Atto di citazione con domanda risarcitoria per danno da concessione abusiva del credito da parte della banca

Giovanna Nozzetti
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

Con l'atto di citazione, un creditore, lamentando di aver subito un danno patrimoniale, consistente nell'irrecuperabilità del credito concesso ad un'impresa mantenuta artificiosamente in vita dal finanziamento abusivamente erogatole dalla banca convenuta, agisce nei confronti di quest'ultima per esserne risarcita

Formula

GIUDICE DI PACE/TRIBUNALE DI ... 1

ATTO DI CITAZIONE

PER

Il Sig. ..., nato a ... il ... (C.F. ...) 2 , n.q. di titolare dell'impresa ... con sede in (C.F/P.I.), elettivamente domiciliato in ..., via ..., n. ..., presso lo studio dell'Avvocato 3 ..., C.F. ... 4 , fax ... 5 , PEC (presso cui dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni e gli avvisi di cui agli artt. 133,134,170 comma 3 e 176 comma 2 c.p.c.) che lo rappresenta e difende in forza di procura alle liti ... 6

FATTO

L'odierno attore, titolare di una ditta venditrice di materiale per l'edilizia, intratteneva rapporti commerciali con l'impresa ... avente ad oggetto l'esecuzione di lavori di ...

Come da accordi contrattuali, l'impresa attrice eseguiva le forniture periodiche concordate presso i cantieri ...: all'inizio di ogni mese il Sig. ..., titolare dell'impresa ..., versava un anticipo sulla cifra totale da pagare in corrispettivo della fornitura ed un saldo finale alla fine di ogni mese dopo aver ricevuta tutta la merce ordinata.Dal ... circa, il Sig. ... , iniziava a non effettuare i pagamenti a fronte della merce consegnatagli.

Preoccupato dall'inadempimento, l'odierno attore fissava un incontro con l'imprenditore, il quale all'appuntamento dichiarava di aver risolto tutte le sue difficoltà economiche grazie ad un mutuo contratto con la banca ... S.p.A.;

In effetti, in data ..., infatti, il Sig. ... n.q. di titolare dell'impresa ... aveva ricevuto dalla banca ... S.p.A. un finanziamento di Euro ..., giusta contratto di mutuo n. ...;

Tuttavia, l'istruttoria del finanziamento non era condotta con diligenza da parte dell'istituto di credito circa il possesso, da parte dell'impresa, dei requisiti di meritevolezza e circa la capacità di restituzione del capitale ricevuto e dei relativi accessori, contravvenendo alle istruzioni dell'Istituto di Vigilanza. In tal modo la banca ingenerava negli operatori commerciali e, in particolare, nell'odierno attore, che con l'impresa ... aveva intrattenuto rapporti economici, un'errata percezione della realtà finanziaria ed economica del soggetto beneficiario del credito.

Quest'ultimo non ha infatti utilizzato il finanziamento ricevuto per onorare i debiti nei confronti dei propri fornitori, bensì per estinguere passività pregresse nei confronti del sistema bancario, e si è reso definitivamente inadempiente sia nei confronti dell'impresa attrice, sia nel pagamento delle rate del mutuo in ammortamento, tanto che la Banca ... spa lo ha dichiarato decaduto dal beneficio del termine e ha proceduto ad escutere le garanzie che assistevano il proprio credito.

L'odierno attore ha subito un evidente pregiudizio patrimoniale, costituito dalla impossibilità di recuperare il corrispettivo delle forniture eseguite nei confronti dell'impresa ... successivamente all'erogazione del mutuo da parte della banca convenuta, pari a complessivi Euro ....

Con lettera raccomandata a/r l'odierno attore chiedeva alla Banca ... il ristoro di tutti i danni subiti dallo stesso;

In data ... è stato esperito con esito negativo il procedimento di negoziazione assistita di cui all'art. 3 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162, come risulta dalla diffida inviata in data ... con raccomandata a/r n. ..., in cui l'attore ha espressamente invitato la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione con le seguenti modalità ... 7 ;

Tale invito non è stato seguito da adesione (oppure) è stato seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione (oppure) è decorso il periodo di tempo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a) del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162, come risulta da ...

