Atto di citazione per risarcimento del danno patrimoniale futuro del lavoratore autonomo/lavoratore dipendente.

Emanuela Musi
aggiornato da Fernanda Annunziata

Inquadramento

Con l'atto di citazione il danneggiato chiede il ristoro del danno patrimoniale futuro conseguente alla contrazione dei guadagni della propria attività di lavoro autonomo/dipendente provocata dai postumi permanenti residuati ad un sinistro; la distinzione fondamentale tra le due ipotesi (lavoro autonomo – lavoro dipendente) risiede nel diverso criterio di liquidazione adottato dalla giurisprudenza per la quantificazione del danno ed in particolare nel diverso reddito da porre a base del calcolo.

Formula

GIUDICE DI PACE DI .../TRIBUNALE DI .... 1

ATTO DI CITAZIONE 23

PER

il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ..... 4, residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC .... 5.,

CONTRO

Assicurazioni S.p.A., C.F./P.I. ...., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in ...., via ....,

NONCHE'

la Sig.ra ...., nata a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ....

PREMESSO CHE

1) in data ...., alle ore .... circa, nel mentre l'istante si trovava in .... (indicare Città), percorrendo la via .... a bordo del suo ciclomotore, modello ...., targato .... (doc. n. 1), veniva travolto dall'autoveicolo modello ...., targato ...., di proprietà della Sig.ra .... (doc. n. 2) e condotto al momento da ...., che ad alta velocità, perdeva il controllo del mezzo;

2) a seguito del sinistro, il Sig. .... veniva condotto presso il pronto soccorso dell'ospedale ...., ove veniva sottoposto ad un lungo intervento chirurgico, che terminava con l'amputazione di entrambi gli arti superiori (documentazione medica documenti nn. 3);

3) la responsabilità del sinistro è imputabile esclusivamente alla condotta colposa del conducente dell'autoveicolo di proprietà della Sig.ra ...., che non rispettava i limiti di velocità e avendo perso il controllo, investiva il ciclomotore dell'istante;

4) sussiste, pertanto il diritto dell'istante al risarcimento delle seguenti voci di danno, quali conseguenze del suddetto sinistro:

a) danni patrimoniali per la riparazione del motociclo, quantificabili in Euro ...., come da fattura riparazione lavori allegata (doc. n. 4);

b) danni alla integrità psicofisica/danno biologico per le gravissime lesioni subite, quantificabili in Euro ...., come da perizia medica di parte (doc. n. 5);

c) danni da perdita della capacità lavorativa specifica. In particolare, l'istante, al momento del sinistro, svolgeva da diversi anni l'attività di riparatore di attrezzature di ufficio (doc. n. 5).

La perdita di entrambi gli arti superiori, non solo ha impedito allo stesso di percepire reddito per tutto il periodo della malattia e fino alla guarigione, ma ha di fatto determinato l'impossibilità di esercitare per il futuro tanto l'attività di riparatore di attrezzature d'ufficio quanto qualsiasi altra professione;

c1) dalla perizia di parte risulta che i postumi accertati incidono nella misura del 100% sullo svolgimento dell'attività lavorativa dell'attore;

c2) in accordo con le società .... e ...., ove l'istante prestava la sua attività, in data .... sono stati risolti i relativi contratti, per un importo di Euro .... (doc. n. 6);

c3) il Sig. ...., di .... anni, al momento del sinistro percepiva un reddito annuo di euro ...., come da ultime tre dichiarazioni dei redditi allegate (doc. n. 7);

c4) durante la malattia, dalla data del sinistro ...., alla data della guarigione ...., il Sig. ..... non ha percepito alcun reddito; tale perdita può essere quantificabile, secondo la media del periodo risultante dalla documentazione reddittuale allegata (doc. n. 8) e come determinata dal consulente di parte in Euro ...;

c5) alla luce di tali ultimi elementi, il consulente tecnico di parte quantificava il danno da perdita di capacità lavorativa specifica in complessivi Euro ...;

5) il ciclomotore di proprietà del Sig. .... risulta assicurato per la Responsabilità Civile Auto con la compagnia assicurativa ...., con polizza numero ...., mentre l'autoveicolo della convenuta con la compagnia assicurativa ...., con polizza numero .... (doc. nn. 9 e 10);

6) con racc.ta a/r del ...., l'attore formulava formale richiesta di risarcimento danni alla sua compagnia assicurativa, senza tuttavia avere alcun riscontro.

