Legge - 19/10/2017 - n. 155 art. 4 - Procedure di allerta e di composizione assistita della crisiProcedure di allerta e di composizione assistita della crisi
1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo disciplina l'introduzione di procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, di natura non giudiziale e confidenziale, finalizzate a incentivare l'emersione anticipata della crisi e ad agevolare lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori, attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi: a) individuare i casi in cui le procedure di cui al presente articolo non trovano applicazione, in particolare prevedendo che non si applichino alle società quotate in borsa o in altro mercato regolamentato e alle grandi imprese come definite dalla normativa dell'Unione europea; b) prevedere l'istituzione presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di un apposito organismo che assista il debitore nella procedura di composizione assistita della crisi; prevedere che l'organismo nomini un collegio composto da almeno tre esperti, di cui uno designato, tra gli iscritti all'albo di cui all'articolo 2, comma 1, lettera o), dal presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale competente per il luogo in cui l'imprenditore ha sede, uno designato, tra gli iscritti al predetto albo, dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura e uno designato, tra gli iscritti al medesimo albo, da associazioni di categoria; attribuire al predetto organismo, su istanza del debitore, la competenza ad addivenire a una soluzione della crisi concordata tra il debitore e i creditori, entro un congruo termine, prorogabile solo a fronte di positivi riscontri delle trattative e, in ogni caso, non superiore complessivamente a sei mesi; precisare le condizioni in base alle quali gli atti istruttori della procedura possono essere utilizzati nell'eventuale fase giudiziale; prevedere che l'organismo dia immediata comunicazione ai creditori pubblici qualificati di cui alla lettera d) dell'avvenuta presentazione dell'istanza di cui alla presente lettera; prevedere che il collegio, non oltre la scadenza del termine di cui alla presente lettera, verifichi se è stata raggiunta una soluzione concordata tra il debitore e i creditori; prevedere che, qualora il collegio non individui misure idonee a superare la crisi e attesti lo stato di insolvenza, l'organismo ne dia notizia al pubblico ministero presso il tribunale del luogo in cui il debitore ha sede, ai fini del tempestivo accertamento dell'insolvenza medesima; c) porre a carico degli organi di controllo societari, del revisore contabile e delle società di revisione, ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni, l'obbligo di avvisare immediatamente l'organo amministrativo della società dell'esistenza di fondati indizi della crisi, da individuare secondo parametri corrispondenti a quelli rilevanti ai fini del riconoscimento delle misure premiali di cui alla lettera h), e, in caso di omessa o inadeguata risposta, di informare tempestivamente l'organismo di cui alla lettera b); d) imporre a creditori pubblici qualificati, tra cui in particolare l'Agenzia delle entrate, gli enti previdenziali e gli agenti della riscossione delle imposte, l'obbligo, a pena di inefficacia dei privilegi accordati ai crediti di cui sono titolari o per i quali procedono, di segnalare immediatamente agli organi di controllo della società e, in ogni caso, all'organismo di cui alla lettera b), il perdurare di inadempimenti di importo rilevante; definire l'inadempimento di importo rilevante sulla base di criteri non assoluti ma relativi, come tali rapportati alle dimensioni dell'impresa, che considerino, in particolare, l'importo non versato delle imposte o dei contributi previdenziali autodichiarati o definitivamente accertati e, in ogni caso, siano tali da assicurare l'anticipata e tempestiva emersione della crisi in relazione a tutte le imprese soggette alle procedure di cui al presente articolo; prevedere che il creditore pubblico qualificato dia immediato avviso al debitore che la sua esposizione debitoria ha superato l'importo rilevante di cui alla presente lettera e che effettuerà la segnalazione agli organi di controllo della società e all'organismo di cui alla lettera b), se entro i successivi tre mesi il debitore non abbia attivato il procedimento di composizione assistita della crisi o non abbia estinto il debito o non abbia raggiunto un accordo con il creditore pubblico qualificato o non abbia chiesto l'ammissione ad una procedura concorsuale; e) stabilire che l'organismo di cui alla lettera b), a seguito delle segnalazioni ricevute o su istanza del debitore, convochi immediatamente, in via riservata e confidenziale, il debitore medesimo nonché, ove si tratti di società dotata di organi di controllo, anche i componenti di questi ultimi, al fine di individuare nel più breve tempo possibile, previa verifica della situazione patrimoniale, economica e finanziaria esistente, le misure idonee a porre rimedio allo stato di crisi; f) determinare i criteri di responsabilità del collegio sindacale in modo che, in caso di segnalazione all'organo di amministrazione e all'organismo di cui alla lettera b), non ricorra la responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori per le conseguenze pregiudizievoli dei fatti o delle omissioni successivi alla predetta segnalazione; g) consentire