La sottrazione della destinazione della cosa al servizio comune esclude la natura condominiale dei beni rientranti nell'elenco facoltativo

16 Gennaio 2018

All'esito della discriminazione dell'elencazione dei beni di cui all'art. 1117 c.c., e segnatamente della distinzione tra beni necessariamente o ontologicamente comuni e beni solo eventualmente comuni, una recente sentenza della Cassazione ha concentrato l'attenzione...
Massima

In tema di condominio negli edifici, per stabilire se un locale tra quelli indicati dall'art. 1117, n. 2), c.c. - suscettibili di utilizzazioni diverse ed anche autonome - sia comune, occorre accertare se, prima della costituzione del condominio, come conseguenza dell'alienazione dei singoli appartamenti da parte dell'originario proprietario dell'intero fabbricato, vi sia stata, espressamente o di fatto, una destinazione del bene al servizio comune ovvero se questa gli sia stata sottratta

Il caso

Con due domande introduttive di cause separate, successivamente riunite, era richiesto di accertare che i locali adibiti ad alloggio delle due portinerie dello stabile condominiale fossero oggetto di proprietà comune pro quota tra i condomini, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1117 c.c. Il Tribunale adito rigettava la domanda dei condomini, volta ad accertare la proprietà comune degli alloggi già adibiti a portineria, così come ogni ulteriore domanda conseguente.

La Corte d'appello, adita in sede di gravame, accoglieva l'impugnazione interposta e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la natura condominiale degli alloggi dei portieri e la comproprietà degli stessi pro quota tra i condomini. Secondo la Corte di merito, in virtù del principio di presunzione di condominialità espresso dall'art. 1117 c.c., l'appartenenza dei beni controversi al condominio, quali parti comuni in difetto di titolo idoneo di segno contrario, poteva desumersi dalla destinazione ad essi impressa dall'originario proprietario dell'intero stabile, non mutata da elementi significativi che fossero conosciuti o conoscibili dagli acquirenti al momento dell'atto notarile di compravendita collettiva e di contestuale costituzione del condominio.

Avverso tale pronuncia era proposto ricorso in cassazione, in cui si sosteneva che il vincolo di destinazione comune degli alloggi del portiere non vi era mai stato, anzi - al contrario - gli immobili rivendicati erano stati esplicitamente sottratti alla destinazione comune ed erano stati fatti oggetto di un atto di alienazione autonomo e separato. Infatti, in applicazione dell'art. 43, comma 19, della l. 23 dicembre 2000, n. 388, l'Inpdap aveva soppresso il servizio di portineria in tutti gli immobili da alienare, sottraendo in tal modo gli alloggi dei portieri alla loro destinazione al servizio della cosa comune.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: i locali per i servizi in comune, destinati, per le caratteristiche strutturali o funzionali, all'uso comune, sono condominiali a quali condizioni? La sottrazione all'uso comune esclude la presunzione di condominialità?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, nell'accogliere il secondo motivo di ricorso, ha rilevato che, diversamente dai beni necessariamente condominiali di cui all'art. 1117, n. 1), c.c., i locali dell'edificio contemplati dall'art. 1117, n. 2), c.c. (oltre alle aree destinate a parcheggio, i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali o funzionali, all'uso comune), raffigurano beni ontologicamente suscettibili di utilizzazioni diverse, anche autonome. Affinché diventino beni comuni, essi abbisognano di una specifica destinazione al servizio in comune. In difetto di espressa disciplina negoziale, affinché un locale sito nell'edificio - che, per la sua collocazione, può essere adibito ad alloggio del portiere oppure utilizzato come qualsiasi unità abitativa - sia ascrivibile alle parti comuni, occorre che, all'atto della costituzione del condominio, al detto locale sia di fatto assegnata la specifica destinazione al servizio comune. Se prima della costituzione del condominio la destinazione al servizio comune non è conferita, o viene sottratta, il locale non può considerarsi come bene comune.

In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto che l'originario proprietario-costruttore aveva soppresso il servizio di portineria in tutti gli immobili da alienare; per l'effetto, gli ex alloggi dei portieri erano stati sottratti alla loro destinazione al servizio della cosa comune ed erano stati offerti in acquisto agli stessi portieri che per legge ne avevano diritto preferenziale. Per l'effetto, il ricorso in cassazione è stato accolto.

