Cause legittime di prelazione
14 Dicembre 2017
Inquadramento
Di regola le obbligazioni si estinguono con l'esatto adempimento del debitore; tuttavia, non di rado può verificarsi uno sviluppo patologico del rapporto obbligatorio, con il debitore che non adempie al proprio obbligo giuridico e il creditore che non vede soddisfatte le proprie pretese. In questo caso l'ordinamento interviene ponendo a presidio delle ragioni creditorie il disposto dell'art. 2740, comma 1, c.c., che sancisce il principio generale della responsabilità patrimoniale generica del debitore. In base a questa previsione, il patrimonio del debitore inadempiente funge da garanzia generica e generale su cui il creditore può fare affidamento per realizzare il proprio credito; da ciò, del resto, deriva l'affermazione secondo cui non vi può essere “debito senza responsabilità”. Se il debitore è inadempiente, infatti, il creditore, dopo aver fatto constatare per le vie giudiziali l'inadempimento, può intraprendere il processo esecutivo sui beni dei debitore, facendoli espropriare secondo le regole del codice di procedura civile (art. 2910 c.c.). Tale garanzia opera, dal punto di vista oggettivo, su tutto il patrimonio del debitore (cd. “principio di universalità”), e cioè non solo sui suoi beni presenti, ma anche su quelli futuri, che entreranno poi eventualmente a far parte del suo compendio patrimoniale: tanto si desume dal tenore letterale del primo comma dell'art. 2740 c.c., che espressamente sancisce che «il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri». La responsabilità del debitore è dunque illimitata fatti salvi i casi, cui rinvia l'art. 2740, comma 2, c.c., di limitazioni della stessa, che possono aversi «nei soli casi previsti dalla legge»: si tratta, con tutta evidenza, di ipotesi eccezionali e tassative, derogatorie alla regola generale sancita al comma primo della predetta norma in quanto limitative della tutela del creditore e, come tali, insuscettibili di interpretazione analogica. Sotto il versante soggettivo, invece, la garanzia patrimoniale generica è prevista per tutti i creditori eventualmente concorrenti, in ossequio al disposto dell'art. 2741, comma 1, c.c. che stabilisce il principio-cardine in materia di responsabilità debitoria della cd. “par condicio creditorum”, in forza del quale, ove vi sia una pluralità di creditori, questi hanno uguale diritto di soddisfarsi con quanto ricavato dalla vendita dei beni del debitore. Si tratta di una regola che costituisce il naturale e logico precipitato del principio costituzionale di uguaglianza di cui all'art. 3, comma 1, Cost.. Ciononostante, è proprio il comma primo dell'art. 2741 c.c. a prevedere una deroga alla regola della pari condizione dei creditori, allorquando fa salve le cause legittime di prelazione, tra cui rientrano soltanto i privilegi (art. 2741, comma 2, c.c.), il pegno (art. 2787, comma 1, c.c.) e l'ipoteca (art. 2808, comma 1, c.c.). Dall'ordito normativo consegue che i creditori, ove siano titolari di una o più delle cause legittime di prelazione, assumono la posizione preferenziale di “creditori privilegiati”, in contrapposizione a quelli definiti “chirografari”, che invece ne sono sprovvisti, acquistando una serie di facoltà e diritti, tra cui il più importante è quello di essere preferiti rispetto agli altri creditori (eventualmente esistenti) in sede di riparto del ricavato della vendita di uno o più cespiti determinati, che siano oggetto di esecuzione forzata. La titolarità delle cause legittime di prelazione – che costituiscono un numerus clausus ed uno ius singulare – converte così la “garanzia generica” di cui all'art. 2740 c.c.in “garanzia specifica”. Le cause legittime di prelazione, dunque, assolvono la funzione fondamentale di rafforzare la posizione del creditore e di consentire la realizzazione, diretta o indiretta, dell'obbligazione assunta; tanto risulta confermato anche dalla collocazione delle predette cause legittime di prelazione all'interno del libro VI del codice civile, dedicato alla “tutela dei diritti”. Esse sono destinate ad operare e ad avere concreta utilità esclusivamente in relazione all'ipotesi in cui vi sia un concorso di creditori a fronte dell'inadempimento, da parte del debitore, di