al debitore che abbia presentato l'istanza di cui alla lettera b) o che sia stato convocato ai sensi della lettera e) di chiedere alla sezione specializzata in materia di impresa l'adozione, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, delle misure protettive necessarie per condurre a termine le trattative in corso, disciplinandone durata, effetti, regime di pubblicità, competenza a emetterle e revocabilità, anche d'ufficio in caso di atti in frode ai creditori o quando il collegio di esperti di cui alla lettera b) riferisce che non vi è possibilità di addivenire ad una soluzione concordata della crisi o che non vi sono significativi progressi nell'attuazione delle misure idonee a superare la crisi medesima; h) prevedere misure premiali, sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale, in favore dell'imprenditore che ha tempestivamente proposto l'istanza di cui alla lettera b) o che ha tempestivamente chiesto l'omologazione di un accordo di ristrutturazione o proposto un concordato preventivo o proposto ricorso per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale; includere tra le misure premiali in termini di responsabilità personale la causa di non punibilità per il delitto di bancarotta semplice e per gli altri reati previsti dalla legge fallimentare, quando abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità ai sensi all'articolo 219, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, un'attenuante ad effetto speciale per gli altri reati, nonché una congrua riduzione degli interessi e delle sanzioni correlati ai debiti fiscali dell'impresa, fino alla conclusione della medesima procedura; prevedere che il requisito della tempestività ricorra esclusivamente quando il debitore abbia proposto una delle predette istanze, entro il termine di sei mesi dal verificarsi di determinati indici di natura finanziaria da individuare considerando, in particolare, il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi, l'indice di rotazione dei crediti, l'indice di rotazione del magazzino e l'indice di liquidità; i) regolare i rapporti tra la procedura di composizione assistita della crisi avviata ai sensi della lettera b) e il procedimento iniziato a norma della lettera d), prevedendo, in particolare, che, ricevuta la comunicazione dell'organismo di cui alla lettera b), il creditore qualificato sospenda la segnalazione; prevedere che l'organismo di cui alla lettera b) dia comunicazione ai creditori pubblici qualificati della conclusione del procedimento iniziato innanzi ad esso; stabilire il termine, adeguatamente contenuto e decorrente dalla data di ricezione della predetta comunicazione o da quando sono decorsi sei mesi dalla data di presentazione dell'istanza di cui alla lettera b), entro il quale il creditore pubblico qualificato effettua la segnalazione di cui alla lettera d), qualora il debitore, prima della scadenza del termine stesso, non abbia avviato la procedura di composizione assistita della crisi o non abbia estinto il debito o non abbia raggiunto un accordo con il creditore pubblico qualificato o non abbia chiesto l'ammissione ad una procedura concorsuale. InquadramentoIn data 11 ottobre 2017, è stata approvata dal Senato la legge delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza: l. n. 155 del 19 ottobre 2017, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre 2017, n. 254. I principi e i criteri direttivi di cui si compone il testo normativo delineano un disegno abbastanza preciso dei cardini su cui è destinato ad articolarsi il nuovo diritto della crisi di impresa. Il carattere dettagliato del testo giustifica il tentativo di ricostruire, sin d'ora, un quadro di insieme in cui possa essere già ricompreso il diritto che verrà posto. Vorrei iniziare con il ribadire i limiti del diritto della crisi d'impresa, e quale avrebbe potuto essere la prospettiva della riforma. Più volte ho sostenuto che l'insufficienza di questo diritto, per come oggi si presenta, dipende soprattutto da alcune ragioni di fondo, trascurate nei vari tentativi di ammodernamento della legislazione di settore degli ultimi dieci anni. In primo luogo, va considerata la vetustà dell'impianto normativo del c.d. diritto comune. La legge fallimentare del 1942 (semplicemente novellata a più riprese, ma mai abrogata) risponde ad una impostazione risalente alla codificazione commerciale francese del 1807: di matrice statalista, caratterizzata da un pesante sospetto verso la figura del fallito; orientata esclusivamente all'affermazione di interessi pubblici e subordinatamente alla tutela dei creditori (specie dei creditori garantiti); scarsamente attenta alla conservazione dell'impresa. In questa ottica furono disciplinati nelle legislazioni storiche istituti quasi dovunque abbandonati, come il concordato preventivo e il fallimento. Ossia la procedura di stigmatizzazione dell'insolvenza dell'imprenditore (il fallimento) e la procedura in prevenzione della stessa e delle gravi conseguenze personali connesse (il concordato preventivo): istituti intrinsecamente inidonei a recare un diritto effettivamente nuovo. Parimenti, bisognerebbe seriamente considerare l'insuperata opinabilità del c.d. diritto amministrativo della crisi di impresa (liquidazioni coatta e soprattutto amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi): certamente preoccupato della salvaguardia dell'impresa, ma sottratto al controllo giudiziario e