Le modalità di affidamento del figlio devono assicurare la bigenitorialità anche in presenza di PAS

Chiara Casale
11 Gennaio 2018

Quali sono gli elementi di cui il Giudice deve tenere conto per valutare l'idoneità del genitore circa l'affidamento del figlio? In riferimento a questo profilo, è rilevante la diagnosi di sindrome da alienazione parentale formulata dal consulente tecnico? In tale evenienza, è opportuno confermare l'affidamento condiviso del figlio di età minore ad entrambi i genitori, conservando eventualmente anche il collocamento del fanciullo presso il genitore che pone in essere comportamenti “a rischio PAS”, oppure è preferibile disporre che il minore abiti prevalentemente con l'altro genitore?
Massima

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, indipendentemente dall'attendibilità scientifica della diagnosi di PAS che il consulente tecnico afferma essere esercitata da un genitore nei confronti dell'altro, il Giudice deve preferire modalità di affidamento e collocamento dei figli minori idonee alla conservazione, e se necessario al ripristino, di relazioni fisiologiche della prole con entrambi i genitori, non trascurando che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità ed alla crescita equilibrata e serena.

Il caso

Il Giudice di primo grado, nell'ambito del giudizio di separazione personale dei coniugi, aveva disposto l'affidamento dei figli minori della coppia ad entrambi i genitori, con residenza privilegiata presso la madre, e aveva riconosciuto il diritto-dovere di frequentazione del padre con i figli stessi, da esercitarsi mediante incontri protetti assistiti dai competenti servizi sociali.

La madre ha proposto ricorso alla Corte d'appello, sostenendo che la prole avrebbe dovuto essere affidata a lei in via esclusiva e si sarebbe dovuto inoltre impedire o sospendere gli incontri tra i figli e il padre, anche in ambiente protetto, considerato il rifiuto espresso dai minori di avere una frequentazione con lui.

Il Giudice d'appello ha però rigettato il gravame, in considerazione di quanto emerso dall'ascolto dei ragazzi, nonché delle CTU espletate nel secondo grado di giudizio. In particolare, lo specialista ha ritenuto che uno dei figli risultava affetto dalla sindrome da alienazione parentale (PAS), caratterizzata da alterazione emotiva e diffusa percezione di un immotivato pericolo nel rapporto con il padre, a fronte di un legame di entrambi i figli con la madre evidenziatosi come morboso. La Corte di merito ha affermato, in particolare, che i cattivi rapporti personali tra gli ex coniugi avevano influito negativamente sull'esercizio della responsabilità genitoriale e, nella prospettiva di migliorare i rapporti tra i figli e il padre, ha confermato il regime dell'affido condiviso e gli incontri in modalità protetta con il genitore.

La donna ha proposto allora ricorso per cassazione.

La questione

Le questioni giuridiche individuabili nella vicenda descritta sono diverse.

Anzitutto, è necessario definire quali siano gli elementi di cui il Giudice deve tenere conto per valutare la sussistenza dell'idoneità genitoriale e se, in riferimento a tale profilo, sia rilevante la diagnosi di sindrome da alienazione parentale formulata dal consulente tecnico.

Inoltre, occorre valutare quali effetti possa avere il riscontro di tale patologia sull'affidamento ed il collocamento del minore. In altre parole, è necessario valutare se, in tale evenienza, risulti opportuno confermare l'affidamento condiviso del figlio di età minore ad entrambi i genitori, conservando eventualmente anche il collocamento del fanciullo presso il genitore che pone in essere comportamenti “a rischio PAS”, oppure sia preferibile disporre che il minore abiti prevalentemente con l'altro genitore o, ancora, se il Giudice non debba piuttosto giungere ad operare una revisione del regime di affidamento.

Ulteriore questione giuridica, ancora connessa alla diagnosi di sindrome da alienazione parentale, ma non solo, consiste nel determinare quale valore debba essere attribuito alla consulenza tecnica d'ufficio, e se il Giudice possa aderire alle risultanze di essa senza svolgere ulteriori valutazioni.

