I presupposti della sospensione condizionale della pena e il processo minorile

01 Dicembre 2017

Nell'ambito del processo penale minorile, lo scopo di recuperare l'imputato minorenne passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale; tuttavia, a volte, il perseguimento del reale interesse del minore impone di scegliere la soluzione più “invasiva” sotto il profilo penale e penitenziario, giustificandosi in questi casi la mancata applicazione della sospensione condizionale della pena.
Massima

Il Tribunale per i minorenni ha l'arduo compito di garantire il recupero degli imputati minorenni e di operare sempre e comunque “per” il minore, utilizzando tutti gli strumenti giuridici che il legislatore mette a disposizione per il raggiungimento di questi obiettivi; ciò che anima l'intero processo penale minorile non è tanto l'accertamento del fatto commesso e la sua attribuibilità all'imputato quanto la sua funzione di “recupero del minore” e tale scopo deve prevalere sulla realizzazione della pretesa punitiva.

Il caso

Il 4 aprile 2011 alle ore 22.45, personale dei CC interveniva presso la Comunità per minori “La Maschera” perché erano stati segnalati alcuni danneggiamenti posti in essere dai giovani ospiti della stessa Comunità. Effettivamente, giunti sul posto, i carabinieri rilevavano un'anta da finestra in frantumi sulla via, pezzi di mobilio distrutti e un pannello da cassone per l'alloggiamento del rullo di una tapparella accatastati sulla parete della struttura.

Gli educatori della comunità riferivano che già dalle ore 21.00 i ragazzi ponevano in essere dispetti, dal buttare acqua o bagnoschiuma sulle scale al gettare comodini, sedie e porte di legno, danneggiando anche l'autovettura della comunità.

Anche l'interno dei locali della comunità si presentava danneggiato in più punti e i giovani ospitati dalla struttura, ascoltati dagli agenti intervenuti in merito a quanto accaduto, negavano una loro partecipazione e si coprivano a vicenda.

Il responsabile della comunità sporgeva querela per i danni riportati e dalle indagini svolte, emergeva che alcuni dei ragazzi inizialmente sentiti già più volte avevano manifestato una loro insofferenza alla permanenza in struttura ed una volontà di esserne allontanati. Inoltre venivano acquisiti elementi di responsabilità inequivoci, per le condotte accadute, in capo a due ragazzi in particolare.

Con decreto ex artt. 455 e 456 c.p.p. del 4 dicembre 2014 veniva disposto giudizio immediato nei confronti degli imputati per i reati loro contestati. Poiché le parti prestavano il consenso all'acquisizione degli atti di indagine, il PM rinunciava ai testi di lista e, nel corso dell'esame degli imputati, emergeva la situazione di tossicodipendenza di uno di loro, all'epoca ospite di una comunità e, sulla base di questa situazione veniva avanzata istanza per la valutazione di fattibilità di una messa alla prova, anche alla luce dell'esame del ragazzo che «ammetteva la propria responsabilità per i reati contestati ma, commuovendosi, asseriva di essere stanco delle scelte di vita passate che lo avevano portato ad entrare nel circuito penale e in quello della tossicodipendenza; rappresentava inoltre di volersi impegnare, con l'aiuto della Comunità, a riprendere in mano la propria vita e a realizzare i suoi progetti futuri. Pertanto, il PM ed il Difensore chiedevano il differimento del procedimento per valutare la fattibilità di una messa alla prova».

All'udienza del 7 giugno 2017, in via preliminare il Difensore chiedeva un rinvio per impossibilità a comparire del proprio assistito all'odierna udienza e produceva la relativa documentazione sanitaria; il PM non si opponeva.

Il Tribunale, ritenuto legittimo l'impedimento a comparire dell'imputato, decideva di rinviare l'udienza ma a quel punto il Difensore ritirava tale richiesta e chiedeva di procedersi oltre nel giudizio, prestando il consenso all'acquisizione degli atti di indagine. L'imputato si trovava infatti in Comunità in gravi condizioni psicofisiche dovute al percorso di disintossicazione da eroina che stava affrontando e la Difesa, attesa la mancanza dei presupposti per porre effettivamente in essere un'attività progettuale di messa alla prova con i Servizi Sociali, riteneva a questo punto più utile per il ragazzo continuare la permanenza in Comunità, eventualmente ponendo immediatamente in esecuzione la nuova condanna. Il PM non si opponeva.

L'imputato rispondeva del reato di danneggiamento: tale fattispecie, inquadrata in sede di imputazione con il delitto di cui all'art. 635, comma 2, n. 3, c.p., non rientrava più, al momento della stesura della sentenza, in tali estremi normativi a causa della riscrittura dell'art. 635 c.p. da parte del d.lgs. n. 7/2016 contenente disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, avendo tale nuova normativa (art. 2, d.lgs. n. 7/2016) sostituito l'art. 635 c.p.. La fattispecie risulta pertanto da inquadrare all'interno dell'art. 635, comma 2, n. 1, c.p., restando nella sostanza identica alla versione precedente.