determinato non da logiche di mercato ma da preoccupazioni di natura amministrativa e politica (secondo una soluzione non riscontrabile negli ordinamenti di civiltà affine). Nemmeno dovrebbe sottovalutarsi l'inadeguatezza degli strumenti attualmente fruibili: concordato preventivo, fallimento, amministrazione straordinaria. È sufficiente riflettere che nessuna di queste procedure è stata effettivamente pensata per regolare strategie di corporate restructuring, bensì esclusivamente per la composizione della debitoria dell'imprenditore insolvente. Il perdurante pregiudizio verso il debitore è anche testimoniato dall'assenza – nonostante i recenti tentativi del legislatore – di efficaci strumenti di esdebitazione. Come pure dimostra il notevole insuccesso pratico della procedura di sovraindebitamento, in assenza di strumenti legislativi idonei a stabilire un confine netto tra dolo e sfortuna, c'è spazio esclusivamente per soluzioni di compromesso, che rendono difficilmente praticabile l'obiettivo dell'esdebitazione. Questo stato di cose impedisce di salvaguardare non soltanto la legittima aspettativa dei debitori onesti di avere una seconda occasione sul mercato; ma anche il fascio di interessi inglobati nel fenomeno della continuità aziendale. In primo luogo la salvaguardia dei posti di lavoro secondo compatibilità di mercato; inoltre, la tutela dalle ripercussioni della crisi aziendale di realtà come distretti, indotti e reti, in cui sono coinvolti i fornitori dell'impresa (privi di reale tutela nell'ordinamento italiano, dal che il fenomeno dei c.d. fallimenti a catena); infine, la tutela degli interessi dei finanziatori istituzionali secondo strategie non di mero recupero ma di sostegno a più solidi rapporti di credito (anche attraverso l'adozione di più efficaci protocolli di merito creditizio). Aspetto, quest'ultimo, fondamentale in sistemi incentrati sul finanziamento bancario alle imprese (tanto che in Francia è prevista al riguardo un'apposita procedura di insolvenza, mentre da noi vige esclusivamente la disciplina dell'art. 182 septies l.fall.). Si imporrebbe dunque un ripensamento generale delle strutture della decisione sulla crisi d'impresa (ancora stabilite in Italia secondo il criterio della semplice alternativa tra decisione del tribunale o della p.a. e decisione dei creditori). Potrebbe allora elaborarsi una riforma organica delle procedure concorsuali in linea con le soluzioni accolte nei paesi dell'Europa continentale: attraverso il modello della procedura unica aperta a esiti di ristrutturazione o in alternativa di liquidazione (operante in Germania dal 1996), oppure attraverso la pluralità di modelli di ristrutturazione e di liquidazione a seconda della gravità della crisi aziendale (operante in Francia, compiutamente, dal 2005). Con maggior precisione, può osservarsi che sarebbe opportuno disciplinare il fenomeno della insolvenza societaria. Mentre in altre esperienze, come quella inglese, la corporate insolvency costituisce oggetto di legislazione e studio appositi, il diritto italiano non conosce, se non per semplici norme di dettaglio o di rinvio, regole sull'insolvenza societaria. Questo fatto determina evidentemente gravi difficoltà di coordinamento tra diritto fallimentare e diritto societario. A risentirne sono le possibilità di superamento della crisi: giacché la continuità aziendale presuppone la prosecuzione dell'attività societaria in armonia con le peculiarità del diritto fallimentare e attraverso una precisa disciplina di raccordo (il c.d. diritto societario della crisi). Proseguendo su questa linea, sarebbe inoltre auspicabile considerare, per le crisi compatibili con la continuità aziendale, soluzioni operative in sistemi anglosassoni: come la figura dell'administration (istituto operante in Inghilterra), in cui l'obiettivo di corporate restructuring è perseguito secondo modelli di corporate governance: in breve, sostituendo all'organo amministrativo della società un amministratore giudiziario. Quanto a interventi di minor raggio, sarebbero da rimeditare in radice: il sistema revocatorio (eccessivamente ridimensionato, con grave danno per la distribuzione equa delle perdite nel ceto creditorio); il sistema dei finanziamenti all'impresa in crisi (oggetto di una disciplina alquanto disorganica); il sistema dell'esdebitazione delle persone fisiche (pregiudicato dalle inefficienze delle procedure di sovraindebitamento introdotte negli ultimi anni); il sistema dei reati fallimentari, corrispondente alla originaria struttura della legge fallimentare, ampiamente superata anche secondo la fisionomia attuale di quella legge. In funzione preventiva, dovrebbero poi essere introdotte norme sulla responsabilità degli amministratori per violazione di doveri gestori di ristrutturazione (e non semplicemente di doveri sulla conservazione dell'integrità patrimoniale). Il problema, irrisolto, della emersione tempestiva della crisiUna delle questioni irrisolte del diritto fallimentare di stampo novecentesco e del rinnovato diritto della crisi di impresa degli anni duemila è quella della emersione tempestiva della crisi dell’impresa e dell’insolvenza del debitore. Escluse rarità, l’insolvenza dell’imprenditore, in quanto connessa al malfunzionamento dell’impresa, si manifesta nel tempo in stadi di accentuata gravità fino a divenire evidente all’imprenditore (e perciò agli organi di governo e di controllo dell’ente collettivo che