La liquidazione del compenso al CTU e il rischio dell’abuso dello strumento processuale

Giusi Ianni
19 Gennaio 2018

Nella pronuncia in esame, la Cassazione si è occupata di stabile se, in materia di liquidazione dei compensi al CTU, poiché tanto il provvedimento di anticipazione quanto quello di liquidazione finale emesso a conclusione del giudizio fanno parte del processo in cui questi è nominato, la parte che ha anticipato il compenso può promuovere un separato giudizio per il recupero delle somme a lui spettanti oppure se è tenuta a far valere le proprie ragioni nella stessa sede.
Massima

In materia di liquidazione dei compensi al CTU, poiché tanto il provvedimento di anticipazione quanto quello di liquidazione finale emesso a conclusione del giudizio fanno parte del processo in cui questi è nominato, la parte che ha anticipato il compenso non può promuovere un separato giudizio per il recupero delle somme a lui spettanti, ma è tenuta a far valere le proprie ragioni nella stessa sede, eventualmente chiedendo al giudice anche il rimborso delle spese sostenute per sollecitare, nei confronti delle altre parti, la restituzione della quota a lui spettante.

Il caso

Nell'ambito di un processo svoltosi dinanzi al giudice di pace di Roma, che vedeva contrapposti S.S. e la Generali Italia s.p.a., veniva disposta una consulenza tecnica d'ufficio con attribuzione al consulente nominato di un anticipo di euro 500 più IVA, posto provvisoriamente a carico di tutte le parti in via solidale. Nel corso del medesimo giudizio una parte (S.S.) anticipava la somma per conto di tutte le altre e, prima ancora che il giudizio fosse concluso in primo grado, la stessa parte chiedeva formalmente alla società di assicurazione il rimborso della quota parte, pari ad euro 157,40. Non ottenendo alcun riscontro, la medesima parte conferiva incarico ad un legale per la redazione di una formale diffida, corrispondendo per onorario la somma di euro 100,00.

Conclusosi, poi, il giudizio davanti al giudice di pace con soccombenza della società di assicurazioni, quest'ultima veniva condannata all'integrale rifusione delle spese di giudizio, ivi comprese quelle di CTU, e provvedeva al relativo pagamento. Prima ancora che tale giudizio si concludesse, S.S. conveniva in giudizio la Generali Italia s.p.a., davanti al giudice di pace di Roma, affinché la stessa fosse condannata, in via autonoma, alla restituzione della somma di euro 157,40 suindicata, nonché alla rifusione dell'ulteriore somma di euro 100,00 per la lettera raccomandata di sollecito e di euro 5,00 per spese postali.

Il giudice di pace dichiarava improcedibile la domanda o comunque cessata la materia del contendere e condannava l'attore al pagamento delle spese di lite.

Tale ultima pronuncia veniva appellata da S.S., ma anche il gravame veniva rigettato dal tribunale di Roma, che condannava, altresì, l'appellante al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 96 c.p.c., liquidati in euro 300,00, riconoscendo nella condotta di S.S. un indebito frazionamento giudiziario del diritto di credito.

S.S. interponeva, allora, ricorso per cassazione, lamentando, senza indicazione di norme, violazione e falsa applicazione del principio di diritto secondo cui è precluso il frazionamento giudiziale di un medesimo credito.

