei danni, subiti dai congiunti iure hereditatis e iure proprio, conseguenti al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l'indennizzo previsto dall'art. 2, comma 3, della l. n. 210 del 1992, dev'essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo risarcitorio, in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno; inoltre, costituendo la compensatio un'eccezione in senso lato, non è assoggettata a preclusioni essendo rilevabile d'ufficio dal giudice, il quale, per determinarne l'esatta misura, può avvalersi del proprio potere officioso di sollecitazione presso gli uffici competenti. Cass. III, n. 1002/2019, in una fattispecie in tema di linfoma non Hodgkin da uranio impoverito subìto all'esito di una partecipazione ad una missione di natura militare e, quindi, nell'adempimento di un dovere di ufficio, nel quantificare il diritto al risarcimento del danno e nell'analizzare la questione del cumulo con l'indennizzo a titolo di speciale elargizione di cui alla legge n. 244 del 2007, ha riconosciuto la possibilità di compensare le somme versate a titolo di indennizzo con quelle dovute a titolo di risarcimento del danno. La Sezione Lavoro aveva trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sez. U. della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, relativa alla inclusione o meno nella nozione di superstiti delle vittime del dovere, di cui ai commi 562-565 della l. n. 266 del 2005, anche dei fratelli e sorelle non conviventi, né a carico della vittima, al momento del decesso, o piuttosto se tale estensione vada limitata ai superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (Sez. lav., ord. 21 febbraio 2018, n. 4230). Le Sezioni Unite, nel risolvere la questione, che ha indiretti riflessi sulla più ampia tematica della compensatio lucri cum damno, hanno affermato che i superstiti di vittime del dovere sono quelli individuati nell'art. 6 della l. n. 466 del 1980 (Sez. U civili, sentenza n. 22753 del 25 settembre 2018). La Terza Sezione, solo apparentemente inserendosi nel solco delle menzionate pronunce delle Sezioni Unite, ha affermato che dal danno non patrimoniale liquidato iure proprio ai familiari di un militare deceduto per una patologia tumorale contratta a causa di inquinamento ambientale da uranio impoverito durante una missione internazionale, deve essere detratto l'indennizzo già erogato agli stessi familiari in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di un emolumento “omnicomprensivo”, avente finalità compensativa, posto a carico del medesimo soggetto (Amministrazione statale) obbligato al risarcimento del danno (Cass. III n. 31007/2018).Nel delineato contesto, Cass. III, n. 4734/2019, dopo aver ribadito che la pronuncia Cass. n. 12566/2018 ha affrontato il tema della compensabilità della rendita INAIL derivante da infortunio in itinere, chiarendo che «l'importo della rendita per inabilità permanente corrisposta dall'INAIL per infortunio in itinere occorso al lavoratore va detratto dall'ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile dell'illecito», ha ritenuto che è possibile applicare tali principi anche nel caso in cui l'erogazione della prestazione provenga dell'INPS in conseguenza di un sinistro: l'ente previdenziale, quando riconosce un assegno di invalidità in conseguenza di fatto dannoso cagionato da un terzo, ha diritto ad agire in surroga nei confronti del terzo responsabile e del suo assicuratore. La Cassazione ritiene irrilevante che l'INPS abbia o meno esercitato il suo diritto di surrogarsi. Il cumulo per il danneggiato dell'assegno di invalidità con l'intero risarcimento si tradurrebbe per il responsabile ed il suo assicuratore nell'obbligo di duplicare il risarcimento per il medesimo danno. Al danneggiato spetta, invece, il solo danno differenziale (alla cui formula si rinvia), ossia quello non coperto dall'indennizzo. |