esercita l’attività) e successivamente a conclamarsi sul mercato, suscitando la reazione dei creditori. Proprio in quest’ultimo stadio si condensa la reazione ordinamentale, di solito innescata da iniziative dei creditori che chiedono l’adempimento immediato dell’obbligazione e depositano istanze di fallimento. Ed è in questo momento che, solitamente, il debitore messo con le spalle al muro inizia ad esplorare le intenzioni dei creditori per verificare la possibilità di trattative finalizzate a piani attestati di risanamento oppure ad accordi di ristrutturazione dei debiti. Se poi sorgono difficoltà, la scelta strategica del debitore si concentra nella presentazione di una domanda di concordato preventivo. A tal riguardo, la domanda è di solito presentata con riserva di depositare piano e proposta concordataria definitivi, in modo da ottenere immediatamente la sospensione delle azioni esecutive e cautelari in corso e l’inibizione ad intraprenderne di nuove, così da poter meglio organizzare l’offerta ai creditori. Bisogna aggiungere che di solito è limitata alla liquidazione patrimoniale, proposta come valida alternativa alla dichiarazione di fallimento. In sintesi, nei casi in cui si apprezza una reazione del debitore alle richieste dei creditori divenute pressanti, essa si concretizza in una assai poco soddisfacente domanda di concordato con cessione dei beni. In queste evenienze il debitore è animato unicamente dallo scopo di evitare il peggio, ossia il fallimento. Va denunciato che, nonostante ogni sbandierato proposito di incentivare l’emersione tempestiva della crisi, le figure fino ad oggi introdotte sembrano pensate per ottenere il risultato opposto. Regole sulle trattative protette non incentivano di sicuro il debitore a proporre tempestivamente soluzioni contrattuali ai propri creditori. Chi può confidare sulla possibilità di paralizzare la reazione del creditore non si precipiterà da lui formulando una proposta di composizione concordata del debito. Allo stesso modo, chi può limitarsi a dichiarare l’intenzione di presentare una domanda di concordato ottenendo il blocco delle azioni esecutive, ma riservandosi di depositare la domanda soltanto in un secondo momento, è molto difficile che si attivi prima di subire l’aggressione dei creditori. Le regole progressivamente introdotte dal 2010, sul blocco delle azioni esecutive tanto in occasione di trattative contrattuali quanto nella prospettiva del deposito di una domanda di concordato con riserva, hanno dunque vanificato ogni residua possibilità di emersione tempestiva dell’insolvenza. Ciò va detto poiché altrimenti sfuggirebbe il rilevante contributo del legislatore nella creazione del problema che si vorrebbe risolvere. In altri termini bisognerebbe prendere onestamente atto che l’allarmante situazione di fatto che ha consigliato l’introduzione di procedure di allerta è ampiamente dovuta proprio all’operato di quel legislatore che oggi vorrebbe porvi rimedio con le misure di allerta. Oggi l’art. 4, comma 1, stabilisce l’introduzione di procedure di allerta e di composizione assistita della crisi. Precisa, altresì, che tali procedure saranno di natura non giudiziale e avranno carattere confidenziale (ossia riservato). Assegna ad esse l’obiettivo di incentivare l’emersione anticipata della crisi e di agevolare le trattative tra debitore e creditori. Assetti organizzativi adeguati e doveri di amministratori, sindaci e revisoriL’art. 4, comma 1, lett. b), dispone il dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di “istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale”. Fissa, inoltre, il dovere dell’imprenditore di “attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. La novità è notevole ed importante. Una sua anticipazione, che funzionerà sicuramente anche come modello di stretta attenzione per il legislatore delegato, è data dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.lgs. n. 175 del 2016). L’art. 6, comma 2, T.U. prevede l’obbligo della società di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale di cui deve informare l’assemblea. Il successivo art. 14, dedicato alle crisi di impresa, stabilisce (comma 2) che se nell’ambito dei programmi di valutazione del rischio emergono uno o più indicatori di crisi aziendale, l’organo amministrativo adotta senza indugio i provvedimenti necessari a prevenire l’aggravamento della crisi, a correggerne gli effetti e a eliminarne le cause, predisponendo un idoneo piano di risanamento. Si aggiunge che la mancata adozione di provvedimenti adeguati costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c. (comma 3). Questa disciplina si fa apprezzare sia per la precisazione di una condotta doverosa, peraltro già implicita nel generale dovere di diligenza professionale che grava sugli organi di amministrazione e di controllo delle società, sia per la indicazione di metodo incentrata sulla prescrizione di un idoneo piano di risanamento. La lacuna è nella mancata previsione delle possibili modalità di azione giuridica da basarsi sul piano di risanamento medesimo. Il che è pernicioso, in quanto non essendo prescritta nessuna specifica modalità di azione, resta difficile valutare (in un ipotetico giudizio di responsabilità) la scelta fatta da gestori della società. Poiché, infatti, il giudizio non può investire il merito della scelta di impresa (riservata alla valutazione economica degli amministratori e sindacabile