Tutto ciò premesso, il Sig. ...., come sopra,

CITA

Assicurazioni ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ...., e la Sig.ra ...., nata a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., a comparire innanzi:

- all'Ill.mo Tribunale di ...., Giudice istruttore designando ai sensi dell'art. 168 bis c.p.c., all'udienza del ...., ore di rito, con invito ex art. 163 c.p.c. a costituirsi, nelle forme e nei modi di cui all'art. 166 c.p.c., entro 70 giorni prima dell'udienza su indicata, e con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., che la difesa tecnica è obbligatoria in tutti i giudizi dinanzi al Tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 o da leggi speciali e che la parte, sussistendone i presupposti di legge può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio gratuito a spese dello stato e che, non costituendosi, si procederà, ugualmente, in sua contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni:

- accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità del conducente dell'autoveicolo modello ...., targato ...., nella causazione del sinistro stradale per cui è causa e per l'effetto condannare le convenute in solido al risarcimento delle seguenti voci di danno:

a) Euro .... a titolo di danni patrimoniali per la riparazione del motociclo, modello, targato ...;

b) Euro .... a titolo di danno alla integrità psicofisica/danno biologico per le gravissime lesioni subite;

c) Euro .... a titolo di danno da perdita della capacità lavorativa specifica, come da allegata perizia tecnica di parte, ovvero nella diversa somma che il giudice dovesse ritenere.

Tutte le voci di danno, oltre interessi e rivalutazione, come per legge.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

IN VIA ISTRUTTORIA

(indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO)

Si chiede ordinarsi alla convenuta compagnia, ex art. 210 c.p.c., l'esibizione ed il deposito della consulenza tecnica effettuata dal perito di parte.

Si chiede, altresì, che venga disposta apposita C.T.U. (consulenza tecnica d'ufficio) al fine di verificare la compatibilità dei danni riportati dal motociclo, targato ...., con l'investimento e/o per la quantificazione dei relativi danni.

Si chiede, inoltre, di essere ammesso alla prova per testimoni sulle circostanze indicate in premessa/in punto di fatto, dal numero .... al numero ...., preceduti dalla locuzione “Vero è che”, ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che...”)... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) Sig. ...., residente in ......; 2) Sig. ...., residente in ......

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Ai sensi del d.P.R. n. 115/2002 e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro .... e, pertanto, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato pari ad Euro ....

Luogo e data ....

Firma Avv. .....

PROCURA

[1] Il foro stabilito dall'art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell'art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014).

[2] E' obbligatorio il ricorso alla procedura di negoziazione assistita (che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale) nelle ipotesi in cui la somma pretesa non superi l'importo di 50.000 Euro (art. 3 d.l. n. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014) e dovrà essere prodotta la relativa documentazione. Va, in proposito, ricordato che la negoziazione è prescritta, quando si intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 Euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria (in altri termini, la procedura di negoziazione assistita non opera quando è prevista la mediazione obbligatoria). Ebbene, quest'ultima non è prescritta in subiecta materia, se si fa eccezione per il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica. In ogni caso, la negoziazione non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (e, quindi, è sempre e solo volontaria) per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (art. 3 l. n. 162/2014).

[3] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011).

[4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014.

[5] Con il d.lgs. n. 164/2024 viene meno l'obbligo per il difensore di indicare il proprio numero di fax nel corpo degli atti del processo. Nell'art. 125 c.p.c. vengono, infatti, soppresse le parole “Il difensore deve altresì indicare il proprio numero di fax” . L'omissione di tale indicazione era sanzionata dall'art. 13, comma 3-bis, TUSG (DPR 115/2002) con un aumento pari alla metà del contributo unificato. Anche il comma 3-bis dell'art. 13 cit.  è stato oggetto di modifica, essendo state ivi soppresse le parole “il proprio numero di fax ai sensi dell'articolo 125, primo comma, del codice di procedura civile”.

Commento

Nozione e fondamento.