Ritenuto peraltro il fatto non aggravato poiché commesso su cose esistenti in uno stabilimento pubblico, avendo il d.lgs. n. 7/2016 trasformato le ipotesi circostanziali di cui al vecchio art. 635, comma 2, c.p., in corrispondenti fattispecie autonome tutte caratterizzate dalla medesima pena di base, e ritenuti sussistenti tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del reato contestato, la pena veniva quantificata come segue: pena base mesi nove di reclusione, diminuita a mesi sei di reclusione per la diminuente della minore età.

La questione

La questione posta e risolta dalla sentenza in oggetto è la seguente: se la pena concretamente irrogabile non supera il limite previsto dall'art. 163, comma 2, c.p., il Collegio può non ordinare la sospensione della pena se non ritiene sussistenti i presupposti di legge.

La concessione di tale beneficio presuppone un giudizio prognostico favorevole ex art. 164 c.p.: «la sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, il Giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati». Di per sé, dunque, la mancanza di un giudizio prognostico favorevole, evidenziata e motivata dal Tribunale, avrebbe comunque dovuto e potuto impedire la concessione del beneficio. Di non poco momento però sono le considerazioni con cui il Collegio ha argomentato la propria decisione che avrebbe anche potuto essere diversa, considerato che le circostanze valutate in senso sfavorevole all'imputato, sia quanto alla ipotesi di fattibilità di un progetto di messa alla prova, sia quanto a presupposti di concedibilità della condizionale, non erano univoche nel loro significato e nella loro valutazione.

Le soluzioni giuridiche

In realtà le considerazioni svolte dal Collegio in merito, evidenziavano diversi ulteriori ambiti della questione: la decisione di procedere alla condanna dell'imputato senza sospensione condizionale della pena derivava non solo dalla ritenuta impossibilità di formulare una prognosi positiva sul futuro comportamento del minore, ma anche e soprattutto dalla dichiarata volontà di mettere in moto tutti gli strumenti più idonei e utili a fornire un concreto ed effettivo aiuto nei confronti del condannato.

La situazione personale dell'imputato, che già aveva reso non praticabile l'ipotesi progettuale inizialmente ventilata, rendeva, nell'opinione del Collegio, assolutamente non formulabile una prognosi positiva sulla futura astensione dalla commissione di altri reati. In effetti, il giovane presentava già a suo carico un corposo elenco di precedenti penali e, conosciuto al SERT da maggio 2014, aveva già fatto ingresso in una struttura comunitaria residenziale per un programma terapeutico alternativo alla detenzione, ma questo progetto falliva in seguito al reingresso in carcere per un altro reato e per la presenza di problematiche psichiche personali.

D'altronde il Collegio riteneva di «non poter fare a meno di prendere atto delle serie difficoltà psicofisiche del minore il quale, pur avendo mostrato la voglia di cambiare stile di vita, non dispone di un solido nucleo di riferimento capace di accompagnarlo e sostenerlo nel suo percorso di crescita e di rivalsa (…) si trova ormai da tempo in una grave condizione di tossicodipendenza e la famiglia, rigida e tradizionalista, vive come una vergogna il fatto che il ragazzo abbia dovuto scontare una pena, rifiutandosi pertanto di aiutarlo e di riprenderlo in casa».

«Occorre allora evidenziare come il Tribunale per i minorenni abbia l'arduo compito di garantire il recupero degli imputati minorenni e di operare sempre e comunque “per” il minore, utilizzando tutti gli strumenti giuridici che il legislatore mette a disposizione per il raggiungimento di questi obiettivi; ciò che anima l'intero processo penale minorile non è tanto l'accertamento del fatto commesso e la sua attribuibilità all'imputato quanto la sua funzione di “recupero del minore” e tale scopo deve prevalere sulla realizzazione della pretesa punitiva».

Il punto cruciale della questione, suscettibile invero di opposte soluzioni, è se sia sempre da preferire la soluzione oggettivamente più favorevole all'imputato (rapida fuoriuscita dal circuito penale e penitenziario) nella convinzione che sia questa la strada per perseguire sempre il recupero del minore, ovvero il perseguimento del reale interesse del minore può talvolta imporre di scegliere la soluzione più “invasiva” sotto il profilo penale e penitenziario, nella consapevolezza che si ponga in essere così un intervento di presa in carico e non solo di reazione del sistema e di realizzazione di pretesa punitiva dello Stato.

Ben sarebbe stato possibile, infatti, che proprio la situazione personale e familiare del minore spingesse il Collegio a vedere queste circostanze come le reali cause del fallimento del progetto di recupero in comunità inducendo così i giudici a concedere al condannato il beneficio della sospensione condizionale sminuendo dubbi e perplessità provenienti dal curriculum penale del ragazzo.