Alla luce di quanto esposto, sussiste la responsabilità della banca ... per i danni subiti dall'attore sulla scorta dei seguenti motivi in

DIRITTO 8

Nel caso di specie, la Banca ... S.p.A. non ha effettuato diligentemente i rituali controlli sui requisiti economici dell'impresa ... per poter beneficiare di un mutuo bancario e, per sua colpa, non si è avveduta incredibilmente che il mutuo richiesto non era sostenibile con i ricavi mensili dell'impresa medesima, risultanti a .... Tale condotta è ancor più grave ove si consideri che l'impresa ... era già gravemente esposta con lo stesso istituto di credito per un importo di ..., essendo stata interamente utilizzata l'apertura di credito in c/c come risulta da ...

Tutto ciò ha ingenerato un incolpevole affidamento circa la solvibilità dell'impresa, tant'è che dopo le lettere di diffida del ... e del ..., i rapporti commerciali tra l'odierno attore ed il sig. ... sono proseguiti proprio a seguito della erogazione del suddetto mutuo bancario.

La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere sussistente la responsabilità della Banca per concessione abusiva del credito verso i terzi creditori del soggetto finanziato. Invero, detta responsabilità si fonda sull'aver suscitato nel mercato un'errata percezione della realtà finanziaria ed economica del soggetto beneficiario del credito, con l'effetto di condurre i terzi a contrattare o a continuare a contrattare, con chi già verte in condizioni di difficoltà economica (c.d. responsabilità da danno informativo ex art. 2043 c.c.).

La normativa di settore impone agli istituiti di credito di acquisire diligentemente tutte le necessarie informazioni finalizzate a valutare il merito creditizio dei soggetti finanziati (cfr. in particolare l'art. 124 bis TUB).

In altre parole, la decisione della Banca circa l'erogazione del credito deve basarsi su una completa istruttoria che consenta una valutazione positiva circa la capacità del consumatore di restituire l'importo finanziato, maggiorato degli interessi, in base alle informazioni da quest'ultimo fornite.

Per quanto sopra, il Sig. ..., come sopra rappresentato, difeso e domiciliato, con il presente atto

CITA

 

La Banca ... (C.F. ...), in persona del legale rapp.te p.t. Dott. ... a comparire innanzi il Tribunale ordinario di ...., Sezione e Giudice Istruttore a designarsi ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., all'udienza del….,9 ora di rito, con invito alla parte convenuta a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168-bis,

AVVERTE

la convenuta che:

  • la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.,
  • la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 c.p.c. o da leggi speciali,
  • la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

per ivi sentire accogliere le seguenti:

 

CONCLUSIONI

1)accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2043 c.c. della Banca convenuta per le ragioni tutte di cui al presente atto, per i danni subiti dall'attore quale conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi di diligenza professionale e, in generale, del precetto del neminem ledere;

2)per l'effetto, condannare la Banca ... al risarcimento del danno patrimoniale sofferto dal Sig. ..., che si quantifica in complessivi Euro... ovvero al pagamento della diversa somma che il Tribunale adito dovesse ritenere comunque dovuta ed accertata, se del caso anche a mezzo CTU contabile ovvero, in via di estremo subordine, in via equitativa;

3)condannare, infine, la Banca...S.p.A. alla refusione delle spese e competenze del presente giudizio, oltre accessori nella misura di legge.

Con riserva di formulare le istanze istruttorie nei termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c., che sin d'ora si richiedono.

Si depositano i seguenti documenti in copia:

1)contratto di fornitura merce;

2)invito alla negoziazione assistita del ...;

3)contratto di mutuo n....;

4)lettera di messa in mora del ....