solo sul piano economico attraverso la revoca degli stessi) resterebbe da stabilire il nucleo dell’eventuale violazione delle norme di diritto necessarie per argomentare la responsabilità. Non sarebbe difficile sostenere che, se l’ordinamento mette a disposizione della società insolvente taluni rimedi nominati per il superamento dello stato di decozione - ossia piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti o concordato preventivo -, rimedi diversi ma tutti fondati su un piano aziendale di risanamento, l’omessa adozione di uno o più di essi implica la violazione di legge che determina la responsabilità risarcitoria. Adesso, il criterio direttivo sopra richiamato impone la confezione di una regola sul dovere dell’imprenditore di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. In tal modo il cerchio si chiude. La mancata adozione di assetti organizzativi adeguati integra violazione di legge e fonda la responsabilità risarcitoria di amministratori e sindaci. L’ignoranza degli indicatori di crisi emersi grazie al funzionamento di quegli assetti, e, quindi, la mancata adozione di una delle strategie di risanamento previste nell’ordinamento, fonda parimenti la responsabilità risarcitoria. La novità, a lungo preparata dalla riflessione dottrinale, suscitata dalla difficoltà di costruire ipotesi di responsabilità degli amministratori per l’omessa adozione di strategie tempestive di contrasto alla crisi di impresa, è importante perché incrementa l’effettività della risposta risarcitoria potendo indurre i destinatari della disciplina a comportamenti virtuosi di pronta reazione alla crisi. Un pungolo agli amministratori è dato dalla disciplina di raccordo tra il funzionamento degli assetti organizzativi e la trasmissione delle informazioni raccolte all’organo amministrativo chiamato ad assumere tempestivamente i provvedimenti necessari. L’art. 4, comma 1, lett. c), stabilisce di “porre a carico degli organi di controllo societario, del revisore contabile e delle società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, l’obbligo di avvisare immediatamente l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi”. Con questa disposizione il disegno giunge a compimento. Degno di nota è che l’art. 4, comma 1, lett. f), incarichi il legislatore delegato di determinare i criteri di responsabilità dei sindaci in modo che, una volta adempiuti i doveri di segnalazione e denuncia imposti dalla legge, sia scongiurata la responsabilità solidale con gli amministratori per le decisioni ad essi attribuibili nei periodi successivi alla segnalazione. Le società e gli enti collettivi di impresa devono dotarsi di assetti organizzativi adeguati al monitoraggio dell’attività in prevenzione e rimedio della crisi; gli organi di controllo e di revisione devono comunicare tempestivamente l’emersione degli indizi di crisi all’organo amministrativo; quest’ultimo è responsabilizzato affinché provveda senza indugio all’adozione di uno degli strumenti di superamento della crisi previsto dall’ordinamento (piani attestati, accordo di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo). Sul piano della strutturazione delle responsabilità degli organi di amministrazione, controllo e revisione sono state costruite tutte le premesse per una normativa equilibrata ed efficiente volta a favorire tempestivamente l’emersione della crisi. L’organismo di composizione della crisi. Linee essenziali della proceduraL’art. 4, comma 1, lett. b), prevede l’istituzione presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di “un apposito organismo che assista il debitore nella procedura di composizione […] della crisi”. L’organismo, secondo quanto sarà in dettaglio stabilito dal legislatore delegato, provvede a nominare un collegio di almeno tre esperti tratti dall’elenco di professionisti da istituirsi presso il ministero della Giustizia (uno designato dal tribunale, uno dalla camera di commercio, uno da associazioni di categoria). Compete al collegio di procurare una soluzione della crisi che sia concordata tra debitore e creditori. Sulla base di questi principi e criteri direttivi devono essere pertanto disciplinati gli organismi di composizione della crisi destinati ad operare presso le camere di commercio con il compito di assistere le parti nella soluzione concordata della crisi. Verosimilmente sarà preso a riferimento l’unico modello vigente di organismo di composizione della crisi, ossia l’istituto normato nella legge sul sovraindebitamento. Vedremo che l’operatività dell’organismo di composizione della crisi lascia aperti molti dubbi: di carattere sistematico, sulla opportunità e sulla efficacia della disciplina. L’impressione è che di queste regole non ci fosse nessun bisogno; l’allerta è già convenientemente assicurata dalla responsabilizzazione degli organi di amministrazione e di controllo; invece la procedura di composizione affidata agli organismi si impone quasi fosse un corpo estraneo. Le soluzioni concordate della crisiLe soluzioni concordate dovranno ragionevolmente consistere in contratti finalizzati al superamento della crisi aziendale e al recupero della solvenza del debitore. A prescindere dall'introduzione di nuove figure, tuttavia non previste nella delega, l'alternativa dovrebbe realizzarsi tra piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti. Ciò in quanto, a tacer d'altro, la struttura del piano di risanamento non è ulteriormente semplificabile