un'obbligazione pecuniaria, dal momento che solo in questo caso vi è un'espropriazione forzata che può risolversi nella mancata soddisfazione di tutti i creditori in ragione dell'incapienza del patrimonio debitorio. In caso di inadempimento di obblighi di facere, non facere o di dare, infatti, eventuali conflitti sono esclusi a monte, dal momento che essi sono risolti da regole cronologiche legate alla priorità del titolo su cui si fondano le pretese dei singoli creditori. Le cause legittime di prelazione costituiscono, da sempre, il terreno fertile per una serie di complesse questioni che agitano la dottrina e la giurisprudenza. Tra queste rientra indubbiamente l'esatta individuazione delle caratteristiche precipue delle cause legittime di prelazione, con le correlative differenze tra privilegi e garanzie reali (pegno ed ipoteca). Ed ancora, la controversa ratio e portata del divieto del patto commissorio sancito dall'art. 2744 c.c., consente di comprendere, allo stato, quali siano gli spazi di manovra che il sistema civilistico attualmente attribuisce all'autonomia privata in caso di inadempimento dell'obbligazione da parte del debitore. Le relazioni tra autonomia privata e limiti eteronomi è anche sottesa all'ulteriore tematica delle relazioni conflittuali tra privilegi e garanzie reali, e in particolare dei rapporti tra ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare ex art. 2645-bis c.c. e il privilegio che sorge ai sensi dell'art. 2775-bis c.c. a favore del promissario acquirente che non abbia ottenuto il bene pattuito. Le cause legittime di prelazione, poi, da sempre destinate ad operare sul piano processuale, e in particolare all'interno di quello esecutivo, hanno di recente sollecitato l'attenzione della giurisprudenza anche in ordine ai limiti che i creditori incontrano nella tutela delle loro ragioni alla luce della rinnovata visione dei rapporti processuali come improntati ad una logica di solidarietà e di proporzionalità (art. 96, comma 2, c.p.c.). A fronte del possibile concorso di creditori che vantino pretese nei confronti del medesimo debitore, con conseguente rischio di non trovare soddisfazione a causa dell'insufficienza dei beni del patrimonio debitorio, l'ordinamento prevede le cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.). Esse attribuiscono singoli diritti di garanzia, che si risolvono in una posizione giuridica di vantaggio finalizzata alla tutela dei diritti di credito a favore di uno o più creditori determinati, in forza di specifici titoli legali (privilegi, ipoteche), o negoziali (pegni o ipoteche). Le cause legittime di prelazione ammesse nel nostro ordinamento sono tre: i privilegi (art. 2741, comma 2, c.c.), il pegno (art. 2787, comma 1, c.c.) e l'ipoteca (art. 2808, comma 1, c.c.). Attraverso la previsione legale dei privilegi o mediante la costituzione del pegno, dell'ipoteca, secondo il regime giuridico proprio di ciascuno di questi strumenti, i singoli creditori (cd. “privilegiati”) possono soddisfarsi con preferenza rispetto ad altri creditori su un bene determinato al fine di conseguire quanto di loro spettanza. Esse assolvono dunque la funzione fondamentale di rafforzare la posizione di taluni creditori, consentendo ad essi di ottenere quanto di loro spettanza o direttamente – cioè attivando la procedura esecutiva sui beni su cui cade la causa legittima di prelazione – o indirettamente, cioè “compulsando” il debitore ad adempiere, onde evitare di perdere il bene su cui grava la garanzia reale. Tale obiettivo viene realizzato attraverso la conversione della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740, comma 1, c.c. in garanzia “specifica” su singoli, specifici e determinati beni, su cui viene a costituirsi una “riserva ad rem”. Le cause legittime di prelazione attribuiscono ai creditori che ne sono titolari il cd. diritto di prelazione, che consente al creditore cd. privilegiato di essere preferito, nel riparto del prezzo ricavato dalla vendita forzata dei beni del debitore, rispetto agli altri creditori, detti chirografari; in questo senso, esse rappresentano deroghe al principio della parità concorsuale tra tutti i creditori. Ancora, le cause legittime di prelazione conferiscono ai creditori che ne sono muniti