Indennizzo delle vittime di reati violenti: ancora dubbi ed incertezzeFonte: L. 20 novembre 2017 n. 167
05 Dicembre 2017
L'art. 12, par. 2, Direttiva 2004/80/CE, prevede, a carico degli Stati, la seguente tutela economica per le vittime di reati violenti intenzionali le quali non possano conseguire risarcimenti dai loro offensori (in quanto rimasti sconosciuti oppure privi di risorse economiche): «Tutti gli Stati membri provvedono a ché le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime». La ratio ispiratrice dell'intera Direttiva è quella di facilitare l'accesso all'indennizzo nelle c.d. situazioni transfrontaliere nell'ottica di una completa attuazione del principio di libera circolazione delle persone, per impedire che la residenza in uno Stato membro diverso da quello in cui si è consumato il reato possa impedire alla vittima di accedere all'indennizzo previsto dall'ordinamento del locus commissi delicti. In realtà la Direttiva è neutra rispetto alla caratterizzazione del sistema ivi previsto, potendo questo, a discrezione di ciascuno Stato, risultare in concreto di natura risarcitoria oppure soltanto indennitario. Difatti, il termine “indennizzo”, presente nella disciplina interna, è il mero frutto della scelta del legislatore nell'attuazione della Direttiva. In base all'art. 18, Direttiva 2004/80/CE, gli Stati avrebbero dovuto attuare tale sistema rimediale entro il 1 luglio 2005 e le disposizioni inerenti i casi transfrontalieri entro il 1 gennaio 2006. La Direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano dal d.lgs. 6 novembre 2007, n. 204, recante attuazione della Direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato, e dal D.M., 23 dicembre 2008, n. 222, recante regolamento ai sensi dell'art. 7, d.lgs. n. 204/2007. Il D.M., 23 dicembre 2008, n. 222, riguarda, in particolare, gli aspetti organizzativi delle attività di competenza delle procure generali presso le Corti d'appello. Nel nostro ordinamento, diverse leggi speciali hanno previsto nel tempo la concessione di un indennizzo, a determinate condizioni, a carico dello Stato italiano, a favore delle vittime di talune forme di reati intenzionali violenti, in particolare quelli legati al terrorismo e alla criminalità organizzata. Del resto il citato d.lgs. n. 204/2007 rinviava, quanto ai presupposti materiali per la concessione degli indennizzi, a tali leggi speciali, che prevedono le forme di indennizzo per le vittime di reati commessi sul territorio nazionale. Si fa riferimento, ad esempio:
Tuttavia, la posizione dell'Italia è apparsa da subito non conforme alle prescrizioni contenute nella Direttiva de qua, tant'è che la Commissione Europea ha aperto una procedura per verificare, oltre al ritardo nel recepimento, il corretto adempimento da parte dell'Italia alle prescrizioni imposte dalla norma europea. La Commissione ha sostenuto che l'art. 12, Direttiva 2004/80/CE, impone agli Stati membri di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti ad ampio raggio. In particolare che l'art. 12, par. 2,Direttiva 2004/80/CE, pur non definendo la nozione di “reati intenzionali violenti”, non lasciava tuttavia alcun margine di discrezionalità agli Stati membri quanto all'ambito di copertura del sistema nazionale di indennizzo, il quale non poteva che corrispondere all'intera categoria dei reati intenzionali violenti, quale individuata dal diritto penale materiale di ciascuno Stato membro. Di conseguenza, gli Stati membri non avrebbero il diritto di sottrarre taluni reati di tale categoria all'ambito di applicazione della normativa nazionale destinata a trasporre la Direttiva 2004/80/CE. In forza di queste considerazioni, secondo la Commissione, la Repubblica italiana si sarebbe limitata a trasporre le disposizioni del capo I della Direttiva 2004/80/CE, che riguardano l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere. Invece, per quanto riguarda il capo II di tale Direttiva, l'Italia avrebbe previsto, mediante diverse leggi speciali, un sistema di indennizzo soltanto per le vittime di alcuni reati specifici, come le azioni di terrorismo o la criminalità organizzata, mentre nessun sistema di indennizzo sarebbe stato istituito per quanto riguarda i reati intenzionali violenti che non sono coperti da tali leggi speciali, in particolare lo stupro o altre gravi aggressioni di natura sessuale. La sentenza della Corte di giustizia U.E. del 2016