né ad essa è agevole affiancare una diversa conformazione di esercizio dell'autonomia privata. Infatti, la figura consiste in un piano di risanamento attestato da un professionista indipendente sulla affidabilità del dato aziendale e sulla fattibilità della programmazione di recupero dell'impresa al mercato, il quale programma è destinato ad essere attuato per mezzo di una serie di atti, unilaterali o contrattuali, a contenuto patrimoniale. Né sembrano incompatibili con questa procedura gli accordi di ristrutturazione dei debiti nelle fasi della trattativa e della conclusione degli accordi medesimi. Il tribunale è chiamato ad intervenire solo nel momento successivo della omologazione, nel quale l'attività dell'organismo può dirsi giunta a compimento. Della sinergia tra procedura confidenziale svolta davanti al collegio nominato dall'organismo e procedure giurisdizionali dà prova l'art. 4, comma 1, lett. g), che dispone sulla facoltà del debitore interessato alla procedura di adire il tribunale per l'adozione di misure protettive necessarie per condurre al termine le trattative in corso. Resta da comprendere se, con l'introduzione delle procedure confidenziali, i contratti tra debitore e creditori possono realizzarsi anche in una relazione diretta o esclusivamente attraverso la mediazione obbligatoria dell'organismo di composizione della crisi. Su questo aspetto decisivo la delega non fornisce spunti di soluzione, lasciando scoperta un'articolazione fondamentale del sistema: in quanto la scelta dell'una o dell'altra alternativa determina la configurazione di uno dei due fondamentali settori del diritto rilevante. Questo è costituito, oltre che da procedure concorsuali, da contratti; questi ultimi possono anche essere sussunti in procedure, ossia possono essere proceduralizzati, senza per questo vedere intaccata la loro natura contrattuale. Essa è data dal criterio di formazione della soluzione concordata, il quale deve corrispondere al consenso delle parti, di cui agli artt. 1321 e 1325 c.c. Se la soluzione è raggiunta sempre per atto di autonomia, tuttavia consistente in una deliberazione maggioritaria, vincolante per i dissenzienti, non è corretto discorrere di contratto essendo violato il criterio fondamentale della relatività degli effetti (art. 1372 c.c.). A tutela dei dissenzienti vale l'applicazione della regola della parità di trattamento nel concorso (art. 2741 c.c.). Ecco allora che, pur potendo essere i contratti proceduralizzati, e, dunque, pur sussistendo procedure contrattuali, esse si contrappongono alle procedure concorsuali (essendo, a differenza di queste ultime, basate sul consenso e non sul concorso). Se proseguiamo nel ragionamento, possiamo concludere come accanto ai contratti proceduralizzati (tipicamente gli accordi di ristrutturazione che non producono effetti verso i creditori non aderenti) vi siano contratti non proceduralizzati (tutti quelli, e più in generale tutti gli atti di autonomia, attuativi di piani attestati di risanamento). Questo importante ambito dell'autonomia privata si è sempre realizzato al di fuori di qualsiasi condizionamento di stampo procedurale, esprimendosi come moto genuino sul mercato. Ecco perché la scelta se rendere praticabili questi contratti soltanto nell'ambito delle procedure confidenziali o invece anche fuori da esse, costituisce uno snodo sistematico di notevole importanza: in quanto relativo a un fondamentale profilo - quello contrattuale - del diritto negoziale dell'insolvenza. Non credo che sia possibile evincere, dalla legge delega, nessuna indicazione univoca a riguardo. La qual cosa è sicuramente sconveniente se poniamo mente al declamato obiettivo della organicità della riforma. Forse è possibile argomentare l'impraticabilità dei contratti di salvataggio fuori dalla procedura confidenziale. Noto infatti che l'art. 4, comma 1, lett. h), fissa il principio sulle misure premiali destinate all'imprenditore che adisce l'organismo di composizione della crisi o - e, dunque, sembrerebbe in alternativa - chiede l'omologazione di un accordo di ristrutturazione o propone ricorso per una procedura concorsuale. Seguendo il tenore del principio, sembrerebbe che, oltre alle procedure concorsuali, anche gli accordi soggetti ad omologazione potrebbero raggiungersi a prescindere dalla procedura confidenziale. Ma, al contrario, è facile notare come il principio faccia riferimento non alla conclusione dell'accordo bensì all'omologazione (che non può che avvenire in tribunale), lasciando irrisolto se l'accordo debba essere raggiunto nell'ambito della procedura confidenziale. Deve, inoltre, essere osservato che nulla si dice sui piani attestati di risanamento, i quali, pertanto, non possono costituire presupposto per l'ottenimento di misure premiali. Il che favorisce la conclusione che i contratti relativi al piano debbono essere conclusi nell'ambito della procedura confidenziale. Ma sulla insuperabile perplessità di ogni conclusione dico ancora qualcosa nel prossimo paragrafo. Il potere di iniziativa. Debitore e organismi di controllo e di revisioneIl procedimento confidenziale può essere avviato, secondo quanto stabilito nella delega, su istanza del debitore, degli organismi di controllo e di revisione, o infine dei creditori qualificati. Avvedutisi dello stato di crisi aziendale, ed eventualmente della condizione di temporanea difficoltà finanziaria o di insolvenza della società, gli