Coppie eterosessuali e unione registrata: la Corte di Strasburgo evita la reverse discrimination

Paolo Bruno
19 Gennaio 2018

La questione affrontata dai Giudici di Strasburgo nella sentenza in commento verte sull'accertamento dell'esistenza di una discriminazione per ragioni di sesso o orientamento sessuale laddove uno Stato limiti l'accesso all'istituto dell'unione registrata alle sole coppie dello stesso sesso e non anche a quelle eterosessuali
Massima

Le limitazioni all'accesso all'unione registrata per le coppie eterosessuali vanno esaminate alla luce del quadro normativo generale che regola nello Stato contraente il riconoscimento legale delle relazioni familiari. Poiché alle coppie eterosessuali è garantito l'accesso al matrimonio tradizionale, esse non si trovano nella medesima situazione delle coppie omosessuali, che possono concludere solo un'unione registrata. Non viola pertanto gli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo una normativa nazionale che consente alle sole coppie dello stesso sesso di concludere un'unione registrata, laddove le coppie eterosessuali abbiano garantito l'accesso al matrimonio e non dimostrino di avere ritratto specifici svantaggi dall'instaurazione di tale ultimo vincolo.

Il caso

Una coppia eterosessuale di cittadini austriaci, dopo una lunga convivenza, presenta al Sindaco della città di Linz una richiesta di conclusione di unione registrata; detta richiesta viene tuttavia respinta sulla base del chiaro disposto della legge sulle unioni civili che limita l'accesso all'istituto alle sole coppie dello stesso sesso. Le impugnazioni presentate, dapprima all'autorità amministrativa superiore e, in seguito, alle Corti amministrativa e costituzionale, vengono parimenti rigettate sulla base del fatto che il quadro legale predisposto dallo Stato austriaco garantisce ad entrambe le tipologie di coppia l'accesso ad un istituto che riconosce e protegge le rispettive relazioni familiari attribuendone sostanzialmente gli stessi diritti e doveri.

La coppia ricorre pertanto alla Corte EDU lamentando che l'impedimento a stipulare un'unione registrata violerebbe gli artt. 8 e 14 CEDU in quanto priverebbe i ricorrenti della possibilità di beneficiare di un regime legale complessivamente meno rigido e caratterizzato da maggiori vantaggi, traducendosi ciò in una discriminazione basata sul proprio orientamento sessuale rispetto al trattamento garantito alle coppie dello stesso sesso.

La questione

La questione di diritto affrontata dai Giudici di Strasburgo verte sull'accertamento dell'esistenza di una discriminazione per ragioni di sesso o orientamento sessuale laddove uno Stato limiti l'accesso all'istituto dell'unione registrata alle sole coppie dello stesso sesso e non anche a quelle eterosessuali. Occorre, infatti, stabilire se, alla luce del quadro legale approntato dallo Stato membro in questione ed in considerazione della stessa giurisprudenza della Corte in tema di riconoscimento e tutela delle relazioni familiari, gli artt. 8 e 14 CEDU impongano che ad entrambi i tipi di coppie debba essere consentito di scegliere l'istituto che preferiscono per regolamentare la loro relazione familiare, ovvero se il margine di apprezzamento riconosciuto ad uno Stato consenta una differenziazione nell'accesso a detto istituto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte affronta in primo luogo il problema della comparazione tra la situazione di fatto in cui si trovano le coppie omosessuali ed eterosessuali in Austria per quanto concerne l'accesso agli istituti legislativi che regolano le rispettive relazioni familiari; detta valutazione è infatti prodromica rispetto a quella nel merito, atteso che solo laddove i ricorrenti si trovino in una situazione identica o particolarmente simile a quella dei soggetti che devono essere assunti quale termine di paragone può indagarsi sull'esistenza di un'eventuale disparità di trattamento tra entrambi i gruppi.

Al proposito i Giudici di Strasburgo rilevano che non tutte le differenze di trattamento possono condurre ad una disparità ai sensi dell'art. 14 CEDU, atteso che solo quelle basate su caratteristiche chiaramente identificabili o sullo status possono portare ad un simile risultato; che inoltre la rilevata disparità di trattamento non deve avere alcuna giustificazione oggettiva, ovvero non deve sussistere alcuna ragionevole relazione di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo che si intendeva realizzare; che, infine, ogni Stato contraente mantiene un certo margine di apprezzamento nello stabilire fino a che punto le eventuali differenze concrete tra due situazioni apparentemente simili giustifichino un diverso trattamento.

La Corte, che sottolinea di trovarsi per la prima volta di fronte ad una asserita discriminazione a carico di coppie eterosessuali rispetto a quelle omosessuali (essendosi fino ad ora occupata prevalentemente della situazione contraria), parte allora dal presupposto che in linea di principio le coppie di sesso opposto si trovano in una situazione simile a quella delle coppie dello stesso sesso quando si tratta di invocare pari diritti ed il riconoscimento della loro relazione familiare.

