Risarcibilità del danno all'immagine della P.A. da illecito penale tributario. La possibile soluzione del contrasto interpretativo

Andrea Nocera
03 Gennaio 2018

Con le due sentenze in commento, succedutesi di pochi mesi (Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2017, n. 48603; Cass. pen., Sez. III, 6 giugno 2017, n. 38932) la Corte di cassazione ha cercato di fornire una soluzione di equilibrio e di sintesi al contrasto insorto in ordine alla rilevanza e risarcibilità del danno all'immagine nei confronti della P.A.
Massima

In tema di responsabilità contabile, il risarcimento del danno all'immagine di enti pubblici deve essere limitato ai soli fatti costituenti delitti contro la P.A., ai sensi dell'art. 17, comma 30-ter d.l. 78 del 2009. Deve ritenersi, tuttavia, legittima la condanna in sede penale al risarcimento del danno morale patito dall'Amministrazione finanziaria nell'ipotesi di illeciti penali tributari, danno consistente nella lesione di interessi non economici aventi comunque rilevanza sociale, ai quali è finalizzata l'azione dell'Agenzia delle entrate preposta all'accertamento e alla riscossione delle entrate tributarie della Nazione. Dal danno non patrimoniale deve essere tenuto distinto la voce autonoma del danno all'immagine (Cass. civ., Sez. unite, 24 luglio 2017, n. 18164).

Il caso

L'amministratore di una società veniva condannato alla pena di un anno di reclusione, pena sospesa, per i reati di cui al d.lgs. 74 del 2000, art. 10-ter e 11, per l'infedele dichiarazione di imposta per l'anno 2009, nonché per la costituzione di un fondo patrimoniale attraverso il quale l'obbligato erariale intendeva realizzare l'obiettivo di sottrarre il bene alle legittime ragioni dell'erario, riducendo la propria capacità patrimoniale. Il giudice di appello condannava inoltre l'imputato al risarcimento del danno morale di euro 167.451,58 in favore dell'Agenzia delle entrate, costituita parte civile.

L'imputato proponeva ricorso per cassazione lamentando, tra l'altro, la carenza di motivazione in ordine alla liquidazione del risarcimento del danno morale in favore dell'amministrazione finanziaria, di cui contestava in ogni caso in radice la possibilità di liquidazione.

La questione

Il quesito in esame riguarda il dibattuto tema della risarcibilità del danno all'immagine in ipotesi di violazioni tributarie e, più in generale del danno morale in favore della pubblica amministrazione, se tali voci di danno siano risarcibili in conseguenza di fattispecie di reato comuni ovvero siano configurabili solo nel caso di condanna per uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., previsti nel Capo I del Titolo II del Libro secondo del codice penale.

Le soluzioni giuridiche

Con le due sentenze in commento, succedutesi di pochi mesi (Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2017, n. 48603; Cass. pen., Sez. III, 6 giugno 2017, n. 38932) la Corte di cassazione ha cercato di fornire una soluzione di equilibrio e di sintesi al contrasto insorto in ordine alla rilevanza e risarcibilità del danno all'immagine nei confronti della P.A.

Come evidenziato da Sez. III, n. 38932/2017, il danno da reato risarcibile nei confronti della P.A., per l'illecito penale del dipendente o di un terzo, si presenta strutturalmente complesso nelle sue componenti.

Il danno non patrimoniale derivante da fatto-reato ricomprende in sé, oltre il danno all'immagine, anche il danno morale, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici (cfr. Cass. pen., Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 5481, p.c. in proc. Refatti e altri; nello stesso senso, Cass. civ., Sez. unite., 11 novembre 2008, n. 26972).

Una componente – di ricorrente applicazione – del danno morale risarcibile nei confronti della pubblica amministrazione è il danno all'immagine, figura di creazione giurisprudenziale, inizialmente qualificato come danno non patrimoniale, per la lesione al prestigio della P.A. e il discredito da essa subito in ragione dell'evidenza data dalla stampa e dell'attenzione della collettività per l'illecito compiuto dai propri dipendenti.

