L’attenuante della speciale tenuità del danno nei reati fallimentari

28 Novembre 2017

Il presente breve lavoro si propone di descrivere, con un approccio pratico e casistico, la posizione fatta propria dalla Giurisprudenza in ordine all'estensione e alla portata applicativa dell'attenuante della speciale tenuità del danno di cui all'art. 219, comma 3, l.fall..
Premessa

Il presente breve lavoro si propone di descrivere, con un approccio pratico e casistico, la posizione fatta propria dalla Giurisprudenza in ordine all'estensione e alla portata applicativa dell'attenuante della speciale tenuità del danno di cui all'art. 219, comma 3, l.fall..

Bancarotta e speciale tenuità del danno

Ai sensi dell'art. 219, comma 3, l.fall., “nel caso in cui i fatti indicati nel primo comma [e cioè quelli di cui agli artt. 216, 217 e 218 l.fall., n.d.a.] hanno cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità, le pene sono ridotte fino al terzo”.

Si pone quindi il problema di individuare dei confini che distinguano e identifichino in via ermeneutica le ipotesi in cui il danno patrimoniale cagionato dal reato bancarottiero sia da considerarsi di speciale tenuità.

Come si vedrà esaminando brevemente alcuni casi pratici posti all'attenzione della S.C., il concetto di speciale tenuità deve essere declinato diversamente a seconda che si tratti di bancarotta patrimoniale (semplice o fraudolenta) o documentale (semplice o fraudolenta).

Nel primo caso (bancarotta patrimoniale), il danno patrimoniale sarà valutabile più agevolmente, essendo la conseguenza, determinata nella sua quantificazione, della condotta distrattiva; diverso è il caso della bancarotta documentale, in relazione alla quale, in assenza di una condotta distrattiva a cui “agganciare” la quantificazione del danno, la S.C. deve fare ricorso a parametri differenti, che individua nel danno da perdita di chanche subito dai creditori, i quali non hanno avuto la possibilità di esperire le azioni revocatorie o le altre azioni a difesa del credito, con conseguente chanche di ottenere il bene della vita finale, e cioè il soddisfacimento del credito, a causa della distruzione o occultamento delle scritture contabili poste in essere dall'imprenditore poi dichiarato fallito.

Bancarotta documentale

Riguardo all'ipotesi di bancarotta documentale (semplice o fraudolenta), come si è sopra brevemente anticipato, la S.C. afferma che “ai fini della applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non rileva l'ammontare del passivo, ma la differenza che la mancanza dei libri o delle scritture contabili ha determinato nella quota complessiva dell'attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo al momento della consumazione del reato” (Cass. pen. Sez. V, n. 13070 del 2014; Cass. pen., Sez. V, n. 19304 del 2013; Cass. pen., Sez. V, n. 44443 del 2012).

Tale differenza patrimoniale negativa in capo alla massa attiva “deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all'incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatone e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori” (ibid.).

Giurisprudenza consolidata precisa che “il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti” (ibid.).

Si vedrà brevemente nel prosieguo come tali principi vengano applicati dalla S.C. nei casi concreti.

Con pronuncia del 2016 (Cass. pen., Sez. V, n. 20695 del 2016), la S.C. ha cassato sul punto una sentenza della corte territoriale che escludeva l'applicabilità dell'attenuante in questione in un caso di bancarotta semplice documentale (mancata o irregolare tenta delle scritture contabili, p. e p. dall'art. 217, comma 2, l.fall.): il caso posto all'attenzione del Giudicante era il seguente: l'imprenditore imputato aveva omesso di tenere i bilanci e le altre scritture contabili negli ultimi due mesi antecedenti il pignoramento dell'azienda e il successivo fallimento dell'impresa, pur continuando, in tale periodo, a esercitare attività di impresa. Le verifiche compiute avevano appurato che l'attività commerciale svolta e non registrata aveva generato introiti per “oltre Euro 20.000,00”. Da rilevare che, nel caso di specie, non erano addebitate all'agente condotte di bancarotta patrimoniale.

La S.C., confermando l'indirizzo costante secondo il quale l'attenuante in parola “va concessa quando il danno arrecato ai creditori sia particolarmente tenue, o manchi del tutto”, ha censurato l'iter motivazionale della corte territoriale, nel punto in cui, nel negare l'attenuante, si limitava a constatare la “non speciale tenuità” della somma in questione, oggettivamente e in sé considerata; ha rilevato la S.C. sul punto che, nel valutare la sussistenza della speciale tenuità del danno, deve tenersi conto delle “dimensioni dell'impresa”, del suo “movimento degli affari” e “dell'ammontare dell'attivo e del passivo”.

Non esiste quindi, afferma in sostanza la S.C., una somma predeterminata al di sopra o al di sotto della quale possa rispettivamente affermarsi o escludersi il ricorrere dell'attenuante in questione, dovendosi valutare nel caso concreto il grado di incidenza della somma stessa sul complessivo giro d'affari dell'impresa.

