Apologia del terrorismo. La condivisione di un video di propaganda Isis su FB integra il reato

04 Gennaio 2018

La condivisione di video di propaganda dell'Isis sui social network è idonea alla configurazione del reato di apologia di terrorismo.
Massima

La condivisione di video di propaganda dell'Isis sui social network, rafforzata dall'approvazione dei relativi contenuti attraverso l'opzione mi piace, è idonea alla configurazione del reato di apologia di terrorismo di cui all'art. 414, comma 4, c.p.

Il reato è invece stato escluso relativamente a comunicazioni telematiche meramente private.

Il caso

Il Gip presso il tribunale di Brescia, con ordinanza del 28.10.16, ha applicato all'imputato la misura cautelare della custodia in carcere, poiché accusato del reato di cui all'art. 414 comma 4 c.p. per avere pubblicamente, attraverso la diffusione sulla rete internet, fatto apologia dello Stato islamico.

A seguito di gravame ex art. 309 c.p.p. il tribunale del riesame in data 15.11.16 ha annullato l'ordinanza del Gip.

In seguito a tale all'annullamento, il Procuratore della Repubblica propone ricorso per cassazione.

Il Supremo Collegio con sentenza n. 24103/2017, accogliendo il ricorso del procuratore, annullava l'ordinanza emessa dal tribunale del riesame e rinviava al medesimo per l'esame di nuovi elementi probatori a carico dell'imputato.

Il riesame, in sede di rinvio, annullava nuovamente l'ordinanza disposta dal Gip.

Avverso l'ordinanza di annullamento emessa dal tribunale del riesame il procuratore della Repubblica di Brescia ricorre ancora una volta per Cassazione. Ricorso che il Supremo Collegio ritiene fondato.

La questione

La Suprema Corte evidenzia come il tribunale del riesame non abbia preso in considerazione il principio di diritto secondo cui «le consorterie di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale hanno natura di organizzazione terroristiche rilevanti ex art. 270-bis c.p. (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico)».

Difatti, con l'ordinanza di annullamento il tribunale del riesame negava la connotazione terroristica della c.d. “guerra santa” citata nei video diffusi in rete dall'imputato e riteneva vago e non idoneo a configurare apologia dell'Isis il richiamo al jihad ivi contenuto.

L'ordinanza impugnata, in contrasto con quanto affermato dal Supremo Collegio, pur riconoscendo che il termine jihad evoca la guerra santa, ha ritenuto che nelle videoregistrazioni oggetto del procedimento non vi siano sufficienti elementi per ricondurre univocamente i richiami alla guerra santa, in esse contenuti, all'Isis, sul rilievo che lo Stato islamico era solo una delle parti belligeranti del conflitto sirio-iracheno e non era stata dimostrata la volontà dell'imputato di riferirsi proprio all'Isis e non ad altri combattenti.

Tuttavia, il tribunale del riesame ometteva di indicare a quali altre organizzazioni diverse dall'Isis poteva riferirsi il richiamo al jihad e, parallelamente, riteneva inesistente il rischio di consumazione di ulteriori reati derivanti dalla propaganda terroristica, che secondo i giudici di legittimità risultava «presente incontestabilmente nei predetti video».

Lamenta il procuratore ricorrente che la seconda ordinanza del riesame ha violato il principio di diritto enunciato dalla Corte nella sentenza n. 24103/2017.

Il procuratore della Repubblica di Brescia ha evidenziato come la Corte, nella predetta sentenza di annullamento della prima ordinanza del riesame, avesse enunciato il principio secondo cui il richiamo costante ed esplicito al conflitto bellico in corso di svolgimento sul territorio sirio-iracheno, contenuto nelle registrazioni pubblicate e condivise sul profilo Facebook, rappresentasse un idoneo e qualificato riferimento all'Isis, protagonista di tale conflitto, con la conseguenza che il tribunale del riesame di Brescia non aveva tenuto conto delle conseguenze apologetiche che i riferimenti espliciti ed impliciti al conflitto sirio-iracheno erano in grado di provocare rispetto ai frequentatori dei social network.