La questione

La Cassazione si è occupata di stabile se in materia di liquidazione dei compensi al CTU, poiché tanto il provvedimento di anticipazione quanto quello di liquidazione finale emesso a conclusione del giudizio fanno parte del processo in cui questi è nominato, la parte che ha anticipato il compenso può promuovere un separato giudizio per il recupero delle somme a lui spettanti, o è tenuta a far valere le proprie ragioni nella stessa sede.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso, invero, era dichiarato inammissibile per un vizio procedurale, ma la Suprema Corte riteneva di esaminare ugualmente il motivo di impugnazione allo scopo di enunciare un principio di diritto ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c.. Si osservava, quindi, che, poiché le vicende relative alla liquidazione dei compensi al CTU fanno parte del processo in cui questi è nominato, il ricorrente «ben avrebbe potuto (e dovuto) attendere che detto giudizio arrivasse alla sua naturale conclusione, chiedendo in quella sede non solo il rimborso dell'anticipo versato, ma anche la restituzione delle ulteriori spese sostenute per sollecitare, nei confronti delle altre parti, la restituzione della quota a lui spettante» e impugnando, eventualmente, con l'appello la decisione se in quel giudizio tale ulteriore richiesta non fosse stata accolta con il provvedimento finale di liquidazione delle spese. Poiché, invece, nel caso di specie «l'iniziativa assunta - consistente nell'intraprendere, in modo affatto intempestivo, un diverso e separato giudizio per chiedere il rimborso di quanto anticipato e delle spese legali necessarie per il recupero (lettera raccomandata), senza neppure attendere che il primo giudizio si concludesse e che il giudice stabilisse a carico di chi quell'onere dovesse essere posto in via definitiva» - si era risolta «in un indebito frazionamento del credito con sostanziale abuso dello strumento processuale», veniva ritenuta corretta la decisione impugnata ed enunciato il seguente principio di diritto: «In materia di liquidazione dei compensi al CTU, poiché tanto il provvedimento di anticipazione quanto quello di liquidazione finale emesso a conclusione del giudizio fanno parte del processo in cui questi è nominato, la parte che ha anticipato il compenso non può promuovere un separato giudizio per il recupero delle somme a lui spettanti, ma è tenuta a far valere le proprie ragioni nella stessa sede, eventualmente chiedendo al giudice anche il rimborso delle spese sostenute per sollecitare, nei confronti delle altre parti, la restituzione della quota a lui spettante».

Osservazioni

Ove il giudice, nel corso del processo civile, disponga una consulenza tecnica d'ufficio, le relative spese rientrano tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c. (cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. VI-2, 7 settembre 2016, n. 17739), sicché, all'esito del giudizio dovranno essere poste a carico della parte soccombente o potranno essere compensate al pari delle altre spese processuali in presenza dei presupposti di legge. Peraltro, secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, poiché l'attività posta in essere dal CTU è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, il criterio della soccombenza rileverà solo nell'ambito dei rapporti interni tra le parti, mentre rispetto al CTU le parti resteranno obbligate in solido al pagamento del compenso liquidato dal giudice, ferma la possibilità per la parte non obbligata di agire nei confronti di quella obbligata per ripetere quanto eventualmente versato in favore del consulente (cfr. Cass. civ., sez. VI-3, 8 novembre 2013, n. 25179; Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 2009, n. 28094). Nel caso esaminato dalla pronuncia in commento, le spese di CTU nel corso del giudizio erano state provvisoriamente poste a carico in solido di tutte le parti. Una di esse corrispondeva l'intero al consulente e, prima che il giudizio in cui la CTU era stata disposta fosse concluso, agiva in via autonoma nei confronti della controparte per recuperare la metà di quanto versato al consulente, nonché la rifusione del compenso corrisposto ad un legale a cui si era rivolta per una diffida stra-giudiziale rimasta senza riscontro. Tale attività, però, era ritenuta dalla Suprema Corte (che confermava la decisione in tal senso già presa dal giudice di merito) integrare gli estremi dell'abuso dello strumento processuale, in quanto il ricorrente avrebbe potuto (e dovuto) attendere che il giudizio “principale” arrivasse alla sua naturale conclusione, chiedendo in quella sede non solo il rimborso dell'anticipo versato, ma anche la restituzione delle ulteriori spese sostenute per sollecitare, nei confronti dell'altra parte, la restituzione della quota a lui spettante. Ciò in quanto in materia di liquidazione dei compensi al CTU, tanto il provvedimento di anticipazione quanto quello di liquidazione finale emesso a conclusione del giudizio fanno parte del processo in cui il consulente stesso è nominato, sicché la parte che ha anticipato il compenso non può promuovere un separato giudizio per il recupero delle somme a lui spettanti, dovendo avanzare le proprie richieste, appunto, nel giudizio in cui la CTU si è svolta. Trattasi di orientamento che fa – dichiarata - applicazione dell'ormai consolidato principio (a seguito di Cass. civ, Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726) secondo cui è contrario al principio di correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori, nonché al principio costituzionale del giusto processo il frazionamento giudiziale di un credito, qualora quest'ultimo derivi da un unico rapporto obbligatorio. Un temperamento di tale principio si è avuto solo di recente con Cass. civ., Sez. Un, 16 febbraio 2017, n. 4090, con riferimento alle domande aventi ad oggetto diritti di credito relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, ad esempio il rapporto di lavoro, ritenute proponibili in più giudizi ove risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.