il cd. “diritto di sequela” o ius sequendi, ovvero il diritto di aggredire uno specifico bene, “inseguendolo” anche se acquistato da terzi, laddove il chirografario deve prima esperire vittoriosamente l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c.. Secondo la tesi tradizionale il cd. “diritto di sequela” - che per i privilegi discende direttamente dalla legge -, e si risolve nell'opponibilità erga omnes della garanzia - quindi, anche nei confronti di terzi cui il bene sia stato alienato dopo la costituzione della garanzia medesima -, deriverebbe, nel caso del pegno e dell'ipoteca, dalla natura giuridica di tali diritti, che si inquadrano nell'area di quelli “reali”. Quanto ai caratteri propri delle cause legittime di prelazione, tra essi rientra l'accessorietà, strettamente connessa alla funzione di rafforzamento della tutela creditoria: il diritto di garanzia, infatti, si estingue in conseguenza dell'estinzione del rapporto obbligatorio principale cui accede, ed eventuali vicende patologiche della fonte del diritto garantito sono destinate a ripercuotersi anche sul diritto di garanzia che, secondo l'opinione prevalente, sarebbe nullo per difetto di giustificazione causale. Ulteriore caratteristica delle cause legittime di prelazione è poi, ad eccezione dei privilegi, peraltro solo sui beni mobili, la specialità: pegno ed ipoteca hanno ad oggetto sempre un singolo, specifico bene, non potendosi tendenzialmente dare luogo a garanzie reali “collettive” o “omnibus”, ma solo a tanti diritti di pegno o di ipoteca quanti sono i beni che specificamente garantiscono il credito. Dal disposto degli artt. 2799 (“Indivisibilità del pegno”) e 2809 c.c. (“Specialità e indivisibilità dell'ipoteca”) si desume poi il carattere dell'indivisibilità delle garanzie reali, che insistono su tutti i beni vincolati e su ogni loro parte. La tipicità delle cause legittime di prelazione, infine, ovvero l'impossibilità per i privati di costituire garanzie reali diverse da quelle previste dalla legge, trova il proprio fondamento, da un lato, nella natura giuridica di diritti reali, governati dal principio del numerus clausus, dall'altro nel fatto che esse realizzano una deroga alla regola par condicio creditorum e, come tale, costituiscono ius singulare insuscettibile di interpretazione analogica. Privilegi e garanzie reali a confronto
Il privilegio è il titolo di prelazione accordato dalla legge in considerazione della causa del credito, ossia della specifica natura del rapporto da cui questo deriva; tanto si desume dall'art. 2745 c.c., che stabilisce che «il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito». Ne consegue che il privilegio non nasce come diritto a sé stante volto a rafforzare il diritto di credito, ma costituisce un modo di atteggiarsi del credito stesso, è, cioè, una sua qualità. I privilegi sono, dunque, privi del carattere dell'autonomia, al contrario di quanto accade per le garanzie reali. La natura “privilegiata” di un credito è dunque il frutto di una valutazione esclusivamente rimessa al legislatore, che può derogare alla regola della par condicio creditorum in presenza di particolari esigenze di tutela di categorie determinate di creditori (es. lavoratori, professionisti, promissari acquirenti ecc.), ma anche per esigenze ricollegabili alla promozione e concessione del credito in determinati settori dell'economia (crediti all'industria) oppure per esigenze di tutela dello Stato nella riscossione delle imposte. Parimenti, è soltanto la legge a stabilire i beni che ne costituiscono l'oggetto e l'ordine degli stessi, secondo i criteri previsti dagli artt. 2777-2783-ter c.c.. I privilegi sono dunque sempre “legali”, poiché l'autonomia dei privati non può creare nuovi privilegi al di fuori di quelli previsti dalla legge, mentre dall'atto di autonomia privata può solo dipendere la nascita del privilegio: si tratta dei privilegi cd. “convenzionali”, in quanto la loro costituzione è subordinata alla convenzione tra le parti o a particolari forme di pubblicità (art. 2745 c.c., seconda parte), con la volontà dei privati che è solo la condizione per la nascita del privilegio: (ex multis Cass. civ., 10 marzo 1980, n. 2584). La caratteristica essenziale del privilegio implica che