Ancora in tema di bancarotta semplice documentale, facendo applicazione dei medesimi principi, la S.C., con sentenza del 2015 (Cass. pen., Sez. V, n. 17351 del 2015), ha confermato la sentenza della C.d.A. che escludeva il ricorrere dell'attenuante della speciale tenuità, considerato l'elevato ammontare dei debiti di cui al passivo fallimentare, consistenti in Euro 4 milioni circa, unitamente ad altri elementi, come le dimensioni e il giro d'affari dell'impresa, i quali complessivamente “consentono di escludere - con ragionevole presunzione - un impatto minimo della bancarotta documentale sui diritti e gli interessi dei creditori”.

In un ulteriore intervento del 2015 (Cass. pen., Sez. V, n. 18143 del 2015), la S.C. fa applicazione dei medesimi principi in tema di bancarotta fraudolenta documentale e censura nel caso concreto la contraddittorietà della sentenza oggetto di scrutinio “laddove, per un verso, nega la configurabilità dell'attenuante e per l'altro invece riconosce come il comportamento dell'imputato non avrebbe causato danno alla massa” e, conseguentemente, annulla la stessa sul punto e rinvia ad altra Sezione della C.d.A. per il nuovo esame

Con sentenza del 2014 (Cass. pen., Sez. V, n. 13070 del 2014), la S.C. annulla con rinvio sul punto la sentenza che erroneamente aveva escluso l'applicabilità dell'attenuante in esame ai casi di bancarotta documentale, “ove risulta difficilmente calcolabile il danno causato all'intero ceto dei creditori”. La S.C. coglie l'occasione per ribadire il consolidato indirizzo secondo il quale l'attenuante in parola è applicabile alla bancarotta documentale e il giudizio di “speciale tenuità” deve essere condotta avendo riguardo all'incidenza che le condotte di occultamento o distruzione hanno avuto sulla possibilità per i creditori di esperire le azioni revocatorie e le altre azioni a tutela dei propri rispettivi crediti.

Bancarotta patrimoniale

In ordine ai più gravi reati di bancarotta patrimoniale, e segnatamente in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, la S.C. è orientata nel ritenere che “il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto di cui all'art. 219, comma 3, l.fall., deve essere posto in relazione alla diminuzione (non percentuale, ma globale) che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti; nè è necessario che l'entità dell'attivo sia interamente e dettagliatamente ricostruita, essendo sufficiente, al fine di escludere la circostanza attenuante di cui all'art. 219, comma 3, l.fall., la distrazione di beni di rilevante entità, idonea di per sè ad incidere, in misura consistente, sul riparto” (Cass. pen., Sez. V, n. 5300 del 2008).

Con un intervento del 2014 (Cass. pen., Sez. V, n. 34505 del 2014), facendo applicazione di tali principi, la S.C., ha confermato la sentenza della corte territoriale che negava la sussistenza della circostanza attenuante in esame in un caso di bancarotta fraudolenta per distrazione riguardante condotte distrattive per oltre Euro 200.000,00, e ciò “a fronte dell'entità degli importi distratti, i quali restano certamente non ‘di speciale tenuità'”.

A differenza di quanto si è visto in tema di bancarotta documentale, la S.C. mostra di attribuire un peso decisivo alla rilevanza della somma in sé e omette di rapportarne l'entità alla dimensione dell'impresa, adottando quindi un'impostazione più rigorosamente oggettivistica e, quindi, più severa.

Tale approccio sostanzialmente oggettivistico in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, ha trovato conferma in altra pronuncia del 2013 (Cass. pen., Sez. V, n. 13285 del 2013), in cui la S.C. ha escluso l'applicabilità della circostanza in esame a fronte di condotte distrattive per Euro 170.000,00 circa, poicè “ictu oculi tali somme non possono considerarsi idonee a qualificare il fatto ascritto come di rilevante tenuità”.

Ancora, in altra pronuncia del 2016 (Cass. pen., Sez. V, n. 2564 del 2016), in relazione a fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che negava l'attenuante in questione sulla base della sola quantificazione delle “distrazioni addebitate all'imputato”, che “superavano gli 11 miliardi di Lire”.

Alle medesime conclusioni giunge altra sentenza del 2003 (Cass. pen., Sez. V, n. 21353 del 2003), in relazione a fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione per un valore di circa Lire 480 milioni.

L'entità della riduzione massima di pena consentita

Come si è visto sopra, l'art. 219, comma 3, l.fall. prevede una riduzione della pena “fino al terzo” nel caso di ricorrenza dell'attenuante in esame.

L'utilizzo, da parte del Legislatore, della locuzione “fino al terzo” ha posto il problema interpretativo circa il quantum della riduzione di pena; ci si è chiesti se la diminuzione possa al massimo ridurre la pena di un terzo (si tratterebbe in questo caso di circostanza attenuante a effetto comune) o se, viceversa, possa ridurla fino a diventare la terza parte di quella prevista dal minimo della cornice edittale (configurandosi in questo caso come circostanza a effetto speciale).