Tuttavia, i Giudici ricordano che l'unione registrata è stata introdotta negli Stati contraenti al fine di controbilanciare la situazione di evidente sfavore in cui – rispetto alle coppie eterosessuali, che avevano garantito l'accesso al matrimonio tradizionale – si trovavano le coppie omosessuali; tale introduzione aveva realizzato l'intento di fornire ad entrambi i gruppi di soggetti considerati un quadro legale il più possibile armonico per soddisfare tale necessità di riconoscimento e protezione.

Ciò posto, i Giudici osservano che proprio le notevoli somiglianze tra i due regimi – quasi identici nelle loro caratteristiche principali – riducono le doglianze dei ricorrenti ad una richiesta di ottenere ancora maggiore flessibilità, ovvero di essere autorizzati a ricorrere (invece del matrimonio tradizionale) ad un istituto che dal punto di vista pratico consente loro di slegarsi più facilmente e velocemente dalle sottostanti obbligazioni.

Ciò, a detta della Corte, rende il ricorso palesemente privo di ogni connessione con una asserita violazione del principio di non discriminazione.

Osservazioni

La pronuncia in commento si caratterizza per essere la prima ad affrontare la questione di una asserita discriminazione di coppie eterosessuali rispetto a quelle omosessuali.

Sino ad ora, infatti, la Corte EDU ha scandagliato la condizione delle minoranze che lamentavano di essere impedite all'accesso ad un quadro legale di riconoscimento dei loro diritti in un contesto socio-normativo in evoluzione, ma ancora caratterizzato dall'assenza di un sufficiente consenso tra gli Stati parte del Consiglio d'Europa.

I Giudici di Strasburgo si sono infatti pronunciati sull'impossibilità di accesso al matrimonio e sulla mancanza di mezzi alternativi di riconoscimento per le coppie omosessuali nei noti casi Schalk and Kopf, Vallianatos ed altri, Oliari ed altri (v. G. Buffone, Il mancato riconoscimento legale delle coppie omoaffettive viola la Convenzione dei diritti dell'uomo, in IlFamiliarista.it) fissando nelle relative decisioni altrettanti principi degni di nota: le peculiarità del matrimonio tradizionale in termini di considerazione culturale e sociale permettono ad uno Stato contraente di impedirne l'accesso alle coppie dello stesso sesso, che hanno invece diritto ad avere garantito un istituto analogo che ne regolamenti lo svolgimento.

Nel provvedimento in esame, invece, la Corte rovescia la prospettiva e si interroga sulla tenuta di una normativa nazionale che – conformemente alle scelte politiche del relativo Stato contraente – riservi alle coppie eterosessuali il diritto di unirsi (solo) in matrimonio, risolvendo il quesito in senso positivo alla luce delle ragioni per le quali l'unione registrata era stata introdotta in detto Stato: controbilanciare l'assenza per le coppie omosessuali di un riconoscimento legale.

Ora, laddove i due istituti abbiano (sostanzialmente) la medesima latitudine, e l'estensione dei relativi diritti e doveri non sia sensibilmente diversa, non sussiste ragione per consentire ad una coppia eterosessuale di “scegliere” il vestito più adatto con cui abbigliare la propria relazione familiare, giacché – e paradossalmente – se tale facoltà venisse concessa si verificherebbe una discriminazione diversa: le coppie eterosessuali avrebbero a disposizione un arsenale di strumenti più ampio delle coppie omosessuali, che al matrimonio viceversa non hanno accesso.

Ma è interessante anche notare che nella sua opinione concorrente il Giudice Mits rileva come l'avere risolto il quesito (non già nel merito, ma) sulla base della rilevata insussistenza di una situazione similare tra i gruppi considerati, abbia pretermesso un'analisi approfondita dello scenario europeo in tema di diffusione delle unioni registrate. Al riguardo egli considera infatti come, nonostante i significativi progressi in termini di “apertura” alle coppie omosessuali, ancora solo otto Stati sui diciannove, che conoscono l'unione registrata, la estendono anche alle coppie eterosessuali, con ciò restando evidente che tutti gli altri riservano il matrimonio tradizionale alle sole coppie eterosessuali.

Il ragionamento della Corte pare dunque corretto: non vi è ancora sufficiente consenso, nell'ambito degli Stati parte del Consiglio d'Europa, per ritenere che matrimonio ed unione registrata – per quanto declinati, in alcuni Stati, in forme quasi completamente sovrapponibili – debbano sempre essere offerti quali schemi alternativi, giacché le diverse sensibilità culturali e sociali legittimano una restrizione all'accesso.

In fondo, le ragioni per cui il non godere di forme di tutela meno rigorose di altri debba essere considerata una discriminazione devono ancora essere dimostrate.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.