La rinuncia agli atti ex art. 629 c.p.c. come obbligo del creditore conseguente al pagamento del debito

28 Novembre 2017

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte si è occupata della rinuncia agli atti ex art. 629 c.p.c. nel momento in cui il creditore riceve il pagamento del debito.
Massima

Per liberare l'immobile dagli effetti pregiudizievoli del pignoramento, il creditore che è stato soddisfatto deve rinunciare agli atti esecutivi senza necessità di alcuna sollecitazione da parte del debitore ed entro un termine ragionevolmente contenuto, avuto riguardo allo stato della procedura pendente e ad eventuali motivi di urgenza a lui noti, sempre che l'esecutato non esiga espressamente un immediato deposito dell'atto di rinunzia.

Il caso

Il debitore conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Catania l'istituto di credito, affermando che il proprio immobile era stato sottoposto ad esecuzione forzata dal creditore ipotecario che aveva rinunciato all'espropriazione solo in data 6 marzo 2006 e provveduto alla cancellazione dell'ipoteca il 9 marzo 2006. Ciò nonostante l'integrale pagamento del debito risalisse al 7 ottobre 2005 e la diffida alla cancellazione del pignoramento e dell'ipoteca (stando alla sentenza impugnata) al 19 dicembre 2005 (nel ricorso si indica invece la diversa data del 7 dicembre 2005).

Dall'inerzia del creditore sarebbero derivati notevoli danni al debitore. Questi non aveva potuto cedere l'immobile, promesso in vendita come libero da gravami pregiudizievoli con atto del 15 dicembre 2005 con termine essenziale per la stipula del definitivo al 17 dicembre 2005, subendo il recesso del promissario acquirente (risalente al 13 dicembre 2005) e la perdita del doppio della caparra. E così solo nel giugno del 2006 era stata possibile la vendita del bene, ma ad un prezzo inferiore rispetto a quello pattuito nel preliminare del 15 ottobre 2005. Per queste ragioni l'attore domandava il risarcimento dei danni patiti.

La domanda risarcitoria veniva rigettata dal Tribunale di Catania.

Tale decisione era impugnata per aver affermato che: a) la banca non fosse obbligata a provvedere immediatamente alla rinuncia agli atti esecutivi; b) il bene fosse commerciabile nonostante le trascrizioni pregiudizievoli; c) l'appellante fosse responsabile della mancata cancellazione del pignoramento; d) non sussistesse nesso di causalità tra la condotta dell'istituto di credito e il minor valore di compravendita del bene.

La Corte d'appello di Catania ha rigettato l'impugnazione e nei confronti di tale decisione è stato proposto ricorso per cassazione, fondato su tre diversi motivi.

La questione

Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza per violazione o falsa applicazione dell'art. 1200 c.c. per non avere la banca rinunciato agli atti esecutivi subito dopo il pagamento del debito. Con il secondo motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1227 c.c. per avere la Corte d'appello escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva della banca e il danno subito dall'appellante, in quanto la circolazione del bene formalmente ipotecato era stata comunque limitata. Con l'ultimo motivo ha contestato le spese di lite.

Anche la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso; tuttavia la soluzione giuridica fornita dal Supremo Collegio riposa su argomentazioni diverse da quelle poste dal Giudice di appello a fondamento della decisione impugnata.

Le soluzioni giuridiche

Per vero, la Corte d'appello di Catania ha ritenuto insussistente in capo alla banca l'obbligazione di depositare immediatamente la rinunzia ex art. 629 c.p.c. ed affermato che sarebbe spettato al debitore: a) richiedere la formalizzazione della rinunzia alla procedura (che avrebbe potuto estinguersi anche per inattività del creditore ex art. 631 c.p.c.); e b) anticipare le spese necessarie per tale attività giudiziale. In definitiva per il Giudice d'appello l'art. 1200 c.c. – per il quale il creditore, dopo il pagamento, «deve consentire la liberazione dei beni dalle garanzie reali date per il credito e da ogni altro vincolo che comunque ne limiti la disponibilità» - andrebbe interpretato operando una analogia tra la disciplina della cancellazione dell'ipoteca per assenso del creditore e quella della rinuncia agli atti esecutivi, dalla quale scaturisce l'estinzione della procedura ex art. 629 c.p.c. e la conseguente cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare ex art. 632 c.p.c..