Ai sensi dell'art. 14 d.p.R. 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), si dichiara che il valore del presente procedimento è pari a € .... Pertanto l'importo del contributo unificato è di Euro .... 10

Luogo e data...

Firma Avv....

[1] La competenza per valore spetta al Giudice di Pace ove la somma richiesta sia inferiore ad euro venticinquemila e la relativa domanda si propone con ricorso chiedendo la fissazione, ai sensi dell'art. 281 undecies comma 2 c.p.c., con decreto emesso entro cinque giorni dalla designazione del Giudice, l'udienza di comparizione delle parti, con concessione del termine per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza e assegnazione del termine per la costituzione dei convenuti che dovrà avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza, con avvertimento che la mancata costituzione o la costituzione oltre i termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38,167 e 281 undecies, comma 3 e 4 c.p.c., che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che esso convenuto, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in caso di mancata costituzione si procederà in sua legittima e dichiaranda contumacia . Competente per territorio è il Tribunale o il Giudice di Pace del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora ai sensi dell'art. 18 c.p.c.In alternativa è competente, ai sensi dell'art.20 c.p.c., il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione. Trattandosi di responsabilità per fatto illecito sarà competente il giudice del luogo in cui il danno si è prodotto (forum commissi delicti).

[2] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., nella legge n. 114/2014.

[4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 3.

[5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 3. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata,«Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione (art. 16-bis comma 1-bis d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: 'giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.'.

[7] L'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita è obbligatorio per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro, ai sensi dell'art. 3 del d.l. 12 settembre 2014 n. 132.

[8] Il corpo dell'atto di citazione, normalmente introdotto dalla locuzione 'diritto', contiene l'esposizione della causa petendi, cioè dei fatti costitutivi e delle ragioni di diritto poste alla base della domanda. L'art. 164 c.p.c. prevede tale contenuto a pena di nullità dell'atto.

[9] Ai sensi dell'art. 163 bis c.p.c., novellato dal d.lgs. n.1 49/2022, il termine a comparire deve essere non inferiore a 120 giorni se il convenuto è residente in Italia e non inferiore a 150 giorni se è residente all'estero.

[10] La dichiarazione di valore è prevista dall'art. 14, co. 2, D.P.R. 115/2002 secondo cui 'Il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, senza tener conto degli interessi, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito'. L'art. 13, comma 6 del medesimo decreto stabilisce che 'Se manca la dichiarazione di cui all'articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 1, lettera g)...'; pertanto, si presume che il valore del procedimento sia quello dello scaglione più elevato (i.e. superiore a 520.000,00 Euro) con obbligo di versamento di un contributo unificato più elevato.

Commento

La concessione abusiva del credito: elementi strutturali dell'illecito

La fattispecie della concessione abusiva del credito, quale ipotesi di responsabilità della banca nei confronti dei terzi, si configura quando l'istituto conceda o eroghi credito o mantenga in vita le linee di credito già esistenti pur conoscendo odovendo conoscere le condizioni di insolvenza dell'impresa, in violazione dunque delle regole tecniche e prudenziali proprie della sua professione (si veda Trib. Taranto, 7 marzo 2014), oltre che delle disposizioni degli organi di vigilanza.

La concessione di credito ad un imprenditore privo di reali prospettive di risanamento è un'operazione che contrasta col divieto di continuazione dell'attività dell'impresa in stato di decozione finalizzato ad evitare un ritardo nell'apertura della procedura concorsuale, il conseguente accumulo di perdite e la riduzione del patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori.

L'attività di erogazione del credito è riservata dal T.U.B. ad operatori particolarmente qualificati che siano in grado di rispettare i criteri di cautela e di sana e prudente gestione (art. 5 d.lgs. n. 385/1993), ma anche di assicurare una specifica professionalità durante l'intero corso dell'operazione finanziaria.