Al riguardo, la Giurisprudenza, con una interpretazione favorevole al reo, afferma che “la previsione di cui alla l. fall., art. 219, comma 3 contempla una circostanza attenuante a cosiddetto effetto speciale […]: essa prevede infatti una diminuzione di pena ‘fino al terzo' e non sino al massimo di un terzo” (Cass. pen., Sez. V, n. 15976 del 2015; cfr., in senso conforme: Cass. pen., Sez. V, ord. n. 10391 del 2005).

Tale interpretazione “valorizza […] la lettera della legge la quale, facendo riferimento ‘al terzo' della pena in concreto individuata, come risultato della applicazione della attenuante, allude non alla entità della pena da sottrarre a quella altrimenti individuata, ma, direttamente, al risultato dello scomputo, cioè alla pena finale, che, dunque, può essere portata, appunto, fino al terzo di sè stessa (cioè fino al terzo di quella individuata prima del calcolo della incidenza della attenuante speciale). A tale conclusione autorizza, appunto, l'uso dell'articolo determinato ‘il' terzo in luogo di quello indeterminato (fino a ‘un' terzo) presente nella locuzione che, invece, è normalmente utilizzata per indicare il massimo della entità della diminuzione della pena - già individuata per il reato - in dipendenza della operatività della attenuante comune: nel senso cioè, quest'ultimo caso, di una percentuale massima (1/3) che va calcolata sulla pena per il reato (v. art. 65 c.p., comma 1, lett. 3)”.

Del resto, già le SS.UU. della S.C. avevano ritenuto, con sentenza del 1990 (Cass. pen., SS.UU., n 6179 del 1990) in riferimento alla fattispecie di cui all'art. 221, l.fall. (secondo il quale “se al fallimento si applica il procedimento sommario le pene previste in questo capo sono ridotte fino al terzo”) che l'impiego, dopo la locuzione propositiva ‘fino a', dell'articolo determinativo ‘il', in luogo di quello indeterminativo ‘un' “è quella che il legislatore presumibilmente usa per indicare il limite ultimo della riduzione apportabile sul minimo della pena edittale” (ibid.).

Pertanto, l'applicazione dell'attenuante in esame potrà dare luogo a una diminuzione particolarmente consistente, potendo diminuire la pena in modo tale da ridurla a un terzo di quella concretamente applicabile prima del computo dell'incidenza della stessa attenuante.

Speciale tenuità e continuazione fallimentare

L'art. 219 l.fall., rubricato: “circostanze aggravanti e circostanza attenuante”, introduce al comma 1 l'istituto della c.d. continuazione fallimentare, e cioè dello speciale regime, favorevole al reo, da applicarsi nei casi in cui vengano posti in essere dall'agente più fatti di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento. La norma in questione prevede che le pene previste per i fatti di cui agli artt. 216, 217 e 218, l.fall. “sono aumentate” […] 1) se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati”.

Pertanto, più fatti bancarottieri commessi nello stesso fallimento, pur costituendo ontologicamente autonomi fatti di reato, saranno sottratti dalla più rigorosa disciplina di cui all'art. 81 c.p. e dovranno essere assoggettati allo speciale regime della norma, che opera tecnicamente quale circostanza aggravante speciale a effetto comune (come da desumersi anche dal tenore letterale della rubrica, che fa riferimento a “circostanze aggravanti”); di conseguenza, l'aumento di pena non potrà superare il terzo della stessa, ai sensi dell'art. 61 c.p.

Ci si è posti in particolare il problema dell'applicabilità della attenuante della speciale tenuità del danno nei casi di continuazione fallimentare.

Al riguardo, la Giurisprudenza più recente offre una soluzione positiva, rilevando come la continuazione fallimentare, operando quale aggravante, è “bilanciabile con eventuali circostanze di segno contrario, ivi compresa” l'attenuante di cui al comma 3 del medesimo art. 219, l.fall.

Infatti, “ben può darsi […] che a fronte di più comportamenti di rilievo penale l. fall., ex art. 216 e segg., ciascuno dei quali produttivo di una modesta lesione del bene giuridico tutelato dalle norme suddette, il giudice ritenga le due circostanze equivalenti, o giunga a considerare prevalente quella favorevole al reo; del resto, il dato empirico della pluralità dei fatti non ha nulla a che vedere con i parametri cui avere riguardo ai fini della concessione dell'attenuante prevista dal citato art. 219, comma 3, fondati solo sulla verifica in concreto del quantum di danno cagionato” (Cass. pen., Sez. V, n. 36816 del 2016; cfr., in senso conforme: Cass. pen., Sez. V, n. 50349 del 2014).

Pertanto, l'attenuante della speciale tenuità potrà essere considerata equivalente, o anche prevalente sull'aggravante della continuazione fallimentare, facendo uso degli ordinari criteri applicativi in tema di concorso tra circostanze.

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