Dopo una prima censura della Corte di giustizia UE, 29 novembre 2007, C-112/07 (Commissione contro Italia) per mancata tempestiva trasposizione della Direttiva 2004/80/CE, la Commissione europea ha poi aperto sin dal 2011 una procedura contro l'Italia ritenendo non conforme al disciplina dell'Unione la scelta, avvenuta con il citato d. lgs. n. 204/2007, di restringere il campo di applicazione della Direttiva solo ad alcuni reati. La sentenza Corte di giustizia UE, 11 ottobre 2016, C-60/14 (Commissione contro Italia), ha nuovamente censurato l'ordinamento italiano, ritenendo che la Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all'obbligo ad essa incombente in forza dell'art. 12, par. 2, Direttiva 2004/80/CE. Di sicuro interesse è la motivazione della decisione, che consente di ricostruire l'ambito operativo della disciplina dettata dalla Direttiva de qua. Quanto al tema riguardante l'obbligo di prevedere un sistema indennitario anche per le situazioni interne, la sentenza ha affermato quanto segue: «Infatti, è pur vero che la Corte ha già dichiarato che la Direttiva 2004/80/CE prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro dove la vittima si trova, nell'ambito dell'esercizio del suo diritto alla libera circolazione, cosicché una situazione puramente interna non rientra nell'ambito di applicazione di tale Direttiva (v., in tal senso, Corte di giustizia UE, 28 giugno 2007, C‑467/05; Corte di giustizia UE, 12 luglio 2012, C‑79/11; Corte di giustizia UE, 30 gennaio 2014, C‑122/13). Ciò non toglie tuttavia che, nel fare ciò, la Corte si è limitata a precisare che il sistema di cooperazione istituito dalla Direttiva 2004/80/CE riguarda unicamente l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, senza tuttavia escludere che l'art. 12, par. 2, Direttiva 2004/80/CE imponga ad ogni Stato membro di adottare, al fine di garantire l'obiettivo da essa perseguito in siffatte situazioni, un sistema nazionale che garantisca l'indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio. Una siffatta interpretazione dell'art. 12, par. 2, Direttiva 2004/80/CE è del resto conforme all'obiettivo di tale Direttiva, consistente nell'abolizione degli ostacoli tra Stati membri alla libera circolazione delle persone e dei servizi al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno». Nelle more della pronuncia da parte della Corte di giustizia il nostro legislatore è intervenuto a colmare la carenze contestategli dalla Commissione nella procedura di infrazione e accertate dalla Corte di Lussemburgo. La l. 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2015-2016) contiene, infatti, una serie di disposizioni, gli articoli da 11 a 16, volte a garantire l'indennizzo in parola alle vittime di reati dolosi commessi con violenza alla persona (art. 11, l. 7 luglio 2016, n. 122). Vero è che tale indennizzo sarà riconosciuto solo al verificarsi di una serie di condizioni (art. 12, l. 7 luglio 2016, n. 122) e occorrerà vedere se la Commissione U.E. le riterrà in linea con le indicazioni fornite dalla Corte nella pronuncia di cui sopra. L'art. 11, comma 1, l. 7 luglio 2016, n. 122, prevede espressamente che «Fatte salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni di legge, se più favorevoli, è riconosciuto il diritto all'indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all'art. 603-bis c.p., ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'art. 583 c.p..». Vi è quindi certamente un ampliamento delle fattispecie penali considerate ai fini del possibile indennizzo. Il successivo art. 12, l. 7 luglio 2016, n. 122, dispone che «L'indennizzo è corrisposto alle seguenti condizioni: a) che la vittima sia titolare di un reddito annuo, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato; b) che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l'autore del reato sia rimasto ignoto; c) che la vittima non abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo, ai sensi dell'art. 12 c.p.p.; d) che la vittima non sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a, c.p.p. e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; e) che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati.». Al pari importante dal punto di vista dei presupposti per ottenere l'indennizzo è poi l'art. 13, l. 7 luglio 2016, n. 122, il quale ad esempio dispone che la domanda di indennizzo deve essere corredata tra l'altro dalla:
Il che lascia intendere che anche i tempi del procedimento giudiziario per ottenere l'indennizzo saranno piuttosto lunghi, perché ad esempio la vittima dovrà attendere la sentenza di condanna nei confronti dell'autore del fatto illecito violento, e poi iniziare l'eventuale procedura esecutiva per escutere il condannato al risarcimento. Anche solo scorrendo quanto disposto dagli artt. 12 e 13, l. 7 luglio 2016, n. 122, emerge evidente l'intenzione del legislatore di limitare al massimo l'ambito applicativo della disciplina e comunque di ritardare (a tempi migliori) il pagamento effettivo degli indennizzi, si può presumere per ragioni di finanza pubblica. Per completezza va ricordato che l'art. 1, comma 146, l. n. 232/2016, ha apportato delle piccole modifiche alla l. n. 122/2016, prevedendo ad esempio una disciplina di maggior favore per l'indennizzo dei figli della vittima di omicidio commesso dal coniuge (o dall'ex coniuge) o da persona che a essa è stata legata da relazione affettiva, nonché la destinazione al Fondo di rotazione antimafia, antiusura e per l'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti (istituito dall'art. 14, l. n. 122/2016) delle risorse derivanti dalle sanzioni pecuniarie civili di cui al d.lgs. n. 7/2016 (anziché alla cassa delle ammende). Tali risorse possono essere recuperate secondo le disposizioni sulla riscossione di cui al d.P.R. n. 115/2002 (Testo Unico in materia di spese di giustizia). Trattasi di piccoli segnali in controtendenza da parte del legislatore per assicurare maggiore efficacia e disponibilità economiche in favore degli indennizzi. Con Decreto del Ministero dell'Interno e della Giustizia del 31 agosto 2017 sono stati determinati gli importi degli indennizzi nella seguente misura: a) per il reato di omicidio, nell'importo fisso di euro 7.200, nonché, in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, nell'importo fisso di euro 8.200 esclusivamente in favore dei figli della vittima; b) per il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p., salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità, nell'importo fisso di euro 4.800; c) per i reati diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), fino a un massimo di euro 3.000 a titolo di rifusione delle spese mediche e assistenziali. La cosiddetta legge europea 2017 (l. 20 novembre 2017, n. 167) in vigore dal 12 dicembre 2017 ha apportato delle modifiche migliorative pur lasciando intatto l'impianto generale fissato dalla l. n. 122/2016. In particolare: è stata abrogata la disposizione contenuta nell'art. 12, comma 1, lett. a, l. n. 122/2016, che imponeva dei limiti di reddito molto bassi per poter accedere all'indennizzo; le limitazioni procedurali previste dall'art. 12, comma 1, lett. b, l. n. 122/2016, non operano più nel caso in cui l'autore del reato abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale o civile in cui è stata accertata la sua responsabilità; l'indennizzo può essere corrisposto a condizione che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati, purché di importo superiore a 5.000 euro (soglia in precedenza non prevista). Anche l'art. 13, l. n. 122/2016, ha subito delle leggere modiche, in particolare va segnalata la previsione secondo cui la domanda può ora essere presentata anche nel termine di sessanta giorni decorrente dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna. Infine, sono stati aumentati i fondi previsti dall'art. 14, l. n. 122/2016, prevedendo inoltre che l'indennizzo de quo, come per ultimo modificato dalla l. n. 167/2017, spetta anche a chi è vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005 e prima dell'entrata in vigore della legge n. 122/2016, purché le domande di concessione siano presentate, a pena di decadenza, entro il termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge europea del 2017, come detto fissata al 12 dicembre 2017. In sostanza si è andato a sanare tutto il periodo in cui l'Italia ha omesso di dare attuazione alla Direttiva 2004/80/CE, con lo scopo evidente di “bloccare” le cause introdotte sul presupposto dell'inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di dare attuazione alla già citata Direttiva. In conclusione: principali questioni controverse