Lo stesso obiettivo di favorire il recupero dell'imputato e minimizzare gli effetti negativi dell'ingresso nel circuito penale, in effetti, ha spesso condotto le autorità giudiziarie minorili a concedere istituti premiali non solo sulla base della mera sussistenza dei presupposti e dunque della “doverosità” della fruizione degli stessi, ma proprio sulla base dello scopo concreto del processo minorile che, accanto a quello proprio di ogni processo in un sistema democratico (realizzare la pretesa punitiva dello Stato e tendere alla rieducazione del condannato) è anche momento educativo in sé per il minore.

Osservazioni

Sulla scorta di tali presupposti, considerato poi che il processo penale minorile rappresenta un'occasione educativa in cui «positio princeps deve essere attribuita non al mero soddisfacimento della pretesa punitiva al solo scopo di mortificare il reo e di ripagare il male causato dalla condotta delittuosa, ma alla missione di recupero e sostegno dell'imputato minorenne», il Tribunale in questione ha ritenuto proprio massimo dovere valutare anche la congruità del mezzo al fine. Se, nella maggior parte dei casi, lo scopo di recuperare e sostenere l'imputato minorenne passa attraverso la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale, non necessariamente questo accade sempre. Specie se l'alternativa al circuito penale e penitenziario sconta la carenza di strumenti di intervento per l'assenza di una famiglia che sostenga il giovane e per la insufficienza di contesti meno contenitivi quali comunità educative, come proprio nel caso di specie.

Ne consegue che se il principio è pacifico e (apparentemente) granitico, scegliere la soluzione più favorevole al recupero del minore, non altrettanto lo è la sua realizzazione concreta che vive nel concreto bilanciamento tra valori in gioco e, come ribadisce il Collegio «non può e non deve ridursi ad una applicazione meccanica e standardizzata di quelli che sono unanimemente riconosciuti come strumenti favorevoli al minore»; la vera sfida per il Giudice minorile è quella di trovare la soluzione di volta in volta più adeguata al caso concreto facendo in modo che l'intero sistema sia orientato alla salvaguardia del reo, non solo quegli istituti che ricoprono quel ruolo per definizione.

«A causa della sua condizione di tossicodipendenza, il minore ha bisogno di un valido sostegno per poter finalmente interrompere quel meccanismo che gli impedisce di prendere decisioni positive per la propria vita, facendolo ricadere continuamente e ciclicamente nella criminalità. Per porre fine a questo circolo vizioso il Collegio, anche su impulso della Difesa, ritiene che sia nell'interesse dell'odierno prevenuto avere l'opportunità di disintossicarsi ed essere aiutato, soprattutto in considerazione delle sue delicate condizioni di salute. Certo è che un simile risultato potrà essere raggiunto favorendo l'opportunità che lo stesso possa scontare qualche mese in più di pena detentiva nella struttura in cui già si trova – giovandosi delle cure e del sostegno offerti da personale esperto e qualificato – piuttosto che consentire l'estromissione immediata (o quanto meno la più possibile sollecita) dal circuito penale attraverso l'impiego di istituti a ciò idonei, rischiando di abbandonare nuovamente un ragazzo che, se non adeguatamente aiutato, corre il pericolo di compromettere per sempre la propria vita».

In buona sostanza, se sul tradizionale ed ormai celebre “superiore interesse del minore” c'è unanimità di pensiero, la vera cifra della giustizia minorile sarà sempre più nella individuazione concreta di dove stia questo interesse e di quali siano gli strumenti più opportuni per perseguirlo, tra i molteplici offerti dal sistema processuale minorile italiano che resta uno tra i più avanzati in ambito europeo e non solo.

La sfida dunque del diritto e del giudice minorile si gioca proprio sul bilanciamento tra diversi e talvolta opposti interessi pur nel generale perseguimento di un unico obiettivo.

Altro punto cruciale di cui la decisione in commento dà atto, e che deve e può improntare tutto lo svolgimento del procedimento minorile, è il ruolo del tutto caratteristico e pregnante che il difensore ha nel processo minorile italiano. Il fatto che l'avvocato del minore indagato o imputato in un processo penale non debba tendere solo alla buona riuscita del processo ed alla tutela di tutte le garanzie di un soggetto indagato o imputato, non è solo materia di buon senso e di sensibilità del singolo professionista, ma è ingranaggio cruciale dell'intero sistema. In altri termini, anche dal punto di vista difensivo, mirare alla realizzazione dell'interesse dell'assistito, nel processo penale minorile, impone un bilanciamento di volta in volta tra interessi concreti che può finanche portare alla ponderata rinuncia a far valere eccezioni e percorrere determinate strade processuali per consentire la reale presa in carico di un giovane a serio rischio di devianza.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.