Aspettando le Sezioni Unite penali sul riformato assetto della colpa in ambito sanitario

20 Dicembre 2017

Sebbene piuttosto contigue nel tempo, le prime due pronunce della Cassazione penale sul nuovo assetto della responsabilità sanitaria hanno fatto registrare una forte divergenza interpretativa, che ha indotto il Presidente della Quarta Sezione a sollecitare in via urgente l'intervento delle Sezioni Unite. In attesa della decisione, per la quale è già stata fissata udienza per il 21 dicembre, il presente contributo si ripropone di mettere a fuoco i due orientamenti emersi sino ad ora e, nello specifico, i principali nodi ermeneutici rispetto ai quali dovrà fare chiarezza la Corte nella sua massima espressione nomofilattica.
L'art. 590-sexies c.p. alle Sezioni Unite

Come annunciato anche su questa Rivista (Contrasto sulla rilevanza penale della colpa medica: la parola alle Sezioni Unite, del 15 novembre), a pochi mesi dalla sua entrata in vigore, l'interpretazione dell'art. 590-sexies c.p. è già stata affidata ad un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Cassazione penale.

Tale disposizione, che, come noto, costituisce il vero e proprio epicentro della disciplina penalistica approntata dalla riforma “Gelli-Bianco”, prevede al comma 2 che «qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».

La rimessione rappresenta una soluzione obbligata alla luce del contrasto ermeneutico maturato in seno alla IV Sezione della Corte, che, nelle uniche due occasioni nelle quali ha dovuto misurarsi con il “nebuloso” portato del nuovo articolo, ha preso posizioni in netta contrapposizione tra loro.

A ben vedere, una spaccatura non dissimile all'interno della medesima Sezione si era avuta anche durante la vigenza del decreto “Balduzzi”, allorquando una prima sentenza (Cass. pen., sez. IV, sent., 11 marzo 2013, n. 11493) ne aveva ristretto arbitrariamente l'operatività alle sole ipotesi di imperizia, mentre due pronunce successive (Cass. pen., sez. IV, sent., 9 ottobre 2014, n. 47289; Cass. pen., sez. IV, sent., 11 maggio 2016, n. 23283) avevano esteso il più favorevole criterio di imputazione della colpa grave anche ai casi di responsabilità per negligenza ed imprudenza.

Stando a quanto riportato nella lettera con la quale il Presidente della IV Sezione ha rilevato il “significativo contrasto” insorto tra le prime due sentenze, «secondo una pronunzia (n. 28187 del 20 aprile 2017) la previgente disciplina era più favorevole poiché aveva escluso la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve in contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, mentre quella sopravvenuta ha eliminato la distinzione tra colpa lieve e grave ai fini dell'attribuzione dell'addebito, dettando al contempo una nuova articolata disciplina in ordine alle linee guida che costituiscono il parametro per la valutazione della colpa per imperizia in tutte le sue manifestazioni; secondo un'altra recente sentenza (n. 50078 del 19 ottobre 2017), invece, la nuova disciplina è più favorevole avendo previsto una causa di esclusione della punibilità dell'esercente la professione sanitaria “operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in assenza, delle buone pratiche clinico-assistenziali adeguate alle specificità del caso) nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa».

Formalmente, quindi, la questione demandata al vaglio della Corte nella sua massima composizione è ricondotta all'individuazione delle esatte ricadute intertemporali della nuova disciplina, ovvero se essa contenga una disciplina più favorevole rispetto a quella che ha abrogato e possa, pertanto, trovare applicazione anche nei casi verificatisi prima dell'approvazione della riforma e fino ad ora decisi alla luce delle coordinate normative contenute nell'art. 3 del decreto “Balduzzi”.

In realtà, prim'ancora dei profili di successione normativa causati dalla riforma “Gelli-Bianco”, ad essere in discussione è lo stesso perimetro applicativo dell'art. 590-sexies c.p., atteso che è proprio su questo punto che le due pronunce in questione presentano le più sostanziali divergenze e che da esso dipendono, di riflesso, le conseguenze sul piano intertemporale.

Risulta utile, allora, in una prospettiva sinottica, analizzare i passaggi essenziali delle due sentenze, per evidenziare in modo preciso il contrasto insorto e i punti sui quali sono chiamate a fare luce le Sezioni Unite.

La sentenza “Tarabori” (ovvero: l'interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 590-sexies c.p.)

