Il condominio di un centro commerciale può considerarsi un “consumatore”?

Gennaro Guida
22 Gennaio 2018

Il condominio di un centro commerciale, al fine di contrastare il decreto ingiuntivo della società di manutenzione degli impianti di scala mobile e di ascensore, eccepiva in via processuale l'incompetenza per territorio del giudice adìto, quale foro inderogabile stabilito da codice del consumo, in favore del foro convenzionale del Tribunale di Milano, previsto dall'art. 14 del contratto di manutenzione dei detti impianti. Con la sentenza annotata, il magistrato toscano, dovendo decidere...
Massima

Il condominio, essendo dotato di una soggettività autonoma, benché imperfetta ed attenuata, rispetto ai suoi componenti, perseguendo scopi che, a volte, non sono del tutto coincidenti con quelli dei singoli condomini, e pur essendo composto di immobili di proprietà di imprenditori, mantiene la sua natura di centro di interessi privatistici, volti alla tutela dei beni comuni di un edificio, e la qualifica di consumatore, con la conseguenziale applicazione del d.lgs. n. 206/2015 (c.d. Codice del consumo).

Il caso

La società K. chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Massa decreto monitorio nei confronti del condominio Centro Commerciale L.A., al quale veniva ingiunto il pagamento della manutenzione conservativa dell'impianto di scala mobile, eseguita successivamente all'alluvione del 2011, pur se il relativo impianto non era stato rimesso in funzione.

Il condominio, in persona del suo amministratore pro tempore, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, eccependo in via processuale l'incompetenza territoriale del Tribunale adìto a favore della competenza convenzionale pattuita in contratto (ex art. 28 c.p.c.), sostenendo di non avere la qualifica di consumatore, trattandosi di un complesso edilizio destinato a Centro Commerciale, per cui non era applicabile il foro inderogabile stabilito dall'art. 66-bis del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2015).

Nel merito, il Centro Commerciale chiedeva la risoluzione del contratto di manutenzione per conclamato inadempimento della società appaltatrice, la quale, invece, insisteva per il rigetto dell'opposizione, la conferma del decreto ingiuntivo e la condanna dell'opponente al pagamento delle spese processuali.

La questione

Un condominio formato da unità immobiliari con destinazione commerciale, nella specie un centro commerciale, può essere considerato alla stregua di un comune “consumatore” al fine di stabilire la competenza territoriale a giudicare?

Le soluzioni giuridiche

L'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall'opponente, sull'assunto che al condominio Centro Commerciale non si debba riconoscere la qualifica di consumatore e non sarebbe dunque applicabile il relativo foro disciplinato dal d.lgs n. 206/2015, è infondata.

Infatti, tale tesi per il Tribunale di Massa non risulta accoglibile, atteso che la qualifica di consumatore è ricondotta dalla giurisprudenza al condominio in quanto tale, ovvero un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, al quale deve applicarsi la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale.

In particolare, il giudicante, anche se non condivide l'iter logico che ha indotto la giurisprudenza di legittimità - sulla scorta di Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148 - a ritenere che il contratto concluso dall'amministratore produca effetti direttamente in capo ai singoli condomini consumatori, in virtù del rapporto di mandato, ritiene comunque che il condominio deve essere qualificato consumatore. A suo avviso le pattuizioni negoziali vincolano il condominio in quanto tale alla prestazione dedotta in contratto (Cass. civ.,sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530), salvo poi la possibilità per il creditore di attuarla esecutivamente in via parziaria nei confronti dei singoli ex art. 63, comma 2, disp. att. c.c.

Emerge dalla stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite citata dall'opponente (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663) che al condominio si deve riconoscere una soggettività autonoma, seppur imperfetta ed attenuata, rispetto ai suoi componenti e che lo stesso persegua scopi che non sono del tutto coincidenti con quelli dei singoli che lo compongono; afferma, infatti, il supremo organo di nomofilachia che il principio della necessaria concorrenza di legittimazione processuale fra amministratore e singoli - da sempre affermato dalla giurisprudenza per determinate controversie - non trova applicazione relativamente alle cause aventi ad oggetto non i diritti su un servizio comune, bensì la gestione di esso, e finalizzate a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, o l'esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino, nelle quali non vi è correlazione immediata con l'interesse esclusivo dei singoli condomini.

Ne deriva che al condominio, quale centro di imputazione di interessi dotato di autonomia soggettiva non perfetta (si rientrerebbe altrimenti nella categoria delle persone giuridiche, cui il codice del consumo non può applicarsi) si debbano riconoscere scopi e funzioni secondo i parametri delineati dagli artt. 1117/1139 c.c., volti alla fruizione, gestione e manutenzione del bene immobile in cui il condominio è posto; a tali funzioni teleologicamente orientate - proprio per la non immediata correlazione fra la natura/funzione del condominio e gli interessi esclusivi di uno o più partecipanti così come evidenziato dalle Sezioni Unite - deve essere riconosciuta una caratteristica ontologicamente privatistica, che sfugge alla natura imprenditoriale e agli scopi per cui agiscono i singoli che lo compongono.