questo è generalmente occulto, perché non risulta da mezzi di pubblicità, salvi i casi di privilegi soggetti eccezionalmente a particolari forme per la loro conoscibilità per l'esterno (es. art. 2775-bis c.c.). I privilegi possono poi essere generali (ma soltanto sui beni mobili, artt. 2751-2754 c.c.) e speciali (in questo caso sia su singoli beni mobili – artt. 2755 a 2769 c.c. - che immobili, artt. 2770-2776 c.c.), e hanno ad oggetto sempre e soltanto beni che fanno capo al debitore. Diversamente dai privilegi, le garanzie reali – ovvero il pegno (per i beni mobili non registrati e i crediti) e l'ipoteca (per i beni immobili, mobili registrati e le rendite dello Stato) –, pur rientrando nel genus delle cause legittime di prelazione, costituiscono diritti reali funzionali al rafforzamento del diritto di credito cui accedono, con la conseguenza che esse non sono immanenti all'obbligazione, ma seguono le vicende della stessa. Il pegno e l'ipoteca, inoltre, sono di regola convenzionali, dipendendo la loro costituzione da una manifestazione di volontà del debitore e/o di un terzo, che concede la costituzione di una garanzia sui propri beni; l'ipoteca può poi essere anche di origine legale (art. 2817 c.c.) o giudiziale (art. 2818 c.c.). Per la valida costituzione del pegno e dell'ipoteca, inoltre, è sempre necessaria una forma di pubblicità, non essendo ammessi nel nostro ordinamento vincoli occulti con funzione di garanzia: nel caso del pegno la pubblicità, con conseguente opponibilità erga omnes, si attua mediante lo spossessamento del concedente (Cass. civ., sez. I, 23 ottobre 1998, n. 10526; Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23268; Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4766; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2008, n. 13998), mentre nell'ipoteca si realizza mediante l'iscrizione nei registri immobiliari (art. 2808 c.c.). Deroga a questa regola la figura di recente introduzione nel nostro ordinamento del pegno non possessorio o senza spossessamento introdotta dal d.l. n. 59/2016 convertito in l. n. 119/2016. Privilegi e garanzie reali: differenze
Il codice civile, dunque, attribuisce al creditore privilegiato una posizione preferenziale nella soddisfazione della pretesa creditoria. Deve però evidenziarsi che non è possibile che l'autonomia privata si spinga fino al punto di prevedere che, in caso di inadempimento, la proprietà del bene (o del credito) concesso in garanzia passi in capo al creditore stesso, al fine di soddisfarne le ragioni. Una pattuizione che prevedesse una siffatta possibilità sarebbe nulla per contrastocon l'art. 2744 c.c., che vieta il patto commissorio e, specularmente, per violazione dell'art. 1963 c.c.che pone il divieto di anticresi. Questa norma colpisce con la sanzione della nullità tutti quei patti con cui le parti stabiliscono che, in caso di mancato pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. L'articolo 2744 c.c. stabilisce che «è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno». Il legislatore ha così sancito l'illiceità non solo del patto commissorio “in continenti”, cioè concluso contestualmente alla costituzione della garanzia, ma anche di quello stipulato “ex intervallo”, cioè dopo l'assunzione dell'obbligazione che tale pattuizione mira a garantire. La disposizione è stata oggetto nel tempo di un'interpretazione estensiva da parte della dottrina, che ha dapprima fatto rientrare nel divieto di cui all'art. 2744 c.c. le pattuizioni relative a beni soggetti a privilegio convenzionale e legale (V. Andrioli, Disciplina intertemporale del patto commissorio e sua applicabilità ai privilegi speciali, in Foro.it., 1942, I, pp. 954 e ss.), poi anche gli accordi aventi a oggetto il trasferimento di diritti reali limitati quali l'usufrutto, l'enfiteusi e la superficie (E. Roppo, Il divieto del patto commissorio in Trattato Diritto Civile diretto da P. Rescigno, XIX, Torino, 1985, pp. 434 e ss.). Nel solco di quest'operazione ermeneutica la giurisprudenza (ex pluribus Cass. civ., 2 febbraio 2006, n. 2285; Cass. civ., 19 maggio 2004, n. 9466) ha ampliato il divieto del patto commissorio fino a ricomprendere anche il patto commissorio cd. “autonomo”, ovvero quella convenzione con cui le parti