La difesa penale in Cassazione oggi

01 Dicembre 2017

La riforma Orlando ha introdotto elementi di novità nel giudizio di cassazione, che finiscono con incidere in modo sensibile anche sulle modalità di esercizio della difesa penale in tale ambito, richiedendo al difensore cassazionista una preparazione sempre più adeguata e un'autentica specializzazione, per dare un fattivo contributo agli obiettivi di miglioramento del giudizio di legittimità e di garanzia della regolarità del giudizio e del contraddittorio. In tale percorso assume un ruolo determinante soprattutto lo studio e l'applicazione della deontologia forense, strumento essenziale per la realizzazione e la tutela dell'affidamento della collettività e della clientela, della correttezza dei comportamenti, della qualità ed efficacia della prestazione professionale.
Abstract

La riforma Orlando ha introdotto elementi di novità nel giudizio di cassazione, che finiscono con incidere in modo sensibile anche sulle modalità di esercizio della difesa penale in tale ambito, richiedendo al difensore cassazionista una preparazione sempre più adeguata e un'autentica specializzazione, per dare un fattivo contributo agli obiettivi di miglioramento del giudizio di legittimità e di garanzia della regolarità del giudizio e del contraddittorio. In tale percorso assume un ruolo determinante soprattutto lo studio e l'applicazione della deontologia forense, strumento essenziale per la realizzazione e la tutela dell'affidamento della collettività e della clientela, della correttezza dei comportamenti, della qualità ed efficacia della prestazione professionale.

Premessa

Rileggendo l'articolo di quasi un anno fa del nostro compianto Ettore (E. RANDAZZO, Un giorno in cassazione (deontologia spicciola del ricorso e del giudizio)), ritrovo in quella che Egli definiva: una breve descrizione di un giorno di udienza, oltre alla lucida e cruda analisi delle virtù (poche) e dei vizi (molti) dell'odierna realtà di tale grado di giudizio, anche l'occasione e lo stimolo per riprendere alcuni punti di quella sua lectio magistralis per giovani cassazionisti in un approfondimento, sempre nell'ottica pratica della deontologia forense applicata al giudizio di cassazione. Ulteriore spunto di riflessione è costituito dal fatto che proprio il grado di legittimità è stato anche rivisitato dalla recente novellazione ad opera della legge di riforma della giustizia penale, 23 giugno 2017, n. 103 (si v. BELTRANI, La Cassazione dopo la Riforma Orlando), con introduzione di varie novità che richiederanno per gli avvocati un approccio sempre più professionalmente consapevole della specificità e della delicatezza di tale particolare giudizio, determinando uno sforzo di adeguamento della figura – d'ora in poi sempre più specialistica – e dell'attività dell'avvocato cassazionista.

L'articolo 1 del nuovo codice deontologico: “L'avvocato”

Il discorso merita forse di prendere le mosse dal dettato dell'art. 1 del nuovo codice deontologico forense in vigore dal 16 dicembre 2014 (in G.U. 6 ottobre 2014, n. 241), che comprende i principi già in precedenza ospitati nel preambolo del codice del 1997. La norma in parola, al primo comma stabilisce che: «1. L'avvocato tutela, in ogni sede, il diritto alla libertà, l'inviolabilità e l'effettività della difesa, assicurando, nel processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio». E dunque ben si comprende come la deontologia non è fine a sé stessa ma che essa dichiaratamente persegue oltre che scopi pratici orientando la condotta dell'avvocato in modo efficace ed ineccepibile, anche obiettivi di giustizia, a tutela dell'intera collettività. L'obbligo morale che impegna la figura dell'avvocato, in special modo del penalista abilitato alla difesa avanti le Corti superiori, lo coinvolge nello sforzo di far combaciare il suo ruolo tecnico professionale con quello sociale, che il secondo comma dell'art. 1 cod. deont. qualifica come l'esercizio del ministero dell'avvocato, implicante obblighi additivi di vigilanza sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell'ordinamento dell'Unione europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a tutela e nell'interesse della parte assistita.

