Assenza dalla vita del minore e inadempienza agli obblighi di mantenimento giustificano l'affidamento esclusivo

28 Novembre 2017

Perché possa derogarsi al regime dell'affidamento condiviso, occorre che risulti una manifesta inidoneità educativa di uno dei genitori, tale da rendere l'affidamento potenzialmente pregiudizievole per il minore; la decisione sull'affidamento esclusivo, quindi, dovrà essere il risultato di una motivazione “in positivo”, sulla idoneità del genitore affidatario, e di una motivazione “in negativo”, sull'inidoneità dell'altro.
Massima

Alla regola dell'affidamento condiviso, prevista dall'art. 337-ter c.c. può derogarsi solo ove esso risulti «contrario all'interesse del minore» ai sensi dell'art. 337-quater c.c. (già art. 155-bis, comma 1, c.c.). Non essendo state tipizzate le circostanze ostative all'affidamento condiviso, la loro individuazione è rimessa alla decisione del Giudice, da adottarsi nelle fattispecie concrete con provvedimento motivato. Ipotesi di affidamento esclusivo sono individuabili, pertanto, tutte le volte in cui si manifesti una carenza educativa o inidoneità educativa come ad esempio nei casi in cui il genitore sia indifferente nei confronti del figlio, non contribuisca al mantenimento dello stesso o manifesti un disagio esistenziale incidente sulla relazione affettiva.

Il caso

La ricorrente chiedeva che venisse disposto l'affidamento esclusivo della figlia, nata dalla relazione more uxorio con YYY, in considerazione del comportamento del padre, che dal momento della gravidanza e da quello successivo alla cessazione della relazione affettiva avrebbe manifestato indifferenza nei confronti della minore, non contribuendo alle di lei necessità economiche e non fornendo alcun supporto morale alla ricorrente nell'accudimento della figlia.

Si costituiva YYY contestando quanto rappresentato dalla controparte e affermando di non aver avuto la possibilità di frequentare la figlia a causa delle condotte ostative della madre. YYY rappresentava di avere provveduto alle necessità della figlia corrispondendo euro 200 mensili quando era occupato ma di avere interrotto tale contribuzione a seguito del rifiuto della ricorrente di permettere le frequentazioni con la minore e di avere quindi cominciato, da tale momento, a versare gli importi su un libretto postale da destinare alle necessità della bambina. YYY chiedeva, quindi, che il Tribunale disponesse l'affidamento condiviso della figlia, con collocamento presso la casa materna e disciplina delle frequentazioni padre-figlia inizialmente alla presenza della madre ovvero di addetti al servizio sociale, successivamente con modalità libere e chiedendo che venisse attivato un percorso di sostegno alla genitorialità.

La questione

La questione in esame è la seguente: in quali casi è possibile derogare alla regola dell'affidamento condiviso e cosa significa che il provvedimento con cui viene disposto l'affidamento esclusivo deve essere sorretto da una motivazione “in negativo”?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza ha sempre posto l'accento sul cambio di prospettiva che la riforma sull'affidamento del 2006 ha avviato. Le regole basate sull'affidamento monogenitoriale avevano costituito, dal 1975 sino alla l. n. 54/2006, il quadro normativo di riferimento sia della dottrina che della giurisprudenza. La riforma, dando attuazione ai principi sanciti dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (l. 27 maggio 1991, n. 176) e della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (l. 20 marzo 2003, n. 77), ha rivoluzionato il precedente regime codicistico, introducendo l'affidamento condiviso come regola ordinaria nel caso di separazione dei coniugi e di divorzio e riducendo i casi di affido esclusivo alle ipotesi in cui ciò sia nell'interesse del minore (attuale art. 337-quater c.c.). Tale rivoluzione ha visto il suo compimento con la riforma sulla filiazione (l. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013), che ha esteso la disciplina dell'affido condiviso a tutti i figli a prescindere dalla nascita all'interno o fuori dal matrimonio.

Il Collegio, quindi, nel caso in esame, conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità e da alcuni Tribunali di merito (cfr. Cass. civ., sez I, 3 gennaio 2017, n. 27; Trib. Catania, sez. I, 20 maggio 2016; Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015, n. 9632; Trib. Salerno, sez. I, 31 ottobre 2014, n. 5138; Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2012, n. 24562; Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2012, n. 9632), ha ritenuto di dover fare applicazione del principio secondo il quale, perché possa derogarsi al regime dell'affidamento condiviso, occorre che risulti nei confronti di uno dei due genitori una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o, comunque, tale da rendere quell'affidamento in concreto pregiudizievole per il minore, per cui la decisione sull'affidamento esclusivo dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo “in positivo” sulla idoneità del genitore affidatario ma anche “in negativo” sulla inidoneità educativa del genitore.

Facendo applicazione del suddetto criterio il Collegio ha ritenuto essere emersi nel corso del procedimento profili di inidoneità genitoriale nei confronti del padre, il quale anche successivamente alla emanazione del provvedimento provvisorio, che consentiva frequentazioni con la minore, non ha attivato alcuna richiesta per frequentare la figlia ed è risultato essere totalmente inadempiente ai propri obblighi di mantenimento. Tali mancanze, secondo il Collegio, rientrano in quei comportamenti che legittimano l'affidamento esclusivo della minore alla madre (cfr. Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2011, n. 20075; Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2009, n. 26587; Trib. Milano, sez. IX, 10 febbraio 2010; Trib. Novara, 11 febbraio 2010; Trib. Trento, 6 ottobre 2010).

Anche nella giurisprudenza di merito si è affermato il principio che l'omissione del mantenimento possa essere motivo di affidamento esclusivo (cfr. Trib. Bologna, sez. I, 13 maggio 2014; Trib. Roma, sez. I, 25 novembre 2013; Trib. Milano, sez. IX, 2 febbraio 2010), così come il mancato esercizio del diritto di visita (cfr. Trib. Vicenza, 2 aprile 2013).

