Attestazione di conformità e improcedibilità del ricorso per cassazione. Un’altra “trappola da eccessivo carico”

Erminio Colazingari
06 Dicembre 2017

La Suprema Corte, con le sentenze in esame, ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso per mancata attestazione di conformità della notifica della sentenza. Cerchiamo di capire in quali termini è stata affrontata la questione.
Massima

In tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l'onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, l. n. 53/1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la Cancelleria della Corte.

Il caso

Nelle sentenze in esame, i ricorrenti, ai fini della prova della decorrenza del dies a quo del termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. avevano depositato in giudizio, unitamente alla copia della sentenza notificata, la sola stampa del messaggio PEC con il quale era stata ricevuta la notificazione della sentenza, ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 325 c.p.c., in assenza del deposito della relazione di notificazione inviata e della relativa PEC di trasmissione con attestazione di conformità. Per tale motivo la Corte di cassazione ha dichiarato improcedibili i ricorsi.

La questione

La questione affrontata dalle sentenze n. 17450/2017 e n. 24292/2017 attiene la mancata prova della tempestività dell'impugnazione nel termine breve conseguente al deposito, unitamente alla copia della sentenza notificata, della sola stampa del messaggio PEC con il quale è stata ricevuta la notificazione della sentenza, ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 325 c.p.c., in assenza del deposito della relazione di notificazione inviata e della relativa PEC di trasmissione con attestazione di conformità.

Le soluzioni giuridiche

Per risolvere l'indicata questione, la Suprema Corte, in entrambi i provvedimenti muove dal disposto dell'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. il quale prescrive che col ricorso debbano essere depositate, a pena di improcedibilità, la copia autentica della sentenza impugnata e la relazione di notificazione, qualora questa abbia avuto luogo. Secondo la Corte la ratio della norma va identificata nell'esigenza di consentire alla stessa di verificare la tempestività dell'impugnazione richiamando consolidato orientamento (Cass. civ., sez. III, sent., n. 19654/2004; Cass. civ., sez. II, sent. n. 15232/2008; Cass. civ., Sez. Un., ord., n. 9005/2009). La necessità di comminare in ogni caso la rigorosa sanzione della improcedibilità nell'ipotesi di omesso tempestivo deposito, da parte del ricorrente, della relazione di notifica della statuizione impugnata era stata confermata anche dalle Sezioni Unite: «Nell'ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev'essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell'art. 369, comma 2, c.p.c., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui all'art. 369, comma 1, c.p.c. e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell'eventuale non contestazione dell'osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d'ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell'impugnazione» (Cass. civ., Sez. Un., ord. n. 9005/2009). La stessa Corte però dà atto nello stesso provvedimento di altri orientamenti che hanno affermato che «deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest'ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» (Cass. civ., Sez. Un., sent., n. 10648/2017). Nondimeno l'omissione, nel caso all'esame rilevata dal Collegio avrebbe avuto rilevo perché: la sentenza era stata pubblicata l'11 dicembre 2014 e il ricorso inviato alla notificazione il 18 marzo 2015 in assenza di prova della notificazione della sentenza e dunque del dies a quo del termine per l'impugnazione. Nessun rilievo nella fattispecie la Corte ha attribuito alla conferma, proveniente dal controricorrente, dell'avvenuta notificazione del provvedimento impugnato in data 4 febbraio 2015. Secondo la Corte, infatti, quando la notificazione della sentenza impugnata è avvenuta con modalità telematica l'onere di deposito della relata prescritto dall'art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c., deve essere soddisfatto considerando sia le peculiarità dello strumento impiegato dal mittente (e, quindi, la specifica disciplina dettata per le notificazioni telematiche), sia l'esigenza, propria del giudizio di cassazione, di "convertire" in formato analogico gli atti digitali da depositare (in proposito, Cass., sez. VI-III, ord., n. 7443/2017: La specificità della notificazione con modalità telematica avrebbe per la Corte i seguenti paradigmi normativi:

  • la l. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis consente agli avvocati di effettuare la notificazione di atti e documenti con modalità telematica e, cioè, impiegando il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
  • a norma del comma 5 della predetta disposizione, l'avvocato mittente è tenuto a redigere «la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata»;
  • nella notificazione telematica il mittente ottiene la «ricevuta di accettazione» (prevista dal d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 1), fornita dal gestore di posta elettronica certificata utilizzato dallo stesso mittente e contenente i dati di certificazione che costituiscono prova dell'avvenuta spedizione del messaggio, e, in seguito, la «ricevuta di avvenuta consegna» (prevista dall'art. 6, commi 2 e seguenti, del menzionato testo normativo), che è emessa dal gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario e costituisce prova che il messaggio è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario (indipendentemente dalla lettura che questo ne abbia fatto);
  • «la notifica effettuata con modalità telematica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione... e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna» (Cass. civ., sez. L., sent., n. 20072/2015).

