Sulla scia della sentenza De Tommaso, il difetto di tassatività delle fattispecie incriminatrici torna alla Consulta

Angelo Valerio Lanna
21 Dicembre 2017

Il Supremo Collegio ha rimesso d'ufficio alla Corte costituzionale un quesito del seguente tenore: «se l'art. 75, comma 2, del d.lgs. 159 del 2011, nella parte in cui sanziona penalmente la violazione dell'obbligo di vivere onestamente e di rispettare le leggi, sia compatibile con gli artt. 25 e ...
Massima

Il Supremo Collegio ha rimesso d'ufficio alla Corte costituzionale un quesito del seguente tenore: «se l'art. 75, comma 2, del d.lgs. 159 del 2011, nella parte in cui sanziona penalmente la violazione dell'obbligo di vivere onestamente e di rispettare le leggi, sia compatibile con gli artt. 25 e 117 della Carta fondamentale, letto questo secondo articolo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali e all'art. 2 del protocollo n. 4 della stessa Convenzione, interpretati alla luce della ratio decidendi espressa dalla sentenza della Corte Edu, Grande Camera, De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017».

Il caso

Perviene alla Suprema Corte il ricorso di un imputato condannato in grado di appello per il reato di cui all'art. 75, comma 2, d.lgs. 159/2011, per avere – nella qualità di soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno – violato la prescrizione di vivere onestamente e rispettare le leggi, commettendo una rapina aggravata. La Corte di cassazione solleva d'ufficio l'incidente di costituzionalità sopra specificato. Reputa infatti che tale conclusione rappresenti nel caso di specie uno sbocco inevitabile, pur in presenza di un ricorso palesemente inammissibile, in quanto contenente soltanto generiche doglianze in punto di congruità della pena. Sul punto, si conforma al pacifico orientamento di legittimità, che definisce inammissibile il ricorso articolato su meri motivi quoad poenam (allorquando ovviamente la deliberazione sanzionatoria già ictu oculi non appaia frutto di arbitrio o di percorso concettuale illogico, bensì sia l'esito di una decisione compiutamente motivata). Quella dell'incidente di costituzionalità era dunque una scelta processuale ineludibile, in ragione dell'onere – specificamente gravante sul giudice di legittimità – di effettuare sempre un penetrante controllo in ordine al profilo della legalità del giudicato.

L'iter argomentativo seguito dalla Cassazione si snoda attraverso il richiamo a tre ancoraggi fondamentali; questi sono il risultato della recente elaborazione giurisprudenziale, in tema di requisiti minimi indispensabili delle fattispecie incriminatrici (sul versante della prevedibilità e della determinatezza del contenuto precettivo). Evidenziamo qui come si tratti peraltro di una problematica che si agita da lungo tempo, nella giurisprudenza. Già in passato era stata infatti condotta all'attenzione della Consulta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 l. 27 dicembre 1956, n. 1423, al tempo sollevata appunto per preteso contrasto con il principio di determinatezza e tassatività in materia penale di cui all'art. 25, comma2, della Costituzione (il dubbio circa la tenuta costituzionale della norma era riferito, nell'occasione, alla parte in cui questa sottopone a sanzione penale la condotta di chi violi la prescrizione di non dare ragione di sospetti). Tale questione fu all'epoca giudicata manifestamente inammissibile (si veda Corte cost. ord. n. 354/2003).

Il riferimento contenuto nell'ordinanza ora esaminata è dunque:

a) alla lettura offerta dell'art. 75, comma 2, d.lgs. 159/2011 a opera di Corte cost. n. 282/2010, laddove – nel giudicare non fondata la relativa questione di legittimità – tale modello legale è stato valutato come soddisfacentemente determinato sotto il profilo contenutistico. Sufficiente precisione descrittiva che è stata lì ricavata dall'obbligo di incastonare la prescrizione di vivere onestamente e rispettare le leggi, nell'ambito previsionale di una figura tipica costruita quale reato proprio, in quanto perpetrabile esclusivamente per mano di un agente già raggiunto da misura di prevenzione. Secondo dunque tale impostazione ermeneutica, il precetto succitato si risolverebbe semplicemente nell'imposizione di attenersi ad ampio raggio ad ogni norma, anche non di natura penale, purché l'inosservanza della stessa possa essere rivelatrice di una incrementata attitudine delinquenziale;

