Ricorso del lavoratore con domanda risarcitoria del c.d. danno differenziale, comprensivo anche del danno morale

Giovanna Nozzetti

Inquadramento

Un lavoratore, già indennizzato dall'INAIL per la malattia professionale contratta a causa dell'omissione, da parte del datore di lavoro, delle cautele antinfortunistiche necessarie in relazione all'attività lavorativa svolta, agisce nei riguardi del datore di lavoro per ottenere il risarcimento del c.d. danno differenziale, comprensivo anche del danno morale.

Formula

TRIBUNALE [1] DI .... [2] SEZIONE LAVORO

RICORSO EX ART. 414 C.P.C. [3]

Per il Sig. .... (C.F. ....) [4] , residente in .... ... alla via .... n. ...., rappresentato e difeso dall'Avv. .... [5] (C.F. ....) [6] , con domicilio eletto in .... alla via .... n. .... presso il suo studio ...., fax .... [7] , PEC: ....@ ...., giusta procura .... [8]

-ricorrente-

CONTRO

la Società ...., C.F. ...., P.I. ...., in persona del legale rappresentante p.t ...., con sede in ....;

-resistente-

PREMESSO  [9]

Il ricorrente Sig. ...., dipendente dell'odierna resistente, svolgeva servizio di lavorazione del cemento armato, utilizzando macchinari estremamente rumorosi.

In seguito allo svolgimento di tale lavoro per alcuni anni, si accorgeva di sentire sempre meno i suoni che lo circondavano, accusando anche difficoltà sempre maggiore nel sentire le parole che gli venivano rivolte; pertanto, in data ..., si recava presso l'ospedale .... di .... per sostenere una visita specialistica, a seguito della quale gli veniva diagnosticato una forma avanzata di ipoacusia, quantificabile nella misura di .... punti percentuali di danno permanente.

Alla luce di ciò, il ricorrente, in data ...., formulava una lettera di richiesta di risarcimento danni alla resistente, nella quale invitava quest'ultima ad indennizzare tutti i danni subiti, quantificandoli il Euro .... .

Ricevuta tale richiesta, la resistente inviava all'INAIL richiesta di risarcire il danno subito dal lavoratore, in quanto beneficiario di una assicurazione per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

A seguito di una verifica con la resistente, l'INAIL, in data ...., corrispondeva al lavoratore, a titolo di indennizzo per la malattia professionale subita, la somma di Euro ...., inferiore a quanto richiesto dal ricorrente, perché pari a soli .... punti percentuali di danno permanente;

Pertanto, il ricorrente, in data ...., con lettera racc. a..r. del .... ricevuta il .... invitava la Società resistente al risarcimento del danno differenziale subito.

MOTIVI  [10]

Si rileva, in via preliminare, che quando un lavoratore subordinato patisca un infortunio sul lavoro, come nella presente fattispecie, l'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro ai sensi dell' art. 10 d.P.R. n. 1124/1965 e dell' art. 13 d.lgs. n. 38/2000. Infatti, come ricordato in fatto, al lavoratore infortunato, beneficiario della assicurazione, l'INAIL ha corrisposto l'indennizzo al posto del datore di lavoro.

Occorre precisare, però, che detto esonero non è integrale quando l'indennizzo corrisposto dall'INAIL al lavoratore non è sufficiente a coprire il danno subito. In tal caso, il dipendente ha diritto anche al risarcimento del danno biologico da parte del datore di lavoro. L'erogazione dell'indennizzo INAIL, infatti, non esclude il risarcimento del cosiddetto danno differenziale, cioè del danno ottenuto dalla differenza tra quanto versato dall'INAIL per l'infortunio o malattia professionale e la maggior somma risarcibile dal datore di lavoro a titolo di responsabilità civile.

Se è vero infatti che il datore di lavoro non è sempre e comunque esposto all'azione risarcitoria del lavoratore per il danno eccedente l'indennizzo astrattamente “liquidabile” atteso che la logica sottesa alla garanzia pubblicistica intende anzitutto assicurare il datore di lavoro dal rischio sociale del verificarsi di sinistri sul lavoro, mettendolo al riparo dalle responsabilità a questi connessi, è altrettanto vero che a queste responsabilità il datore di lavoro non possa e non debba sottrarsi quando la malattia professionale trovi causa nella grave, pervicace e prolungata omissione delle cautele antifortunistiche a presidio della salute, della sicurezza e dell'incolumità del dipendente;

Nel caso in esame, il ricorrente, a causa della gravissima ipoacusia, misconosciuta dal resistente, che ne ha ripetutamente disatteso le legittime richieste di essere adibito ad altre mansioni, è andato incontro ad una grave forma di depressione e ad una sindrome ...., che hanno avuto gravissime ripercussioni sulla vita familiare e sociale del ricorrente.

Non può dunque negarsi al Sig. .... l'integrale risarcimento del danno non patrimoniale sofferto, comprensivo sia del pregiudizio al bene-salute, anche nella sua componente dinamico - relazionale, sia della sofferenza morale, risarcibile, ai sensi dell' art. 2059 c.c., in presenza di una lesione arrecata a diritti della personalità presidiati da tutela di rango costituzionale. La risarcibilità del danno morale non è infatti incompatibile con la natura contrattuale della responsabilità datoriale (Cass. sez. lav., n. 4184/2006).