Tale soluzione ermeneutica non è condivisa dalla Suprema Corte: l'erroneità delle ragioni fondanti la decisione non conduce alla cassazione della sentenza impugnata - il cui dispositivo è conforme al diritto - ma ad una mera correzione della motivazione ex art. 384 c.p.c..

Segnatamente, per la decisione in commento, l'art. 1200 c.c. si riferisce sia alle garanzie reali (pegno e ipoteca), sia a quei vincoli che limitano la disponibilità dei beni del debitore e, quindi, anche al pignoramento immobiliare ed agli effetti di cui agli artt. 2913 ss. c.c. e 560 c.p.c..

Ricevuto il pagamento il creditore deve, dunque, consentire la liberazione dal pignoramento, con modalità e presupposti diversi rispetto a quelli propri dell'ipoteca: ed infatti se è indubbio che il pagamento estingue immediatamente anche la garanzia ipotecaria a quello accessoria ex art. 2878, n. 3, c.c. (la cancellazione ha natura, dunque, di pubblicità-notizia), l'estinzione dell'obbligazione non si ripercuote automaticamente sul pignoramento, né sull'espropriazione forzata pendente, per la cui chiusura è indispensabile la pronuncia del giudice dell'esecuzione. In questo stato di cose il consenso di cui all'art. 1200 c.c. del creditore assume la particolare forma dell'atto codificato dall'art. 629 c.p.c. e, cioè, della rinunzia agli atti esecutivi.

La pronuncia della Suprema Corte sembra corretta e va condivisa, posto che restituisce all'art. 1200 c.c. una interpretazione di buon senso e, ad un tempo, sistematica che tiene conto della particolare struttura che caratterizza l'espropriazione forzata.

Osservazioni

Correttamente la Corte ha evidenziato come, in mancanza di un termine per la rinuncia agli atti, sono i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 88 c.p.c. e 1175 c.c. ad imporre al creditore la salvaguardia del diritto del debitore (che ha pagato) a conseguire in tempi ragionevolmente contenuti la liberazione dagli effetti pregiudizievoli del pignoramento.

Al riguardo è stata pure rettificata l'affermazione del Giudice di appello secondo il quale un contenuto alternativo dell'obbligazione ex art. 1200 c.c. sarebbe costituito dall'estinzione per inattività ai sensi dell'art. 631 c.p.c. e, cioè, per mancata comparizione del creditore a due udienze consecutive. Per la Cassazione la doppia diserzione dell'udienza, a differenza della rinuncia agli atti che produce effetti estintivi immediati, non soddisfa l'esigenza dell'esecutato di ottenere rapidamente la liberazione del bene dal pignoramento. Ciò in quanto l'estinzione ex art. 631 c.p.c. si verifica soltanto all'esito del rinvio disposto dal giudice dell'esecuzione (evento non dipendente dal creditore); con permanenza delle limitazioni alla disponibilità giuridica e materiale del cespite. Senza trascurare che, nel corso della procedura, potrebbero intervenire altri creditori, vanificando così l'interesse sotteso all'art. 1200 c.c.. Si aggiunga pure che, a sostenere la tesi della Corte d'appello di Catania, si finirebbe per prolungare inutilmente la durata del processo in violazione dell'art. 111 Cost..

Difformemente dalle argomentazioni contenute dalla sentenza impugnata, la Cassazione è giunta così ad affermare il seguente principio: «In ossequio ai principi di correttezza e buona fede, per consentire la liberazione dell'immobile dal pignoramento, il creditore soddisfatto deve rinunciare agli atti esecutivi senza necessità di sollecitazione da parte del debitore ed entro un termine ragionevolmente contenuto, avuto riguardo allo stato della procedura pendente e ad eventuali motivi di urgenza a lui noti, sempre che l'esecutato non esiga espressamente un immediato deposito dell'atto di rinunzia».

Per completezza va considerato che la Suprema Corte ha, in punto di fatto, escluso un inadempimento dell'istituto di credito all'obbligazione di cui all'art. 1200 c.c. per aver omesso di prestare il consenso alla cancellazione dell'ipoteca prima della richiesta e per aver mancato di rinunciare agli atti esecutivi in un periodo anteriore alla diffida a presentare la rinuncia ex art. 629 c.p.c.. Ed infatti dall'inottemperanza alla diffida non può essere originato il pregiudizio lamentato dal ricorrente, posto che il recesso del promissario acquirente si era realizzato in un momento antecedente all'inadempimento della banca.

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