b) alla sentenza emessa in data 23 febbraio 2017 dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso De Tommaso contro Italia, laddove è stato con forza sottolineato un evidente deficit di tassatività di tale previsione incriminatrice (i giudici hanno qui rimarcato come il contenuto precettivo della norma – nella parte in cui vi è il riferimento al vivere onestamente e rispettare le leggi – sia del tutto indeterminato e non delinei in maniera netta e sufficientemente comprensibile il contenuto ed i limiti del divieto). Aggiungiamo per inciso che l'importanza della sentenza c.d. De Tommaso – emessa in ordine all'art. 2 del protocollo n. 4 – è come noto da rinvenire nella netta cristallizzazione dei concetti di indistinta ed immediata comprensibilità e accessibilità delle norme penali. Non è infatti bastevole – secondo la Corte Edu – che le misure comunque connotate da una attitudine restrittiva di libertà umane basilari trovino il proprio fondamento nella legge. Occorre anche che il relativo paradigma normativo sia delineato con un elevato grado di accuratezza, chiarezza e concretezza descrittiva; che sia tale da consentirne una pronta intelligenza e da rappresentare un sicuro faro per la condotta dei destinatari, a quel punto ben consci delle conseguenze derivanti dalla violazione del precetto. A ben vedere, tale pienezza di contenuto costituisce un argine formidabile, contro ogni pur larvata forma di arbitrio. La legge nazionale sottoposta al vaglio convenzionale è stata dunque censurata, proprio sotto lo specifico profilo attinente alla dettagliata e percepibile indicazione delle condotte evocative della pericolosità sociale del soggetto;

c) al dictum di Cass. pen., Sez. unite, n. 40076/2017 (c.d. sentenza Paternò), laddove è stata adottata una interpretazione sostanzialmente tendente alla strisciante abolizione parziale - per via giurisprudenziale - del contenuto precettivo della norma; la Corte infatti – rilevando come l'obbligo di vivere onestamente e rispettare le leggi si risolva in un semplice monito di carattere etico e morale, essenzialmente privo di un substrato contenutistico coerentemente apprezzabile – è giunta a delimitare l'ambito di operatività dell'art. 75 d.lgs. 159/2011 succitato alle sole violazioni attinenti alle ulteriori prescrizioni, di natura specifica, contenute nella misura di prevenzione. La violazione dell'esortazione a vivere onestamente e rispettare le leggi, secondo tale lettura velatamente abrogatrice, potrebbe allora esplicare una propria efficacia autonoma solo in sede di aggravamento della misura.

Questo dunque il quadro dei principali arresti giurisprudenziali, come riassunti nella sentenza in commento.

La questione

Occorre in primo luogo domandarsi in base a quale ragionamento, la Cassazione sia stata indotta a sollevare il sopra detto incidente di costituzionalità. Il momento genetico della questione è ovviamente da ricercare nella sopra citata decisione della Grande Camera Corte Edu (c.d. sentenza Di Tomaso). Ora, è noto come le norme Cedu, come lette dai giudici convenzionali rivestano – nell'ambito del diritto italiano - una valenza che è sovralegislativa ma subcostituzionale. Se questo è vero, le pronunce della Cedu – allorquando abbiano raggiunto lo stadio del diritto consolidato, ossia costituiscano l'espressione di un orientamento comunemente accettato e non più oggetto di rivisitazione - generano in capo al giudice interno un obbligo conformativo della legislazione. Sarebbe a dire che dalle pronunce convenzionali origina il dovere di compiere una esegesi delle norme interne che è in qualche modo eterodiretta e finalisticamente orientata; ciò proprio perché deve trattarsi di una interpretazione compiuta in ossequio ai principi ricavabili dalla giurisprudenza convenzionale.