In particolare, ai fini della concessione, del mantenimento e dell'ampliamento dei fidi, le banche, secondo il parametro della diligenza del bonus argentarius, tipica cioè dell'imprenditore bancario, connotata da professionalità e da elevata specializzazione della funzione svolta, sono tenute ad acquisire tutte le informazioni idonee a valutare il merito creditizio del soggetto affidato o da affidare (v. art. 124-bis d.lgs. n. 385/1993); fino al 31 dicembre 2006, nello svolgimento dell'istruttoria, gli intermediari bancari, oltre a doversi conformare alle regole generiche di diligenza e di prudenza ai fini della valutazione del rischio del credito, dovevano attenersi alle indicazioni contenute nelle Istruzioni di Vigilanza della Banca d'Italia emanate con la Circolare n. 229 del 21 aprile 1999, integrate con successivi aggiornamenti, le quali, al punto 3.1 (Rischio di credito), prevedevano che l'intero processo riguardante il credito (istruttoria, erogazione, monitoraggio delle posizioni, revisione delle linee di credito, interventi in caso di anomalia) dovesse risultare dal regolamento interno e dovesse essere periodicamente sottoposto a verifica; che, nella fase istruttoria, le banche dovessero acquisire tutta la documentazione necessaria per effettuare un'adeguata valutazione del merito creditizio del prenditore, sotto il profilo patrimoniale e reddituale, e una corretta remunerazione del rischio assunto; che la documentazione acquisita dovesse consentire di valutare la coerenza tra importo, forma tecnica e progetto finanziato e permettere l'individuazione delle caratteristiche e della qualità del prenditore anche alla luce del complesso delle relazioni con lo stesso intrattenute; che nel caso di imprese fossero acquisiti i bilanci e ogni altra informazione utile per valutare la situazione attuale e prospettica dell'azienda; che le banche, per conoscere la situazione degli affidati anche nella fase di monitoraggio, dovessero accedere alle informazioni fornite dalla Centrale dei Rischi e dovessero disporre di una base informativa continuamente aggiornata da cui risultino i dati identificativi della clientela, le connessioni economiche e giuridiche con altri clienti, l'esposizione complessiva del singolo affidato e del gruppo di clienti connessi, le forme tecniche da cui deriva l'esposizione, il valore aggiornato delle garanzie; che, infine, le banche dovessero rilevare i passaggi a debito dei conti non affidati e gli sconfinamenti del credito accordato, contenendo questi rischi negli importi e nella frequenza (pagine 34 e ss. della relazione di c.t.u.).

Con l'entrata in vigore in data 1 gennaio 2007 dell'Accordo di Basilea II (ratificati nel 2004), la valutazione del merito creditizio imposta alle banche è divenuta ancora più stringente in quanto fondata sull'attribuzione del rating al cliente (Trib. Prato, 15 febbraio 2017 n. 152), secondo le Istruzioni adottate dall'Organo di Vigilanza in relazione al nuovo Accordo sul Capitale.

La banca che, svolgendo negligentemente la verifica circa il merito creditizio del soggetto finanziato, abbia concluso un contratto di finanziamento che - secondo i principi di sana e prudente gestione - non avrebbe dovuto stipulare, assicurando una permanenza artificiosa dell'impresa insolvente sul mercato e creando la falsa apparenza di solidità dell'impresa medesima, può incorrere in responsabilità extracontrattuale nei confronti dei terzi che, indotti incolpevolmente in errore in ordine alla solvibilità del soggetto finanziato, abbiano assunto decisioni pregiudizievoli per le proprie posizioni creditorie, astenendosi dal tutelare il proprio credito (mediante l'esercizio di azioni di recupero) nei confronti del soggetto finanziato, ovvero concedendogli nuovo credito.

Per integrare questa particolare ipotesi di illecito aquiliano occorrono dunque: 1) il carattere 'abusivo' dell'erogazione del credito, derivante dalla inosservanza delle regole di valutazione del merito creditizio; 2) una particolare condizione di dissesto finanziario; 3) il l'esistenza di un nesso causale tra il comportamento dell'incauto banchiere e il danno.

