Libera determinazione del canone e pagamento di somme prive di giustificazione: dalla nullita' all'estorsione

Ladislao Kowalsky
11 Dicembre 2017

La determinazione del canone nelle locazioni ad uso diverso e, nelle abitazioni, dal 1998 è libera, tuttavia rimane un vincolo rigoroso in ordine a tale libertà. L'autonomia, infatti, esclude che si possano concedere somme diverse: dal canone rigorosamente considerato - anche se graduato nel tempo - quale corrispettivo della locazione; dal rimborso di oneri e dal deposito cauzionale. Qualora, quindi, nel rapporto vengano considerati importi che non trovano corrispondenza nel sinallagma, deve ritenersi che...
Massima

In tema di locazioni a uso commerciale, sebbene sia consentita ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, il locatore non può pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di “buona entrata”, prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, sicché il relativo patto è nullo ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978. Pertanto, il principio di cui al precedente art. 9, applicabile alle locazioni di immobili adibiti a uso non abitativo, va inteso nel senso che se non esiste la fornitura di un determinato servizio, mancando la sinallagmaticità, non è dovuto alcun corrispettivo per la stessa, anche se il pagamento del relativo onere è astrattamente previsto in contratto. La nullità, per violazione del citato art. 79, è rilevabile anche d'ufficio a norma dell'art. 1421 c.c.

Il caso

Come spesso avviene nelle decisioni dei giudici, evidentemente complice la complessità dell'ordinamento, da cosa nasce cosa. Nella sentenza che commentiamo si trattava di una facoltosa conduttrice che evocava in giudizio la propria locatrice. Alla stessa venivano contestati gli importi pagati per oneri condominiali relativi ad un esercizio. Degli stessi veniva richiesta la restituzione. Si chiedeva inoltre venissero accertati gli oneri effettivi relativi alla stagione successiva a quella per la quale il pagamento era già avvenuto.

La locatrice si costituiva, ovviamente, contestando la pretesa e chiedendo a sua volta, in via riconvenzionale, i pagamenti di tutti gli oneri, spese ordinarie e straordinarie. La sentenza, infatti, anche se la motivazione non riporta il preciso testo della clausola, rileva che, ancorché in base a sfumature linguistiche, vi era disposizione contrattuale che poneva a carico della conduttrice servizi di cui non usufruiva (pare, addirittura, relativi a immobili non facenti parte della locazione).

Il Tribunale rigettava tutte le domande.

La Corte di appello, in totale riforma, condannò la conduttrice a restituire le somme pagate così accogliendo l'originaria domanda. Rigettata quindi sia la riconvenzionale della locatrice che la sua opposizione.

Ricorreva quest'ultima avanti il Supremo Collegio con più motivi. Alcuni di ordine procedurale che non interessano al nostro quesito e che quindi non tratteremo.

Ciò che è inerente, al contrario, è la contestazione mossa dalla ricorrente/locatrice. La stessa rilevava che la conduttrice chiedeva la restituzione di quanto pagato ma che non aveva evidenziato od opposto la nullità della clausola contrattuale che poneva, a suo carico, servizi dei quali lei non godeva. Era stata la Corte di appello, infatti, che aveva rilevato e valorizzato tale nullità ponendola a base della decisione di condanna della locatrice alla restituzione di quanto già incassato.

La questione

Il tema del dibattito si era, quindi, spostato da una semplice resa di conto in ordine all'addebito di spese condominiali, al più complesso aspetto dei patti contrattuali e della loro liceità.

Sul punto è opportuna una premessa in tema proprio di autonomia delle parti nella definizione dei loro rapporti.

I punti di partenza sono e rimangono le disposizioni di cui agli articoli da 27 a 42 e 79 e seguenti della l. n. 392/1978. Tali disposizioni sono rimaste sostanzialmente immutate nel tempo laddove, come abbiamo ricordato in altre parti della trattazione nella quale ci troviamo, per le locazioni abitative vi è stata una certa liberalizzazione introdotta dalla l. n. 431/1998. Ciò con riguardo alla abrogazione dell'art. 79 esclusivamente, come detto, per le abitazioni e con la introduzione, al suo posto, dell'art. 13 di quella legge. Pertanto si ripete, solo per le abitazioni, numerose disposizioni di carattere generale sono divenute derogabili. In particolare quelle sino all'art. 11 della l. n. 392/1978. Al contrario quelle di cui agli artt. da 7 a 11 della medesima legge, estendibili atteso il richiamo di cui all'art. 41 agli usi diversi, sono rimasti rigorosamente inderogabili.