Osservazioni

L'art. 1117, n. 2), c.c. annovera, con elencazione non tassativa ma esemplificativa, tra i beni comuni facoltativi o di pertinenza le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti, destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune. Si ricade in porzioni di edificio che di per sé non sono indispensabili per l'esistenza del condominio, ma che sono comuni a tutti i partecipanti per la loro specifica destinazione. Sicché accanto ai beni necessariamente condominiali, come il suolo, le fondazioni, i muri maestri, ecc., di cui al n. 1), ve ne sono altri, la cui destinazione al servizio collettivo non si pone in termini di assoluta necessità, come per i locali destinati a portineria e, in genere, per gli altri locali di cui al numero due.

Tale destinazione può essere strutturale, come accade per la guardiola della portineria, o convenzionale, ossia per espressa previsione del regolamento di condominio, come accade, ad esempio, per l'alloggio del portiere costituito da uno degli appartamenti dell'edificio condominiale. Nondimeno, i beni ivi elencati possono prestarsi anche ad un'utilizzazione esclusiva ed autonoma. Sicché la proprietà comune in favore dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio può desumersi in base alla relazione di accessorietà ovvero al collegamento strumentale, materiale e funzionale, tra i diversi tipi di beni: ciò che determina la natura condominiale è la relazione intercorrente tra le singole unità immobiliari dell'edificio e le cose, gli impianti e i servizi, questi ultimi al servizio o strumentali rispetto alle prime.

Con riferimento a questi beni si parla impropriamente di presunzione di comproprietà, con ciò intendendo in realtà significare che la loro qualificazione normativa in termini di beni comuni può essere derogata da un titolo da cui emerga il contrario. In questo caso occorrerà verificare, in sede di interpretazione del titolo, se l'atto che li sottrae alla presunzione di proprietà comune contenga anche la risoluzione del vincolo di destinazione al servizio collettivo ovvero ne stabilisca il mantenimento, configurandosi, nel secondo caso, l'esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem, suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti.

Pertanto, attraverso il riferimento alla presunzione si è inteso escludere dallo stesso complesso delle cose comuni quelle parti che, per le loro caratteristiche strutturali o funzionali, siano destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari di un determinato edificio o costituiscano beni autonomi ad uso esclusivo. In altri termini, ritenendosi che la destinazione particolare superi la presunzione legale di condominio, alla stessa stregua di un titolo contrario, benché si sia richiamato erroneamente il concetto di presunzione, del tutto estraneo alla norma, si è, al contempo, enunciato anche il principio secondo cui una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni ove serva, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, soltanto all'uso e al godimento di una parte dell'immobile, oggetto di un autonomo diritto di proprietà. L'equivoco che dall'espressione adottata potrebbe, tuttavia, derivare consiste nel ritenere che la c.d. presunzione legale di comunione possa essere vinta, sia dalla destinazione particolare del bene, sia dal titolo, mentre è solo da quest'ultimo che una cosa comune può risultare di proprietà singola, in quanto la destinazione particolare esclude già all'origine che il bene rientri nella categoria delle cose comuni, e che ad esso possa quindi riferirsi l'art. 1117 cit. (Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7449).

Ne consegue che per escludere la condominialità di una parte comune è necessario un atto di autonomia privata idoneo ad escludere la presunzione, ossia un atto a cui è necessario fare riferimento per verificare l'eventuale presenza della riserva della proprietà esclusiva del bene potenzialmente comune: si tratta dell'atto di costituzione del condominio, per tale intendendosi il primo atto con cui viene trasferita una singola unità immobiliare dell'edificio da parte dell'unico originario proprietario o dal costruttore, e non invece quello o quelli successivi. Lo stesso effetto può essere disposto dal regolamento di natura contrattuale.

Guida all'approfondimento

Bottoni, In tema di condominio, presunzione di comproprietà e vincoli di destinazione, in Nuova giur. civ. comm., 2006, fasc. 4, 339;

Landolfi, Parti comuni: natura derogabile dell'art. 1117 cod. civ., in Immob. & proprietà, 2005, 5;

Monegat, Le parti comuni dopo la riforma, in Immob. & proprietà, 2013, 2.

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