Detta quota di danno non indennizzata dall'INAIL dev'essere corrisposta dal datore di lavoro.

Per tutto quanto innanzi detto, il Sig. .... come sopra rappresentato, difeso e domiciliato

RICORRE

All' Ill.mo Tribunale di .... [11] , affinché, rigettata ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, previa fissazione dell'udienza [12] per la comparizione delle parti per il libero interrogatorio [13] , procedere nel modo ritenuto opportuno agli atti di istruzione ritenuti indispensabili, Voglia [14] :

accertare l'ipotesi di responsabilità contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell' art. 2087 c.c. per malattia professionale, integrata dalla Società .... nei confronti dell'odierno ricorrente, per aver violato la disposizione che impone l'obbligo di sicurezza, la quale integra ex art. 1374 c.c. il contenuto del contratto individuale di lavoro;

accertare, in via subordinata, l'ipotesi di responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro ai sensi dell' art. 2043 c.c. per malattia professionale, integrata dalla società .... nei confronti dell'odierno ricorrente, per aver violato il generico obbligo di neminem laedere previsto da tale articolo;

condannare la Società .... al risarcimento del danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dal ricorrente a causa del comportamento del resistente, che sin da ora si quantificano in Euro ...., salvo una diversa valutazione da liquidarsi dal Giudice anche con criterio equitativo [15] , ai quali andranno detratte le somme versate dall'INAIL a titolo di indennizzo;

condannare il resistente al pagamento delle spese di lite [16] .

IN VIA ISTRUTTORIA

Senza che ciò significhi inversione dell'onere della prova, in caso di ammissione della prova richiesta da controparte, chiede ammettersi prova contraria con gli stessi testi.

Si allegano i seguenti documenti:

1. contratti di lavoro subordinato a termine del ....

2. contratto di lavoro subordinato a termine del ....

3. Verbale negativo di conciliazione

Il presente procedimento, vertendo sulla materia del lavoro, è esente dal pagamento del contributo unificato.

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA AD LITEM

(se non a margine o su documento informatico separato)

[1] A norma dell' art. 413 c.p.c. «Le controversie previste dall'articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro».

[2] Per quanto riguarda il foro, il secondo comma dell' art. 413 c.p.c., derogando all' art. 18 c.c., dispone che «competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto. Nelle controversie nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell' articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell'articolo 18».

[3] Ai sensi dell' art. 414 c.p.c. la domanda si propone con ricorso.

[4] Ai sensi dell' art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[5] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., nella legge n. 114/2014.

[6] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c..

[7] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. Ai sensi dell' art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[8] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione ( art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione ( art. 16-bis comma 1-bis d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: «giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell' art. 83 comma 3 c.p.c.».

[9] Il ricorso deve tra l'altro contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni ( art. 414 n. 4 c.p.c.)

[10] Ai sensi dell' art. 125 c.p.c. il ricorso deve contenere l'indicazione del tipo di provvedimento richiesto (petitum) nonché l'esposizione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere con il ricorso (causa petendi). La domanda deve contenere, altresì, l'indicazione delle condizioni dell'azione cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora), degli elementi che consentano di individuare la futura (eventuale) domanda di merito (strumentalità).

[11] V. nota 1.

[12] Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa, con decreto, l'udienza di discussione, alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente ( art. 415 c.p.c.).

[13] Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione della lite. La mancata comparizione personale delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione ( art. 420 c.p.c.).

[14] Se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo. Nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti, disponendo, con ordinanza resa nell'udienza, per la loro immediata assunzione. Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima concedendo alle parti ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell'udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive ( art. 420, comma 4 c.p.c.).

[15] L' art. 432 c.p.c. dispone che “quando sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con valutazione equitativa”.

[16] La disciplina delle spese di giudizio segue quella ordinaria prevista dall' art. 91 c.p.c., secondo cui vanno poste a carico della parte soccombente o comunque di quella che ha dato causa alla lite.

[17] Ma v. App. Torino 29 novembre 2004, n. 1639 che ha invece ritenuto di liquidare il danno differenziale nonostante l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato ascritto al datore di lavoro, sul rilievo che l'uso del termine «indennizzo» da parte del d.lgs. n. 38/2000 - che non può certo essere ritenuto equivalente a «risarcimento»- dimostrerebbe la volontà del legislatore di non porre a carico dell'INAIL un vero e proprio obbligo risarcitorio e di lasciare pertanto spazio a una domanda di risarcimento per la parte di danno non compresa nell'indennizzo

Commento

Fondamento della responsabilità del datore di lavoro

La responsabilità del datore di lavoro per infortuni e malattie professionali è correlata alla necessità di dare concreta attuazione ai principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione agli artt. 32 (tutela della salute nei luoghi di lavoro), art. 35 (tutela del lavoro), art. 38 (tutela del lavoratore in caso di infortunio, malattia), art. 41 (l'iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza alla libertà, alla dignità umana).