In tutta questa complessa disciplina, quindi, primeggia con il suo valore assoluto per gli usi diversi, il disposto di cui all'art. 79 cit. Lo stesso pone vincoli rigorosi all'autonomia delle parti. Oltre, infatti, a vietare accordi di attribuzione al locatore di canoni maggiori rispetto a quelli “previsti dagli articoli precedenti” (questione oggi piuttosto flessibile a seguito dell'evoluzione giurisprudenziale sul tema) nonché a quelli in ordine alla durata legale dei rapporti, prevede anche il divieto “ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”.

Pertanto, ai fini che qui interessano, rispetto all'oggetto del contenzioso sottoposto a giudizio, si evidenziano diversi aspetti:

  • il primo relativo all'addebito delle spese condominiali che non rappresentano un costo imputabile al conduttore. Allo stesso, infatti e con il ricordato rigore di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, possono essere richiesti i soli rimborsi degli anni relativi all'utilizzo dell'immobile locato. Siamo, quindi, nell'ambito puro e semplice, di un'operazione matematica a fronte dei divieti riscontrati (pagamenti di somme prive di giustificazione) e rispetto procedurale (richiesta di pagamento, esame del diritto della documentazione e termini per il pagamento medesimo). L'art. 9 della citata l. n. 392/1978 infatti:

- fa riferimento agli oneri rimborsabili;

- fissa il termine per il pagamento entro due mesi dalla richiesta;

- pone il diritto, in capo al conduttore e relativo onere in capo al locatore, «di ottenere l'indicazione specifica delle spese con la menzione dei criteri di ripartizione. Il conduttore ha inoltre diritto di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese effettuate.» Come si vede un articolato procedura assistita, lo si ripete, dalle perentorietà di cui all'art. 79;

  • il secondo relativo all'esame del contenuto della clausola contrattuale che prevede i pagamenti. Lo abbiamo già rilevato sopra. La Corte evidenzia che la stessa sia stata espressa con “sfumature linguistiche” che evidenziano “differenze in realtà insussistenti”. La clausola, infatti, da come si capisce, poneva a carico della conduttrice “servizi di cui non si usufruiva”. Sotto tale profilo pertanto l'accordo negoziale è censurabile;

- sia sotto il profilo della errata attribuzione di rimborsi non dovuti secondo l'originaria proposizione della domanda come formulata dalla conduttrice «difformità dei criteri per la ripartizione degli oneri accessori e delle spese di manutenzione straordinarie applicati dalla società locatrice rispetto a quelli stabiliti dalla legge e del contratto stipulato …»;

- sia in quanto vengono imposte alla conduttrice spese non ammissibili a rimborso. Rileva la decisione, infatti, che «gli oneri accessori previsti dall'art. 9 della l. n. 392/1978, rispondano alla ratio di addebitare al conduttore il costo dei servizi condominiali di cui fruisce, sicché il motivo di appello relativo alla declaratoria di nullità della clausola contrattuale che pone a carico della conduttrice servizi di cui non usufruiva è esattamente in linea con la questione decisa dalla Corte di appello». Aggiunge inoltre, la sentenza, la particolare evidenza, nel caso, della nullità delle clausole perché «ancora più evidente è l'inesistenza di una effettiva alterità fra le spese relative ai soli locali oggetto di locazione e quelle non riguardanti l'intero edificio nel suo complesso. …».

Le soluzioni giuridiche

Ci si è dilungati nella esposizione di cui al precedente punto in quanto, peraltro, come avvenuto nel caso, la questione era stata proposta (così si legge nell'esposizione di fatto in motivazione) contestando la «difformità dei criteri per la ripartizione degli oneri».

In realtà, complice anche il valore testuale dell'art. 9 laddove si introduce l'inciso «salvo patto contrario», clausole del tipo che ci occupa potrebbero essere utilizzate al fine di violare il divieto di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978. Evidente, infatti, che una clausola di addebito di oneri condominiali non fruiti o fruibili, o peggio del tutto inesistente, si presterebbe a violare il generale principio di nullità dei patti «che attribuiscono un canone maggiore o altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della l. n. 392/1978».

Ne consegue, per evidente logica deduzione, la sostanziale doppia nullità della situazione in corso fra le parti: l'una per aver addebitato spese in più non relative a servizi resi e ciò sulla base dell'art. 9 e l'altra per la violazione del generale divieto ex art. 79 di maggiori canoni o vantaggi.

Il principio di cui sopra era già stato espresso in precedenza dal Supremo Collegio (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20551). In quell'arresto, sempre in relazione all'argomento che ci occupa, si era precisato con molta chiarezza: «in materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da abitazione, il legislatore ha limitato l'autonomia contrattuale in relazione soltanto alla durata del contratto, alla tutela dell'avviamento ed alla prelazione mentre l'ammontare del canone è rimesso alla libera determinazione delle parti che ben possono prevedere l'obbligazione di pagamento per oneri accessori, specialmente quando questi sono strettamente connessi all'uso del bene; altrettanto vero per contro che resta vietato al locatore di pretendere il pagamento di somme diverse dal canone o dal deposito cauzionale, o fondo perduto o a titolo di buona entrata, che è privo di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, e il relativo patto è nullo ai sensi dell'art. 79 della citata legge (perché diretto ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia)».