stabiliscono che, in caso di mancato adempimento dell'obbligazione da parte del debitore, il creditore acquisti da questi la proprietà del bene, quantunque questo non sia stato concesso in garanzia secondo le ipotesi tipiche che il legislatore ha previsto. È dunque opinione ormai consolidata (F. Gigliotti, Patto commissorio e libertà dei contraenti, Napoli, 1997, pp. 10 e ss.; C. M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957, pp. 63 e ss.) che, data la natura di norma materiale dell'art. 2744 c.c., volta a vietare il risultato perseguito dalle parti in concreto, indipendentemente dallo strumento negoziale posto in essere per conseguirlo, il divieto del patto commissorio sia applicabile non solo alle garanzie reali tipiche, ma anche al patto commissorio che non acceda ad alcuna garanzia reale. Quanto all'ambito applicativo del divieto ex art. 2744 c.c., ci si è interrogati in ordine alla validità del patto commissorio cd. “obbligatorio”, vale a dire della convenzione con cui il debitore non già trasferisce, ma si obbliga a trasferire, in caso d'inadempimento, il bene al creditore. La dottrina dominante (C. M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Giuffrè, 1957, pagg. 177 e ss.; R. Triola, Il problema della liceità del c.d. patto commissorio obbligatorio, in Giur. agr. it., 1989, II, pag. 89; F. Dalmazzo, Divieto del patto commissorio e promessa di vendita a scopo di garanzia, in Riv. dir. comm., 1958, II, pag. 180. Contra G. Stolfi, Promessa di vendita e patto commissorio, in Foro pad., 1957, I, pag. 767) e la giurisprudenza (ex multis Cass. civ., 16 settembre 2004, n. 18655) ritengono ormai pacificamente vietato e, dunque, nullo, anche il patto commissorio cd. “obbligatorio”, poiché occorre tutelare il debitore ed i creditori concorrenti e sulla base della considerazione per cui «il patto commissorio presenta, sia nel caso di un'efficacia reale che in quello di un'efficacia obbligatoria, l'identico contenuto, di attribuzione di un determinato bene a diretto soddisfacimento del creditore per l'eventualità che l'obbligazione non sia adempiuta» (C. M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Giuffrè, 1957, pagg. 183 e ss.). Discusso da sempre è il fondamento della norma di divieto di cui all'art. 2744 c.c.. Si ritiene ormai che la ratio di tale divieto sia composita e risieda nella volontà legislativa di evitare forme di autotutela, nella necessità di tutelare la par condicio creditorum, nonché di scongiurare approfittamenti da parte del creditorenei confronti del debitore che versi in una situazione di grave difficoltà economica. Secondo la soluzione più recente e ormai prevalente in dottrina (F. Anelli, L'alienazione in funzione di garanzia, Giuffrè, 1996, 303 e ss.; N. Cipriani, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, 206 e ss.; A. Luminoso, Alla ricerca degli arcani confini del patto commissorio, in Riv. dir. civ., 1990, 234 e ss.), il fondamento del divieto del patto commissorio è da rinvenire nella necessità di salvaguardare la proporzionalità tra i valori economici coinvolti, ovvero tra il credito garantito ed il bene dato in garanzia. Tale impostazione è stata recepita anche dalla più recente giurisprudenza (Ex pluribus Cass. civ., sez. II, 9 maggio 2013, n. 10986; Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1625), che individua ormai la ratio preponderante dell'art. 2744 c.c. nell'esigenza di tutela della proporzionalità tra i valori economici in gioco, tanto da ammettere la validità del cd. “patto marciano”. Con tale meccanismo negoziale le parti prevedono sì che il bene dato in garanzia passi in proprietà del creditore ove il debitore non adempia, ma anche che un terzo debba effettuare una stima del valore del bene alienato in garanzia al momento dell'inadempimento, nonché che l'eventuale eccedenza di valore di quest'ultimo rispetto al credito garantito vada restituita al debitore. Da ciò consegue che oggi le parti possono pattuire che in caso di inadempimento del debitore il bene oppignorato passi in proprietà del creditore automaticamente, senza necessità di intraprendere l'esecuzione forzata, né tantomeno di avvalersi delle vie stragiudiziali con la vendita coattiva o l'assegnazione della cosa in pagamento, purché siano evitate quelle distorsioni che il divieto del patto commissorio mira a scongiurare. Del resto, tale tendenza è confermata proprio dal legislatore, che ha ammesso espressamente la validità del cd. “patto marciano”, ad esempio, in caso di pegno irregolare (art. 1851 c.c.), oppure su titoli dematerializzati (cioè nella garanzia finanziaria di cui all'art. 6 d.lgs. n. 170/2004) e col recente finanziamento alle imprese garantito dal trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato all'adempimento (d.l. n. 59/2016) e col “pegno mobiliare non possessorio” (l. n. 119/2016). Conflitti tra privilegi e garanzie reali