La incapacità lavorativa specifica consiste nella contrazione (attuale o potenziale) dei redditi dell'infortunato determinata dalle lesioni subite, sussistendo quest'ultimo pregiudizio allorquando, dopo la lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva prima del sinistro, ovvero, nel caso in cui non fosse percettore di reddito, non possa più aspirare ad ottenere quel livello reddituale che avrebbe, verosimilmente, raggiunto in assenza della lesione, ovvero, infine, nel caso in cui alleghi e dimostri, con probabilità non trascurabile, che, a causa del sinistro subito, abbia perduto la possibilità di conseguire un risultato favorevole sperato ed impedito dalla condotta illecita subita.

Costituisce principio consolidato quello secondo cui non può farsi discendere in modo automatico dall'invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica. Detto danno patrimoniale deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto – un'attività lavorativa produttiva di reddito, ed inoltre attraverso la prova della mancanza di persistenza, dopo l'infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte.

Con riferimento alla capacità lavorativa specifica, se il danneggiato allega la contrazione reddituale a fronte della riportata invalidità, il CTU medico - legale sarà chiamato ad accertare se i postumi riscontrati siano in nesso causale con la detta perdita ovvero in che misura abbiano inciso sulla relativa riduzione.

Danni risarcibili e mezzi di prova.

I danni risarcibili sono quelli che derivano dalla contrazione della capacità di guadagno causalmente ricollegata alla riduzione/perdita della capacità lavorativa specifica. L'onere della prova del lucro cessante attiene agli indici di valutazione preventiva e non alla effettiva verificazione del danno, che è impossibile da provare (così v. Cass. III, n. 12248/1997). L'incremento del reddito del danneggiato, laddove non risulti dovuto a fattori irrilevanti sul piano della capacità lavorativa specifica, potrà essere preso in considerazione quale prova della mancata incidenza dei postumi invalidanti sul successivo svolgimento dell'attività lavorativa, specie se si tratti di attività di impresa: trattasi in ogni caso di principio che va attagliato al caso concreto. Ad es., dal mancato decremento ovvero dall'incremento del guadagno di un'impresa familiare nella quale un componente in conseguenza di un illecito abbia subito postumi invalidanti, il giudice non potrà desumere automaticamente l'assenza di lucro cessante, atteso che, da un lato, le conseguenze del maggior impiego di energie, necessario per mantenere inalterato il reddito raggiunto precedentemente ben potranno manifestarsi a distanza di tempo e, dall'altro, l'assenza di decremento dei guadagni potrebbe discendere dal maggior impiego di energie lavorative da parte degli altri componenti dell'impresa.

Deve escludersi il risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica per quel soggetto che al momento dell'illecito fosse già invalido al 100%, atteso che questi, non avendo alcuna prospettiva professionale né attuale né futura, non potrà subire alcun danno (v., in particolare, Cass. III, n. 6692/1992).

La circostanza che la vittima di un infortunio abbia, a guarigione avvenuta, mutato lavoro o mansioni non è di per sé sufficiente a ritenere provata la sussistenza di un valido nesso causale tra la conseguente riduzione del reddito ed il danno alla persona, essendo onere del danneggiato allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso, riducendola, sulla capacità di guadagno, potendo soltanto in tal caso la riduzione di reddito effettivamente percepito essere risarcita come lucro cessante (v. Cass. VI, n. 16213/2013;Cass. III, n. 12293/2004, ove la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto del danneggiato al risarcimento dei danni patrimoniali da invalidità permanente, pur essendo stato accertato che lo stesso non aveva subito contrazione del reddito).

Deve ritenersi abbastanza pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, in presenza di lesioni cd. macropermanenti e di prova del pregresso svolgimento di attività lavorativa, possa presumersi iuris tantum l'incidenza dei postumi sulla capacità lavorativa del danneggiato, sebbene in misura non necessariamente proporzionale alla percentuale di invalidità accertata; vi è, invece, contrasto circa la prova da fornirsi da parte del danneggiato in ordine alla sussistenza della contrazione reddituale e del nesso di causalità con l'invalidità accertata (così v. Cass. III, n. 20003/2014,Cass. III, n. 25634/2013).

Nel senso che non occorra necessariamente la produzione delle dichiarazioni reddituali degli anni antecedenti al sinistro v. Cass., n. 20003/2014 (dianzi citata), laddove si evidenzia che anche altra documentazione può consentire di inferire la contrazione reddituale in via presuntiva. Di contrario avviso Cass. III, n. 11361/2014 secondo cui “la presunzione, copre solo l'"an" dell'esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest'ultimo sia diminuito”.

