La messa alla prova nel procedimento penale degli enti. Quali prospettive?

13 Dicembre 2017

Il d.lgs. 231/2001 sulla responsabilità delle persone giuridiche si caratterizza per una spiccata vocazione preventiva, nel senso che si pone come obiettivo primario il recupero della legalità dell'ente, il quale viene quindi spinto a dotarsi di modelli organizzativi in grado di ridurre al minino – seppur non riducendolo a zero – il rischio di commissione dei reati.
Abstract

Il d.lgs. 231/2001 sulla responsabilità delle persone giuridiche si caratterizza per una spiccata vocazione preventiva, nel senso che si pone come obiettivo primario il recupero della legalità dell'ente, il quale viene quindi spinto a dotarsi di modelli organizzativi in grado di ridurre al minino – seppur non riducendolo a zero – il rischio di commissione dei reati.

Dopo quindici anni dall'entrata in vigore della riforma, deve però registrarsi come la spinta volta all'adozione del modello, affidata anche a forme di esenzione o di riduzione della sanzione per effetto di condotte riparative in grado di ripristinare condizioni di legalità, efficienza e trasparenza, non vi è stata, almeno nella misura auspicata dal Legislatore. In molti processi per illeciti amministrativi da reato i modelli adottati in via preventiva dalle società sono stati ritenuti dal giudice penale inidonei, il che ha determinato una serie di critiche riferite al meccanismo che affida a quest'ultimo la valutazione del modello. Per questa ragione molte società hanno preferito attendere di essere sottoposte a processo penale per poi tentare di ottenere i benefici sanzionatori dotandosi dei modelli organizzativi post factum. Questa situazione ha finito per ridimensionare fortemente l'aspetto preventivo della disciplina introdotta con il d.lgs. 231/2001 che ha mostrato soprattutto il suo profilo dal carattere eminentemente punitivo.

L'istituto della messa alla prova

L'istituto della messa alla prova introdotto con la legge 68 del 28 aprile 2014, entrato in vigore nel nostro ordinamento in data 17 maggio 2014, costituisce una nuova causa di estinzione del reato e al tempo stesso un nuovo procedimento speciale che consiste nella realizzazione di condotte volte all'eliminazione di conseguenze dannose derivanti dal reato nonché, ove possibile, il risarcimento del danno, nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale e infine nella prestazione di lavoro di pubblica utilità. In particolare, con l'espressione messa alla prova si intende un istituto di matrice processual-penalistica pertinente soprattutto l'esecuzione della pena.

La norma alla quale fare riferimento per comprendere la portata dell'istituto de quo è l'art. 168-bis c.p. Il trattamento consta nell'affidamento dell'imputato all'ufficio di esecuzione penale esterna affinché svolga determinate attività che consistono: nello svolgimento con dedizione e diligenza di un lavoro di pubblica utilità, ovviamente a titolo gratuito ed a favore della collettività intera, nonché nella piena riparazione delle conseguenze dannose che siano scaturite dal reato. È altresì obbligo dell'imputato provvedere a risarcire il danno cagionato con la sua condotta criminosa. Normalmente, accanto alle sopraindicate attività, il trattamento può prevedere che vengano imposti determinati obblighi all'imputato (divieto di frequentare determinati luoghi) a cui si aggiunge il necessario e costante contatto con l'ufficio di esecuzione penale prodromico al reinserimento sociale. Lo svolgimento del programma può implicare, altresì, attività di volontariato ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali, sempre avendo a mente la finalità del reinserimento dell'imputato.

Condizione sine qua non per presentare richiesta di messa alla prova è che si proceda per reati che siano puniti con la sola pena edittale che non sia superiore (se detentiva) nel massimo a quattro anni, sia essa congiunta o alternativa alla pena pecuniaria. Non può essere richiesta da colui il quale sia stato dichiarato delinquente abituale. Ai sensi dell'art. 168-bis, comma 4, c.p. la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta e può essere formulata dall'imputato personalmente o a mezzo di procuratore speciale entro determinati termini, in particolare, può essere richiesta fino a che non siano formulate le conclusioni o sino all'apertura del dibattimento in primo grado oltre che nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Laddove all'imputato fosse notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta può essere trasmessa nelle forme ed entro i termini di cui all'art. 458, comma 1, c.p.p. Qualora invece si proceda con decreto penale di condanna la richiesta deve essere presentata in sede di opposizione. Infine l'art.168-ter c.p. prevede espressamente che durante il periodo di sospensione del procedimento il corso della prescrizione del reato è sospeso e che l'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede.