Nella prassi può accadere che vi sia una pluralità di creditori privilegiati che siano titolari di un diritto di credito nei confronti del medesimo debitore, oppure che vantino cause legittime di prelazione sui medesimi beni. In caso di conflitto tra più privilegi è il legislatore, in considerazione della ragione giustificativa del credito garantito, ovvero della sua natura giuridica, a stabilire quale sia l'ordine di preferenza dei privilegi stessi (artt. 2777-2783-ter c.c.); non rileva in alcun modo, dunque, il criterio cronologicodella priorità della valida costituzione nel tempo della garanzia reale. In caso di conflitto tra più garanzie reali – cioè pegni o ipoteche -, invece, ciò che rileva è solo ed esclusivamente l'anteriorità della costituzione della causa legittima di prelazione, secondo il principio “prior in tempore potior in iure”. Più complessa si presenta la fattispecie in cui venga a verificarsi un conflitto non omogeneo tra privilegi e garanzie reali. Sul punto l'art. 2748, comma 1, c.c. così regola il caso di conflitto tra creditore titolare di un diritto reale di garanzia a causa della costituzione di un pegno e creditore privilegiato, laddove i diritti di questi insistano sul medesimo bene: «Se la legge non dispone altrimenti, il privilegio speciale sui beni mobili non può esercitarsi in pregiudizio del creditore pignoratizio». Il secondo comma dell'art. 2748 c.c., invece, per l'ipotesi di conflitto tra creditore ipotecario e creditore privilegiato su beni immobili, stabilisce che «I creditori che hanno privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecari se la legge non dispone diversamente». La disciplina apprestata dal legislatore si basa sulla seguente logica: poiché il pegno è di regola costituito al fine di favorire la circolazione della ricchezza e l'incremento degli scambi, tale causa legittima di prelazione ed i relativi titolari devono essere preferiti ai creditori muniti di privilegio sui beni mobili. Diversamente, invece, poiché l'ipoteca è una causa legittima di prelazione che pregiudica la circolazione del bene su cui insiste, in quanto l'iscrizione ipotecaria ne diminuisce il valore, oltre a corrispondere l'ipoteca ad interessi particolari dei singoli creditori, la regola generale in caso di conflitto con privilegi speciali immobiliari è che prevalgono questi ultimi che, peraltro, sono fissati dalla legge per la tutela di interessi generali, o attinenti a soggetti in condizione di debolezza contrattuale (es. tutela crediti di lavoro). Tale ultima regolamentazione, però, non opera allorquando «la legge disponga diversamente», così come sancito dall'art. 2748, comma 2, c.c. e la eventuale riserva legislativa in senso contrario non deve derivare necessariamente da una statuizione espressa, ma anche da un'interpretazione del sistema normativo complessivamente considerato (così Cass. civ., Sez. Un., 1 ottobre 2009, n. 21045). Con la sopracitata pronuncia le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto il contrasto interpretativo sui rapporti tra privilegio speciale ex art. 2775-bis c.c. da una parte, spettante al promissario acquirente di immobile per il caso che il promittente venditore si sia rifiutato di stipulare il definitivo di vendita, e ipoteche gravanti sul medesimo cespite immobiliare non trasferito, iscritte anteriormente all'inadempimento del promittente alienante. Sul punto le Sezioni Unite hanno stabilito che «Il privilegio speciale sul bene immobile, che assiste (ai sensi dell'art. 2775-bis c.c.) i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis c.c., siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall'ultima