Correlativamente grava però – sempre in capo al giudice comune italiano – l'obbligo di ricorrere alla questione di costituzionalità (sarebbe a dire, di invocare una analisi della norma da parte della Consulta), allorquando non sia possibile far combaciare il dettato normativo interno con i principi convenzionali. Ricordiamo infatti che la Corte di appello di Napoli, Sez. VIII, con ordinanza pronunciata in data 14 marzo 2017, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 5 della legge 1423 del 27 dicembre 1956, dell'art. 19 legge 152 del 1975 e degli artt. 1 e 4, comma 1, lett. c), 6 e 8 del d.lgs. 159 del 2011, per possibile contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 2 prot. 4 Cedu, oltre che con riferimento alla violazione dell'art. 1 del primo prot. add. Cedu e dell'art. 42 Cost. Il tema rimesso allo scrutinio della Consulta è appunto quello della tenuta costituzionale delle succitate norme italiane – come interpretate alla luce dei principi convenzionali espressi nella sentenza De Tommaso – sotto il profilo sia «della precisione e prevedibilità» e della «indicazione delle categorie dei soggetti sottoponibili a misure di prevenzione personale», sia della «descrizione del contenuto precettivo delle misure di prevenzione e connesse prescrizioni conseguenti all'imposizione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza».

Ma l'operazione demolitiva compiuta dalle Sezioni Unite con la sentenza Paternò – pur tracciando naturalmente il futuro sentiero interpretativo, per i giudici di merito - non riveste quei connotati di definitività e assolutezza che possono essere connessi esclusivamente ad un intervento legislativo, ovvero ad una pronuncia del Giudice delle leggi. Insomma, l'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Cassazione non è sovrapponibile né ad una legge abrogativa, né ad una pronuncia di incostituzionalità; trattasi infatti di regole di giudizio che non hanno forza di legge (si vedano, sul punto specifico, i principi di diritto dettati da Corte cost. n. 230/2015).

Le soluzioni giuridiche

Il percorso logico sviluppato dal Supremo Collegio, nella motivazione della sentenza in esame, risulta allora davvero di stretta consequenzialità e di rara coerenza:

  • una norma del diritto interno che – senza che residuino soverchie perplessità – può ritenersi percorsa da una profonda vena di vaghezza contenutistica; che quindi - proprio a causa di tale intrinseca caratteristica - finisce in sede applicativa per rivelarsi scarsamente prevedibile, per la indifferenziata comunità dei destinatari del precetto (e che come tale, non è quindi idonea a perimetrare preventivamente in maniera comprensibile, stabile e indubitabile l'area del divieto penalmente rilevante);
  • una pronuncia dei giudici convenzionali che esprime – proprio in ordine a tale previsione incriminatrice – una posizione fortemente critica, rilevandone un profondo difetto di tassatività ed una scarsa congruenza, rispetto all'assetto complessivo dei principi ricavabili dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali e dal relativo Protocollo;
  • una interpretazione fornita dalle Sezioni unite della Cassazione che effettivamente delimita l'ambito di operatività della fattispecie incriminatrice, pervenendo in pratica ad una lettura parzialmente abrogatrice della medesima;
  • un precipuo dovere gravante sul giudice di legittimità, cui spetta il controllo circa la legalità del giudicato (che nella concreta fattispecie – come sopra chiarito - si sarebbe immediatamente formato in assenza dell'incidente di legittimità, stante la suddetta inammissibilità delle doglianze poste a fondamento del ricorso).

Se questo è il quadro oggettivo e normativo della vicenda e stante la sussistenza dei sopra esposti capisaldi interpretativi, il Supremo Collegio non aveva francamente alcuna scelta difforme da compiere; non sussistevano infatti alternative praticabili, rispetto al porre la questione di costituzionalità.

Osservazioni

Emerge dalla lettura della sentenza, in primo luogo, la preoccupazione di ricordare con decisione quale sia l'ambito di operatività che è propriodella tipologia di pronuncia riservata a ciascuna delle c.d. alte Corti. Trattasi di una delimitazione teorica ovviamente di basilare importanza. Essa infatti consente che il pur serrato confronto, giustamente esistente fra le suddette alte giurisdizioni, si attesti su fondamenta sicure; che vengano riconosciuti i reciproci limiti invalicabili, a loro volta basati su prerogative e poteri che è indispensabile restino sempre ben distinti.