L'ordinanza del tribunale di Milano del 27 marzo 2017 e la tesi ostativa alla messa alla prova per l'ente

L' ordinanza del tribunale di Milano che sposa la tesi ostativa all'accesso all'ente all'istituto della messa alla prova offre interessanti spunti di riflessione in merito all'ambito applicativo dello stesso. Ebbene per comprenderne la portata occorre entrare nel merito della decisione esaminandone i passaggi maggiormente significativi. La vicenda processuale cui si riferisce l'ordinanza menzionata traeva origine dalla verificazione di un infortunio sul luogo di lavoro, da cui scaturiva tanto la contestazione del delitto di lesioni personali colpose gravissime commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (articoli 590, comma 3, e 113 c.p.) a carico delle persone fisiche aventi posizioni prevenzionistiche rilevanti (datore di lavoro e preposto), quanto l'imputazione per l'illecito amministrativo di cui all'articolo 25-septies, comma 3, d.lgs. 231/2001 a carico dell'ente, nell'ambito del simultaneus processus celebrato ai sensi dell'articolo 38, comma 1, del medesimo decreto.

In merito alle contestazioni rivolte all'ente la società era chiamata a rispondere in riferimento al suddetto reato-presupposto, quale fatto di connessione commesso dai soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 231/2001 avendo conseguito da tali condotte un vantaggio nei consueti termini del risparmio di spesa, riferito all'omessa adozione degli opportuni presidi antinfortunistici previsti dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

La difesa della società chiedeva al tribunale di Milano che il procedimento fosse sospeso per un periodo di tempo corrispondente allo svolgimento di un programma di trattamento che prevedeva, in capo all'ente, l'esecuzione del lavoro di pubblica utilità. Il tribunale di Milano, sciogliendo ogni riserva a riguardo, respingeva l'istanza difensiva, escludendo che l'istituto potesse trovare applicazione anche nei confronti degli enti. Per fare ciò il tribunale si è soffermato a analizzare la natura dell'istituto della messa alla prova e, in particolare, se l'istituto avesse natura di diritto processuale – che non sarebbe di alcun ostacolo a eventuali interpretazioni analogiche – o di diritto sostanziale, che (al contrario) escluderebbe ogni possibilità di estensione dell'istituto in malam partem, stante il principio costituzionale della riserva di legge e tassatività.

Il tribunale dunque partendo dall'assunto che gli artt. 168-bis c.p., 464-bis c.p.p. e il d.lgs. 231/2001 prevedono espressamente che l'ente possa giovarsi dell'istituto riconosce che la messa alla prova ha una dimensione prettamente ibrida che racchiude in sé sia profili di diritto processuale che aspetti più schiettamente sostanziali così sostenendo nelle motivazioni dell'ordinanza de quo «la colloca nell'ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio» e «realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita» . Il tribunale ha riconosciuto anche e «soprattutto, la natura sostanziale» dell'istituto, il quale persegue scopi socialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene infranta la sequenza cognizione-esecuzione della pena in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto . Ebbene, stante la dimensione di diritto sostanziale della messa alla prova, il tribunale di Milano richiamando i corollari del principio di legalità ex art. 25, comma 2, Cost. in materia penalistica, ricorda l'insegnamento della recente giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 230/2012), in forza del quale il potere di normazione di materia penalistica – in quanto incidente sui diritti fondamentali dell'individuo e, in particolare, sulla sua libertà personale – è riservato all'organo legislativo e alle fonti primarie. Precisa poi il tribunale: «mentre il principio della riserva di legge può, a certe precise e limitate condizioni, essere relativo quanto alla descrizione del precetto, esso ha carattere assoluto quanto all'individuazione della pena»e continua sostenendo come «la sanzione da applicare ad una fattispecie che ne sia priva non può essere rinvenuta attraverso l'interpretazione analogica. In caso contrario l'interprete della legge si trasformerebbe in legislatore con marcata incidenza negativa sia sul principio di certezza sia sulla stessa efficacia determinante delle disposizioni penali coinvolte in siffatta operazione interpretativa, diretta a correlare, con l'intervento del giudice il comportamento del soggetto attivo del reato ad una pena non costituente oggetto di specifica comminatoria legislativa» (Cass. pen., Sez. unite, 26 maggio 1984, n. 5655). Infine il tribunale, nel sostenere la tesi ostativa all'accesso per l'ente all'istituto della messa alla prova cosi concludeva il proprio ragionamento: «in assenza, de jure condito, di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui all'art. 168-bis c.p. alla categoria degli enti, ne deriva che l'istituto in esame, in ossequio al principio di riserva di legge, non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti, e quindi alle società imputate ai sensi del d.lgs. 231 del 2001» .