parte dell'art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal secondo comma dell'art. 2748 c.c., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti». Tra le argomentazioni principali addotte dalla Suprema Corte vi è quella secondo cui la deroga di cui all'art. 2748, comma 2, c.c. può anche non essere esplicita: «La norma fa riferimento ad una deroga non necessariamente contenuta in un esplicito precetto, ma che può o deve essere individuata nell'ordinamento nel suo complesso, attraverso la lettura e l'interpretazione normativa che tenda all'armonioso coordinamento dello specifico istituto in trattazione con l'intero sistema». A favore della tesi della prevalenza delle ipoteche iscritte anteriormente all'insorgenza del privilegio speciale immobiliare depongono anche le caratteristiche principali del privilegio ex art. 2775-bis c.c., che è una dell'ipotesi in cui, ai sensi dell'art. 2745 c.c., la costituzione del privilegio è «subordinata a particolari forme di pubblicità»; decisiva per le Sezioni Unite si è poi rivelata la differenza tra il privilegio ex art. 2775-bis c.c.(a tutela di interessi privatistici) e gli altri privilegi immobiliari di cui agli artt. 2770-2775 c.c.(posti a presidio a tutela di interessi pubblici). Infatti, intanto è destinata ad operare la regola generale di cui all'art. 2748, comma 2, c.c., che attribuisce la prevalenza al privilegio speciale immobiliare sulle ipoteche, fintanto che il privilegio risponde alla logica di rafforzamento di crediti muniti di rilevanza pubblicistica, il che non ricorre nel caso di specie.
Eccesso di iscrizione ipotecaria e abuso del processo
Problematica di grande attualità, perché frequente nella prassi giudiziaria, è quella del mancato rispetto del rapporto di proporzionalità tra il credito garantito e il valore della garanzia reale a presidio dello stesso, in particolare per il caso di iscrizione ipotecaria sproporzionata per eccesso rispetto al valore della pretesa creditoria garantita. Il codice civile fissa delle prescrizioni relative al rispetto della proporzione tra credito garantito ed iscrizione ipotecaria. In particolare, l'art. 2785 c.c. prevede che «si reputa che il valore dei beni ecceda la cautela da somministrarsi, se tanto alla data dell'iscrizione dell'ipoteca, quanto posteriormente, superi di un terzo l'importo dei crediti iscritti, accresciuto degli accessori a norma dell'art. 2855 c.c.». Ed ancora, l'art. 2876 c.c., rubricato “Limiti della riduzione”, sancisce che «la riduzione si opera rispettando l'eccedenza del quinto per ciò che riguarda la somma del credito e l'eccedenza del terzo per ciò che riguarda il valore della cautela». La giurisprudenza tradizionale (ex multis Cass. civ., 24 luglio 2007, n. 16308; Cass. civ., 30 luglio 2010, n. 17902) esclude la sussistenza della responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c. per il caso in cui l'iscrizione ipotecaria superi di oltre un terzo il valore del credito garantito. La Corte di cassazione civile, con la recente sentenza n. 6533 del 5 aprile 2016, ha adottato una soluzione diversa, affermando che: «il creditore che iscrive ipoteca giudiziale sui beni del debitore il cui valore sia eccedente la cautela, discostandosi dai parametri normativi mediante l'iscrizione per un valore che supera di un terzo, accresciuto degli accessori, l'importo dei crediti iscritti (artt. 2875 e 2876 c.c.), pone in essere un comportamento di abuso dello strumento della cautela rispetto al fine per cui gli è stato conferito». Secondo la Suprema Corte, «nell'ipotesi in cui risulti accertata l'inesistenza del diritto per cui è stata iscritta ipoteca giudiziale e la normale prudenza del creditore nel procedere all'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, è configurabile in capo al suddetto creditore la responsabilità ex art. 96, comma 2, c.p.c., quando non ha usato la normale diligenza nell'iscrivere un'ipoteca sui beni per un valore proporzionato rispetto al credito garantito, secondo i parametri individuati dalla legge (artt. 2785 e 2786 c.c.), così ponendo in essere, mediante l'eccedenza del valore dei beni rispetto alla cautela, un abuso del diritto della garanzia patrimoniale in danno del debitore». |