Osservazioni

Le considerazioni sopra svolte circa il pagamento di somme non dovute si estendono ad altra e, a volte, conseguente situazione, che assume toni più delicati. La ricostruzione giurisprudenziale attraverso le decisioni citate (Cass. civ., sez. III, 8 marzo 2017, n. 5795; Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25274) introduce il tema del fondo perduto o buona entrata quali corrispettivi che, privi di causa, violano il disposto dell'art. 79. Sono, quindi, nulli e, se pagati, vanno restituiti.

Si tratta nel caso, come la casistica insegna, di ipotesi maliziosamente elaborate al fine di aggirare il rigore normativo. Avviene, infatti, a volte e soprattutto per immobili ad uso diverso particolarmente appetibili sotto il profilo commerciale, che si pongono in essere escamotage - quello delle spese condominiali “allargate” ne potrebbe essere un esempio - diretti proprio a realizzare dei pagamenti “aggiuntivi” rispetto a quelli evidenziati in atti.

La casistica sul punto è ovviamente, delle più varie. Per esempio, ed oltre all'ipotesi degli oneri, il ricorrere a patti con i terzi ipotesi proprio considerata nella citata decisione (Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25274).

L'escamotage, atteso il rigoroso principio di nullità, non sfugge alla relativa conseguenza. Sarà, infatti diritto del conduttore pretendere in base agli artt. 1421 (legittimazione in capo a chiunque vi abbia interesse) e 2033 c.c. (in tema di pagamento non dovuto), la restituzione di quanto corrisposto.

L'aspetto, inoltre, dei pagamenti eseguiti con le modalità di cui sopra esprime altro e diverso orizzonte che è quello di eventuale responsabilità in sede penale. Nel caso, infatti, che quei maggiori pagamenti vengano richiesti con modalità riportabili a condotta minacciosa e con caratteri di ingiustizia, si possono ipotizzare situazioni estorsive o di arbitrario diritto delle proprie ragioni. Ampia è la casistica in relazione a tali situazioni (Cass. pen., sez. II, 19 luglio 2016, n. 41452). Sul punto si legge in motivazione proprio in una ipotesi di somme pretese a fondo perduto: «integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell'altrui volontà assume di per sé i caratteri dell'ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva» (Cass. pen. sez. II, 18 dicembre 2015, n. 1921; Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2016, n. 8096; Cass. pen., sez. II, 8 ottobre 2015, n. 44657; Cass. pen., sez. I, 2 luglio 2014, n. 32795; Cass. pen., sez. VI, 25 marzo 2015, n. 17785).

Le ipotesi comunque devono essere valutate in relazione alla effettiva situazione di fatto. Frequenti, infatti sono gli episodi che sottoposti al vaglio penale, sono risultati esenti da responsabilità: così Cass. pen., sez. II, 17 marzo 2009, n. 16562, secondo la quale «non integra il delitto di estorsione, in assenza della intrinseca ingiustizia del fine perseguito, la minaccia di far valere un diritto pur quando se ne prospetti, con forte carica intimidatoria, un uso sproporzionato rispetto alle ragioni vantate» (nella fattispecie, non si è ritenuto l'ingiustizia del fine perseguito del proprietario di un immobile che, con la minaccia dello sfratto, si era fatto dare alcuni assegni a copertura dell'aumento “in nero” del canone di locazione).

E ancora, nell'àmbito della giurisprudenza di merito, «integra il reato di estorsione la condotta realizzata dal locatore che, mediante l'utilizzo di strumenti intimidatori tipici dell'attività mafiosa, obblighi il conduttore - che abbia manifestato l'intenzione di recedere anticipatamente dal contratto a fronte di un illegittimo ed arbitrario aumento del canone - non solo ad attendere la naturale scadenza del contratto stesso ma anche a rinnovarlo alle condizioni imposte dal proprietario» (Trib. Reggio Calabria 5 ottobre 2007); «non configura il reato di estorsione la pretesa da parte del locatore di una somma di denaro supplementare rispetto al canone mediante minaccia di non rinnovazione del contratto in corso, in relazione al quale sia già stata data valida disdetta, non integrando tale comportamento omissivo gli estremi della minaccia penalmente rilevante ai sensi dell'art. 640 c.p. concepita come causativa della coartazione di volontà e dell'ingiusto profitto con altrui danno» (Trib. Milano 9 dicembre 1994).

Guida all'approfondimento

Cuffaro - Padovini, Codice commentato degli immobili urbani, Torino, 2017, 1153.

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