Come noto, la prima sentenza che, secondo un ordine cronologico, si è misurata col nuovo articolo del codice penale è la n. 28187 del 20 aprile 2017, ormai conosciuta come “Tarabori” dal nome della parte civile ricorrente (vedi anche, G.M.CALETTI, Il primo verdetto della Cassazione sulla disciplina penalistica della legge Gelli- Bianco, riforma "inapplicabile o irragionevole", in Ridare.it; per una più ampia disamina, sia consentito rinviare a G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”, in Dir. pen. proc., 2017, 1369 ss.).

In quell'occasione, la Corte si è mostrata sin da subito allineata alle perplessità sollevate in dottrina dall'art. 590-sexies c.p., giungendo ad un'interpretazione di fatto “sterilizzante” della nuova norma e stabilendo la (perdurante) applicabilità del decreto “Balduzzi” ai casi precedenti all'entrata in vigore della nuova normativa, dal momento che quest'ultima recherebbe una disciplina sempre meno favorevole di quella introdotta nel 2012.

Si tratta di una pronuncia che, a dispetto della conclusione molto netta, presenta una motivazione estremamente complessa e approfondita, il cui argomentare si è dipanato tra due possibili letture della nuova norma, entrambe altamente problematiche.

La sentenza ha infatti riconosciuto come l'interpretazione letterale dell'art. 590-sexies c.p. porterebbe a escludere la punibilità «anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata». L'esempio paradigmatico che viene proposto è quello di un chirurgo che «imposta ed esegue l'atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un'arteria con effetto letale» (§ 7). Il tenore della nuova norma imporrebbe di esentare da responsabilità tale chirurgo, pur in presenza di un errore grossolano e macroscopico; in altre parole: grave.

Questa lettura, tuttavia, a giudizio della Corte darebbe luogo ad un esito in contrasto con i principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e colpevolezza (art. 27Cost.). Allo stesso tempo, ammettere la non punibilità del sanitario anche in casi di imperizia “grossolana”, rischierebbe di «vulnerare l'art. 32 Cost., implicando un radicale depotenziamento della tutela della salute, in contrasto con le stesse finalità dichiarate dalla legge».

Rilevato il contrasto di una simile impostazione con diversi canoni costituzionali, alla Corte non è rimasta che quell'interpretazione “secondo ovvietà” presentata nell'incipit della motivazione e che il lungo percorso ermeneutico mirava a scongiurare: il sanitario avveduto che rispetta le linee guida pubblicate sul sito del Ministero della salute, quando queste si rivelino anche adeguate al caso dello specifico paziente, non risponde penalmente. L'art. 590-sexies c.p., quindi, riemerge da questa prima valutazione come una disposizione tutto sommato “inapplicabile”, da considerare alla stregua di una mera “declinazione” dell'art. 43 c.p., cioè una istruzione di massima – verrebbe da dire una “linea guida” – su come accertare la colpa penale in ambito medico nei casi in cui vi siano linee guida riconosciute ai sensi dell'art. 5 della l. “Gelli-Bianco”.

Al contempo, nella sentenza “Tarabori” non è stata accordata alcuna rilevanza al riferimento testuale all'osservanza delle linee guida quale “causa di esclusione della punibilità”. Attraverso un richiamo esemplificativo agli artt. 85 e 388 c.p., è stato infatti ricordato come nel codice penale la stessa espressione sia rinvenibile «con significati diversi e non di rado atecnici, cioè non riconducibili alla sfera dell'esclusione della pena pur in presenza di un reato, per ragioni istituzionali, personali, di opportunità», con l'effetto che, nel caso della nuova responsabilità medica, «l'evocazione della punibilità va intesa come un atecnico riferimento al giudizio di responsabilità con riguardo alla parametrazione della colpa» (§ 10.1).

In conclusione, preso atto del maldestro tentativo del legislatore di esentare i medici da una porzione di responsabilità penale, va segnalato lo sforzo “propositivo” della Corte nell'ultimo paragrafo della “Tarabori”, laddove viene ricordata la presenza nell'ordinamento dell'art. 2236 c.c., che, anche qualora non lo si voglia ritenere direttamente applicabile, può continuare a dispiegare effetti nel giudizio penale «come regola di esperienza cui attenersi per valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà».

La sentenza “Cavazza” (ovvero: l'interpretazione letterale del'art. 590-sexies c.p.)