In realtà, tuttavia, rispetto alla vicenda all'esame della Suprema Corte ricorreva più che un caso di frazionamento del credito (agendo la parte per il recupero dell'intero rispetto a quanto preteso), un'ipotesi di infrazione del principio della concentrazione delle tutele giudiziarie dinanzi ad un medesimo giudice, per la disarticolazione in più sedi giudiziarie dell'unitario rapporto sostanziale nascente da uno stesso fatto (principio affermato, ad esempio, con riferimento alle pretese risarcitorie da fatto illecito, da Cass. civ., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28286). In forza di tale impostazione ermeneutica, le pretese alla rifusione delle spese sostenute in relazione alla CTU, trovano (e devono trovare) la loro sede naturale nel processo in cui la consulenza è stata disposta, pena, appunto, l'indebito frazionamento delle tutele giudiziarie. Ciò comporta degli oneri assertivi a carico della parte che intende avanzare simili pretese: essa, infatti, documentando di aver provveduto al pagamento del compenso in favore del CTU, dovrà domandare già in sede di precisazione delle conclusioni la condanna della controparte alla rifusione di quanto versato in caso di soccombenza della medesima (o alla rifusione pro-quota in caso di compensazione, come nel caso all'attenzione della Suprema Corte nella pronuncia in commento). Non può, peraltro, non evidenziarsi una difformità dell'orientamento assunto dalla Suprema Corte in materia di spese di CTU rispetto a quanto sostenuto con riferimento, in generale, alle spese processuali: si è, infatti, affermato (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2016, n. 12387; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2002, n. 6731) che la domanda di rimborso delle spese processuali liquidate nella sentenza di primo grado può essere proposta in grado di appello, ma può anche essere fatta valere in un giudizio autonomo (come si ricava argomentando dall'art. 389 c.p.c., secondo cui le domande di restituzione o di riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione si propongono al giudice di rinvio e, in caso di cassazione senza rinvio, al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata, nonché dall'art. 144 disp. att. c.p.c., secondo cui le domande conseguenti alla cassazione della sentenza previste nell'art. 389 c.p.c. debbono essere proposte con citazione da notificarsi personalmente alla parte a norma degli artt. 137 e ss. del medesimo codice). Un'ultima osservazione può essere fatta sulle conseguenze della violazione del principio di frazionamento delle tutele giudiziarie: si evince, infatti, dalla sentenza della Suprema Corte, che i giudici di merito ritenevano di sanzionare il comportamento della parte, ritenuto integrare gli estremi dell'abuso dello strumento processuale, con la condanna al risarcimento del danno ex art. 96, comma 3, c.p.c.. Ciò appare compatibile con la funzione dell'istituto, individuata dalla stessa giurisprudenza di legittimità con la sanzione dell'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta e anche al fine di tutelare l'esigenza di deflazione del “contenzioso pretestuoso” (cfr., tra le più recenti, Cass. civ., sez. lav., 19 aprile 2016, n. 7726).

Guida all'approfondimento

Lazzaro – Di Marzio, Le spese nel processo civile, Milano, 2010, 717 e ss..

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