amministratori possono adempiere al dovere di iniziativa per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti stabiliti per il superamento della crisi. Qualora si adottasse la soluzione dell'esperibilità di questi rimedi soltanto all'interno di una procedura confidenziale, agli amministratori non resterebbe che rivolgersi all'organismo. L'art. 4, comma 1, lett. b), stabilisce il principio dell'istanza del debitore per avviare la procedura confidenziale. Poiché il debitore, stando al tenore della delega, non ha il dovere di adire l'organismo - avendone soltanto la facoltà - mentre ha il dovere di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi, sembrerebbe - diversamente da quanto osservato nel par. precedente - che la procedura confidenziale non sia una strada obbligata per la soluzione contrattuale. L'informazione tempestiva dell'organismo di composizione è invece oggetto di un preciso dovere per gli organi di controllo e di revisione tutte le volte che risulti omessa o inadeguata la risposta da parte dell'organo amministrativo alla denuncia degli indizi di crisi aziendale (art. 4, comma 1, lett. c)). Il principio è ricco di implicazioni che ne rendono difficile l'attuazione. Ciò in quanto a questa attività è legata la separazione delle responsabilità di controllori e revisori rispetto a quella degli amministratori inefficienti. Come abbiamo visto, nella delega è stabilita la separazione di responsabilità nel caso di segnalazione delle criticità agli amministratori, nonché all'organismo di composizione (art. 4, comma 1, lett. f)). Ma poiché in caso di risposta inadeguata dell'organo amministrativo è fatto dovere a controllori e revisori di informare in ogni caso l'organismo di composizione (art. 4, comma 1, lett. c)), la separazione delle responsabilità dipende dalla comunicazione all'organismo, non essendo sufficiente di porre in allerta gli amministratori. Questa connessione potrebbe indurre in eccessivo allarme controllori e revisori, pregiudicando gli stessi obiettivi perseguiti nella legge delega a causa del sovraccarico di lavoro degli organismi. L’onere di iniziativa dei creditori qualificatiOnerati della segnalazione all'organismo sono anche i creditori pubblici qualificati (specialmente l'agenzia delle entrate, gli enti previdenziali e gli agenti di riscossione). Qualora la segnalazione non sia effettuata, si determina la conseguenza della perdita di efficacia dei privilegi che assistono i crediti in titolarità o in gestione di questi soggetti (con evidente prospettazione di responsabilità per danno erariale a carico dei funzionari coinvolti) (art. 4, comma 1, lett. d)). L'onere di segnalazione sorge con il “perdurare di inadempimenti di importo rilevante”. È precisato che il concetto di ‘importo rilevante' deve essere definito dal legislatore delegato in modo da risultare significativo indizio di crisi considerate la tipologia del credito e le dimensioni dell'impresa. Non è inutile precisare che il concetto di ‘importo rilevante ha poco da spartire con quello di ‘inadempimento di non scarsa importanza' (art. 1455 c.c.). Mentre per quest'ultimo conta il fatto di inadempimento rispetto all'interesse del creditore, con giudizio contenuto nell'ambito del rapporto obbligatorio, nel primo l'inadempimento (peraltro, tendenzialmente sempre grave, concernendo verosimilmente la totalità del credito e perdurando per un periodo significativo) deve essere rivelatore della condizione generale di insolvenza del debitore. Sarà, pertanto, decisivo anche il numero degli inadempimenti sia nei confronti del soggetto denunciante sia rispetto ad altri creditori qualificati (i quali tutti potrebbero avere accesso ad informazioni condivise sul comune debitore). Va ricordato che l'attività del creditore qualificato si estrinseca, essenzialmente negli stessi termini, anche a vantaggio degli organi di controllo della società: avvisati dell'esposizione eccessiva affinché possano porvi rimedio riconducendola sotto le soglie critiche costitutive dell'onere di segnalazione del creditore all'organismo di composizione (art. 4, comma 1, lett. d)). Il principio suscita perplessità laddove si estende a prevedere che l'onere di segnalazione sia superato dal raggiungimento di un accordo di composizione del debito tra debitore e creditore. Così disponendo, il delegante sembra incoraggiare soluzioni atomistiche tra debitore e creditore qualificato, forse utili a comporre un rapporto ma pericolosissime per lo stesso debitore e per i creditori rimasti estranei al contratto. E, infatti, qualora l'esposizione del debitore verso il creditore qualificato assuma una rilevanza tale da integrare un indizio significativo di decozione, così da giustificare - se non rimediato - l'informazione all'organismo di composizione, il debitore è probabilmente in stato di insolvenza. Tutto dovrebbe fare, a quel punto, tranne che accordarsi con un singolo creditore. La legge delega cade dunque in una insuperabile difficoltà giuridica (la condotta del creditore sarebbe suscettibile anche di integrare ipotesi penalmente rilevanti). Ciò a meno di ritenere - in negativo - che (secondo un'idea che ho già avuto modo di illustrare) la via contrattuale al superamento della crisi non presupponga l'apertura di una procedura confidenziale; e insieme di ritenere - in positivo - che la composizione del debito con il creditore qualificato si realizzi nell'ambito di un piano attestato di risanamento