Di tutt'altro tenore la motivazione della più recente sentenza “Cavazza”, fin dallo stile: l'approfondimento e l'argomentazione propri della “Tarabori” lasciano il passo ad un incedere più asciutto e sintetico, ma, comunque, molto incisivo (per un primo commento della pronuncia, C. CUPELLI, Quale (non) punibilità per l'imperizia? La Cassazione torna sull'ambito applicativo della legge Gelli-Bianco ed emerge il contrasto: si avvicinano le Sezioni Unite, in www.penalecontemporaneo.it, 7 novembre 2017).

La tesi sostenuta è, infatti, immediatamente percepibile dal lettore e – aspetto del tutto peculiare, dal momento che la Corte non ha fatto applicazione della nuova normativa e, soprattutto, non ha annullato con rinvio la sentenza d'appello – è stata riassunta dall'estensore in un vero e proprio principio di diritto, secondo il quale il nuovo art. 590-sexies c.p. «prevede una causa di non punibilità dell'esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso) nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta imperita nell'applicazione delle stesse».

Viene dunque ricollegata all'osservanza delle linee guida una causa di esclusione della punibilità di tipo oggettivo, che si colloca al di fuori dell'area di operatività del principio di colpevolezza: «la rinuncia alla pena nei confronti del medico si giustifica nell'ottica di una scelta del legislatore di non mortificare l'iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd. medicina difensiva» (§ 7).

A tanto si arriva attraverso una massima valorizzazione dell'interpretazione letterale della nuova norma, che ha accantonato la graduazione della colpa proposta, invece, dalla riforma “Balduzzi”. Si tratta, nientemeno, di quell'impostazione che nella sentenza “Tarabori” veniva rifiutata in forza di una probabile divergenza sotto diversi profili (ragionevolezza, colpevolezza, tutela della salute) dalla carta costituzionale.

Anche la sentenza “Cavazza” si dimostra consapevole che esentare da pena anche forme di grave imperizia può essere operazione indiziata di incostituzionalità («potrebbe in vero dubitarsi della coerenza di una scelta di non punibilità dell'imperizia grave e invece della persistente punibilità di una negligenza lieve»; § 7), ma procede oltre in quanto i dubbi sollevati dal precedente non assumono rilevanza nel caso di specie (come d'altronde, a voler essere precisi, anche la stessa riforma “Gelli-Bianco”, posto che nella ricostruzione del caso esaminato non viene mai fatto riferimento all'osservanza delle linee guida).

Oltre che delle tensioni a livello costituzionale, la sentenza appare cosciente anche dell'obiezione di fondo che si può muovere all'interpretazione accolta secondo la quale «in presenza di colpa grave, sarebbe oltremodo difficile ipotizzare come sussistenti le condizioni concorrenti previste per l'impunità del sanitario» (§ 7). Sul punto, tuttavia, in linea con l'impostazione complessiva, e similmente a quanto avvenuto con riguardo ai profili di costituzionalità, la Corte si è limitata a contraddire tale rilievo senza argomentare, procedendo nella strada tracciata.

Alcuni punti fermi

Si delinea, quindi, nella lettura delle due sentenze della Quarta Sezione una contrapposizione tra un'interpretazione costituzionalmente orientata ma ineffettiva, quella della “Tarabori”, ed una molto aderente al dato testuale dell'art. 590-sexies c.p., ma indiziata di incostituzionalità, fatta propria dalla sentenza “Cavazza”.

Non è difficile cogliere le radici di questo disorientamento della Suprema Corte nella ermetica formulazione dell'art. 590-sexies c.p., che, a confronto con la – già non chiarissima – formulazione del decreto “Balduzzi” ha eliminato ogni riferimento al grado della colpa (la sua parte migliore e certamente deflattiva) ed ha insistito, invece, sulle linee guida, e sui difficili e scivolosi concetti di “rispetto” ed “adeguatezza” delle medesime (aggiungendovi, peraltro, il “tragico” requisito dell'imperizia).

Proprio per questo, pare il caso di evidenziare i punti condivisi da entrambe le pronunce e che, anche in vista della sentenza delle Sezioni Unite, non sembrano in discussione.

a) L'art. 590-sexies c.p. considera solo errori nella attuazione delle linee guida, non anche nella scelta delle stesse.