All'indirizzo PEC dell'"avvocato destinatario", invece, perviene il messaggio di posta elettronica certificata inviato dal mittente coi relativi allegati digitali, ma non giungono ricevute rilasciate dai gestori di posta elettronica certificata.

L'esigenza del destinatario di dimostrare la tempestività del proprio ricorso mediante il deposito (prescritto dall'art. 369 c.p.c.) della relata di notificazione non può avvenire, dunque, con la produzione di documenti (necessariamente cartacei nel giudizio di cassazione) emessi dai gestori di posta elettronica certificata: i documenti da depositare sono, infatti, il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e la «relazione di notificazione (redatta) su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata» dell'"avvocato mittente" ai sensi della l. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis, comma 5. In conclusione, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto: «In tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematica ai sensi della l. n. 53/1994, art. 3-bis, per soddisfare l'onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., il difensore del ricorrente, destinatario della notificazione, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente l. n. 53/1994, ex art. 3-bis, comma 5, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione codicistica».

Osservazioni

Le soluzioni offerte dalle sentenze in commento non appaiono condivisibili avendo la Corte omesso di considerare quale sia il documento che dimostri effettivamente la data della ricezione della notificazione della sentenza da impugnare, a prescindere dalle previsioni sulle notificazioni telematiche e l'operatività di quelle norme che comunque attribuiscono la stessa efficacia probatoria degli originali alle copie depositate. Va subito evidenziato che la norma di cui all'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. redatta in tempi lontani dall'era del telematico e la cui ultima modifica risale al 2006 parla di deposito della sentenza o decisione impugnata «con la relazione di notifica» atteso che solo la relazione di notifica costituiva elemento capace di indicare in quale giorno tale notifica fosse stata effettuata, eccezione fatta per le notificazioni ai sensi dell'art. 140 c.p.c. - per le quali dopo la Sentenza della Corte cost. n. 3/2010 devono essere depositate anche le ricevute di ritorno – e per le notificazioni avvenute a mezzo del servizio postale per le quali era si da allora indispensabile il deposito delle ricevute di ritorno. In tali casi evidentemente non era la relata di notifica a dare la prova del giorno della effettiva notificazione dell'atto ma la ricevuta di ritorno. Appare evidente allora che l'espressione della norma «con la relazione di notifica» deve essere intesa nel senso della presenza in atti della prova della avvenuta notifica della sentenza nel giorno in cui essa si assuma essere avvenuta.

Nell'era telematica, come ha evidenziato la Corte nella pronunzia in commento, a chi riceve la notifica della sentenza perviene un messaggio PEC che contiene in allegato l'atto e la relazione di notificazione. Dunque nel messaggio PEC si evidenziano anche gli allegati e quel messaggio dimostra che in quella data sulla posta elettronica del ricevente sono giunti il ricorso e la relazione di notifica. La domanda che ora ci si pone è: cosa dimostra l'effettiva ricezione della notificazione ai fini del controllo della tempestività della proposizione dell'impugnazione? La relazione di notifica o il messaggio PEC? La risposta è evidente, atteso che la verifica della regolarità della relazione di notifica atterrebbe alla validità della notificazione e non alla tempestività della proposizione del ricorso per la qual cosa evidentemente occorre far riferimento alla data del messaggio PEC!