Il danno all'immagine della pubblica amministrazione, sia esso perseguito dinanzi alla Corte dei conti o davanti ad altra autorità giudiziaria, si configura come danno patrimoniale da perdita di immagine, avente natura di danno-conseguenza, la cui prova, secondo il costante orientamento di questa Corte in sede civile, può essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza; trattasi, in particolare, di danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell'immagine e della personalità pubblica che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso (Cass., Sez. III, n. 38932/2017)

Ove derivi da condotta del pubblico dipendente la responsabilità amministrativo-contabile si configura come ipotesi di responsabilità civile ordinaria ai sensi dell'art. 2043 c.c., connotata dalla particolare qualificazione del soggetto autore del danno, oltre che per la natura del soggetto danneggiato (amministrazione pubblica), e il legame di occasionalità necessaria tra la causazione del danno e lo svolgimento delle pubbliche funzioni.

La risarcibilità del danno all'immagine è stata circoscritta normativamente dal d.l. 78 del 2009, conv. in l. 102 del 2009. L'art. 17, comma 30-ter, del citato d.l. 78 del 2009, dispone, in particolare, che l'esercizio dell'azione di danno erariale per il risarcimento del danno all'immagine può essere esercitata nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della l. 27 marzo 2001, n. 97. La norma prevede un obbligo di comunicazione al competente procuratore regionale della Corte dei conti della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo primo del titolo secondo del libro secondo del codice penale (artt. 314-355, delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione), affinché promuova l'eventuale parallelo procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.

La Corte costituzionale, con sentenza 15 dicembre 2010 n. 355, nel dichiarare inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma sollevate dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti – considerando non manifestamente irragionevole la scelta di limitare l'azione risarcitoria della lesione all'immagine della P.A. solo ad alcune fattispecie di illecito penale – ha incidentalmente chiarito (p. 6 del Considerato in diritto) che «la formulazione della disposizione non consente di ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate dalla norma impugnata, la domanda di risarcimento del danno per lesione dell'immagine dell'amministrazione possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti, adita in sede di giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell'art. 103 Cost. Deve, quindi, ritenersi che il legislatore non abbia inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, bensì circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente di questa. […] La norma deve essere univocamente interpretata, invece, nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all'immagine dell'ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria […]» (cfr., sul punto, C. conti, Sez. Riun. n. 13/QM/2011 del 13 agosto 2011).

L'art. 1, comma 62, della l. 190 del 2012 (recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione), nell'introdurre i nuovi commi 1-sexies e 1-septies dell'art. 1 della legge 20 del 1994, ha, quindi, dettato dei parametri presuntivi di determinazione dell'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato (nella misura del «doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente») e previsto la possibilità di concessione del sequestro conservativo di cui all'art. 5, comma 2, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 gennaio 1994, n. 19, «in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale».

Circa l'impatto delle nuove disposizioni normative che, in luogo della precisa limitazione imposta dall'art. 17, comma 30-ter, del d.l. 78 del 2009, opera un generico richiamo alla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione del pubblico dipendente, è maturato un contrasto nella giurisprudenza delle Sezioni della Corte, che riproduce un analogo contrasto insorto nella giurisprudenza contabile.