Per semplificarne i passaggi logici, specie sul piano intertemporale sembra il caso di condurre l'analisi sulla scorta della casistica individuata dalla nota sentenza “Cantore” in relazione all'area di applicabilità della colpa maturata nell'osservanza delle linee guida dopo la conversione in legge del decreto “Balduzzi” (Cass. pen., sez. IV, sent. 29 gennaio 2013, n. 16237). In tale fondamentale pronuncia, si era prospettata una responsabilità del sanitario ossequioso delle linee guida nelle ipotesi di “adempimenti imperfetti” e di “adempimenti inopportuni” delle stesse (per una migliore messa a fuoco della nomenclatura e della casistica, G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, Una prima lettura della legge “Gelli-Bianco” nella prospettiva del diritto penale, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2017, n. 2, 84 ss.).

Ebbene, i casi si verificherebbero, il primo, quando il sanitario ha individuato le linee guida corrette, ma nel metterle in pratica si è macchiato di una condotta colposa; il secondo, invece, quando il sanitario, pur avendo tutti i dati per stabilire la linea guida corretta per le esigenze presentate dal paziente, ne ha scelta una inadeguata al caso concreto (adempiendola, quindi, in modo “inopportuno”).

Il richiamo esplicito dell'art. 590-sexies c.p. – ed estraneo all'art. 3 del decreto “Balduzzi” – all'adeguatezza delle linee guida porta a ritenere che l'imperizia non possa attuarsi nell'errore su quale linea guida rispettare. Ciò è stato sin da subito rilevato in dottrina e poi confermato da entrambe le sentenze della Corte di legittimità. In particolare nella seconda si è osservato che l'imperizia per essere non punibile deve essersi verificata «nella fase “esecutiva” dell'applicazione e non nel momento della scelta della linea guida, giacché in tale evenienza non ci si troverebbe in presenza della linea guida adeguata al caso di specie» (§ 7).

Ci si è soffermati su questo profilo poiché ha una evidente ricaduta sui profili intertemporali, come detto, oggetto di precipua remissione alle Sezioni Unite. Tutti i casi di errore nella scelta delle linee guida – sia ben inteso: errore secondo una valutazione ex ante, non ex post – verificatisi prima dell'entrata in vigore della riforma (1 aprile), a meno di un difficile ripensamento della questione da parte delle Sezioni Unite, continueranno ad essere giudicati sulla base del decreto “Balduzzi”, che sanzionava tali condotte solo per colpa non lieve.

Sotto questo profilo, in definitiva, si può affermare che, generalmente, la nuova legge è meno favorevole della disciplina previgente.

b) La nuova disciplina si applica solo ai casi di imperizia.

Anche in questo caso, la lettera della norma sembra non lasciare margini di manovra. Quella che, nella vigenza del decreto “Balduzzi” era stata una limitazione avvenuta per via interpretativa e, inutile negarlo, piuttosto eccentrica, è stata “legalizzata” dall'art. 590-sexies c.p.

Entrambe le pronunce in esame muovono appunti critici a tale impostazione, accogliendo le perplessità da tempo evidenziate in dottrina circa la scelta di politica legislativa di affidare alla difficilissima distinzione tra le tre forme di colpa previste dall'art. 43 c.p. il discrimine per l'applicabilità dell'esimente prevista dall'art. 590-sexies c.p. (la dottrina in argomento è molto vasta; tra i commenti della riforma che maggiormente si occupano di questo aspetto, A. MASSARO, L'art. 590-sexies c.p., la colpa per imperizia del medico e la camicia di Nesso dell'art. 2236 c.c., in Arch. pen. (web), 2017). Il rischio, già prospettato prima della riforma, al punto da convincere la Cassazione a tornare sui suoi passi nel periodo del decreto “Balduzzi”, è che la tripartizione codicistica, “sotto-teorizzata” dagli anni '50 ad oggi, possa rivelarsi fortemente malleabile in sede di giudizio e porti ad escludere l'applicabilità della nuova norma anche in casi di chiara imperizia, ma “travestiti” talvolta di negligenza, talvolta di imprudenza.