In ordine al primo requisito, ossia al criterio di imputazione soggettiva dell'illecito, mentre v'è concordia nel ritenere abusiva la condotta dolosa della banca, finalizzata a conseguire, tramite l'erogazione del credito, indebiti vantaggi differenziali rispetto alla generalità dei creditori, si discute sulla idoneità delle condotte meramente colpose ad integrare l'illecito.

In dottrina (e, anche, presso alcuni giudici di merito Trib. Monza, 14 febbraio 2002), il carattere abusivo della concessione del credito è parso incompatibile con un addebito a titolo di colpa, ravvisandosi l'essenza dell'abuso nella volontarietà dell'azione.

Per la giurisprudenza (Cass. I, n. 13413/2010) è invece irrilevante che la condotta sia dovuta a dolo o ad imperizia, rilevandosi che, diversamente, si perverrebbe al risultato irragionevole di avvantaggiare l'operatore bancario incompetente ed incauto, che andrebbe incontro esclusivamente alla perdita del finanziamento concesso mentre sarebbe al riparo da responsabilità risarcitoria verso i terzi danneggiati dalla propria azione.

A sostegno di questa opinione si osserva che l'interesse tutelato, ossia l'affidamento del terzo sulla solvenza dell'impresa finanziata e la sua libertà di autodeterminazione, è vulnerato identicamente sia dal dolo che dall'errore del finanziatore.

E' certo, tuttavia, che occorre almeno la colpa di quest'ultimo, ossia la negligenza e l'imperizia dell'istituto di credito e che il relativo onere probatorio grava interamente sul danneggiato il quale non beneficia al riguardo di alcuna agevolazione probatoria, conformemente ai principi generali (art. 2697 c.c.).

Detto requisito soggettivo andrebbe, in via presuntiva, escluso, fatta salva l'eventuale prova contraria circa possibili collusioni tra finanziatore e finanziato la ricorrenza di altri elementi sintomatici della mala fede del primo, nel caso in cui l'erogazione del credito sia avvenuta nell'ambito di accordi di ristrutturazione o di concordati, stante la positiva valutazione espressa dal Tribunale e dai creditori sulle modalità di gestione della crisi e sulla ragionevolezza e fattibilità del programma di ristrutturazione aziendale, che costituisce il vero criterio discretivo del finanziamento abusivo da quello corretto.

Quanto alla condizione del soggetto finanziato, si ritiene, in prevalenza, necessaria, ma anche sufficiente, una situazione di crisi irreversibile del debitore, un'insolvenza definitiva ed irrimediabile (Cass. S.U. n. 7029/2006) anche se non ancora conclamata dalla dichiarazione di dissesto o dall'apertura di una procedura concorsuale, che semmai dell'insolvenza costituiscono una conseguenza.

Diversamente ragionando, si sottrarrebbe sistematicamente a responsabilità il finanziatore che si sia relazionato con soggetti non fallibili, pur essendo identico in tutti i casi il danno subito dal creditore ed essendo anzi il pregiudizio del creditore del soggetto non fallibile accentuato dall'impossibilità di giovarsi delle regole, delle procedure e delle azioni di reintegrazione del patrimonio del debitore proprie della materia concorsuale.

Infine, il danno ingiusto per i creditori è quello che deriva dalla lesione della libertà di autotutela del credito, per i creditori anteriori all'abusiva concessione del credito, indotti dall'artificioso 'galleggiamento' del debitore ad astenersi dalla tutela giudiziaria delle proprie ragioni di credito, e, per i creditori successivi all'erogazione del credito, dalla lesione della libertà contrattuale ovvero della libertà di autodeterminazione al contratto.