La configurabilità del danno all'immagine solo come conseguenza dei delitti contro la P.A. (Capo I, titolo II, libro II del codice penale). Secondo un primo orientamento, ribadito da ultimo con la citata sentenza Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2017, n. 48603 (con riferimento alla condanna di un dipendente della Asl per il reato di cui agli artt. 314 e 323-bis c.p.) la scelta legislativa di imporre un limite di rilevanza in ragione della tipologia dei reati deve essere valutata alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 355 del 2010, potendo in astratto ritenersi ipotizzabile concorrente lesione dell'immagine pubblica solo nei casi di reati del pubblico dipendente contro la P.A. Il Legislatore ha attuato semplicemente il proposito di circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell'immagine della amministrazione (Cass. pen., Sez. VI, 12 luglio 2016, n. 43330, S. e altri). Nel caso di specie, è stata ritenuta legittima la condanna al risarcimento del danno all'immagine nei confronti della amministrazione regionale per la la condotta di peculato posta in essere da un dirigente, che si era appropriato di somme destinate ad un premio letterario.

Nel medesimo senso, Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 2014, n. 14605, Del Toso, secondo cui le nuove disposizioni non hanno ampliato i casi di proponibilità dell'azione di risarcimento del danno all'immagine ma semplicemente dettato delle peculiari modalità presuntive determinative della specifica voce di danno. La P.A. può, dunque, chiedere il risarcimento di tale danno al proprio dipendente nei soli casi in cui questi venga condannato per uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. previsti nel Capo I del Titolo II del Libro secondo del codice penale (nel caso di specie, la Corte ha annullato il provvedimento che aveva disposto il sequestro conservativo a tutela del diritto vantato dall'ente Provincia, costituito parte civile, al risarcimento del danno all'immagine provocato da un proprio dipendente, imputato per il reato di truffa aggravata).

A seguito della introduzione della legge 190 del 2012, non si è verificato alcun conflitto od incompatibilità tra il citato art. 17, comma 30-ter del d.l. 78 del 2009 e il nuovo art. 1, comma 1-sexies, della l. 20 del 1994, essendo diverso il campo applicativo delle due disposizioni. Infatti, il combinato disposto dell'art. 17 della l. 141 del 2009 e dell'art. 7 della l. 97 del 2001 disciplina l'an ed il quomodo dell'azione, mentre l'art. 1, comma 1-sexies, della l. 20 del 1994 si è limitato a regolamentare in via presuntiva il quantum dovuto alla P.A. per il danno all'immagine. Del resto, l'art. 1, comma 1-sexies, indica, come presupposto dell'azione, che il dipendente abbia illecitamente percepito una somma di denaro o altra utilità, ossia il prezzo dell'illecito mercimonio della propria funzione, dato ordinariamente previsto come uno degli elementi tipici proprio dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I, del titolo secondo del libro secondo del codice penale e non certo degli altri delitti per i quali la P.A. può lamentare un danno all'immagine causatole dal proprio dipendente (in senso conforme, Corte conti Emilia-Romagna, n. 137 del 9 settembre 2013).

Più di recente, Cass. pen., Sez. VI, 12 luglio 2016, n. 43330, S. e altri, che, con riferimento alla condotta di peculato posta in essere da un dirigente di un ente regionale, per essersi appropriato di somme destinate ad un premio letterario, ha affermato che la pubblica amministrazione può chiedere il risarcimento del danno all'immagine al proprio dipendente nei casi in cui questi venga condannato per uno dei delitti previsti nel Capo I del Titolo II del libro secondo del codice penale.

Secondo tale prospettazione, la componente del danno all'immagine non viene in rilievo in favore dell'Agenzia delle entrate, dovendo essere esclusa la risarcibilità del danno all'immagine arrecato da soggetti privi di qualifiche pubblicistiche all'Agenzia delle Entrate in conseguenza della commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e di emissione di fatture per operazioni inesistenti (Cass. pen., Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 5481, P.C., Refatti e altri; Cass. pen.,Sez. III, 20 maggio 2014, n. 52752, Vidi e altro).

La tesi della risarcibilità del danno all'immagine anche in ipotesi di reati comuni. Un contrario orientamento maturato presso la Corte di cassazione, ritiene non vincolante la qualifica soggettiva del responsabile, atteso che in via astratta appare configurabile il danno all'immagine nei confronti dalla P.A. anche nel caso di illecito (nella specie, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti) commesso da soggetti privi di qualifiche pubblicistiche, pur se ne ha poi escluso in concreto la risarcibilità.