In materia si segnala Cass.III, n. 26641/2023 secondo cui l'invalidità di gravità tale (nella specie, dell'80 per cento) da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di "chance", ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, danno che, ove accertato sulla base delle prove, anche presuntive, offerte dal danneggiato, va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c..

In ordine alla prova del danno, di recente la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che il giudice di merito deve motivare la scelta di preferire la CTU alle altre risultanze istruttorie (cfr. Cass. III, n. 28073/2020: nella fattispecie, la decisione di merito si era basata tutta sulla valutazione del CTU della riduzione della capacità lavorativa specifica senza tener conto del certificato di invalidità civile reso dalla Commissione medica pubblica).

Liquidazione.

Due i possibili criteri di liquidazione: a) criterio del danno in astratto (orientamento, per lungo tempo prevalente, che postula la misurazione in punti percentuali della riduzione della capacità di lavoro, così determinando il grado di incapacità lavorativa specifica e presumendo che il reddito si ridurrà in misura proporzionale; la liquidazione si opera capitalizzando una aliquota del reddito pari alla percentuale di riduzione della capacità lavorativa); b) criterio del danno in concreto (che prende a base di calcolo un “delta algebrico”, ossia la differenza tra il reddito prevedibile in mancanza della lesione e quello concretamente percepibile post – lesione; per la liquidazione in base al detto criterio, v., tra le molte, Cass. III, n. 19357/2007).

Ai fini della liquidazione vanno, poi, tenute distinte l'incapacità temporanea di guadagno e quella permanente: la liquidazione dell'incapacità temporanea di guadagno avviene sommando e rivalutando i redditi perduti al momento della liquidazione, nonché sommando e scontando i redditi non ancora percepiti al momento della liquidazione, ma acquisibili con verosimile certezza; la liquidazione dell'incapacità permanente di guadagno distingue i redditi già perduti, da sommarsi ed attualizzarsi in base all'indice FOI dell'ISTAT, e quelli percipiendi, stabilendo il reddito o la quota di reddito che la vittima verosimilmente perderà ogni anno, determinandone l'ammontare in moneta attuale, moltiplicando poi la quota così determinata per un coefficiente di capitalizzazione che, normalmente, viene rinvenuto nella tabella allegata al r.d. n. 1403/1922 per la costituzione delle rendite vitalizie immediate (coefficienti che si rivelano piuttosto svantaggiosi per le vittime in quanto fondati sulle tavole di sopravvivenza del 1910). In tal caso, in base alla più recente giurisprudenza, il giudice dovrà adeguare il risultato ottenuto ai mutati valori reali dei due fattori posti a base delle tabelle adottate, tenendo cioè conto dell'aumento della vita media e della diminuzione del tasso di interesse legale: sicché, prima ancora di personalizzare il criterio adottato al caso concreto, l'autorità giudiziaria dovrà attualizzare lo stesso, o aggiornando il coefficiente di capitalizzazione tabellare o non riducendo più il coefficiente a causa dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa (tra le altre v. Cass. III, n. 4252/2012, nonché Cass. III, n. 4186/2004).

Sul punto, si segnala l'interferenza di una netta inversione di tendenza, inaugurata di recente dalla Corte di legittimità, secondo cui, in ossequio al principio dell'integralità del risarcimento del danno ex art. 1223 c.c.,  il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica, va liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di riferimento, ricavata da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano (v. Cass. Lav. 7821/2022. Nel caso affrontato dai Giudici di legittimità, il ricorrente,  deduceva la violazione del principio dell'integrale risarcimento per avere il Giudice del gravame applicato il coefficiente di capitalizzazione previsto dal r.d. 1403/1922, piuttosto che parametri di quantificazione più aggiornati, quali ad esempio, quello quelli delle tavole di mortalità attualizzate secondo i parametri ISTAT del 1981. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, richiamando all'uopo i principi di diritti enucleati in altri precedenti di legittimità – cfr. Cass. VI, n. 18093/2020; Cass. III, n. 16913/2019 – evidenziando profili di inadeguatezza nelle tavole di mortalità previste dal r.d. 1403/1922 e, di contro, l'opportunità di ricorrere all'applicazione di diversi criteri, non necessariamente di matrice legislativa).