Risulta ancora incerto se la Direttiva 2004/80/CE imponga agli Stati membri un sistema di tutela per le vittime di reati intenzionali violenti per tutti, cittadini e stranieri (di altri Stati membri), ovvero solo con riguardo alle situazioni transfrontaliere riferibili al cittadino dell'Unione che subisce delle lesioni in un altro Stato membro nel quale si trova transitoriamente. Nel corso del tempo si sono formate nella giurisprudenza di merito due diverse soluzioni interpretative riguardo all'ambito applicativo della Direttiva: la prima (cfr. App. Torino, 23 gennaio 2012, che ha confermato la decisione di primo grado del 3 maggio 2010; Trib. Milano, n. 10441/2014), pur condividendo l'individuazione della ratio ispiratrice della Direttiva nel coordinamento transfrontaliero, ha precisato che : «tali forme di collaborazione presuppongono però che tutti gli Stati membri siano dotati di normative nazionali che prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, ed è appunto ciò che impone il par. 2 dell'art. 12: altrimenti il sistema nel suo complesso non può funzionare»; tale indirizzo ha pertanto consentito di accogliere la domanda attorea fondata sul presupposto dell'inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di dare attuazione all'art. 12, Direttiva 2004/80/CE. La seconda opzione interpretativa (cfr. Trib. Trieste, n. 741/2014; Trib. Trieste, n. 382/2013; App. Roma, 9 maggio 2014; Trib. Torino 28 dicembre 2013; Trib. Torino, 20 novembre 2014), muovendo dalla ratio della Direttiva di facilitare l'accesso all'indennizzo nelle cosiddette situazioni transfrontaliere, ha ritenuto rimessa alla discrezionalità del legislatore l'individuazione delle fattispecie indennizzabili, discrezionalità esercitata dallo Stato italiano con il riconoscimento della tutela per le vittime di specifici reati quali, in primo luogo le vittime di terrorismo e criminalità organizzata. Di recente App. Torino, 14 giugno 2017, n. 1949, ha ritenuto, anche alla luce della già citata sentenza Corte di giustizia UE, 11 ottobre 2016, C-60/14, che la tutela prevista dalla Direttiva 2004/80/CE riguardi solo le situazioni transfrontaliere, in ragione della ratio della Direttiva volta a garantire, anche sotto il profilo della tutela nel caso di aggressioni violente, la libera circolazione all'interno dell'Unione, e che quindi le situazioni meramente interne non rientrino nell'ambito della Direttiva, pur osservando che una normativa che escluda i cittadini e/o residenti in Italia dall'indennizzo potrebbe essere considerata incostituzionale per violazione dell'art. 3 Cost.. La dottrina maggioritaria è invece di contrario avviso, ritenendo che, anche da Corte di giustizia UE, 11 ottobre 2016, C-60/14 (la quale evidentemente sul punto non è chiarissima), si possa evincere che l'obbligo previsto dalla Direttiva riguardi anche le situazioni “puramente interne”, dato che la creazione di un sistema di indennizzo nazionale è in realtà prodromico alla realizzazione della tutela delle vittime “in transito”, scopo ultimo a cui mira la Direttiva. Una disparità tra vittime “interne” e vittime “in transito” sarebbe poi palesemente contraria al principio di non discriminazione, sancito in diverse pronunce dalla Corte di Lussemburgo (per ultimo Corte di giustizia UE, 5 giugno 2008, C-164/07). Va detto peraltro che nella citata sentenza Corte di giustizia UE, 11 ottobre 2016, C-60/14 (Commissione contro Italia), la Corte ha respinto ogni argomento sostenuto dall'Italia, tra cui anche quello relativo alla limitazione degli obblighi della Direttiva alle sole situazioni “ transfrontaliere”. Altro problema interpretativo riguarda il dubbio se la tutela debba estendersi anche alla violenza cosiddetta morale che si configura nelle condotte minacciose (molto frequenti nel caso di estorsione, ma anche a volte nelle violenze sessuali o anche nei maltrattamenti in famiglia senza lesioni per la vittima), ovvero nei casi in cui le lesioni o la morte sono conseguenza non voluta di altro delitto non violento (es. la cessione di sostanza stupefacente tagliata male oppure nel caso di omicidio preterintenzionale consumato, ad es. con una semplice spinta), ovvero a quei reati in cui la lesione è una conseguenza non voluta di condotte violente contro il patrimonio (es. incendio doloso seguito da lesioni o morte). La dizione dell'art. 12, Direttiva 2004/80/CE, che si riferisce alle «vittime di reati intenzionali violenti», lascia qualche spazio interpretativo a chi volesse ricomprendere anche ipotesi diverse dal caso paradigmatico della violenza fisica diretta intenzionalmente contro la persona. In discussione sono poi i presupposti previsti dalla l. n. 122/2016 per esercitare l'azione con la quale la vittima di un reato