Per i primi il pregiudizio è sovente ravvisato nella differenza tra quanto gli stessi avrebbero percepito in caso di tempestiva dichiarazione di fallimento e quanto effettivamente ricavato in sede di riparto concorsuale, e dunque dalla diminuita possibilità di soddisfacimento derivante dalla prosecuzione dell'attività e dalla possibile prescrizione delle azioni revocatorie dipendente dal ritardo nell'apertura della procedura concorsuale; per i secondi, il pregiudizio coincide invece con l'ammontaredel credito che non siano riusciti a recuperare, sul presupposto (da provare) che esso non sarebbe neppure sorto in caso di tempestiva apertura del fallimento o comunque in assenza della falsa apparenza di solvibilità del debitore.

Si richiede comunque che costoro siano stati incolpevolmente indotti in errore dall'abusiva concessione del credito (Cass. I, n. 11695/2018) ; situazione questa difficilmente ravvisabile nel caso in cui l'erogazione del finanziamento sia avvenuta nell'ambito di un accordo di ristrutturazione, atteso che la pubblicità di tali accordi e dei piani di risanamento è idonea ad escludere l'apparenza circa la solvibilità dell'impresa.

Il danno per il soggetto finanziato

E' controversa la possibilità di prospettare, in presenza di un'erogazione di credito contraria alle regole del corretto esercizio dell'attività bancaria, un danno per la stessa impresa finanziata.

Il finanziamento è, infatti, percepito comunemente come un fatto che avvantaggia chi lo riceve, in quando, di norma, l'affluenza di liquidità fornisce maggiori disponibilità economiche al sovvenuto, ampliando la gamma delle iniziative che costui potrà avviare.

Per tale ragione, la giurisprudenza (Trib. Monza, 8 febbraio 2011, App. Milano 11/05/2004) tende a negare la dannosità dell'erogazione di nuova finanza sul rilievo che, al più, essa costituisce un fatto neutro per l'impresa e che il depauperamento patrimoniale discende semmai dall'uso improduttivo delle risorse, dalla gestione inefficiente dell'impresa e dall'ulteriore erosione provocata dal costo del finanziamento e della contrazione di nuovi debiti.

In quanto controparte del finanziatore e partecipe del contratto da cui scaturisce l'abusiva erogazione del credito, il finanziato non può addurre di essere stato indotto in errore circa il proprio stato di solvibilità né è ipotizzabile un concorso di cause, rilevante agli effetti di cui all'art. 1227 c.c., in quanto non può parlarsi di concorso quando entrambe le parti del rapporto danno vita, consapevolmente al medesimo illecito (Cass. S.U., n. 7030/2006).

La responsabilità della banca nei confronti del soggetto finanziato sarebbe allora ipotizzabile soltanto in due casi: 1) quando detta condotta abbia concorso nel fatto illecito degli amministratori della società decotta (configurabile pur in assenza di un'effettiva ingerenza nell'utilizzo improduttivo del credito e della sua consapevole compartecipazione al disegno illecito degli amministratori); 2) quando la banca si sia ingerita nella gestione dell'impresa, come amministratore di fatto, o vi abbia influito dall'esterno anche attraverso un 'controllo contrattuale'.

Non mancano tuttavia in dottrina voci di segno contrario, che ravvisano il fatto causativo del pregiudizio all'integrità del patrimonio del soggetto finanziato nella stessa erogazione di un finanziamento palesemente improduttivo perché non suscettibile di impiego utile e programmato e identificano il danno nel consolidamento del debito contratto, nel conseguente depauperamento del patrimonio e nella lesione dell'integrità finanziaria del cliente. L'erogazione di credito ad un'impresa incapace di restituirlo non può considerarsi dunque operazione vantaggiosa dal punto di vista strettamente finanziario, in quanto il valore rappresentato dall'importo finanziato risulta neutralizzato dal corrispondente debito nei confronti del finanziatore.