Nell'ambito del nostro ordinamento già la lontana legge n. 80 del 17 marzo 1898 costituisce la prima normativa nella materia prevedendo una assicurazione obbligatoria a carico del datore di lavoro contro gli infortuni per le industrie più pericolose; il primo Testo Unico di legge per gli infortuni degli operai sul lavoro venne emanato con r.d. n. 51 del 31 gennaio 1904; la legge n. 1765 del 17 agosto 1935 riconfermava ancora la tutela del lavoratore ed i conseguenti obblighi del datore di lavoro, ed infine, il d.P.R. n. 1124/1965 e il d.lgs. n. 38/2000 costituiscono l'attuale normativa speciale di riferimento.

La norma fondamentale in materia è contenuta nell' art. 2087 c.c. e obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità fisica e morale dei lavoratori, rispettando non solo le specifiche norme prescritte dall'ordinamento in relazione al tipo specifico di attività imprenditoriale e lavorativa, ma anche quelle che si rivelino necessarie in base alla particolarità del lavoro, all'esperienza e alla tecnica.

Come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, la norma in argomento non addossa al datore di lavoro (imprenditore o meno) una responsabilità oggettiva, basata su un criterio puramente oggettivo di imputazione per l'evento lesivo collegato al rischio dell'attività svolta nel suo interesse, ma, in coerenza con i principi generali del diritto dei contratti, la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v. ex plurimis, da ultimo, Cass. n. 2038/2013).

In via generale, la disposizione di cui all' art. 2087 c.c., si qualifica alla stregua di norma di chiusura del sistema antinfortunistico ed è «estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, ed impone all'imprenditore l'obbligo di tutelare l'integrità fisiopsichica dei dipendenti con l'adozione - ed il mantenimento perfettamente funzionale - non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell'ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente» ( Cass. sez. lav., n. 14469/2000).

Quanto all'ambito oggettivo di applicazione della norma di tutela, sebbene la formulazione letterale della disposizione si riferisca alla persona dell'imprenditore, l'evoluzione normativa e l'elaborazione giurisprudenziale sottintendono il rilevato contrasto di tale testuale limitazione con i principi fondamentali riguardanti gli assetti naturali del rapporto di lavoro.

L'applicabilità generalizzata dell' art. 2087 c.c. a tutti i rapporti di lavoro discende peraltro dalla portata integratrice della disposizione agli effetti di cui all' art. 1374 c.c. per la quale il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi o gli equità.

Si è anche specificato che l'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori di cui al più volte citato art. 2087 c.c. costituisce una obbligazione ex lege, accessoria e collaterale rispetto a quelle principali proprie del rapporto di lavoro, che trova fondamento, anche, nel dovere di diligenza nell'adempimento ( ex art. 1176 c.c.) nonché nei doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. cui deve ispirarsi, come avviene in tutti i contratti, pure lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass. sez. lav., n. 3291/2016; Cass. sez. lav., n. 4129/2002).

L'obbligo generale di tutela antinfortunistica a carico del datore di lavoro realizza, peraltro, come già detto, la garanzia costituzionale della sicurezza e della salute del lavoratore nei luoghi di lavoro ed è coerente con la portata generale del d.lgs. n. 81/2008 che, ai sensi dell'art. 3, comma 4 si applica «a tutti i lavoratori e lavoratrici» senza alcun altra distinzione o qualificazione e, all'art. 2, definisce, in maniera molto generica ed omnicomprensiva, il datore di lavoro come «il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore» ed il lavoratore come la «persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione». Per quanto riguarda l'individuazione specifica degli obblighi del datore, la stessa norma, riecheggiando l' art. 2087 c.c., definisce la “prevenzione” come il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno.

Il concetto di salute, poi, viene definito come lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità.

Va, tuttavia, precisato che, sebbene sia carico del datore di lavoro, l'onere della prova di avere adottato tutte le misure e le cautele necessarie per prevenire ed evitare i rischi connessi alla attività lavorativa (cfr. ex multisCass. n. 3788/2009; Cass. n. 2159/2008; Cass. n. 9856/2002; Cass. n. 11120/1995; Cass. n. 8401/1995; Cass. n. 3740/1995; Cass. n. 5002/1990), la pur lata ed estesa responsabilità datoriale, come delineata dall'ampio contenuto della norma di riferimento ( art. 2087 c.c.), non può essere dilatata fino a comprendere ogni ipotesi di danno ai dipendenti, pur se in conseguenza di eventi incolpevoli, sostenendosi che, comunque, il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto ( Cass. sez. lav., n. 8855/2013).

In tal modo opinando, si perverrebbe infatti alla abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico che qualsiasi rischio possa essere evitato, pur se esorbitante da ogni umana prevedibilità e vanificante l'adozione delle misure più sofisticate ed all'avanguardia secondo lo sviluppo tecnico attuale.

L'infortunio sul lavoro

L'infortunio sul lavoro è definito dalla legge come l'evento, che avviene per una c.d. causa violenta, in occasione di lavoro, dal quale deriva una lesione o una malattia del corpo che rende necessaria l'astensione dal lavoro per più di tre giorni. Per tutelare i lavoratori vittime di infortunio la legge ha previsto (con il d.P.R. n. 1124/1965) una specifica assicurazione obbligatoria che consente di beneficiare di prestazioni economiche e sanitarie specifiche e di ottenere un indennizzo tanto più pesante quanto più è stato grave l'evento traumatico e quanto più gravi sono le conseguenze che sono derivate.