Il Collegio ha quindi affrontato l'ulteriore profilo della natura dell'obbligazione di mantenimento gravante sui genitori, evidenziandone la specificità, in quanto nascente per il solo fatto di averli generati. Diretta conseguenza di tale principio è il riconoscimento dell'obbligo di mantenimento anche a carico del genitore disoccupato, rilevando la sola capacità lavorativa generica, principio costantemente ribadito dalle corti di merito. Già nel 2013 anche la Cassazione (Cass. n. 24424/2013) si era espressa in tal senso, stabilendo che lo stato di disoccupazione del genitore obbligato alla corresponsione dell'assegno per i figli non è di per sé elemento sufficiente per ottenere l'esonero dal citato obbligo. È ancora più severamente aveva concluso con sentenza del 2012 (Cass. n. 41040/2012), nella quale aveva precisato che neppure lo stato di disoccupazione incolpevole esonera dall'obbligo di mantenimento. L'interessato, pertanto, ha evidenziato il Collegio, non può limitarsi ad affermare la generica impossibilità di adempiere l'obbligazione ma deve allegare gli elementi, dai quali possa desumersi tale impossibilità. Sul punto è intervenuta una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. IV, 24 agosto 2017, n. 39411), con la quale si è affermato che il genitore separato o divorziato è tenuto a versare l'assegno di mantenimento per i figli a meno che non provi davanti al Giudice di essersi attivato per cercare lavoro ma di non essere riuscito in alcun modo a recuperare il denaro necessario e, al contempo, di non avere altri redditi.

Osservazioni

Per poter derogare al regime ordinario dell'affidamento condiviso il Tribunale deve compiere un'indagine che abbia ad oggetto non soltanto la idoneità del coniuge affidatario ma anche la inidoneità educativa dell'altro genitore. Il Giudice deve compiere un giudizio prognostico sulle capacità del singolo genitore di cura del figlio, da compiersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno in passato ha svolto il proprio compito, alla personalità di ciascun genitore, alla propria disponibilità, nonché alle consuetudini di vita e all'ambiente che è in grado di offrire. Non avendo il legislatore tipizzato delle ipotesi, è il Giudice che nel caso concreto deve individuare quando l'affidamento condiviso pregiudichi l'interesse del minore, anche indipendentemente dalla volontà delle parti ed anche da un eventuale loro accordo (cfr. Trib. Varese, 21 gennaio 2013; Trib. Bari, sez. I, 10 ottobre 2008; Cass. civ., sez. I, 17 settembre 1992, n. 10659).

È evidente, quindi, che trattandosi di decisioni che riguardano il merito della causa, si pone il problema della sindacabilità della motivazione. Per tale ragione, deve ritenersi che la motivazione non corretta si traduca, in tal caso, in una violazione di legge (cioè delle norme che regolano l'affidamento) censurabile anche con ricorso in Cassazione. Del resto, l'obbligo della motivazione è richiamato dall' art. 337-quater c.c., il quale prescrive espressamente in materia di affidamento l'adozione di un «provvedimento motivato».

Se, quindi, al Giudice è richiesto un provvedimento motivato, anche alla parte, che chieda l'affidamento esclusivo in ragione del carattere pregiudizievole dell'affidamento condiviso, è richiesta un'idonea motivazione della domanda, stante il disposto dell'art. 337-quater, comma 2, c.c.. La domanda che risulti, infatti, manifestamente infondata, oltre ad essere causa di condanna da parte del Giudice ai sensi dell'art. 96 c.p.c, può essere causa di adozione da parte dello stesso di provvedimenti nell'interesse dei figli. È del tutto evidente quale sia la volontà del legislatore, e cioè di scoraggiare azioni pretestuose, che abbiano come unico scopo di derogare all'ordinario regime dell'affidamento condiviso, nei casi di alta conflittualità tra i genitori e di incapacità di questi di collaborare nell'interesse dei minori.

È opportuno precisare che all'affidamento esclusivo si accompagna anche l'esclusivo esercizio della responsabilità genitoriale. Qualche dubbio poteva sorgere in virtù del precedente art. 155 c.c., il quale prevedeva sia nel caso di affidamento condiviso che nel caso di affidamento esclusivo che la potestà fosse esercitata da entrambi i genitori. La nuova formulazione dell'art. 337-quater c.c. sembra fugare ogni dubbio, laddove stabilisce che il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del Giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi. Il genitore affidatario esclusivo deve attenersi alle (eventuali) condizioni determinate dal Giudice mentre l'altro genitore mantiene il potere di ricorrere al Tribunale, qualora ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al figlio.

Dall'esame della giurisprudenza sia di merito che di legittimità è emerso con chiarezza che il disinteresse del genitore, estrinsecantesi nell'omesso esercizio del proprio diritto di visita o nella mancata corresponsione del contributo al mantenimento dei figli giustifichi l'affidamento esclusivo.

Quanto all'omesso contributo al mantenimento, sia la Cassazione che i Tribunali di merito non hanno ritenuto giustificabile neppure il genitore disoccupato, ritenendo rilevante la sola capacità lavorativa generica. La mancata corresponsione del contributo al mantenimento potrebbe essere giustificata da una temporanea perdita del lavoro o, comunque, da condizioni di salute tali da rendere difficile lo svolgimento di una attività lavorativa, o da situazioni che non permettano di reperire in alcun altro modo le necessarie risorse economiche. In questi casi, è onere dell'obbligato al mantenimento allegare gli elementi dai quali possa desumersi l'impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, non potendo essere mai sufficiente la generica indicazione dello stato di disoccupazione.

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