In tal caso , la responsabilità è a titolo precontrattuale ex art. 1337 c.c., in quanto la banca avrà contrattato senza il rispetto delle prescrizioni speciali e generali che ne presidiano l'agire, dolosamente o colpevolmente disattendendo gli obblighi di prudente ed accorto operatore professionale ed acconsentendo alla concessione di credito in favore di un soggetto destinato, in caso contrario, ad uscire dal mercato; mentre si tratterà, più propriamente, di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., ove sia imputata alla banca la prosecuzione di un finanziamento in corso. In entrambi i casi, vuoi che la condotta abusiva pregiudizievole si esprima nella violazione di obblighi specifici, vuoi che si realizzi nella violazione del generale obbligo di buona fede di cui all'art. 1375 c.c., si tratta di responsabilità da inadempimento di un'obbligazione preesistente.

Nel caso di concessione di credito, si è ritenuto convincente l'inquadramento della responsabilità  nell'ambito della responsabilità di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr., per tale ricostruzione, Cass. 14188/2016, 19775/2018 e, ancor più recentemente, Cass. 18610/2021 ).

La legittimazione del Curatore all'esperimento dell'azione risarcitoria

Con le note sentenze del 28 marzo 2006 (nn. 7029, 7030 e 7031), le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno negato al curatore di società fallita la legittimazione ad agire in rappresentanza del ceto creditorio contro una banca, per il risarcimento del danno conseguente all'abusiva concessione di credito all'impresa decotta, consolidando un indirizzo già espresso dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. I, n. 12368/2001), e poi recepito nelle pronunce successive (Cass. I, n. 13413/2010; Cass. I, n. 11798/2017; Trib. Milano, 25 febbraio 2016).

La legittimazione ad agire del curatore è infatti limitata alle c.d. azioni di massa, ossia a quelle azioni (come le revocatorie o le surrogatorie) finalizzate alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), ed aventi perciò carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo.

L'azione aquiliana, invece, non rientra tra le azioni di massa (che derivano dal fallimento), costituendo strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore al quale, ricorrendone i presupposti, spetta il diritto di essere ristorato del danno subito per essere stato indotto, in ragione del credito concesso dalla banca alla società insolvente, a ritenere che quest'ultima si trovasse in bonis.

Né può ritenersi che l'azione appartenesse già al fallito anteriormente al fallimento, attenendo ad un diritto suscettibile di essere da costui esercitato nei riguardi del finanziatore, in quanto - come sopra osservato - non è neppure astrattamente configurabile un danno causalmente determinato, in via diretta, dall'erogazione del credito e riscontrabile nella corrispondente diminuzione patrimoniale.

Tuttavia, nel caso in cui la banca, con la propria condotta negligente o imperita, abbia concorso nella mala gestio degli amministratori, (si veda anche l'art. 2486 , comma 2 nel testo introdotto dal D. Lgs. 14/2019), ossia nell'impiego improduttivo delle risorse in violazione dei doveri di condotta loro imposti dalla legge (La riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, integrante una causa di scioglimento della società, obbliga gli amministratori a provvedere agli adempimenti di cui agli artt. 2482-ter e 2484 cc. ex art. 2485 c.c.) e ne limita i poteri gestori ai soli atti conservativi dell'integrità e del valore del patrimonio sociale ai sensi dell'art. 2486 c.c., l'inosservanza di tali doveri espone gli amministratori a responsabilità ai sensi dell'art. 2392 c.c.) e dallo statuto, provocando un pregiudizio al patrimonio sociale (i.e. l'aggravamento del dissesto) e una corrispondente diminuzione della massa attiva posta a garanzia dei creditori, il curatore, oltre ad esperire l'azione di responsabilità (art. 2393 c.c.) nei confronti dell'organo amministrativo dell'ente (cfr. da ultimo Cass. I, n. 17441/2016; v. anche Cass. S.U., 9100/2015 che ha espressamente richiamato i principi affermati da Cass. S.U. n. 13533/2001, Cass. n. 15781/2005 e Cass. n. 577/2008 in tema di riparto dell'onere della prova), ai sensi dell'art. 146 l.fall., è altresì legittimato ad agire, ai sensi della medesima disposizione, contro la banca, quale responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita dall'abusivo ricorso al credito da parte del suo amministratore (così Cass. I, n. 13413/2010; Cass. III, n. 5028/2000).