Perché si possa parlare di infortunio sono quindi necessari i seguenti presupposti:

— un evento traumatico dal quale deriva una lesione alla salute del lavoratore o la sua morte;

— un collegamento tra questo evento e lo svolgimento dell'attività lavorativa;

— una durata dell'inabilità al lavoro di più di tre giorni;

— la c.d. causa violenta

La malattia professionale

L'infortunio sul lavoro deve essere distinto dalla c.d. malattia professionale (detta anche tecnopatia). In entrambi i casi, il lavoratore, in occasione dello svolgimento del lavoro, contrae una malattia del corpo, ma nell'infortunio sul lavoro la causa delle lesioni subite dal lavoratore deve essere una c.d. causa violenta, definita dalla Cassazione come un fattore esterno che, con azione intensa e concentrata nel tempo, arreca un danno o una lesione all'organismo del lavoratore ( Cass. n. 12685/2003). La rapidità nel manifestarsi distingue l'infortunio dalla malattia professionale

Nella malattia professionale, invece, la lesione della salute avviene per una c.d. causa lenta, cioè un fattore di rischio al quale il lavoratore rimane esposto per un lungo periodo di tempo a causa della presenza di lavori, materiali o fattori nocivi nell'ambiente in cui si svolge l'attività lavorativa.

La tutela assicurativa apprestata dall'INAIL per le malattie professionali prevede un sistema misto che comprende malattie tabellate (in quanto tassativamente elencate in una lista) e non tabellate (ovvero non incluse nella lista ma di origine professionale).

Le malattie professionali “tabellate” (All. 4 d.P.R. n. 1124/1965, aggiornato con d.m. 9 aprile 2008) godono di una presunzione legale dell'origine professionale, a condizione che il lavoratore denunci di aver contratto la malattia entro il termine massimo stabilito dalla tabella. L'INAIL può superare tale presunzione provando che il lavoratore è stato addetto soltanto in maniera sporadica o occasionale alla mansione, o che è stato esposto all'agente patogeno in misura non sufficiente a causare la patologia, o, ancora, che la malattia sia riconducibile ad altra causa di origine extralavorativa.

Qualora il lavoratore contragga una malattia prevista in tabella ma la denunci oltre i termini massimi di indennizzabilità, per usufruire della presunzione legale deve dimostrare che la malattia si è manifestata oltre i termini; in mancanza di tale prova, il lavoratore ha l'onere di dimostrare l'origine professionale della malattia (dunque l'esposizione al rischio con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro, al tempo di esposizione).

Opera a favore dell'assicurato, soltanto per le malattie e le lavorazioni tabellate, la presunzione legale di eziologia professionale, che può essere vinta, tuttavia, dalla allegazione e dimostrazione - delle quali è onerato l'istituto previdenziale o il datore di lavoro convenuto in giudizio per il risarcimento del danno c.d. differenziale) - che, nel caso concreto, l'infermità dipende da una causa extra-lavorativa oppure che la lavorazione, alla quale al lavoratore sia stato addetto, non abbia idoneità lesiva sufficiente a cagionare l'infermità (Cass. sez. lav., n. 20510/2015; Cass. sez. lav., n. 8638/2008; Cass. sez. lav., n. 4519/2006).

Per le malattie non incluse in tabella, il lavoratore deve invece dimostrare l'esistenza della malattia, le caratteristiche morbigene della lavorazione e il nesso di causalità tra la malattia e il lavoro concretamente svolto.

Peraltro, l'esistenza del nesso di causalità può ravvisarsi anche in presenza di un elevato grado di probabilità derivante da elementi oggettivi ( Cass. n. 15372/2015), non potendo fondarsi solo sulle indicazioni fornite dal lavoratore ( Cass. n. 5932/2006).

La Suprema Corte ha tuttavia in più occasioni ricordato che «benché l'ordinamento richieda ancora all' art. 3 del d.P.R. n. 1124/1965, anche sul terreno assicurativo INAIL, un vero e proprio stretto nesso di derivazione causale tra la malattia e l'attività lavorativa esercitata dal medesimo lavoratore («a causa e nell'esercizio delle lavorazioni specificate nella tabella») - non è men vero che ai fini dell'operatività della tutela assicurativa per la giurisprudenza anche costituzionale (Corte. cost. n. 206/1974) è comunque sufficiente il rischio ambientale ossia che il lavoratore abbia contratto la malattia di cui si discute in virtù di una noxa comunque presente nell'ambiente di lavoro ovvero in ragione delle lavorazioni eseguite al suo interno, anche se egli non fosse stato specificatamente addetto alle stesse. Fermo restando che il nostro ordinamento in materia di nesso casuale è ispirato al principio di equivalenza delle cause; per cui, al fine di ricostruire il nesso di causa, occorre tener conto di qualsiasi fattore, anche indiretto, remoto o di minore spessore, sul piano eziologico, che abbia concretamente cooperato a creare nel soggetto una situazione tale da favorire comunque l'azione dannosa di altri fattori o ad aggravarne gli effetti, senza che possa riconoscersi rilevanza causale esclusiva soltanto ad uno dei fattori patologici che abbiano operato nella serie causale». Interessante Cass. sez. lav., n. 23653/2016; Cass. sez. lav., n. 3227/2011; Cass. S.U., n. 13025/2006)