Questa pare essere la ratio ispiratrice dell'ampio ed esaustivo preambolo concettuale sopra riassunto. Un incipit analitico e rigoroso che – quasi a svolgere funzione di monito – si diffonde ampiamente sulla esplicitazione della valenza da attribuire alla giurisprudenza convenzionale, sia laddove essa venga parametrata all'operato del giudice comune interno – di merito e di legittimità - sia allorquando la si ponga in relazione agli atti legislativi italiani ed alle pronunce del Giudice delle leggi. Una vera e propria actio finium regundorum, quindi, che esprime concetti che sono davvero ben lungi dall'essere scontati; che si pone anzi come una vera e propria iniezione di chiarezza e linearità, in un panorama interpretativo che rischiava invece di divenire alquanto fumoso e confuso.

Ciò che è sottoposto allo scrutinio circa la tenuta costituzionale è dunque il rispetto – nel dettato dell'art. 75 d.lgs. 159/2011 - del principio di determinatezza. Il vaglio della Corte Costituzionale dovrà a questo punto attestarsi sulla linea di demarcazione rappresentata dalla immediata percepibilità e comprensibilità del precetto penale. Ossia. Il nucleo della valutazione si baserà verosimilmente sull'analisi della sussistenza – o dell'insussistenza - di una agevole, immediata e generalizzata comprensione del contenuto fenomenico della condotta repressa.

Ma in verità non occorre esser dotati di eccezionali attitudini divinatorie, per poter fondatamente pronosticare quale sarà l'esito di tale vaglio di costituzionalità.

Ciò che però maggiormente rileva - anche prescindendo dall'esito che verrà – è l'esistenza di un rinnovato impegno incombente su ogni operatore del diritto che, a vario titolo, sia chiamato a offrire una interpretazione dei più variegati paradigmi normativi. Tale operazione dovrà allora trarre nuova linfa e maggiore alimento, in una vitale opera di cesello: riuscire a individuare – e magari sottoporre ancora al vaglio circa la conformità alla Carta fondamentale – quelle (ancora numerose) fattispecie incriminatrici presenti nell'ordinamento penalistico, che si presentino oscure ed illeggibili. Che insomma contengano tuttora scorie di indeterminatezza e soggettivismo. Che conservino ancora oggi – magari anche ammantate da una visione eticizzante e moralistica del diritto penale – quella indeterminatezza e imprecisione che rappresentano il primo viatico, verso l'arbitrio ed il retrivo intuizionismo del giudicare. Una intera generazione di moderni giuristi – ormai definitivamente formatisi nutrendosi alla fonte dell'oggettività e della tassatività delle norme penali – non può infatti che aborrire il ricorso a figure tipiche che abbiano ancora un contenuto aperto (sarebbe a dire: sfuggente, generico e di misteriosa significazione). Accanto a tale sforzo in sede di interpretazione e di applicazione delle norme, non sembra però sbagliato – e nemmeno utopistico – attendersi anche un impegno adeguatore da parte del Legislatore.

Guida all'approfondimento

BRIZZI, PELLICANO, Di cosa parliamo quando parliamo di De Tommaso?, in ilPenalista.it, 23.11.2017;

CORTESI, Misure di prevenzione personali. Una storica pronuncia dei giudici europei contro il sistema italiano, in ilPenalista.it., 20.3.2017;

GRIECO, La violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione dopo la Corte Edu De Tommaso, in ilPenalista.it., 13.10.2017;

LARUSSA, Misure di prevenzione, monito della Cedu: devono essere ''prevedibili'', 24.3.2017, in Altalex.it;

MAGI, Per uno statuto unitario dell'apprezzamento della pericolosità sociale, in DirittoPenaleContemporaneo.it, 13 marzo 2017;

MAUGERI, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte Europea condanna l'Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in DirittoPenaleContemporaneo.it, 6 marzo 2017;

MENDITTO, Misure di prevenzione, in ilPenalista.it., 28.11.2017;

VIGANÒ, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, DirittoPenaleContemporaneo.it, 3 marzo 2017.

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