Se l'inserimento del figlio nell'azienda paterna fallisce, l'obbligo di mantenimento continua?

Redazione Scientifica
10 Gennaio 2018

Il fallito inserimento del figlio ventiquattrenne nell'azienda paterna a causa della forte conflittualità col genitore, di 70 anni più anziano, non può essere considerato inerzia colpevole e non comporta, quindi, il venir meno del diritto all'assegno di mantenimento.

Tizio ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d'appello di Bologna aveva sancito il diritto del figlio maggiorenne Caio a percepire un assegno di mantenimento a proprio carico, nonostante il giovane avesse avuto la possibilità di lavorare come dipendente nell'azienda paterna.

Per la Corte territoriale, il tentativo di inserimento nell'azienda del genitore, fallito anche a causa del conflittuale rapporto tra i due e della forte differenza di età (70 anni), non poteva essere considerato inerzia colpevole.

Secondo la Suprema Corte, le argomentazioni dei Giudici di appello, censurate dal ricorrente, non costituiscono una violazione dei principi in materia di inerzia colpevole del figlio maggiorenne, per cui l'obbligo di mantenimento del figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura finché il genitore interessato non provi che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica o rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza. Infatti, l'inserimento di un figlio, di giovane età e ancora studente, in un contesto aziendale di cui sia titolare lo stesso genitore, che con lui sia in conflitto, cessa di essere un'occasione lavorativa ordinaria e si trasforma in una fase della dialettica genitore-figlio, non potendosi, nella fattispecie in esame, configurare un ordinario inserimento lavorativo né un problematico approccio al mondo del lavoro.

La Cassazione, pertanto, rigetta il ricorso.

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