Il riferimento all'Isis, presuppone, secondo il procuratore, il richiamo al jihad islamica, la quale costituisce fonte di ispirazione delle azioni militari dello Stato islamico sul territorio sirio-iracheno e, su scala internazionale, il collante del terrorismo islamico.

La soluzione giuridica

Preliminarmente, giova evidenziare come nella sentenza n. 24103/2017 con cui è stata annullata la prima ordinanza del tribunale del riesame di Brescia, la prima sezione della Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui «le consorterie di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale hanno natura di organizzazioni terroristiche rilevanti ex art. 270 bis c.p.».

Ciò premesso, la seconda ordinanza del tribunale del riesame di Brescia, ha annullato nuovamente l'ordinanza del Gip di Brescia, applicativa della misura cautelare.

È stato, in particolare, osservato dal riesame che il mero richiamo al jihad non è rilevante ai fini apologetici ed inoltre, ad avviso dell'ordinanza impugnata, dall'esame dei video non emergono elementi inequivoci che l'imputato volesse riferirsi proprio all'associazione terroristica denominata Isis, atteso che una tale organizzazione rappresenta solo uno dei soggetti partecipanti al conflitto siriano.

Con tali affermazioni l'ordinanza impugnata, negando la connotazione terroristica della c.d. “guerra santa” nonché affermando che il richiamo al martirio religioso non consentirebbe, data la pluralità dei gruppi religiosi che evocano il jihad, di ricondurre univocamente i video in questione all'ISIS, si pone in contrasto con il principio di diritto enunciato dalla Corte con la sentenza n. 24103/17.

Inoltre, per escludere la configurabilità del delitto di cui all'art. 414 c.p., l'ordinanza impugnata ha ridimensionato la portata apologetica dei due video sul rilievo dell'asserita breve durata – ben undici giorni – della condivisione degli stessi sul profilo facebook dell'imputato o in relazione alla circostanza che uno dei due sarebbe stato diffuso con la sola opzione mi piace.

Secondo la Cassazione, sentenza 55418 del 25/9/2017, tali elementi invece non sono assolutamente idonei a ridurre la portata offensiva della condotta, attesa la comunque immodificata funzione propalatrice svolta in tale contesto dal social network facebook.

Deve quindi annullarsi l'ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al tribunale di Brescia in diversa composizione nonché ordinarsi la restituzione integrale degli atti.

Osservazioni

Con la sentenza in commento (55418/2017), la Corte di cassazione estende il concetto di apologia del terrorismo ritenendo che lo stesso possa configurarsi altresì mediante la condivisione di contenuti attraverso la rete internet e che la propaganda sia anzi rafforzata utilizzando l'opzione mi piace.

La Corte riconosce esplicitamente la notevole influenza che il social network facebook svolge nel condizionamento delle coscienze in una materia tanto delicata come quella del terrorismo islamico attestando che il riferimento continuo al conflitto sia in grado di svolgere una funzione apologetica nei confronti degli utenti facebook.

Secondo gli Ermellini, il richiamo al jihad ed alla guerra santa esplicantesi nel martirio religioso contro gli infedeli, consente di ricondurre l'attività apologetica all'organizzazione terroristica denominata Isis.

Al riguardo, con la pronuncia del 04/04/2017, n. 24103 la I sezione della Cassazione ha ritenuto che: «Ai fini della configurazione della fattispecie di cui all'art. 414 c.p. non rileva la tipologia dei reati in relazione ai quali si esplica l'attività comunicativa ma le modalità con cui la comunicazione viene esternata, che devono possedere connotazioni di potenzialità diffusiva, conseguenti al fatto di essere destinate a un numero indeterminato di soggetti e comunque non riconducibili a un ambito strettamente interpersonale. Ne consegue che non è integrato il reato nel caso in cui la diffusione sia circoscritta in ambito esclusivamente privato e interpersonale, come nel caso di conversazioni o chat private di un social network. Per converso, il reato è configurabile nel caso della diffusione di un messaggio o documento apologetico attraverso il suo inserimento su un sito internet privo di vincoli di accesso, in quanto tale modalità ha una potenzialità diffusiva indefinita».

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