Nel caso di concorso di cause extralavorative, la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità. La natura professionale della malattia può essere desunta, con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall'assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia (Cass. n. 3227/2011)

Occasione di lavoro

Per «occasione di lavoro» deve intendersi la riferibilità eziologica diretta od indiretta tra l'attività lavorativa e l'infortunio. Costituisce insegnamento tralaticio della giurisprudenza di legittimità che al fine di integrare l'occasione di lavoro non è sufficiente il mero nesso topografico e cronologico con il lavoro, ma occorre un nesso eziologico con il rischio assicurato (Cass. sez. lav., n. 27829/2009)..

Il lavoro tutelato dal d.P.R. n. 1124/1965 non è soltanto quello reso presso le macchine, essendo la pericolosità data dallo spazio delimitato e dal complesso dei lavoratori in esso operanti, oltre che dalle macchine (in tal senso, Cass. S.U., n. 3476/1994) - cosiddetto «rischio ambientale».

Nella nozione di occasione di lavoro, di cui al d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, rientrano - pertanto - tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite in quest'ultimo caso del rischio elettivo ( Cass. sez. lav., n. 13447/2000).

Deve essere il lavoro a creare, in tutto o almeno in parte, il rischio cui a sua volta consegue l'infortunio. Deve cioè sussistere un nesso causale - anche mediato e indiretto - tra attività lavorativa e sinistro, non essendo sufficiente la sola circostanza che l'infortunio avvenga durante e sul luogo di lavoro ( Cass. n. 15107/2015).

I giudici di legittimità hanno offerto, in effetti, due interpretazioni diverse della nozione di «occasione di lavoro» Un primo orientamento ha dato una lettura restrittiva del requisito di «occasione di lavoro» richiesto, unitamente alla causa violenta, dall' art. 2 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124. Secondo questa giurisprudenza, infatti, ciò che è rilevante per la sussistenza del diritto alla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro è il nesso di causalità tra l'attività lavorativa ed il sinistro subito dal lavoratore; tale nesso presuppone non tanto una mera correlazione cronologica e topografica, o un collegamento marginale, tra prestazione di lavoro ed evento dannoso, ma richiede che questo evento dipenda dal rischio specifico (proprio) insito nello svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro affidato, ovvero dal rischio, pur sempre specifico (ma improprio), insito in attività accessorie, ma immediatamente e necessariamente connesse, o strumentali, allo svolgimento di quelle attività (un questo senso cfr. Cass. sez. lav., n. 15765/2002).

Secondo tale orientamento dunque, perché un infortunio possa essere qualificato come avvenuto in «occasione di lavoro» non è sufficiente che si verifichi durante il lavoro e nel luogo di lavoro, occorrendo che tra l'attività lavorativa ed il sinistro sussista un concreto e preciso nesso di derivazione eziologica, in quanto l'evento deve dipendere dal rischio intrinseco a determinate prestazioni ovvero dal rischio in astratto connesso all'esecuzione della prestazione lavorativa ed al perseguimento delle relative finalità.

Secondo altro orientamento, l'evento verificatosi «in occasione di lavoro» travalica in senso ampliativo i limiti concettuali della «causa di lavoro» afferendo nella sua lata accezione ad ogni fatto comunque ricollegabile al rischio specifico connesso all'attività lavorativa cui il soggetto è preposto; il sinistro indennizzabile ai sensi dell' art. 2 d.P.R. n. 1124/1965 non può essere circoscritto nei limiti dell'evento di esclusiva derivazione eziologica materiale dalla lavorazione specifica espletata dall'assicurato, ma va riferito ad ogni accadimento infortunistico che all'occasione di lavoro sia ascrivibile in concreto, pur se astrattamente possibile in danno di ogni comune soggetto, in quanto configurabile anche al di fuori dell'attività lavorativa tutelata ed afferente ai normali rischi della vita quotidiana privata; pertanto l'evento infortunistico verificatosi in occasione di lavoro non va considerato sotto il profilo della mera oggettività materiale dello stesso, ma, ai fini della sua indennizzabilità, deve essere esaminato in relazione a tutte le circostanze di tempo e di luogo connesse all'attività lavorativa espletata, potendo in siffatto contesto particolare assumere connotati peculiari tali da qualificarlo diversamente dagli accadimenti comuni e farlo rientrare nell'ambito della previsione della normativa di tutela, con l'unico limite della sua ricollegabilità a mere esigenze personali del tutto esulanti dall'ambiente e dalla prestazione di lavoro (c.d. rischio elettivo) (in questo senso cfr. Cass. sez. lav., n. 14287/2004; Cass. sez. lav., n. 14464/2000; Cass. n. 12652/1999; Cass. n. 9801/1998; Cass. n. 3747/1998; Cass. n. 4535/1998; Cass. n. 3885/1999; Cass. n. 13296/1999; Cass. n. 14682/2000).