Redazione del ricorso e dovere di competenza

All'art. 571 c.p.p. la novella del 2017 ha apportato una modifica di valenza in qualche modo epocale, giacché l'impugnazione proposta personalmente dell'imputato non è più consentita, sia pure soltanto nel ricorso per cassazione. Parallelamente nell'art. 613 c.p.p. dopo la soppressione dell'inciso salvo che la parte non vi provveda personalmente, è stabilita l'esclusività, a pena di inammissibilità, della sottoscrizione del ricorso per cassazione per i difensori iscritti nell'albo speciale della corte di cassazione. E così oggi questa categoria di avvocati (in realtà pur sempre costituita da un vero esercito di decine di migliaia di professionisti), è l'unica titolare della facoltà impugnatoria avanti la Suprema Corte nell'interesse delle parti private (per le parti eventuali però il difensore cassazionista dovrà essere anche munito aggiuntivamente di procura speciale). E la situazione appare consolidata dopo che la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione della illegittimità costituzionale dell'art. 613, comma 1, c.p.p., nella formulazione introdotta dalla l. 103 del 2017, per violazione degli artt. 111, comma 7, Cost. e 13 Cedu. (si v. Cass pen Sez. VI, 13 settembre 2017, n. 42062 commentato da INGRAO, Il ricorso personale dell'imputato in Cassazione dopo la l. 103/2017. Prime questioni di legittimità costituzionale). La nuova disposizione dovrebbe quindi porre fine o, quanto meno, un significativo limite al ricorso indiscriminato ed eccessivo alla Suprema Corte, canalizzando le istanze di impugnazione nella sede di legittimità attraverso la professionalità di un difensore espressamente abilitato. Saranno le future statistiche a fornire o meno conferma del raggiungimento dell'obiettivo pratico di un contenimento del numero, davvero insostenibile, dell'attuale carico dei ricorsi in Cassazione, ma – per quanto qui d'interesse – sarà soprattutto rilevante verificare come la gestione del ricorso ad opera esclusiva dei difensori iscritti all'albo speciale, sarà stata capace di innescare un circuito virtuoso, incidendo anche sull'innalzamento della qualità dei provvedimenti sottoponibili al vaglio di legittimità, su quella dei ricorsi stessi, ed infine anche su quella delle sentenze pronunciate dalla Suprema Corte. Come si capisce, entra qui prepotentemente in gioco il dovere deontologico di competenza fissato come principio generale dall'art. 14 del codice deontologico e in termini più specifici dall'art. 26 cod. deont. (adempimento del mandato) e che si risolve nella capacità concreta dell'avvocato di svolgere il proprio compito in modo adeguato, stabilendo un vero e proprio principio di responsabilità (in questi termini si v. DANOVI, Il nuovo codice deontologico forense, Giuffrè, 2014, p. 182; si v. anche RANDAZZO (a cura di), Il penalista e il nuovo codice deontologico, Giuffrè, 2014).

E infatti il sistema delle impugnazioni in Cassazione mette in luce che, ora ancor più di prima, il ricorso è sempre più a rischio di inammissibilità e di rigetto e che è necessario porre attenzione non solo alle tecniche di redazione del ricorso, ma, prima ancora, alla meritevolezza ed all'effettiva sussistenza di legittime ragioni per adire il massimo grado di giudizio, evitando l'impugnazione meramente dilatoria e ictu oculi sfornita di qualsiasi fondamento, anche in relazione ai più numerosi limiti al ricorso per cassazione introdotti dalla Riforma Orlando. L'avvocato cassazionista è quindi destinato a divenire il primo vero filtro per l'accesso al giudizio di legittimità, in ciò dimostrando non solo la doverosa competenza appena menzionata, ma anche la capacità di rivendicare ed esercitare appieno il dovere di indipendenza di cui all'art. 9 cod. deont. rispetto ad eventuali richieste di ricorso in concreto impercorribili proposte dalla parte assistita, poiché l'indipendenza è il presupposto della libertà, che nelle scelte e nel pensiero è imprescindibile connotato dell'azione difensiva; essa non tollera interferenze indebite nemmeno se provenienti dall'assistito (si v. anche BERTUOL, La tutela dei principi professionali nell'esercizio della difesa penale). Quanto alle tecniche di redazione del ricorso si ricorda la vigenza del protocollo d'intesa tra la Corte di cassazione e il Consiglio nazionale forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale, siglato il 17 dicembre 2015 (consultabile sul sito del C.N.F.).

Ars oratoria e giudizio di cassazione

Il diritto di prendere la parola in difesa di una parte è senza dubbio un privilegio riconosciuto all'avvocato. Nelle udienze avanti alla Suprema Corte di Cassazione generalmente, e salvo le dovute eccezioni, tale diritto viene esercitato cum granu salis, nella consapevolezza che per molte e note ragioni, occorre concentrare il più possibile l'arringa, mirando ad evidenziare i punti salienti della questione, eventualmente replicando agli argomenti spesi nella requisitoria del procuratore generale. Insomma l'avvocato cassazionista deve saper fare di necessità virtù, dando prova che un ragionevole self restraing della durata (ma non della qualità) del suo intervento, lungi dal penalizzare l'efficacia del suo argomentare o assecondare richieste più o meno garbate di “accorciamento” da parte del Collegio, può diventare un'opportunità aggiuntiva per dimostrare padronanza del caso controverso e della sua abilità di persuasione. Ma è ben vero che spesso i difensori si interrogano sulla reale efficacia e persino necessità dell'arringa in Cassazione, per la varie ragioni così bene evidenziate nello scritto citato di Ettore Randazzo, tra cui la sovrabbondante composizione del ruolo d'udienza, la conoscenza del caso solo da parte del Consigliere relatore, gli inviti a concludere con la rassicurazione che l'avvocato “ha già scritto molto e bene”. Occorre non perdersi d'animo ed essere sempre consapevoli del gravoso compito e dell'ineliminabile ruolo rivestito dal difensore nel processo.