In ragione di tale concorso sorge infatti, in capo alla banca e agli amministratori della società fallita, un'obbligazione risarcitoria solidale, il cui adempimento può essere chiesto, anche per la sua totalità, ad uno soltanto dei coobbligati, non sussistendo tra costoro un'ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. 21514/2019; 13458/2013). Tale principio, affermato dalla Suprema Corte (Cass. I, n. 13413/2010) con riferimento ad una fattispecie peculiare, in cui l'azione civile risarcitoria era stata preceduta dalla condanna in sede penale del funzionario della banca e degli amministratori della società fallita per concorso in bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito (la disposizione dell’art. 218 L.F. è oggi contenuta nell’art. 325 del D. Lgs. 14/2019 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), dovrebbe invece sortire un'eccezione in mancanza di detto preventivo accertamento della responsabilità dell'amministratore, occorrendo in tal caso promuovere l'azione sia (a titolo contrattuale) nei confronti degli amministratori della società fallita sia (a titolo extracontrattuale) nei confronti dell'istituto di credito (ed eventualmente del suo dipendente) con il fine dell'accertamento della responsabilità di ciascuno di essi, per poi farne discendere l'obbligazione risarcitoria solidale della banca ai sensi degli artt. 2049 e 2055 c.c.

La responsabilità della banca finanziatrice verso il ceto creditorio ha natura aquiliana ex art. 2043 c.c.: il curatore non fa valere un danno subìto nella propria sfera individuale dal creditore, quale conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato, ma i danni che abbiano colpito il ceto creditorio per effetto della complessiva riduzione della garanzia patrimoniale.

Né il cumulo in capo alla banca della qualità di debitrice rispetto all’azione risarcitoria/recuperatoria esercitata dal curatore, e della veste di creditrice per la restituzione delle somme finanziate, interessi ed altri importi, è impedito da qualche norma o principio di legge, potendo anzi operare al riguardo, se ne ricorrano gli estremi, l'istituto della compensazione tra i rispettivi crediti, ai sensi degli artt. 1241 ss. c.c. e 56 I. fall. (Cass. sez. I, 18610/2021).

Con la pronuncia da ultimo citata, la Suprema Corte ha richiamato il giudice di merito ad un rigoroso apprezzamento ai fini di valutare se il finanziatore (a parte il caso del dolo) abbia agìto con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell'art. 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l'evento. Tale seconda situazione potrà, ad esempio, verificarsi ove la banca - pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa - abbia operato nell'intento del risanamento aziendale, erogando credito ad impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di razionale permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile.

In questa direzione non può trascurarsi il netto favor del legislatore degli ultimi anni verso il sostegno finanziario dell'impresa, ai fini della risoluzione della crisi attraverso istituti che ne scongiurino il fallimento, favorendo la maggiore soddisfazione dei creditori, istituti ispirati proprio al principio della meritevolezza dell’ausilio creditizio all’impresa in crisi (Cass. 16706/2020). Il finanziamento potrà quindi essere reputato lecito, allorché, pur se concesso in presenza di una situazione di difficoltà economico-finanziaria dell'impresa, sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento.

Sotto il profilo dell'onere della prova, ai fini della configurabilità della responsabilità del soggetto finanziatore l’abusiva concessione di credito, il curatore ha l'onere di dedurre e provare: a) la condotta violativa delle regole che disciplinano l'attività bancaria, caratterizzata da dolo o almeno da colpa, intesa come imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell'art. 43 c.p.; b) il danno - evento, dato dalla prosecuzione dell'attività d'impresa in perdita; c) il danno-conseguenza, rappresentato dall'aumento del dissesto; d) il rapporto di causalità fra tali danni e la condotta tenuta.

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