Secondo questo orientamento, dunque, ai fini della sussistenza della «occasione di lavoro» assume rilevanza ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell'attività lavorativa, sicché il lavoro assume il ruolo di «fattore occasionale» del rischio tutelato ed il «rischio elettivo» quello di limite della copertura assicurativa; in questo contesto l'indennizzabilità dell'infortunio è ricollegata alla presenza non di un rischio generico (di un rischio, cioè, che indipendentemente dalle condizioni in cui versa l'impresa, grava nella stessa misura sul dipendente come su ogni altro soggetto), ma di un rischio specifico, di un rischio, cioè, che per derivare dalle condizioni particolari in cui la prestazione lavorativa viene espletata, finisce per gravare, in misura esclusiva o in misura maggiore rispetto a qualsiasi altra persona, sull'assicurato. Tra i fattori di rischio specifico la giurisprudenza annovera anche le particolari condizioni socio-ambientali in cui la prestazione lavorativa viene espletata.

Il nesso causale è presente quando si verificano determinati tipi di rischio:

— il rischio specifico, proprio della prestazione lavorativa, ossia insito nello svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro affidato, oppure un rischio pur sempre specifico ma improprio, insito nelle attività prodromiche, accessorie ma immediatamente connesse o strumentali allo svolgimento di tali mansioni (ex plurimis: Cass. sez. lav., n. 4723/2005; Cass. sez. lav., n. 180/2005; Cass. sez. lav., n. 4557/1997).

La colpa del lavoratore, anche esclusiva, nella causazione dell'infortunio sul lavoro non esclude la indennizzabilità di quest'ultimo. Il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, anche qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disattenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e imprudenza ( Cass. n. 19494/2009). Tuttavia il comportamento del lavoratore interrompe il nesso causale quando sia caratterizzato da esorbitanza, atipicità ed eccezionalità rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento ( Cass. sez. lav., n. 5920/2004; Cass. sez. lav., n. 7454/2002, Cass. sez. lav., n. 1331/1999, Cass. sez. lav., n. 7636/1996). Nella giurisprudenza di legittimità si parla in questi casi di rischio elettivo, costituente l'unico limite che esclude l'occasione di lavoro ( Cass. n. 3363/2001; Cass. n. 13447/2000; Cass. n. 5419/1999, Cass. n. 3885/1999). Se ne deduce che l'elemento psicologico del lavoratore, anche solo colposo, nella causazione dell'infortunio, quando è particolarmente qualificato per la sua abnorme deviazione dalla corretta esecuzione del lavoro, può comportare un aggravamento del rischio tutelato, talmente esorbitante dalle finalità di tutela da escluderla.

— generico aggravato, quando sussiste la probabilità del verificarsi dell'evento stesso: tale maggiore gravità del rischio deriva dalla stessa attività espletata che costringe il lavoratore ad esporsi maggiormente a determinati fattori di rischio (si pensi ai lavoratori addetti alla manutenzione delle strade, certamente più esposti di altre persone ad essere vittime di incidenti stradali).

— ambientale, che riguarda i soggetti che pur non essendo addetti a lavorazioni pericolose, svolgono in modo costante ma non quotidianamente attività lavorativa in connessione ambientale con la lavorazione protetta; questi lavoratori sono esposti allo stesso rischio cui sono esposti gli addetti alla lavorazione protetta ( Cass. n. 10949/1992).

Differenza con l'infortunio in itinere

L'infortunio in itinere è l'infortunio che il lavoratore subisce nel tragitto che deve necessariamente percorrere per recarsi sul luogo di lavoro. La legge (con il d.lgs. n. 38/2000) ha espressamente previsto che l'infortunio in itinere sia compreso nella copertura assicurativa che viene fornita dalla assicurazione obbligatoria contro gli infortuni (di cui al d.P.R. n. 1124/1965). Si considerano avvenuti in occasione del lavoro e non in itinere gli infortuni occorsi ai lavoratori in missione o in trasferta (in particolare, durante il tragitto dall'abitazione al luogo in cui deve essere svolta la prestazione lavorativa e viceversa o durante il tragitto dall'albergo del luogo in cui la missione o trasferta deve essere svolta al luogo in cui deve essere prestata l'attività lavorativa).

Responsabilità del datore di lavoro e risarcimento del danno differenziale

L'assicurazione INAIL che copre gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile, la quale permane, invece, se vi sia stata condanna penale del datore di lavoro o dei suoi preposti di cui il primo risponde ex art. 2049 c.c. All'infortunato beneficiario della assicurazione l'Ente corrisponde l'indennizzo al posto del datore di lavoro. Se l'indennizzo dell'INAIL non copre l'intero risarcimento civilmente dovuto all'infortunato, il datore di lavoro risultato penalmente responsabile deve risarcire al proprio dipendente quella parte di danno non coperta dalla assicurazione (danno complementare e differenziale).

