Quando una sentenza può dirsi “di condanna” ai fini della revisione?
12 Dicembre 2017
È discusso in Cassazione «se, in caso di sentenza passata in giudicato con la quale l'imputato sia stato prosciolto per prescrizione del reato ascrittogli, ma condannato al risarcimento dei danni a favore della parte civile costituita, sia o no ammissibile il giudizio di revisione». Sulla questione sussistono due orientamenti contrastanti. Un orientamento sostiene l'inammssibilità della revisione, affermando che:
Un diverso orientamento, minoritario, è favorevole alla revisione delle sentenza che dichiari l'imputato prosciolto per prescrizione ma condannato al risarcimento dei danni affermando che: «non sarebbe dubitabile che la soccombenza dell'imputato nei confronti della parte civile venga veicolata da una pronunzia di condanna che presuppone l'accertamento della colpevolezza dell'imputato per il fatto di reato, come espressamente stabilito dagli artt. 538 e 539 c.p.p.» Da ultimo, la Cassazione, Sez. II, con sentenza n. 53678, depositata il 28 novembre 2017 ha aderito all'orientamento maggioritario e ha affermato il seguente principio di diritto: «Ai sensi dell'art. 6 Cedu per sentenza di condanna deve intendersi ogni provvedimento con il quale, al di là del nomen juris, nella sostanza, infligga una sanzione che abbia comunque natura punitiva e deterrente, e non meramente riparatoria o preventiva. Di conseguenza, non è suscettibile di revisione la sentenza di proscioglimento dell'imputato per estinzione del reato per prescrizione dalla quale consegua la sola conferma delle statuizioni civili, in quanto la condanna al risarcimento del danno, avente natura riparatoria, non può essere considerata sanzione punitiva e, quindi, latamente “penale”» |