La messa alla prova dell'ente: quali prospettive per l'estinzione dell'illecito amministrativo?

La decisione del tribunale di Milano di negare l'accesso dell'ente alla messa alla prova, assestandosi su posizioni interpretative ben consolidate nel panorama giurisprudenziale in materia di responsabilità da illecito, ha opposto un chiaro rifiuto al tentativo di adottare un approccio differente al sistema punitivo degli enti, ritenendo necessario preservare il valore della specialità delle previsioni del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, rispetto alla disciplina che concerne la responsabilità penale delle persone fisiche. Si ritiene tuttavia possibile secondo autorevoli voci dare spazio a un'interpretazione in chiave evolutiva delle disposizioni del decreto 231, applicando la diversion processuale anche all'ente. La possibilità di accesso per l'ente alla probation offrirebbe la possibilità a questi di ovviare alle carenze organizzative generate dalla colpa di organizzazione e ciò sulla scorta dell'esperienza statunitense del corporate liability che prevede una sorta di accordo tra il P.M. e l'ente. Nell'esperienza americana l'ente al fine di evitare la prosecuzione del processo, si sottopone a un periodo di “osservazione” (in genere, da sei mesi a due anni) nel corso del quale si impegna ad adempiere una serie di obblighi, quali, tra gli altri, l'adozione o la implementazione del proprio compliance program, talora sotto il controllo di commissari esterni (monitor), il versamento di una somma di denaro a vario titolo (financial penalty, risarcimento del danno, donazioni a istituzioni pubbliche o private di beneficenza) e la messa a disposizione del profitto conseguito ai fini della confisca. La messa alla prova dunque per l'ente dovrebbe rappresentate una nuova possibilità di reinserimento nel mercato economico dopo aver riacquisito le caratteristiche di legalità, efficienza e trasparenza. Per offrire un fondamento normativo per l'accesso all'ente alla messa alla prova autorevoli autori sostengono che possa farsi riferimento alla norma di cui all'art. 49 del d.lgs. 231/2001 che prevede espressamente la sospensione delle misure cautelari nelle ipotesi in cui la società o l'ente chieda al giudice di poter realizzare gli adempimenti di cui all'art. 17 del decreto relativi alle condotte riparatorie. E dunque attraverso un'interpretazione estensiva dell'art. 49 che sospende le misure cautelari l'ente potrebbe accedere alla messa alla prova, chiedendo la sospensione del procedimento e qualora la probation abbia successo ottenere l'estinzione dell'illecito amministrativo. Un meccanismo simile è contenuto anche nell'art. 65 del decreto legislativo 231/2001 che prevede che la società e/o ente prima della dichiarazione di apertura del dibattimento possa richiedere al giudice la sospensione del processo per provvedere ad attività riparatorie previste nell'art. 17 del decreto. L'ente dunque potrebbe chiedere la messa alla prova già nella fase delle indagini preliminari proprio nell'ipotesi di applicazione di una misura cautelare che gli consentirebbe di riorganizzarsi in maniera virtuosa in modo da definire sia la vicenda cautelare sia il merito. La richiesta dovrebbe essere motivata attraverso la presentazione di un progetto di riorganizzazione dell'ente efficace ed efficiente, in grado di superare le problematiche che hanno indotto il giudice a ritenete il modello organizzativo inadeguato a prevenire i rischi di commissione dei reati.

In conclusione

L'applicazione della sospensione con messa alla prova nel processo a carico dell'ente si propone di realizzare una forma di diversion della vicenda processuale che investe la persona giuridica, aprendo la strada a un epilogo differente della stessa mediante l'inserimento nella sequenza procedimentale ordinaria di una percorso alternativo attraverso l'intervento di misure non penali di risoluzione del conflitto. E dunque qualora la probation fosse introdotta nel nostro sistema processuale consentirebbe una celere definizione del procedimento a carico dell'ente consentendo al decreto legislativo 231/2001 di recuperare la propria dimensione di premialità legata all'adozione di modelli organizzativi ex post che possano permettere all'ente il reinserimento all'interno del mercato concorrenziale.

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