La regola generale in materia è che dove non c'è copertura previdenziale infortunistica non c'è esonero, perché la regola dell'esonero dalla responsabilità civile opera all'interno e nell'ambito del sistema di tutela infortunistico, così come delimitato nei suoi presupposti soggettivi ed oggettivi ( Corte cost. n. 356/1991). Ne consegue che il datore di lavoro, civilmente responsabile dell'evento lesivo (infortunio o malattia), occorso al lavoratore è innanzitutto tenuto al risarcimento delle voci di danno per le quali non esiste copertura previdenziale pur dopo il d.lgs. n. 38/2000.

Possono, dunque, ritenersi risarcibili dal datore di lavoro le voci di danno che già ab origine non sono indennizzate dall'INAIL (c.d. danno complementare) ovvero:

— il danno biologico da micro permanente al di sotto del 6% in franchigia INAIL ex art 13 d.lgs. n. 38/2000;

— il danno biologico da temporanea, non essendo ristorato dall'INAIL che con il pagamento della inabilità temporanea risarcisce un danno avente natura patrimoniale;

— danno morale o esistenziale;

— danno patrimoniale differenziale costituito dal risarcimento della perdita per la capacità lavorativa specifica nelle ipotesi di lesioni tra il 6 ed il 16% indennizzate dall'INAIL;

— il danno biologico jure proprio invocabile dai superstiti nel caso di eventi mortali.

Trattandosi di voci di danno sottratte alla copertura assicurativa ed alla connessa regola dell'esonero, la colpa del datore di lavoro o delle persone di cui egli deve rispondere può essere provata, a differenza che per la responsabilità penale presupposta dal danno differenziale, con i meccanismi presuntivi di cui agli artt. 2087 e 1218 c.c. propri della responsabilità civile contrattuale.

Per danno differenziale si intende invece il pregiudizio corrispondente alla differenza tra quanto liquidato dall'INAIL a titolo di indennizzo, e quanto dovuto a titolo di risarcimento, che resta, alle condizioni e limiti di cui all'art. 10 del TU 1124 /1965 [17] , a carico del datore di lavoro.

L'indennizzo operato dall'INAIL, per la sua stessa natura indennitaria coerente con la funzione previdenziale cui assolve, non copre necessariamente tutte le voci di danno conseguenti all'evento lesivo, per cui il datore di lavoro (o il terzo, quale responsabile civile del danno) può essere chiamato a risarcire il danno “differenziale” che invece è commisurato all'esatta entità del danno.

Secondo la disciplina dettata dall' art. 10 del d.P.R. n. 1124/1965 e dopo l'emanazione del d.lgs. 38/2000, la copertura assicurativa INAIL è estesa non solo al danno patrimoniale per la perdita della capacità lavorativa generica, ma anche alla avvenuta lesione permanente dell'integrità psicofisica in sè e per sè considerata (cosiddetto danno biologico/danno non patrimoniale).

L' art. 13 del d.lgs. n. 38/2000 prevede l'indennizzo in capitale ed in rendita agganciandolo al grado di menomazione riportato dall'assicurato del danno biologico secondo la definizione che ne offre lo stesso testo normativo.

I danni vengono valutati in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali, successivamente approvata con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del 12 luglio 2000, pubblicato in G.U. del 25 luglio 2000.

L'indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale, dal 16 per cento è erogato in rendita, nella misura indicata nell'apposita tabella

Il confronto tra la nozione di danno biologico contenuta nella disciplina in materia di infortuni sul lavoro e quella elaborata dalla giurisprudenza in ambito civilistico assume rilievo con riferimento alla risarcibilità del danno differenziale in caso di infortunio sul lavoro.

Poiché, ai sensi dell' art. 10 d.P.R. n. 1124/1965, «Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti. Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennita' d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39», dall'l'importo del risarcimento del danno biologico eccedente la soglia del 6% liquida secondo le tabelle utilizzate dai tribunali per la liquidazione equitativa del danno alla salute permanente occorre detrarre l'indennizzo erogato dall'INAIL ovvero la rendita da quest'ultimo costituita secondo i criteri esplicitati nella formula dedicata al «danno differenziale patrimoniale» (in questo testo), cui si rimanda.

A tal proposito, va osservato che la l. n. 145/2018 art. 1, comma 1126 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), entrata in vigore il 1° gennaio 2019, ha introdotto significative modifiche del d.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11 incidendo sui criteri di calcolo del danno cd. Differenziale e, segnatamente, modificando le voci da prendere in esame per determinare il quantum che, secondo il disposto dell'art. 10, comma 6, "ascende a somma maggiore dell'indennità liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto"; correlativamente, è stato modificato il quantum di ciò che l'Istituto può pretendere in via di regresso nei confronti del responsabile civile. Sostanzialmente, la finanziaria del 2019 ha imposto, ai fini del calcolo del danno differenziale, l'adozione di un criterio di scomputo "per sommatoria" o "integrale", anzichè "per poste omogenee", con conseguente diritto di regresso dell'Istituto per "le somme a qualsiasi titolo pagate".