violento e intenzionale chiede allo Stato l'indennizzo adeguato ed equo previsto dalla Direttiva 80/2004/CE. Nella specie viene in rilievo in particolare l'art. 12, lett. b, l. n. 122/2016 in cui è stabilito che l'accesso all'indennizzo è subordinato, tra i vari presupposti, alla circostanza «che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l'autore del reato sia rimasto ignoto» (tali limitazioni procedurali, a seguito della modifiche introdotte dalla l. n. 167/2017, non operano più nel caso in cui l'autore del reato abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale o civile in cui è stata accertata la sua responsabilità). Nella giurisprudenza di merito si segnala una prima posizione, assunta da App. Milano, 18 aprile 2017, n. 1653, la quale ha sostenuto che la l. n. 122/2016 va disapplicata in quanto difforme dalla Direttiva nella parte in cui esige che il richiedente l'indennizzo abbia invano escusso l'autore del reato quando noto. Secondo la Corte milanese «nella Direttiva 2004/80/CE non vi è traccia alcuna dell'obbligo della preventiva escussione del responsabile come condizione per l'accesso all'indennizzo statale. (…) Del resto, se l'assunto di parte appellante fosse fondato, si dovrebbe allora necessariamente ritenere che la Direttiva contenga l'obbligo, a carico di un cittadino dell'UE non residente nello Stato in cui è stato vittima di un reato intenzionale violento, di esperire un'azione esecutiva nei confronti del reo e quindi presso un'autorità giudiziaria straniera rispetto alla vittima. (…) Tale conclusione si porrebbe, peraltro, in conflitto con l'intento della Direttiva che (...) è quello di facilitare l'accesso all'indennizzo e soprattutto di rimuovere gli ostacoli per il suo ottenimento a vantaggio delle vittime». Coeva è Trib. Torino, 18 aprile 2017, n. 2067, che invece ha affermato il contrario, attraverso un'interpretazione adeguatrice della normativa nazionale di recepimento. Il Tribunale torinese ha osservato che «la finalità della Direttiva si evince (...) dal considerando 10 in base al quale «le vittime di reato in molti casi non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito»” sicché «l'indennizzo a carico dello Stato è (...) cogente solo in presenza del presupposto dell'impossibilità di esercitare la pretesa nei confronti del responsabile in quanto incapiente o non identificato». La contraria interpretazione, ha aggiunto il Tribunale, «non è coerente con il dettato del citato considerando 10 e con il contenuto della Convenzione europea del 24 novembre 1983, menzionata nel considerando 8 della Direttiva» nelle cui premesse si considera «che è necessario introdurre o sviluppare regimi di risarcimento in favore di queste vittime da parte dello Stato sul cui territorio sono stati commessi tali reati, segnatamente per i casi in cui l'autore del reato sia ignoto o privo di mezzi». Infine, è facile prevedere che dubbi sorgeranno anche in ordine al requisito di cui all'art. 12, comma 1, lett. c, l. n. 122/2016, che esclude l'indennizzo nell'ipotesi in cui la vittima abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo, attesa l'indeterminatezza della predetta disposizione. Ad esempio, nell'ipotesi di commissione del delitto di lesioni gravi ex artt. 582 e 583 c.p., può essere sufficiente, per ritenere che vi sia un concorso della vittima nel reato, il fatto che questa ha formulato un banale insulto al suo aggressore prima di essere aggredita e picchiata? Tutti nodi ancora da sciogliere a distanza di tredici anni dall'emanazione della Direttiva e di oltre un anno dall'entrata in vigore della l. n. 122/2016. Un ritardo quindi anche da parte della giurisprudenza. D. Bruni, Indennizzo alla vittima di reato violento e intenzionale: non è sempre necessaria la preventiva escussione del reo, in Il Familiarista.it; P. Molino, Opposte pronunce di merito sull'equo indennizzo alle vittime di reati violenti ed intenzionali, in Quotidiano giuridico del 13 giugno 2017; M. Bona, Vittime di reati violenti intenzionali : la Corte di Giustizia dichiara l'inadempimento dell'Italia, in Resp. civ. prev. , 2017, fasc. 2, p.470 ss.; R. Bardelle, S. Mezzacapo, C. Amalfitano, F. Ciampi, Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2015-2016 (commento alla l. 7 luglio 2016, n. 122), in Guida al diritto, 2016, fasc. 46, p. 19 ss.; M. Bona, La tutela indennitaria delle vittime di reati violenti intenzionali nella legge n.122/2016, in RIDARE.it.. |