Le soluzioni giuridiche

La c.d. sindrome da alienazione parentale (PAS), è stata individuata per la prima volta, nel 1985, dal dott. R.A. Gardner che si è impegnato a fornirne la descrizione clinica. Gli elementi distintivi di tale patologia sono stati individuati principalmente nell'attività denigratoria esercitata da un genitore nei confronti dell'altro, che induce il bambino a stringere un “rapporto di fedeltà” con il genitore “alienante”. Nell'ambito della comunità scientifica, però, si è posta in dubbio la validità di tale teoria. Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM- 5, USA 2013), invero, non riconosce la PAS come sindrome o malattia. Inoltre, nell'anno 2010, l'Associazione Spagnola di Neuropsichiatria ha posto in evidenza i rischi dell'applicazione della PAS in ambito forense, analogamente a quanto sostenuto già nel 2003 negli USA dalla National District Attorneys Association, che affermava l'assenza di fondamento della teoria e sosteneva che essa era «in grado di minacciare l'integrità del sistema penale e la sicurezza dei bambini vittima di abusi».

Tenendo conto di queste incertezze, la Suprema Corte ha osservato, nella decisione in commento, che la diagnosi di PAS, formulata dal consulente tecnico, non è sufficiente a fondare un giudizio sulla non idoneità del genitore “alienante” a conservare l'affidamento del figlio minore. Il Giudice di merito, peraltro, deve sempre valutare in concreto la condotta del genitore “alienante” e la sussistenza della sua capacità genitoriale, specie quando sia il genitore collocatario del figlio minore. In particolare, secondo la Cassazione, tra i requisiti di idoneità genitoriale acquista rilievo la capacità di collaborare a conservare la continuità delle relazioni parentali con il genitore non convivente, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e ad una crescita equilibrata e serena.

In merito alla consulenza tecnica d'ufficio, giurisprudenza consolidata, anche di legittimità, ammette pacificamente la possibilità del Giudice di aderire alle conclusioni dell'ausiliario senza motivarne le ragioni (Cass.civ., sez. III, 21 settembre 2012, n. 16056). Tuttavia, qualora una delle parti abbia proposto specifiche censure riguardo alla consulenza svolta, il Giudice è tenuto ad esaminarle, confutando con adeguata motivazione tali rilievi critici. In caso contrario, la pronuncia sarà affetta dal vizio di omessa motivazione ed essa potrà essere oggetto di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass.civ., sez. II, 21 marzo 2011, n. 6399). A prescindere dalle obiezioni sollevate dalle parti, qualora la consulenza tecnica presenti devianze dalla scienza medica ufficiale - come avviene nell'ipotesi in cui sia formulata la diagnosi di sussistenza della PAS - il Giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440) oppure avvalendosi di idonei esperti, è comunque tenuto a verificarne il fondamento (Cass. civ., 3 febbraio 2012, n. 1652; Cass. civ., 25 agosto 2005, n. 17324).

Nell'ipotesi in cui una delle parti processuali contesti la diagnosi di PAS formulata nella CTU, la giurisprudenza di legittimità ha affermato pure che il Giudice potrà disporre una nuova consulenza tecnica, ovvero ricorrere alla «comparazione statistica dei casi clinici» (Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2013, n. 7041). Questa formula appare di difficile comprensione: in dottrina si è affermato che potrebbe essere intesa nel senso che il giudice avrà la possibilità di scegliere la soluzione maggiormente condivisa nei casi concreti, i quali presentino elementi di affinità rispetto a quello trattato.

Osservazioni

In materia di rimedi da adottarsi a tutela del minore affetto da PAS, a seguito della separazione dei genitori, le soluzioni proposte dalla scienza medica non sono univoche. Il dott. Gardner ha ritenuto, sin dai primi studi clinici, che la soluzione migliore fosse l'inversione dell'affido tra i genitori. Tuttavia, come evidenziato in psicologia, risulta spesso difficile convincere il minore a vivere con il genitore che egli rifiuta: in tale ipotesi, potrebbe programmarsi una collocazione (anche) breve del minore in un ambiente neutro, che andrebbe ricercato tra le amicizie e i parenti non schierati.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che uno degli elementi fondamentali del diritto alla vita familiare, sancito dall'art. 8, l. n. 848/1955 (legge di ratifica della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, del 4 novembre 1950), è rappresentato dalla reciproca presenza, dalla continuità e stabilità di relazione tra i genitori e i figli (Corte EDU, 5 aprile 2005, n. 71099/01, Monory c. Romania e Ungheria). Il rapporto del figlio minore d'età con entrambi i suoi genitori è dunque da presumersi nell'interesse del primo, salva prova contraria. Secondo la Corte europea, non è da escludersi che il figlio possa anche essere collocato prevalentemente presso il genitore che, con i suoi comportamenti, ha dato origine alla PAS, ma dovranno in questa ipotesi adottarsi misure terapeutiche o di sostegno nei confronti del minore, per consentirgli di superare il rifiuto del genitore non convivente (cfr. Corte EDU, 11 gennaio 2011, Bordeianu c. Moldavia).