In precedenza, sempre in tema di reati tributari, Cass. pen., Sez. fer., 1 agosto 2013, n. 35729, Agrama e altri, ha riconosciuto il diritto dell'Agenzia delle entrate costituita parte civile al risarcimento del danno patrimoniale e di quello morale, inteso come pregiudizio alla credibilità nei confronti di tutti i consociati dell'organo accertatore.

La Corte ha osservato che i limiti all'azione del risarcimento del danno all'immagine in sede di giudizio contabile previsti dall'art. 17 del d.l. 78 del 2009, conv. in l. 102 del 2009, non escludono il principio generale della risarcibilità del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. Alle medesime conclusioni giunge la Corte in tema di reati di contrabbando dogane per la violazione del regime Iva all'importazione (Cass. pen., Sez. III, 14 luglio 2010, n. 35457, Lavia).

Più in generale, si è ritenuto legittimato a costituirsi parte civile l'ente pubblico per far valere il proprio diritto al risarcimento del danno all'immagine nei confronti di propri dipendenti responsabili dei reati di truffa aggravata in concorso ed abuso di ufficio. E' l'orientamento

espresso da Cass. pen., Sez. II, 7 febbraio 2017, n. 29480 C.D. e A.F., secondo cui la citata sentenza della Corte costituzionale n. 355 del 2010 non è ostativa alla risarcibilità del danno all'immagine come conseguenza di reati comuni, in quanto è pronuncia di rigetto e, pertanto, priva di efficacia erga omnes, ciò che non impedisce l'opzione per un'interpretazione dell'art. 17, comma 30-ter, diversa e più ampia, che consenta la risarcibilità del subito dalla P.A. per effetto della lesione all'immagine anche qualora derivi dalla commissione di reati comuni, posti in essere da soggetti appartenenti ad una pubblica amministrazione.

In tal senso il riferimento testuale contenuto nel secondo periodo dell'art. 17 citato ai soli modi e casi previsti dalla l. 97 del 2001, art. 7, che fa espressamente salvo il disposto di cui all'art. 129 disp. att. c.p.p., deve intendersi riferito sia alla comunicazione al P.M. contabile della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata per i delitti contro la pubblica amministrazione, sia alla comunicazione da parte del P.M. penale all'organo requirente contabile ex art. 129 disp. att. c.p.p., dell'esercizio dell'azione penale per i reati, di qualsiasi specie, che abbiano comunque cagionato un danno all'erario.

Tale conclusione trova conforto anche in un recente indirizzo della giurisprudenza in sede amministrativa (v. Corte dei conti, Regione Puglia, Sez. Giur., sent. n. 400 del 27 maggio 2014; Regione Lombardia, Sez. Giur., sent. n. 16 del 27 gennaio 2010 e sent. n. 641 del 20 ottobre 2009; Regione Lazio, Sez. Giur., ord. n. 462 del 14 ottobre 2009), secondo cui il disposto di cui alla l. 20 del 1994, art. 1, comma 1-sexies, aggiunto dalla l. 190 del 2012, art. 1, comma 62 (recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) ha riguardo genericamente al «danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione, e pertanto trova applicazione per qualsiasi reato, anche contravvenzionale, contro la P.A., e non ai soli delitti di cui al Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale».

Inoltre, Cass. pen., Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 5481, P.C., Refatti ed altri, sia pur in via incidentale, ha affermato la risarcibilità del danno all'immagine della P.A. anche nel caso di reati comuni posti in essere da soggetti appartenenti ad una pubblica amministrazione (in senso conforme, Corte conti Lombardia, n. 47 del 14 marzo 2014; id, n. 17 del 23 gennaio 2013).