Contraddittorio in Cassazione e dovere di dignità

L'art. 111 Cost., al secondo comma, non lascia dubbi sulla centralità del principio del contraddittorio anche avanti alla Corte di cassazione (Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti...). Il contraddittorio avanti alla Suprema Corte non può e non deve essere relegato esclusivamente alle scritture, ma deve anche sopravvivere nella sua imprescindibile dimensione di oralità, sia pure con le specificità che caratterizzano l'ambito di tale giudizio. Ed allora la Riforma Orlando, come si è visto, può davvero offrire occasione per un rilancio anche di questa esigenza, a patto che l'avvocatura se ne dimostri consapevole artefice e responsabile sostenitrice, anche nel nome del dovere deontologico di dignità (art. 9 cod. deont.). Va ribadito che non sempre l'intervento “in carne e toga” è necessario in Cassazione. Non lo è, in conformità all'ordinamento processuale, nei casi in cui si procede con rito in camera di consiglio non partecipata (ex art. 610 c.p.p.), mentre è solo facoltativo negli altri casi, sia che si proceda in camera di consiglio partecipata ex art. 127 c.p.p. o in udienza pubblica. Il difensore che in tali casi non compaia avanti alla Corte, si presume pertanto che abbia operato una precisa e ponderata scelta processuale, doverosamente condivisa con la parte assistita, alla quale avrà fornito ogni utile informazione al riguardo ed eventualmente depositando, nei termini ed in vista dell'udienza, una memoria difensiva. Ove possa e ritenga utile e necessario farlo, il difensore invece partecipa all'udienza in Cassazione. Beninteso ciò potrà essere fatto anche ricorrendo all'attività di un sostituto processuale. In tale caso però entra in gioco il principio sancito dall'art. 7 codice deontologico (Responsabilità disciplinare per atti di associati, collaboratori e sostituti), secondo il quale l'avvocato è personalmente responsabile per condotte, determinate da suo incarico, ascrivibili a suoi sostituti, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità. Ciò implica necessariamente il preciso dovere del difensore di munire il sostituto di ogni informazione ed istruzione necessaria all'espletamento dell'incarico, ponendolo in condizioni di svolgerlo appieno. Ma anche il difensore che in persona – magari dopo aver affrontato una lunga trasferta – salga la scala del Palazzaccio e faccia ingresso nell'aula delle udienze, dovrà aver chiaro che in quel momento sta svolgendo un ministero di tale importanza che mal tollera la purtroppo sempre più diffusa tendenza a riportarsi ai ricorsi senza discuterli. Al di là di poche e chiare situazioni che giustificano una simile scelta, essa appare all'evidenza sconveniente e non adeguata al ruolo del difensore, e rischiano di farlo apparire un fragile figurante, conseguentemente indebolendo la credibilità e l'efficacia del suo impegno difensivo. La presenza fisica all'udienza presuppone, come si è visto, un preventivo e ponderato vaglio di necessità ed opportunità, essendo sempre possibile e legittima la scelta di rinunciare a comparire. Ma è altrettanto evidente che in quella presenza, anche agli occhi dell'assistito che tanto confida e spera in quell'aggiuntiva ed ai suoi occhi decisiva attività professionale del suo difensore, si gioca anche il rispetto dei doveri di diligenza (art. 12 cod deont.), i quali impongono anche qualità della prestazione e massimo impegno e del dovere di adempimento del mandato contemplato dall'art. 26, comma 3, cod. deont. sanzionando il negligente compimento di atti inerenti il mandato.

In conclusione

Per l'avvocatura cassazionista penale si è inaugurata, con l'arrivo delle novità introdotte dalla riforma Orlando, una fase di valorizzazione del proprio ruolo. L'occasione di incidere in maniera determinante sul futuro del giudizio di legittimità, deve necessariamente coinvolgere una riflessione sulle modalità di esercizio della difesa penale in tale ambito, richiedendo al difensore cassazionista una preparazione sempre più adeguata ed un'autentica specializzazione. La qualità dell'apporto professionale dell'avvocato cassazionista non può tuttavia ancorarsi solo ad una sua sempre maggiore preparazione culturale e tecnica, ma comporta necessariamente una marcata attenzione al rigoroso rispetto dei principi e delle regole deontologiche, al fine di rendere la propria attività tecnica adeguata alla delicatezza ed all'importanza che l'ordinamento e la Costituzione attribuiscono alla Difesa.

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