Qualora il lavoratore perda il proprio lavoro, ma non la possibilità di reimpiegare le residue capacità lavorative, il danno andrà liquidato capitalizzando il reddito perduto in base ad un coefficiente di capitalizzazione temporanea, individuato alla luce del numero degli anni presumibilmente occorrenti per passare ad un nuovo impiego (normalmente, 4 o 5).

Qualora non sia specificamente dimostrabile una riduzione del reddito, ma appaia verosimile che tale riduzione si verificherà secondo una ragionevole e fondata previsione, la liquidazione dovrà seguire un criterio indiziario. In tal caso, il grado di invalidità permanente può costituire un valido elemento, tale che, nel caso di macrolesioni, può presumersi una ripercussione sui redditi da lavoro del danneggiato, che ha l'onere di dimostrare, anche con presunzioni semplici, se e quali redditi avrebbe percepito in assenza del danno; nel caso di microlesioni, la presunzione sarà di segno opposto, conseguendone che graverà sul danneggiato l'onere di provare la contrazione reddituale; nei casi di lesioni di media entità, occorrerà compiere un accertamento, volta per volta, senza il ricorso alle presunzioni per accertare l'esistenza di conseguenze della lesione sul reddito.

Ai fini della liquidazione del danno da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica sono applicabili anche i criteri indicati dall'art. 2057 c.c., in base ai quali quando il danno alla persona ha carattere permanente, la liquidazione può essere fatta sotto forma di rendita vitalizia dal giudice, il quale sarà chiamato a valutare le particolari condizioni del danneggiato e la natura del danno (v. tra le altre Cass. III, n. 24451/2005).

Di recente, la S.C. ha avuto modo di precisare che il reddito della vittima da porre a base del calcolo deve essere equitativamente aumentato rispetto a quello concretamente percepito, quando sia ragionevole ritenere che esso negli anni a venire sarebbe, verosimilmente, cresciuto. La relativa valutazione deve essere compiuta dal giudice di merito in base ad elementi oggettivi che è onere del danneggiato dedurre, ed in mancanza dei quali non è consentita la liquidazione del danno in base al triplo della pensione sociale, a nulla rilevando che il reddito della vittima fosse di per sé di modesta entità (così Cass. VI, n. 8896/2016).

Si veda sul punto anche la recente Cass. III n. 2463/2020, ove si chiarisce che il criterio del triplo della pensione (ora assegno) sociale deve essere applicato non in ogni caso di reddito esiguo, ma quando non sia possibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima: viene, dunque, ribadito il principio già affermato dalla sentenza Cass. n. 8896/2016 (cit.) secondo cui: «il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale quando la vittima al momento del sinistro ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa della vittima, e sia quindi impossibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima». Dunque, a contrario, non può dirsi che questo criterio debba applicarsi indistintamente a tutte le ipotesi di reddito esiguo, ben potendo anche un reddito modesto essere stabile e permanente e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato: spetta al giudice del merito stabilire se, nel caso concreto, il reddito percepito dalla vittima al momento dell'infortunio era saltuario o meno, destinato a crescere o meno, occasionale o meno. Sempre in punto di liquidazione si chiarisce che «qualora la liquidazione del danno da perdita o contrazione del reddito, subite in conseguenza di lesioni sulla persona, intervenga a distanza di tempo dall'illecito, essa va effettuata sommando i redditi già perduti dalla data dell'illecito alla data della liquidazione; ed attualizzando i redditi futuri prevedibilmente conseguibili, sulla base della vita residua futura»: non possono più essere utilizzati i coefficienti di capitalizzazione approvati col r.d. n. 1402/1922, in quanto inidonei a garantire un effettivo e corretto risarcimento del danno, a causa sia della diminuzione dei saggi di interesse che dell'aumento della vita media (in questo senso si vedano le sentenze Cass. n. 30615/2015, Cass. n. 9048/2018 e da ultimo Cass. n. 14891/2019). Il giudice di merito, nella liquidazione, è libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritenga preferibili, a condizione che siano aggiornati e scientificamente corretti (ad esempio, i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti vigenti per la capitalizzazione di rendite assistenziali o previdenziali o i coefficienti elaborati in dottrina, come ad esempio quelli dell'incontro di studio del Csm tenuto a Trevi in data 30 giugno – 1 luglio 1989).

