La qualifica di “incaricato di pubblico servizio” ai fini dell’individuazione della fattispecie incriminatrice

Gaetano Bonifacio
12 Dicembre 2017

Non si configura il reato di cui all'art. 317 c.p. bensì quello di cui all'art. 629 c.p., nel caso di in cui il soggetto attivo del reato operi in società di diritto privato esercente servizio di pubblica necessità, qualora l'azione sia posta in essere nei rapporti con soggetti terzi legati alla società in forza di servizi in sub-concessione non rientranti tra quelli che comportano l'esercizio di una pubblica funzione.
Massima

Non si configura il reato di cui all'art. 317 c.p. bensì quello di cui all'art. 629 c.p., nel caso di in cui il soggetto attivo del reato operi in società di diritto privato esercente servizio di pubblica necessità, qualora l'azione sia posta in essere nei rapporti con soggetti terzi legati alla società in forza di servizi in sub-concessione non rientranti tra quelli che comportano l'esercizio di una pubblica funzione.

Il caso

La Corte distrettuale, confermava la sentenza emessa all'esito del giudizio abbreviato dal giudice di primo grado, che riqualificava come delitto di cui all'art. 317 c.p., anziché quello di cui agli artt. 629, 61 n.9 c.p. come contestato dal pubblico ministero, il fatto di chi agendo come funzionario di società per azioni esercente servizio di pubblica necessità, poneva in essere una condotta avente i requisiti della costrizione alla dazione del denaro, nei confronti di terzo esercente attività non avente le caratteristiche del pubblico servizio.

La Suprema Corte di cassazione, su gravame proposto dall'imputato, si pronunciava in riforma della sentenza della Corte di appello, analizzando compiutamente il fatto storico presupposto del reato, ed evidenziando come l'imputato avesse agito nei confronti di persona la quale svolgeva un servizio trasferitogli in regime di sub-concessione, dalla società della quale l'imputato faceva parte.

Le caratteristiche del servizio svolto dalla parte offesa, nella specie si trattava di una vendita al pubblico di prodotti alimentari, non erano tali da poterlo ricondurre a pubblico servizio ai sensi dell'art. 358 c.p.

La questione

L'esatta individuazione della fattispecie incriminatrice applicabile al fatto storico presupposto dell'accusa del pubblico ministero era, nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici, relazionata alla qualifica attribuibile al soggetto attivo del reato.

Al fine di compiere tale individuazione, i giudici del Supremo Collegio compiono un analisi del fatto finalisticamente orientata alla definizione di tale elemento.

Le soluzioni giuridiche

I giudici della Corte distrettuale avevano ravvisato nel fatto gli elementi tipici dell'attività di pubblico servizio, in quanto l'imputato aveva agito quale legale rappresentante di società costituita secondo il modello privatistico della società per azioni ma esercente attività connotata dalle caratteristiche del servizio di pubblica necessità, in quanto concessionaria di servizi inerenti attività aeroportuale.

Tali evenienze, facevano si che si attribuisse all'imputato la qualifica di incaricato di pubblico servizio e ravvisando nella condotta posta in essere nei confronti della parte offesa, l'elemento della costrizione, finalizzata all'ottenimento di una dazione di denaro indebita, ritenevano essersi concretati nel fatto gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 317 c.p. (concussione), così come formulato a seguito della modifica introdotta dall'art. 3, l. 27 maggio 2015 n. 69.

Tale fattispecie si trova inserita nel Libro II, Titolo II, Capo I, Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, il cui oggetto giuridico generale è quello della tutela dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, cui fa riferimento l'art. 97 Costituzione.

Ai fini dell'integrazione di tale fattispecie è necessario che il soggetto attivo del reato rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, essendo la condotta necessaria ai fini della sua perfezione, quella della costrizione a dare o promettere denaro o altra utilità, posta in essere abusando della qualità o dei poteri inerenti l'esercizio della funzione.

Con riferimento all'individuazione della qualifica soggettiva, i giudici del Supremo Collegio hanno osservato che essa è attribuibile con riferimento alla funzione effettivamente svolta dal soggetto attivo del reato e come a tale attività sia correlabile a quelli che sono i canoni dell'attività di pubblico servizio descritti nell'art. 358 c.p., non rilevando invece quella che è la qualifica che il soggetto attivo riveste all'interno dell'ente nell'interesse del quale lo stesso agisce e quale sia l'attività svolta dall'ente.

Infatti, in base a tale interpretazione, la natura dell'ente all'interno del quale il soggetto si trova strutturato, non rileva ai fini dell'attribuzione allo stesso di veste pubblicistica, potendo lo stesso soggetto agire in relazione a un servizio non avente i caratteri della pubblica funzione, ben potendo l'ente essere strutturato in base ai modelli privatistici delle società di persone o di capitali, peraltro in coerenza con quelle che sono le moderne tendenze nella privatizzazione dei servizi pubblici essenziali.

La qualifica di incaricato di pubblico servizio è invece attribuibile a chiunque a qualunque titolo svolga un pubblico servizio, dovendosi considerare tale, secondo la definizione contenuta nell'art. 358 c.p., qualunque attività caratterizzata dalle forme della pubblica funzione, ma sfornita dei poteri propri di quest'ultima.