o di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Diversamente ragionando la riforma organica delle procedure concorsuali mostrerebbe un vero e proprio buco nero dato da accordi tra debitore presumibilmente insolvente e creditore pubblico e qualificato ai danni degli altri creditori. Tutto ciò con la legittimazione di una condotta che, tenuta dal creditore non qualificato, cagionerebbe sul piano civile il rimedio revocatorio e sul piano penale un'imputazione di bancarotta. Si potrebbe rimanere stupiti di una simile disattenzione al cardine concettuale dell'intero diritto della crisi di impresa, dato dal principio della parità di trattamento di tutti i creditori del comune debitore insolvente. Bisogna, tuttavia, considerare la difficoltà di congegnare un istituto come l'allerta preconcorsuale, che risponde a precise opzioni ideologiche di stampo dirigistico, con la (molto diversa) mentalità del libero mercato. Nel diritto liberale della crisi di impresa il creditore che si avvede dell'insolvenza del proprio debitore deve domandare, piuttosto che l'adempimento consensuale o coattivo del credito, una soluzione concordata non del debito, ma del generale stato di insolvenza, oppure l'apertura di una procedura concorsuale. I nostri creditori qualificati sono, invece, onerati di compiti di polizia. Debbono agire non per tutelare il proprio credito ma per additare l'insolvente all'organismo. Così come sono artificiali (perché indipendenti dalla volontà del creditore) i criteri di costituzione dell'onere di denuncia, allo stesso modo i criteri di estinzione di quell'onere sono disallineati rispetto al sistema. In altre parole il legislatore delegante non si è avveduto dell'abnormità del principio, limitandosi a considerare il credito vantato dal soggetto qualificato come un indicatore che sta alla base di una risposta di stampo pubblicistico piuttosto che come potere di autotutela del credito, da gestire nella complessiva considerazione della debitoria. In questa prospettiva distorta il pagamento preferenziale al creditore qualificato emerge agli occhi del legislatore, piuttosto che come illecito, come causa di disattivazione dell'onere di denuncia. La proceduraIl procedimento confidenziale si apre con l'istanza del debitore, o con la segnalazione dell'organo di controllo, o del creditore pubblico. A seguito dell'istanza o della segnalazione l'organismo (il collegio da esso stabilito) convoca in tempi stretti e in via riservata e confidenziale il debitore (nel caso di società, anche gli organi di controllo) al fine di individuare le misure più adatte a rimediare allo stato di crisi (art. 4, comma 1, lett. e)). Le operazioni debbono svolgersi in un termine congruo e prorogabile solo a fronte di avanzamenti delle trattative (in ogni caso contenuto in sei mesi). Alla scadenza del termine, qualora non sia stata raggiunta una soluzione concordata tra debitore e creditori, il collegio che non individui misure idonee a superare il ritenuto stato di insolvenza deve riferirne al tribunale (art. 4, comma 1, lett. b)). Il principio è equivoco: se infatti non si è raggiunta l'intesa tra debitore e creditori, soluzioni concordate della crisi non sono ipotizzabili a pena di cadere in contraddizione. Tuttavia, gli organismi compositivi possono facilitare solo soluzioni concordate. Infatti, per le soluzioni concorsuali è necessario l'intervento del giudice, esprimendosi le stesse nell'esercizio di potere giurisdizionale (in primo luogo con riguardo all'accertamento della qualità soggettiva del debitore e dello stato di insolvenza). Dunque? Le misure protettive e premialiNell'ambito della procedura il debitore può adire il tribunale per richiedere misure protettive necessarie per condurre a termine le trattative in corso (art. 4, comma 1, lett. g)). Un effetto molto positivo può essere sortito dal prosieguo del principio dove si stabilisce che il giudice competente ad emettere la misura protettiva è egualmente nel potere di revocarla anche d'ufficio, su segnalazione del collegio di composizione confidenziale circa l'inutilità o l'infruttuosità del tentativo di superamento dell'insolvenza o in caso di atti in frode ai creditori. La semplicità procedurale con cui la misura protettiva può essere concessa e, all'opposto, revocata si mostra conforme alla natura della misura medesima: per definizione temporanea e duttile giacché da ammettersi soltanto nei limiti e per il tempo strettamente necessari. Il principio è frutto della negativa esperienza del concordato con riserva, in cui per disciplinare la concessione di un termine di respiro era architettata un'intera procedura concorsuale difficile da gestire con l'immediatezza richiesta per l'efficiente revoca del termine di grazia. L'esito della procedura confidenziale si divide nell'alternativa tra l'adozione di misure idonee al superamento della crisi e la notizia al pubblico ministero dello stato di probabile insolvenza in cui permane il debitore ai fini dell'apertura di una procedura concorsuale. Il quadro dei principi sull'allerta si chiude con la previsione di misure premiali “sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale” per il debitore che si è prontamente attivato per la soluzione tempestiva della crisi accedendo ad una procedura confidenziale, concludendo contratti di ristrutturazione, presentando domanda di concordato preventivo o di liquidazione giudiziale (art. 4, comma 1, lett. h)). |