Quale parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno patrimoniale futuro da incapacità lavorativa, anche se patito in conseguenza di errata prestazione sanitaria da soggetto già percettore di reddito da lavoro, può applicarsi, anche in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto dalla vittima, il criterio del triplo della pensione sociale, pure nel caso in cui sia accertato che la vittima, come nell'ipotesi di un libero professionista, prima o immediatamente all'inizio della sua attività, al momento del sinistro, percepiva un reddito così sporadico o modesto da renderla in sostanza equiparabile ad un disoccupato. Questo il principio affermato di recente da Cass. III n. 17690/2020:  la Suprema Corte, nell'accogliere i motivi di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva considerato, nella liquidazione del danno, il fatto che, in epoca immediatamente successiva alla verificazione dell'evento lesivo, la ricorrente aveva conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato. Il principio affermato dalla Suprema Corte si colloca nel solco dell'orientamento giurisprudenziale in base al quale il ricorso al triplo della pensione sociale può essere consentito quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell'infortunio godeva sì un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato (v. in tal senso, da ultimo, Cass. n. 25370/2018). E' stato ulteriormente precisato in giurisprudenza che l'art. 137 cod. ass. non contiene alcuna regola secondo la quale se il reddito della vittima è modesto, il danno si liquida col triplo della pensione sociale. Anche un reddito modesto, infatti, può essere stabile e permanente, e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato. Il corretto principio in iure è un altro: il reddito modesto o saltuario può costituire un fatto noto, dal quale risalire al fatto ignorato che il danneggiato, se fosse rimasto sano, non avrebbe continuato a percepire quel reddito per tutta la vita, ma avrebbe prima o poi beneficiato di un reddito maggiore" (così Cass. civ., n. 8896/2016; v. anche Cass. civ., n. 2463/2020.

Si segnala più di recente Cass.III, n. 19355/2023 secondo cui ove il danneggiato dimostri di avere "perduto" un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che il danneggiato abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione.

Distinzione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente

In caso di lavoro dipendente, il calcolo dovrà tener conto del reddito maggiorato dei redditi esenti, al lordo delle detrazioni e ritenute di legge, più elevato negli ultimi tre anni (la maggiorazione della base di calcolo ha riguardo a componenti, quali gli assegni familiari, esenti dal reddito di imposta); in caso di lavoro autonomo, la base di calcolo coincide con il reddito più elevato tra quelli dichiarati negli anni precedenti. Il reddito da porre a base del calcolo è quello netto: ed invero, la norma dell'art. 4 del d.l. n. 857/1976, come modificata dalla legge di conversione n. 39/1977, attribuisce rilievo, alla stregua della sua testuale formulazione, al reddito da lavoro netto dichiarato dal lavoratore autonomo, avendo riguardo alla base imponibile di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 597/1973, e cioè all'importo che il contribuente è tenuto a dichiarare ai fini dell'imposta sul reddito, dovendo, inoltre, intendersi per reddito dichiarato dal danneggiato quello risultante dalla differenza fra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d'acconto) ed il totale dei costi inerenti all'esercizio professionale - analiticamente specificati o, se consentito dalla legge, forfettariamente conteggiati - senza possibilità di ulteriore decurtazione dell'importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d'imposta sofferte dal professionista (in tal senso espressamente si veda Corte di Cass. III n. 11759/2018).

Sul piano probatorio, le dichiarazioni fiscali costituiscono una presunzione iuris tantum, tale che il danneggiato potrebbe provarne l'infedeltà; in questo caso, la prova dovrà essere sottoposta ad un severo vaglio di attendibilità.

Vale evidenziare che, ove il danneggiato svolga un'attività di lavoro autonomo, la coincidenza dell'inabilità temporanea con il periodo dell'anno normalmente dedicato alle ferie, non consente di escludere la configurabilità del lucro cessante, dovendosi ritenere certo il mancato esercizio di tale attività, quanto meno durante i giorni di inabilità assoluta, con conseguenti presumibili ripercussioni sul reddito, e non assumendo alcun rilievo la circostanza che il medesimo periodo sarebbe stato dedicato alle ferie, in quanto, oltre a potersi presumere che le stesse siano state godute successivamente, deve escludersi che il mancato godimento delle ferie debba giovare al danneggiante.

Va, di poi, escluso il risarcimento del danno da invalidità temporanea in favore del soggetto lavoratore dipendente che durante tale periodo abbia continuato a percepire la retribuzione (v. Cass. III, n. 6616/2000; Cass. III, n. 4475/1993).

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