In altre parole, il condominio, nel momento in cui agisce come tale, ovvero per la gestione dei beni comuni e strumentali a proprietà solitarie, agisce per scopi estranei all'attività eventualmente svolta dai suoi componenti; fini che sono semplicemente volti alla fruizione e conservazione delle parti comuni di un fabbricato, in cui la destinazione funzionale delle singole unità che lo compongono non può essere necessariamente identitaria anche della connotazione soggettiva di consumatore. Si dovrebbe altrimenti ritenere che il soggetto condominio possa repentinamente cambiare identità al solo mutare della destinazione di qualche unità, né si riuscirebbe a fornire la tutela prevista dal d.lgs.n. 206/2005 a quei fabbricati misti composti da immobili con diversa destinazione, atteso che, alla luce delle Sezioni Unite del 2014, si deve comunque aver riguardo al centro di imputazione collettivo e non già ai singoli individui che lo compongono.

Appare dunque più lineare e conforme allo spirito della legge ritenere che l'interesse condominiale - quale che sia la natura dei condomini - sfugge alla loro natura imprenditoriale, per rimanere circoscritto alla sola caratterizzazione privatistica che gli profilano gli artt. 1117/1139 c.c.

Ne deriva che, correttamente, il decreto ingiuntivo sia stato richiesto al giudice del luogo ove il convenuto ha sede, in esatta applicazione del foro per le cause in materia di contratti del consumatore.

Osservazioni

La giurisprudenza sia di merito che di legittimità ritiene che al contratto concluso tra un professionista e un condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, poiché l'amministratore agisce come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale (Cass. civ.,sez. VI/II, 22 maggio 2015, n. 10679).

Definire un condominio, composto da unità immobiliari con destinazione prevalentemente od esclusivamente commerciale, “consumatore”, inteso come «la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta» (v. art. 3 del d.lgs. n. 206/2005), richiede indubbiamente la disamina delle diverse tesi sulla soggettività giuridica del condominio.

Com'è noto, la riforma non ha inteso riconoscere espressamente al condominio degli edifici la personalità giuridica, ma ciò nonostante non è cessato il dibattito tra chi qualifica la collettività condominiale come un complesso di soggetti titolari di diritti individuali, rappresentati dall'amministratore, quale loro mandatario, e chi diversamente ritiene che l'antica qualificazione del condominio come “ente di gestione” contenga una vera e propria personalità collettiva, capace di assurgere a centro d'imputazione di diritti, obbligazioni ed interessi legittimi esclusivi dell'ente, il quale quindi si distingue dalla mera somma atomistica dei partecipanti.

Il condominio, pur non identificandosi nettamente in una persona giuridica, presenta una sua tipica soggettività, che gli consente in talune situazioni di avere una propria autonomia, avvalorata dalla presenza di un legale rappresentante, che non può essere ritenuto investito soltanto di un mandato collettivo, soprattutto quando agisce nell'ambito delle sue proprie attribuzioni per la disciplina e la tutela dei beni e dei servizi condominiali. Non a caso la giurisprudenza ha più volte ritenuto che nelle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di una delibera assembleare, la nomina dell'amministratore, il recupero dei crediti e la gestione dei beni o dei servizi comuni, essendo azioni tendenti a soddisfare esigenze della comunità condominiale, la legittimazione ad causam spetta unicamente, in via esclusiva e non alternativa, all'amministratore del condominio, in esatta applicazione del secondo comma dell'art. 1131 c.c. (Cass. civ.,sez. II, 20 ottobre 2008, n. 25502; Cass. civ.,sez. II, 29 gennaio 2009, n. 2396; Cass. civ.,sez. II, 21 settembre 2011, n. 19223; Cass. civ.,sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663; Cass. civ.,sez. II, 5 gennaio 2017, n. 133; Cass. civ.,sez. II, 18 gennaio 2017, n. 1208).

Ma è evidente che se si dovesse riconoscere al condominio una pur minima personalità giuridica, nel momento in cui rappresenta diritti esclusivi della collettività condominiale, ad esso non sarebbe più applicabile il codice del consumo. Infatti, la dottrina prevalente esclude che possa acquisire lo status di consumatore la persona giuridica, attesa l'espressa limitazione prevista dal citato art. 3, che definisce consumatore solo le persone fisiche.

Nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Massa, il giudice, riconoscendo il condominio come ente dotato di una sua propria soggettività giuridica, benché imperfetta ed attenuata, per considerare il Centro Commerciale alla stregua di un consumatore ha ritenuto che le funzioni del condominio abbiano unacaratteristica ontologicamente privatistica, non dissimile da quella delle persone fisiche, che sfugge alla natura imprenditoriale e agli scopi per cui agiscono i singoli che lo compongono.

L'iter logico e giuridico sotteso alla decisione appare però censurabile, in quanto la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che sono propriole qualifiche soggettive all'interno del rapporto contrattuale - sussumibili nelle categorie sostanziali di professionista e di consumatore - a determinare l'applicazione o la disapplicazione del codice del consumo; in difetto, la convenzione sarebbe soggetta alla normativa generale in tema di contratti, senza possibilità di invocare le tutele speciali previste dalla legge.