In linea di principio, secondo i Giudici europei non sono consigliabili rimedi coercitivi nei confronti del minore, quali ad esempio incontri forzati con il genitore “rifiutato” (Corte EDU, 13 marzo 2007, V.A.M. c. Serbia). Tali rimedi non sono però neppure da escludersi, se si accerta che il rapporto con il genitore che non ha la custodia del figlio (e viene da quest'ultimo ”respinto”) è invece nell'interesse del figlio stesso (cfr. Corte EDU, 27 giugno 2000, n. 32842/96, Nuutinen c. Finlandia).

Nell'ambito del diritto italiano, del resto, non può essere esclusa l'applicazione di sanzioni di natura penale (cfr. artt. 570, 571, 572 c.p.), e l'esercizio della tutela inibitoria ex art. 709-ter c.p.c., nei confronti del genitore convivente che, con la sua illegittima condotta, ostacoli il rapporto con l'altro genitore, indipendentemente dalla qualificazione della patologia quale PAS (Corte EDU, 13 marzo 2007, V.A.M. c. Serbia).

Anche se i Giudici europei attribuiscono un rilievo assoluto all'interesse del figlio minore alla bigenitorialità (Corte EDU, 7 ottobre 2010, n. 30078/06, Konstantin Markin c. Russia) e alla sua tutela in tempi quanto più possibile rapidi (Corte EDU, 13 marzo 2007, V.A.M. c. Serbia), la Corte di Strasburgo ha ritenuto che gli incontri tra il minore e il genitore devono essere sospesi quando essi acuiscano la sofferenza del bambino, piuttosto che aiutarlo a recuperare il rapporto con il genitore (Corte EDU, 20 gennaio 2011, n. 22266/04, Rytchenko c. Russia).

Anche la nostra giurisprudenza di merito mostra di condividere i ricordati principi, indicati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte europea, con riferimento alla necessità di preservare, ove possibile, il rapporto del figlio con entrambi i genitori. In caso di diagnosi di PAS, si è affermata l'opportunità di disporre comunque l'affido condiviso del minore, designando eventualmente, in via provvisoria, un coordinatore genitoriale, in persona di un assistente sociale, con la funzione di guidare i genitori verso la ricomposizione del conflitto (Trib. Civitavecchia, 20 maggio 2015).

Talvolta, poi, l'adozione del regime di affido esclusivo in luogo dell'affido condiviso risulta inevitabile. Tale soluzione deve rappresentare tuttavia una extrema ratio, da preferirsi solo quando il contatto diretto con uno dei genitori appaia dannoso per il figlio. In tal caso, infatti, l'affidamento condiviso sarebbe certamente contrario all'interesse della prole.

Ai fini della modifica delle modalità di affidamento, quindi, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, idonei a comportare nel figlio l'insorgenza di una PAS, il Giudice di merito sarà tenuto a verificare l'effettiva esistenza di tali comportamenti, avvalendosi dei più comuni mezzi di prova, incluse le presunzioni, non trascurando l'ascolto del figlio minore, se abbia raggiunto un sufficiente grado di discernimento (Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2013, n. 7041), ed a motivare adeguatamente la decisione alfine assunta. Nella pronuncia in esame la Cassazione non nega la configurabilità della PAS e la eventualità che possa essere riscontrata in sede clinica, ma ritiene che in ambito giudiziario non possano adottarsi decisioni fondate su istituti ancora privi del necessario conforto scientifico. Tanto non esime, però, il Giudice di merito dall'esaminare analiticamente i comportamenti “alienanti” eventualmente tenuti dai genitori nel caso concreto, e dal trarne le opportune conseguenze in materia di affidamento e collocamento dei figli minori. La soluzione appare equilibrata e condivisibile.

Guida all'approfondimento

- M. B. Maranò, La sindrome di alienazione parentale: (P.A.S.): realtà o fantasia?, in personaedanno.it;

- F. Tommaseo, Affidamento d'un minore, consulenza tecnica d'ufficio e ricorso in Cassazione per vizi della motivazione – Conflitti familiari e sindrome da alienazione parentale: note su una discussa patologia, in Famiglia e diritto, 8, 9/2013, 745 ss.;

- M. G. Ruo, Riflessioni a margine della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo e procedimenti di famiglia, in Diritto di famiglia e delle persone, 3, 2006, 1482 ss.;

- G. Cassano, I. Grimaldi, La PAS nelle aule giudiziarie, in Il Corriere giuridico, 5, 2016, 703 ss..

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