Da tale definizione si ricava che la qualifica di incaricato di pubblico servizio è attribuibile in relazione all'attività effettivamente svolta e dal modo in cui essa si correla con l'esercizio della pubblica funzione, a nulla rilevando quella che è la qualifica che il soggetto riveste all'interno dell'ente per conto del quale agisce, che ben potrebbe essere ente di rilevanza pubblicistica e fornire però anche servizi sforniti dei caratteri della pubblica necessità.

È sulla base di tale assunto che i giudici del Supremo Collegio (in riforma di quanto statuito dai giudici della Corte distrettuale, i quali avevano attribuito la qualifica di incaricato di pubblico servizio all'imputato perché operante all'interno di società di diritto privato a partecipazione pubblica concessionaria di servizi di pubblico interesse), riscontrato che nell'attività svolta dal soggetto attivo non erano ravvisabili gli elementi propri della pubblica funzione, ritenevano perfezionato il delitto di estorsione, pur facendo lo stesso parte di società classificata come organismo di diritto pubblico.

Il rapporto tra la società di cui l'imputato faceva parte e la società condotta dalla parte offesa del reato era basato su un servizio affidato a quest'ultimo in regime di sub-concessione, nel quale l'ente pubblico concessionario non aveva alcun coinvolgimento, non essendo tale rapporto previsto nello schema del rapporto di concessione principale.

Tali evenienze facevano venir meno la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo all'imputato e, conseguentemente, la configurabilità dei reati di concussione (art. 317 c.p.) e di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.), di tal che era doveroso verificare se dagli atti fosse stato possibile ipotizzare, cosi come era nell'originaria contestazione, la perfezione della fattispecie di estorsione, descritta nell'art. 629 c.p., per la cui integrazione non è richiesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

Come è stato rilevato dai giudici del Supremo Collegio, affinché sia ravvisabile il delitto di estorsione è necessaria una condotta connotata da violenza o minaccia, tesa ad ottenere un ingiusto profitto con altrui danno, condotta che come osservato si differenzia da quella della truffa, in quanto la minaccia di un danno ben può essere la conseguenza degli artifici e raggiri costitutivi del delitto di truffa, ogni qual volta a seguito dell'erronea rappresentazione della realtà, la parte offesa si rappresenti tale situazione, che però non gli sia prospettata come derivante dalla condotta del soggetto attivo, ma sia piuttosto derivante da un infondato timore, ingenerato dagli artifici o dai raggiri posti in essere dal soggetto attivo.

Diverso è quanto si verifica a seguito della condotta propria dell'estorsione, in cui la volontà della parte offesa è coartata perché costretta a fare o a omettere qualche cosa in quanto minacciata di un danno in caso di mancata adesione alla richiesta, danno che è diretta conseguenza dell'azione del soggetto attivo o di terzi.

Determinata la configurabilità del delitto di estorsione, il tempestivo intervento delle forze dell'ordine allertate dalla parte offesa al momento della consegna del denaro, poneva il problema della determinazione della forma di manifestazione del reato ravvisabile nel fatto.

A tal proposito i giudicanti hanno evidenziato come l'intervento delle forze dell'ordine sia stato successivo a quello della materiale apprensione del denaro da parte dell'imputato, e seppur l'azione della consegna sia avvenuta sotto il diretto controllo degli operanti di polizia giudiziaria, rilevato che il delitto di Estorsione si perfeziona nel momento in cui il soggetto attivo procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, di tal che con riferimento al caso concreto, essendoci stata la materiale apprensione del denaro da parte dell'imputato seppur per un brevissimo periodo di tempo, il delitto è da ritenersi perfezionato nella sua forma consumata.

Nota procedurale caratterizzante la pronuncia è quella riferita all'ammissibilità della costituzione come parte civile di enti o associazioni esponenziali, portatori di interessi diffusi dello stesso tipo dell'interesse giuridico leso dal reato.

Su tale questione i giudici hanno ritenuto, in base ai disposto di cui agli artt. 91 e ss. c.p.p., sufficiente ai fini dell'ammissibilità della costituzione di parte civile delle associazioni ed enti esponenziali, che gli stessi siano costituiti e riconosciuti con legge, in un momento precedente alla commissione del reato, con finalità di tutela degli interessi collettivi o diffusi compromessi dalla commissione dell'illecito penale dello stesso tipo di quello leso dal reato.

Osservazioni

L'analisi operata dai giudici del Supremo Collegio ha permesso di evidenziare come nel fatto non erano ravvisabili elementi tali da poter attribuire la qualifica di incaricato di pubblico servizio al soggetto attivo del reato, specificando che ai fini dell'attribuzione di tale qualifica, sia necessario fare riferimento alla funzione effettivamente svolta nella commissione del reato, È irrilevante invece quale sia l'attività svolta in astratto dall'ente del quale il soggetto attivo del reato fa parte, ovvero se esso sia ente pubblico o svolgente servizio di pubblica necessità, in quanto come nel caso di specie, anche in presenza di enti che svolgono attività di Pubblico Servizio, vi può essere promiscuità in relazione alle varie tipologie di attività svolte in concreto, ben potendo le stesse di volta in volta essere classificate come aventi le caratteristiche del Pubblico Servizio, ovvero esserne sfornite.

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