Contratto di permuta e fallimento del permutante inadempiente
20 Dicembre 2017
Contratto di permuta di immobile per immobile, entrambi già esistenti, ma uno dei due non ancora nella piena disponibilità giuridica di uno dei contraenti. Il contratto di permuta prevede un termine entro il quale dovrà essere conseguita la disponibilità giuridica piena dell'immobile, il cui possesso viene materialmente trasferito con la sottoscrizione dell'atto di permuta. Il termine viene a maturazione e la condizione giuridica non si verifica, sicchè il permutante adempiente comunica al permutante inadempiente l'avvenuta risoluzione. La comunicazione viene inoltrata con raccomandata A/R e pec. Il contratto di permuta viene trascritto con la espressa annotazione della condizione. Non viene trascritta l'avvenuta risoluzione, nè alcuna domanda giudiziale di risoluzione. Dopo la scadenza del termine e la comunicazione della risoluzione del contratto di permuta, interviene il fallimento del permutante inadempiente. La raccomanda A/R con cui è stata comunicata la risoluzione del contratto di permuta, antecedente al fallimento, è opponibile al fallimento o il Curatore conserva la facoltà di dare esecuzione al contratto, mancando la trascrizione precedente alla dichiarazione di fallimento della domanda giudiziale di risoluzione?
Per fornire un'adeguata risposta al quesito sottoposto si devono prendere le mosse da una breve ricostruzione fattuale della vicenda descritta, fornendo una qualificazione giuridica alla fattispecie in discorso. Nel caso de quo, le parti hanno certamente posto in essere un contratto riferibile alla permuta (art. 1552 c.c.) per la cui regolamentazione, lo stesso codice rimanda alla disciplina sulla vendita, dalla quale differisce solo per il fatto che lo scambio non è caratterizzato dalla fissazione di un prezzo, ma ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o della titolarità di altri diritti. Dal momento che uno dei beni oggetto del contratto non era ancora nella disponibilità della parte contrattuale nel momento in cui le parti hanno raggiunto l'accordo, la permuta ha effetti obbligatori e non reali, nel senso che la titolarità del bene passerà effettivamente all'oblato solamente ed automaticamente con la nascita del titolo di proprietà in capo al dante causa. Le parti hanno, tuttavia, apposto un elemento accessorio al regolamento contrattuale in questione, consistente nel fatto che ove entro un certo termine l'immobile non sia venuto ad esistenza, l'intero meccanismo negoziale non può produrre effetti. La prima questione da porsi è la qualificazione di tale elemento, ossia se la clausola debba essere letta quale condizione risolutiva negativa del contratto ovvero termine essenziale. Sebbene la disciplina dei due istituti sia in parte diversa, soprattutto per quel che riguarda gli effetti riguardo ai terzi dell'avverarsi del fatto dedotto in clausola, le parti sembrano essersi attenute all'ipotesi per cui l'elemento debba essere qualificato come termine essenziale (o comunque clausola risolutiva espressa), avendo la parte adempiente inviato a mezzo raccomandata la dichiarazione di volersene avvalere. Orbene, sia l'istituto del termine essenziale sia quello relativo alla clausola risolutiva espressa hanno in comune la presenza di una clausola inserita nel contratto che prevede la risoluzione di diritto del regolamento negoziale (quindi senza necessità di una sentenza del giudice) al verificarsi, nel primo caso, del protrarsi dell'inadempimento oltre una certa data; nel secondo caso, di un adempimento ad una specifica obbligazione ritenuta essenziale. Il quesito lascia intendere che la clausola debba essere qualificata quale termine essenziale (tuttavia, per una puntuale interpretazione si rimanda a Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 14426 del 15/07/2016: “L'accertamento in ordine alla essenzialità del termine per l'adempimento, ex art. 1457 c.c., è riservato al giudice di merito e va condotto alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine medesimo, che non può essere desunta solo dall'uso dell'espressione "entro e non oltre", riferita al tempo di esecuzione della prestazione, se non emerga, dall'oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l'utilità prefissatasi). In questo caso, deve precisarsi che per la risoluzione di diritto del contratto, a differenza di quanto accade nei casi di clausola risolutiva espressa, non è necessaria alcuna ulteriore dichiarazione di volersi avvalere del diritto potestativo accordato con il contratto – in questo caso – di permuta.
Se la breve ricostruzione svolta permette di far chiarezza su alcuni aspetti della disciplina degli istituti sottesi al caso concreto, devono essere ora svolte alcune considerazioni sulla tematica dell'opponibilità degli atti posti in essere dal fallito nei confronti del fallimento. È noto che il fallimento si pone come terzo rispetto sia al fallito sia a colui che ha contrattato con quest'ultimo. Per poter opporre al fallimento un atto o un fatto avvenuto anteriormente alla dichiarazione d'insolvenza, l'atto o il fatto in questione deve avere data certa, per la cui definizione si rimanda all'art. 2704 c.c., ai sensi del quale “La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento. La data di scrittura privata che contiene dichiarazioni unilaterali non destinate a persona determinata può essere accertata con qualsiasi mezzo di prova. Per l'accertamento della data nelle quietanze il giudice, tenuto conto delle circostanze, può ammettere qualsiasi mezzo di prova”. Basandosi sulle premesse di cui sopra, deve concludersi nel senso per cui – essendosi in presenza di termine essenziale – l'avvenuta risoluzione opera di diritto al momento dell'inutile decorso del termine previsto dal contratto. L'atto che nel caso in esame deve essere opposto al fallimento è lo stesso contratto concluso tra le parti – ove è appunto prevista la clausola integrante il termine essenziale – che è stato, come risulta dal quesito, regolarmente trascritto. La conclusione non cambia nel caso in cui si volesse leggere la fattispecie come clausola risolutiva espressa. Infatti, a mente dell'art. 1456 c.c., la risoluzione del contratto è condizionata – una volta verificatosi l'inadempimento dedotto nella clausola – alla dichiarazione della parte di volersene avvalere. Nel caso concreto, la parte adempiente ha effettivamente inviato per raccomandata tale dichiarazione prima della dichiarazione di fallimento. Dal momento che il timbro apposto sulla raccomandata da parte dell'incaricato dell'ufficio postale rappresenta un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento, anche in questo caso deve concludersi per l'opponibilità della risoluzione contrattuale intervenuta di diritto tra le parti. |