Per la Suprema Corte (Cass. n. 8580/2019), la novella, nel mutare i criteri di calcolo del danno differenziale rendendo indistinte le singole poste (di danno biologico e patrimoniale) oggetto specularmente di risarcimento civilistico e di tutela indennitaria Inail, ha direttamente inciso sul contenuto di danno differenziale, cioè sulle componenti dello stesso, con inevitabili ripercussioni sulla integralità del risarcimento del danno alla persona, principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte Cass. S.U., n. 26972/2008). La sua applicazione nei giudizi in corso determinerebbe, pertanto, il disconoscimento di effetti, riconducibili agli infortuni verificatisi e alle malattie denunciate prima del 1° gennaio 2019, già prodotti dai fatti generatori e si porrebbe, quindi, in violazione del divieto di retroattività di cui all'art. 11 preleggi.

Prova del danno

Il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di allegare il fatto costituente l'inadempimento e di provare il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno; non anche la colpa del datore, nei cui confronti opera la presunzione posta dall' art. 1218 c.c., il cui superamento comporta la prova dell'adozione di tutte le cautele necessarie ad evitare il danno, in relazione alle specificità del caso, ossia al tipo di operazione effettuata ed ai suoi rischi intrinseci, potendo al riguardo non risultare sufficiente la mera osservanza delle misure di protezione individuale imposte dalla legge ( Cass. n. 8855/2013; Cass. n. 16003/2007).

Pur non dovendo dimostrare la colpa dell'altra parte - dato che ai sensi dell' art. 1218 c.c., è il datore di lavoro a dover provare che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile - il danneggiato è tuttavia soggetto all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, deducendo che l'asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell'esercizio dell'impresa, debbono essere adottate per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Gli oneri a carico di ciascuna delle parti devono, comunque, essere diversamente modulati, a seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 c.c., che impone l'osservanza del generico obbligo di sicurezza: nel primo caso, riferibile alle misure di sicurezza cosiddette «nominate», la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell'insussistenza dell'inadempimento e del nesso eziologico tra quest'ultimo e il danno; nel secondo caso, relativo a misure di sicurezza cosiddette «innominate», la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è invece generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza: imponendosi di norma al datore di lavoro l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. n. 15082/2014).

Ed infatti, il principio di colpevolezza deve ritenersi rispettato nella misura in cui l’agente, al momento della condotta, possa seriamente rappresentarsi la rischiosità del suo agire o del suo omettere rispetto a determinati eventi, corrispondenti a quelli poi verificatisi, anche laddove sulla pericolosità della condotta non vi sia, ex ante, pieno consenso della comunità scientifica (per tale ragione, Cass. n. 5813/2019 ha  riconosciuto la responsabilità del Ministero della Difesa in relazione ai danni patiti dai familiari di un militare deceduto in conseguenza della malattia contratta nel corso di una missione internazionale, a causa dell’esposizione a radiazione ionizzanti, evidenziando come tale rischio fosse ragionevolmente prevedibile alla luce delle conoscenze disponibili, tenuto conto del riconosciuto impiego, nelle zone delle operazioni, di armamenti idonei ad esporre le persone a radiazioni ionizzanti).

In particolare, gravano sul datore di lavoro puntuali obblighi di informazione del lavoratore, al fine di evitare il rischio specifico della lavorazione, insuscettibili di essere assolti mediante indicazioni generiche, in quanto in tal modo la misura precauzionale non risulterebbe adottata dal datore di lavoro, ma l'individuazione dei suoi contenuti sarebbe inammissibilmente demandata al lavoratore (Cass. n. 20051/2016).

Egli è totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo «tipico» ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento ( Cass. n. 3786/2009): così integrando il cd. «rischio elettivo», ossia una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (Cass. n. 18786/2014).

Al lavoratore che invochi il ristoro del danno non coperto dall'indennizzo assicurativo compete l'onere di allegare e provare il maggior pregiudizio subito, essendo «danno conseguenza» anche quello che scaturisce dalla violazione di diritti inviolabili, la cui esistenza non può più essere affermata automaticamente.

Anche nell'ipotesi di domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni non patrimoniali derivati jure proprio agli eredi prossimi congiunti exartt. 2043,2087,2059 c.c. e 185 c.p., è necessario allegare la prova del medesimo (es. danno biologico, morale, danno esistenziale) (cfr Cass. sez. lav., n. 24362/2010).

Una volta che il danno sia stato debitamente dedotto e provato, il giudice del merito calcola autonomamente il danno biologico civilistico (artt. 1221,2056 c.c.), generalmente in relazione alla percentuale riconosciuta dal consulente tecnico d'ufficio, senza condizionamenti derivanti della valutazione effettuata dall'istituto a mezzo dei suoi sanitari ai fini del danno infortunistico, stabilendo, quindi, se l'importo liquidato dall'Inail è esaustivo del danno biologico subito dal danneggiato, e riconoscendo, eventualmente, la differenza rispetto all'importo riconosciuto dall'ente previdenziale.

Il giudice civile non è, quindi, vincolato dalla valutazione dell'Istituto relativa al danno biologico, fondata su criteri diversi e su voci di danno che ancorché simili, come per il danno biologico, divergono per quanto concerne i relativi contenuti (specie alla luce delle sentenze delle S.U. del 2008 ( Cass. S.U., n. 26972/2008; Cass. S.U., n. 26973/2008, etc.).

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