Ciò posto la Corte nel caso in esame ha avuto prodotta in atti la stampa del messaggio PEC relativo alla ricezione della notificazione e cioè per così dire la copia di un documento che dimostra l'arrivo in casella di posta dell'atto notificato. Trattasi di documento diverso da una ricevuta di ritorno che, come noto, nel telematico è rappresentata dalle ricevute di accettazione e consegna. Trattasi in ogni caso di un documento che attesta e prova l'avvenuta ricezione della notificazione della sentenza in un determinato giorno. Ora evidentemente la sentenza in commento ha omesso di considerare realmente il dettato della norma di cui all'art. 369 c.p.c. alla luce del documento che il processo telematico ha prodotto (messaggio PEC della notificazione) e che indubbiamente fornisce la prova della data della notificazione; unico elemento questo che effettivamente serve alla Corte per la verifica della tempestività della notificazione del ricorso. A voler trovare un documento equivalente al messaggio PEC di ricezione in data anteriore all'avvio del telematico si dovrebbe pensare, nell'ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale, alla busta con cui il plico è stato inviato dal mittente, contenente il timbro postale di consegna. Unico elemento questo che rimaneva in mano al soggetto ricevente la notifica ed idoneo a dimostrare la data di decorrenza del termine breve: cioè il giorno di effettiva ricezione del plico, attesa la scissione degli effetti tra notificante e notificato. Se in ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale il ricevente la notifica avesse prodotto l'atto con la relazione di notifica che attesta esclusivamente la data di spedizione del plico avrebbe provato il dies a quo del termine breve? La risposta evidentemente non può che essere negativa salva l'ipotesi in cui il ricorso fosse stato notificato in data anteriore al sessantesimo giorno dalla spedizione del plico di notifica della sentenza. Allora l'erroneità del decisum appare proprio nel suo punto centrale: non è la relata di notifica che dimostra la effettiva ricezione della notificazione in tutti i casi i cui la data di effettiva consegna/ricezione dell'atto non sia attestata dall'Ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione. Ma vi è pure da aggiungere che il messaggio PEC è di più di una mera busta di ricezione in quanto attesta la presenza di allegati ad essa e nello specifico dell'atto notificato e della relata di notificazione; attesta cioè il suo contenuto. Dunque ai fini delle verifiche della tempestività della notificazione del ricorso ha valenza esclusiva proprio quel messaggio PEC prodotto. Nel caso in esame tale messaggio PEC era stato allegato.

Altra questione è quella relativa alla mancata attestazione di conformità; ragione per cui quel messaggio PEC depositato non avrebbe fornito la prova della effettiva ricezione. Ora bisogna interrogarsi, a parere di scrive, del senso e della valenza che l'attestazione di conformità abbia in relazione agli atti “estratti” dal telematico. Si ritiene di poter serenamente affermare che la stessa conferisca all'atto la conformità all'originale così come qualsiasi autentica. Si parla dunque di conformità e cioè di corrispondenza della copia prodotta all'originale (in questo caso originale telematico). Parlando di conformità della copia all'originale non si può allora evitare il coordinamento della normativa sulla conformità degli atti “estratti” con la normativa relativa alla valenza delle copie prodotte in giudizio. Non bisogna infatti dimenticare che esiste una norma, quella di cui all'art. 2719 c.c. che, come noto recita: «Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta». La portata di tale norma è stata proprio di recente ampliata dalla Suprema Corte che non ha mancato di rilevare che «La produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia dell'atto processuale spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell'art 149 c.p.c., richiesta dalla legge in funzione della prova dell'avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, può avvenire anche mediante l'allegazione di fotocopie non autenticate, ove manchi contestazione in proposito, poiché la regola posta dall'art. 2719 c.c. per la quale le copie fotografiche o fotostatiche hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, non solo se la loro conformità è stata accertata all'originale è attestata dal pubblico ufficiale competente, ma anche qualora detta conformità non sia disconosciuta dalla controparte, con divieto per il giudice di sostituirsi nell'attività di disconoscimento alla parte interessata, pur se contumace trova applicazione generalizzata per tutti i documenti» (cfr. Cass. n. 21003/2017). Se è così allora la copia del messaggio PEC estratta da difensore e prodotta in giudizio, se non disconosciuta dalla controparte, doveva ritenersi conforme all'originale. Peraltro la sentenza n. 17450 dà atto di come la controparte avesse pure confermato la data della notifica. La Corte avrebbe fatto bene a decidere nel merito il ricorso. Ciò posto con estremo favore va vista la nota del Consiglio dell'Ordine di Milano del 12 ottobre 2017 che auspica che le Sezioni Unite intervengano per rivedere il principio enunciato nella sentenza.

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