La soluzione di compromesso. Con la richiamata sentenza Cass. pen., Sez.II, 6 giugno 2017, n. 38932 del Z.M., si è cercata la composizione del contrasto interpretativo riconoscendo, nel caso di danno conseguente a reati tributari, la piena risarcibilità del danno morale, di cui il danno all'immagine costituisce solo una voce-componente, sia pur distinta ed autonoma. In concreto si è affermato che è legittima la condanna in sede penale al risarcimento del danno morale patito dall'Amministrazione finanziaria in conseguenza di un reato tributario, danno consistente nella lesione di interessi non economici aventi comunque rilevanza sociale, ai quali è finalizzata l'azione dell'agenzia celle entrate preposta all'accertamento e alla riscossione delle entrate tributarie della Nazione. Nel caso di reati tributari assume rilevanza la lesione di interessi non economici dell'amministrazione finanziaria ovvero che, alla stregua della coscienza sociale, sono insuscettibili di valutazione economica. La violazione di valori sociali di rilevanza pubblica esige una completa riparazione del danno prodotto, economico e non economico. In tal modo è stato ritenuto concepibile il danno morale (non patrimoniale) anche a favore di un ente pubblico (nella specie, le Agenzie delle entrate per i reati tributari, relativamente agli interessi pubblici e sociali che rappresentano).

La tesi non si pone in contrasto con l'orientamento che privilegia l'interpretazione letterale dell'art. 17-ter, ribadito di recente dalla coeva sentenza Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2017, n. 48603, C.P.P., in cui si afferma che il dictum della Corte costituzionale consente in astratto l'ipotizzabilità di una concorrente lesione dell'immagine pubblica – ed ammissibile la tutela dell'immagine pubblica - solo nei casi di reati del pubblico dipendente contro la P.A., in quanto il legislatore ha attuato semplicemente il proposito di circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell'immagine della amministrazione.

Osservazioni

Le due sentenze in commento provano a superare l'evidenziato contrasto interno alla Corte distinguendo, da un lato, il danno morale, di cui si perviene ad affermare la piena risarcibilità in ipotesi di reato tributari e di contrabbando per violazioni doganali, del danno morale, consistente nella lesione dell'immagine dell'Amministrazione e nel discredito apportato all'istituzione derivante dal comportamento illecito (Cass. pen., Sez. III, 6 giugno 2017, n. 38932 del 6 giugno 2017, Z.M.); dall'altro, ribadendo che la componente del danno all'immagine può trovare riconoscimento solo in ipotesi di reati commessi nei confronti della P.A. (Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2017, n. 48603, C.P.P.).

Nel caso di violazioni tributarie il danno morale, del resto, non coincide con la mera misura dell'imposta evasa, né con le sanzioni applicate, ma deve tener conto anche del danno funzionale rappresentato dallo sviamento e turbamento dell'attività di accertamento tributario - che del danno morale - inteso come pregiudizio alla credibilità nei confronti di tutti i consociati dell'organo accertatore.

La tesi non si pone in contrasto con il richiamato contrario orientamento che esclude la risarcibilità del danno all'immagine in favore dell'Agenzia delle entrate in caso di reato commesso da soggetti privi di qualifiche pubblicistiche all'Agenzia delle entrate (ad esempio, in conseguenza della commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti), in quanto scorpora dal danno morale la componente del danno all'immagine, riconoscendo alla stessa una autonomia strutturale e disciplinatoria.

Guida all'approfondimento

A. NOCERA, La responsabilità amministrativo-contabile del magistrato e il danno all'immagine della Amministrazione giudiziaria, in Itinerari della giurisprudenza, Il Corriere giuridico, 10/2017, 1295 e ss.;

P. SANTORO, Manuale di Contabilità e Finanza Pubblica, Rimini, 2015, pag. 230 e ss.;

A. BONOFIGLIO, Il danno all'immagine ed i fatti della Diaz. Breve considerazioni, in www.contabilita-pubblica.it, 2013.

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