Divieto di maternità surrogata e interesse del minore: un nodo da sciogliere caso per caso

30 Gennaio 2018

In tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito tramite maternità surrogata, la Corte costituzionale ha affermato che non sussiste nessun automatismo dettato dall'art. 263 c.c., in quanto il Giudice dovrà sempre valutare caso per caso, operando una necessaria comparazione tra gli interessi in gioco, al fine di verificare se il c.d. favor veritatis possa in concreto creare un pregiudizio nei riguardi del minore, che invece potrebbe avere interesse a conservare lo status acquisito, anche se non rispondente al vero.
Massima

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove sia ritenuta rispondente all'interesse del minore, in quanto è compito precipuo dei Giudici verificare caso per caso se la modifica dello status di filiazione del minore non sia di pregiudizio per quest'ultimo, malgrado il divieto di surrogazione di maternità ed il favor veritatis espresso dall'ordinamento.

Il caso

La vicenda trae origine dalla trascrizione del certificato di nascita formato all'estero di un bambino riconosciuto come figlio naturale da una coppia di cittadini italiani, i quali - nell'ambito delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni – avevano poi ammesso il ricorso alla surrogazione di maternità all'estero, realizzata attraverso ovodonazione.

Pertanto su richiesta del Pubblico Ministero, il Tribunale per i minorenni di Milano aveva autorizzato, ai sensi dell'art. 264 c.c., l'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale effettuato dalla madre c.d. sociale, nominando a tal fine un curatore speciale del minore. L'azione proposta dal predetto, ex art. 263 c.c., era derivata dall'acquisizione della prova, nel corso del procedimento di adottabilità, che il figlio minore non era un discendente biologico di colei che lo aveva riconosciuto.

Il curatore speciale aveva sostenuto, in particolare, che sebbene gli accertamenti svolti dal Tribunale per i minorenni avessero confermato l'interesse del figlio minore a mantenere il legame familiare con la madre sociale (oltre che con il padre), tuttavia le norme che disciplinano la genitorialità non consentivano a madre e figlio di vedersi riconosciuto tale legame giuridico, laddove esso non corrispondeva alla verità biologica.

Infatti, l'art. 263 c.c. contempla quale unico presupposto necessario e sufficiente per l'impugnazione del riconoscimento il difetto di veridicità, inteso come assenza di un legame biologico tra l'autore del riconoscimento e colui che è riconosciuto come figlio.

In accoglimento di tale impugnazione, il Tribunale ordinario di Milano aveva quindi dichiarato che il minore non era figlio della donna che lo aveva riconosciuto, disponendo le conseguenti annotazioni a cura dell'Ufficiale di stato civile.

La decisione di primo grado era fondata sulla disposizione di cui all'art. 269, comma 3, c.c., e sulla considerazione che, nel caso in esame, il rapporto di filiazione dal lato materno non poteva essere dedotto dal contratto per la fecondazione eterologa con maternità surrogata, da ritenersi invalido per contrarietà della legge straniera all'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 16, l. 31 maggio 1995, n. 218.

Successivamente, la Corte d'appello di Milano adita ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c., in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848.

La questione

L'art. 263 c.c. è stato censurato nella parte in cui non prevede che l'impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all'interesse dello stesso.

La Corte d'appello ha evidenziato che nel caso di specie l'atto di nascita comprovante la genitorialità del minore era già stato trascritto in Italia e che, pertanto, la questione della trascrivibilità in tale Stato di atti di nascita formati nei paesi che consentono la maternità surrogata era estranea al thema decidendum. Nella fattispecie in esame, infatti, non era richiesta la trascrizione di uno status filiationis riconosciuto all'estero, bensì la rimozione di uno status già attribuito, in considerazione della sua non veridicità.

La Corte d'appello ha prospettato, invece, una diversa questione di legittimità costituzionale, che pone al centro la questione della posizione giuridica del minore nato a seguito di surrogazione di maternità realizzata all'estero, e del suo (migliore) interesse a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita, anche in difformità della verità ossia della maternità naturale. Sullo sfondo vi sarebbe perciò il dubbio che ogni rigido automatismo, secondo un'interpretazione letterale dell'art. 263 c.c., che faccia coincidere interesse del minore e favor veritatis, in realtà potrebbe, in alcuni casi, risultare pregiudizievole per l'interesse del minore stesso, che costituisce la stella polare anche della giurisprudenza della CEDU, oltre che della stessa Corte costituzionale.