La qualifica di consumatore spetta alle sole persone fisiche allorché concludono un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana, dovendosi, invece, considerare professionista il soggetto che stipuli il contratto nell'esercizio di una attività imprenditoriale o professionale o per uno scopo a questa connesso (Cass. civ.,sez. VI, 12 marzo 2014, n. 5705). In tale prospettiva, la Corte di Cassazione ha escluso che possa qualificarsi "consumatore" la persona che si procuri servizi e strumenti materiali od immateriali indispensabili per l'esercizio di un'attività professionale o imprenditoriale (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2013, n. 11773; Cass. civ., sez. VI, 14 luglio 2011 n. 15531; Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2006 n. 20175).

Inoltre, ai fini dell'assunzione della veste di consumatore, l'elemento significativo non è il non possesso, da parte della persona fisica che ha contratto con un operatore commerciale, della qualifica di imprenditore commerciale, bensì, secondo la lettera della legge (art. 12 preleggi, comma 1, prima parte), lo scopo avuto di mira dall'agente nel momento in cui ha concluso il contratto (Cass. civ.,sez. VI, 4 novembre 2013, n. 24731).

Il Tribunale di Massa, propendendo per una qualifica del condominio quale ente autonomo rispetto ai suoi partecipanti, benché caratterizzato da funzioni privatistiche, avrebbe dovuto escludere automaticamente l'applicabilità del codice del consumo nella sua attuale formulazione. Appare però evidente che, nella fattispecie esaminata dal giudice, anche applicando il teorema del condominio consumatore, quale ente sprovvisto di una sua soggettività, che si indentifica esclusivamente con le persone fisiche che lo compongono, sarebbe stato difficile applicare la tutela concessa.

Infatti, esaminando lo scopo perseguito dal condominio del Centro Commerciale con la sottoscrizione del contratto di appalto per la manutenzione dell'impianto di scala mobile, avente ad oggetto un servizio materiale indispensabile per gli impianti strutturalmente e funzionalmente connessi ad un complesso di unità immobiliari strumentali per le attività imprenditoriali e commerciali in esso svolte, si intuisce immediatamente che si tratta di un soggetto non consumatore. L'amministratore ha concluso il contratto per le esigenze delle attività imprenditoriali svolte nel centro commerciale. Non è possibile applicare il Codice del consumo semplicemente definendo come privatistico lo scopo perseguito dal centro commerciale, occorre piuttosto considerare adeguatamente gli elementi che determinano l'applicabilità della tutela, e cioè la qualifica soggettiva del condominio o dei componenti la collettività condominiale, la destinazione delle unità immobiliari e, principalmente, le finalità perseguite in sede di conclusione del contratto.

È evidente che, in questo caso, i contratti di manutenzione dei beni condominiali sono strettamente connessi all'esercizio di attività commerciali e imprenditoriali, che trovano il loro punto di forza proprio nella condivisione delle parti comuni del complesso immobiliare, inteso quale centro produttivo ed individuato dagli utenti come punto di riferimento per concludere i propri acquisti di molti beni di consumo.

La stessa legge definisce il centro commerciale come un organismo di vendita, medio o grande, nel quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente (art. 4, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 114/1998). La superficie di vendita di un centro commerciale si intende quella risultante dalla somma delle superfici di vendita degli esercizi al dettaglio in esso presenti. Le aree di comune utilizzazione di un centro commerciale non rientrano nella sfera di applicazione dell'art. 63, comma 2, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che esclude dalla tassazione le aree comuni del condominio di cui all'art. 1117 c.c., e sono pertanto soggette a Tarsu (comma 3 dell'art. 63 cit.; in argomento, v. Cass. civ.,sez. V, 17 dicembre 2003, n. 19379).

I centri commerciali, quindi, con i propri spazi condominiali coperti e scoperti rappresentano un'entità produttiva, ontologicamente distinti da quelli con una prevalente destinazione abitativa, anche ai fini della applicazione del Codice del consumo.

Dalle osservazioni fin qui svolte, emerge che il condominio è un istituto con caratteristiche tipiche ed uniche di un ente che agisce sempre nell'interesse della collettività gestita, nient'affatto assimilabile ad una persona fisica, in quanto dotato di una propria autonomia soggettiva, seppur imperfetta ed attenuata, il quale, pur non essendo di regola produttivo, nel caso dei centri commerciali svolge un'attività di gestione di beni pertinenziali e servizi complementari, necessari ed indispensabili alle attività imprenditoriali facenti parte del complesso edilizio che le contiene, escludendosi per questi motivi la tutela prevista per i consumatori.

Guida all'approfondimento

Bianca, La proprietà, II ediz., Milano, 2017, 22;

Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 15.

Cerulo, Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2017, 13;

Carrato, Legge Pinto e legittimazione del condominio: il dictum delle Sezioni Unite, in Corr. giur., 2015, fasc. 12, 1531;

Corona, La situazione soggettiva di condominio, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro e Morello, vol. III, Condominio negli edifici e comunione, Milano, 2012, 62.

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