Anche questa tematica presenta chiari riflessi sulla prospettiva intertemporale della riforma, dal momento che, come già segnalato, nel periodo immediatamente precedente all'introduzione dell'art. 590-sexies c.p., la Cassazione aveva ritenuto l'art. 3 applicabile anche ad ipotesi di non imperizia. Ne consegue che per i casi di negligenza ed imprudenza maturati prima del 1 aprile e nell'osservanza delle linee guida, indipendentemente dalla decisione delle Sezioni Unite, la responsabilità continuerà ad essere valutata sulla base del precedente criterio di imputazione, più favorevole, della colpa “non lieve”.

c) Entrambe le sentenze individuano nella causa di non punibilità dell'imperizia grave l'ermeneutica del nuovo testo di legge più vicina all'intentio legis.

Non pare essere in discussione nemmeno che quella accolta, pur senza sciogliere il dubbio sulla sua costituzionalità, dalla sentenza “Cavazza” sia l'interpretazione più aderente alle intenzioni del legislatore.

A ulteriore conferma di quest'affermazione, sia consentito qui proporre anche una considerazione che non si rinviene nel tessuto argomentativo di entrambe le sentenze. Nella prima versione dell'art. 590-sexies c.p. approvata dalla Camera (poi “stravolta” in Senato), infatti, si stabiliva come criterio generale di imputazione in ambito sanitario quello della colpa grave; poi, al secondo comma, si specificava che «agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge». Presumendo la colpa (rectius: l'imperizia) lieve nei casi di osservanza delle linee guida, di fatto, il legislatore sembra mirasse proprio allo stesso effetto che si attribuisce ora alla norma: quello di esentare in ogni caso di imperizia maturata nell'osservanza delle linee guida (per un commento della prima versione della legge, O. DI GIOVINE, Colpa penale, “legge Balduzzi” e “disegno di legge Gelli-Bianco”: il matrimonio impossibile tra diritto penale e gestione del rischio clinico, in Cass. pen., 2017, 386 ss.).

In conclusione

Anche una volta ricostruiti con esattezza i profili di contrasto tra le due sentenze della Corte ed i punti non in discussione, non è compito agevole ipotizzare i possibili scenari futuri. L'art. 590-sexies c.p. rimane, al netto di ogni tentativo di semplificazione, un intricato “labirinto”, nel quale alla soluzione di una questione interpretativa segue la riproposizione di una nuova problematica.

a) In linea di massima, la prima questione da affrontare per la Corte è la possibilità di prospettare un'interpretazione dell'art. 590-sexies c.p. conforme a Costituzione. Quella prospettata dalla “Tarabori” pare, però, non riproponibile (per lo meno negli stessi termini), in quanto eccessivamente riduttiva del dato legale. Restando all'interno dei binari di quella sentenza, in dottrina si sono prospettati alcuni accorgimenti che, giocando sul significato da attribuire al requisito del “rispetto” delle linee guida, potrebbero “salvare” in alcuni contesti l'applicabilità del criterio della colpa grave (in proposito, G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”, cit., 1373; C. CUPELLI, Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità della legge Gelli-Bianco, in www.penalecontemporaneo.it, 3 aprile 2017, 11). È chiaro, tuttavia, che si tratta di ipotesi applicative quasi residuali, ma ciò è quanto consente il dettato letterale dell'art. 590-sexies c.p.

b) Se si procede oltre e si ammette che l'unica interpretazione concessa dal “rompicapo” è quella della sentenza più recente, diventa ineludibile affrontare i profili di legittimità che, invece, la “Cavazza” non aveva affrontato nello specifico. Comincia, quindi, a prendere corpo anche l'ipotesi di un ingresso sulla scena della Corte Costituzionale, rispetto al quale si apre l'ulteriore problema di qualificare l'art. 590-sexies c.p. come “norma di favore” (su questi aspetti, con grande approfondimento, M. CAPUTO, ‘Promossa con riserva'. La legge Gelli-Bianco passa l'esame della Cassazione e viene ‘rimandata a settembre' per i decreti attuativi, in Riv. it. med. leg., 2017, 713 ss.).

Una cosa, però, anche a prescindere dall'eventuale rinvio alla Corte Costituzionale, sembra chiara: difficilmente, in relazione ai profili intertemporali della riforma “Gelli-Bianco”, potranno esservi soluzioni univoche e onnicomprensive. La limitazione all'imperizia e l'evidente esclusione degli errori nella scelta delle linee guida dall'ambito applicativo della norma fanno sì che ogni situazione vada valutata in concreto e nel rispetto delle sue specificità, al fine di comprendere quale sia la disciplina, in concreto, più favorevole.

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