Per quanto riguarda invece la difesa dell'ordinamento vigente svolta dall'Avvocatura dello Stato, essa, oltre a prospettare l'inammissibilità della questione, ha comunque chiesto che nel merito la questione fosse dichiarata infondata, sostenendo a tal fine che la ratio dell'art. 263 c.c., quale strumento di tutela dell'interesse superiore alla corrispondenza tra realtà naturale e verità apparente, sarebbe quella di far cadere il riconoscimento non rispondente al vero. Verrebbe in rilievo, quindi, l'interesse oggettivo dell'ordinamento alla verità dello status di filiazione, attinente a principi di ordine pubblico, intesi come principi fondamentali ed irrinunciabili. Ad avviso della difesa statale, il principio del favor veritatis esprime un'esigenza di certezza nei rapporti di filiazione, e la protezione dell'interesse del minore si realizzerebbe proprio nel riconoscimento del diritto alla propria identità; la verità biologica della procreazione costituirebbe, infatti, una componente essenziale dell'interesse del medesimo minore, dovendo essergli garantito il diritto alla propria identità e all'affermazione di un rapporto di filiazione veridico. A conforto di questa interpretazione l'Avvocatura dello Stato ha quindi richiamato le sentenze Corte cost., n. 112/1997 e Corte cost., n. 216/1997 e l'ordinanza Corte cost., n. 7/2012.

Le soluzioni giuridiche

Il Giudice costituzionale, con Corte cost., n.272/2017, ha rigettato la questione sollevata dalla Corte d'appello di Milano, con una decisione annoverabile come sentenza interpretativa di rigetto.

La Corte, dopo aver ricostruito la corretta interpretazione della trama ordinamentale posta a tutela del minore, fornendo una serie di richiami alla giurisprudenza costituzionale, della Cassazione e della Corte di Strasburgo (in particolare le due sentenze “gemelle” rese il 26 giugno 2014 nei confronti della Francia, sui ricorsi n. 65192/2011 - Menneson c/o Francia e n. 65941/2011 - Labassee c/o Francia), ha affermato queste conclusioni : «Se dunque non è costituzionalmente ammissibile che l'esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull'interesse del minore, va parimenti escluso che bilanciare quell'esigenza con tale interesse comporti l'automatica cancellazione dell'una in nome dell'altro.

Tale bilanciamento consegue, viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all'accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore.

Si è già visto come la regola di giudizio che il Giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall'altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l'adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela.

Si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell'elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale».

In altre parole la Corte costituzionale ha affermato che non sussiste nessun automatismo dettato dall'art. 263 c.c., in quanto il Giudice dovrà sempre valutare caso per caso, operando una necessaria comparazione tra gli interessi in gioco, al fine di verificare se il c.d. favor veritatis, che ha anche natura pubblicistica, possa in concreto creare un pregiudizio nei riguardi del minore che invece potrebbe avere interesse a conservare lo status acquisito, anche se non rispondente al vero. Il limite implicito della norma, costituito dal pregiudizio per il minore, rende perciò l'art. 263 c.c. conforme al dettato costituzionale ed ai principi della CEDU.

La Consulta peraltro coglie l'occasione per ribadire che « (…)la maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane », pratica che viene vietata con una sanzione penale di cui all'art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, proprio per rafforzare al massimo la volontà contraria sancita dall'ordinamento.

Osservazioni

La sentenza in commento per certi versi appare del tutto prevedibile, in quanto pronunciata sulla scia delle sentenze della Corte EDU, 26 giugno 2014, nei confronti della Francia, sui ricorsi n. 65192/2011 (Menneson c/o Francia) e n. 65941/2011 (Labassee c/o Francia) in casi riguardanti il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile francese degli atti di nascita formatisi all'estero a seguito di procreazione con maternità surrogata, ove la Corte EDU ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento discrezionale ai singoli Stati sul tema della liceità della maternità surrogata, viste le implicazioni di ordine etico della materia, per poi affermare però che ogni scelta deve essere valutata in comparazione «con l'interesse superiore dei minori, il cui rispetto deve guidare ogni decisione che li riguarda», nonché in ossequio al principio contenuto nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la cosiddetta Carta di Nizza), in cui l'art. 24 afferma che «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato prevalente».

Tuttavia appare evidente che questa giurisprudenza comporta di fatto l'aggiramento del divieto di maternità surrogata dettato dall'art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, in quanto accade che le coppie italiane (quelle che possono permetterselo economicamente) si rechino all'estero, nei Paesi dove è consentita, per praticare la surrogazione di maternità e poi vadano presso l'ambasciata o il consolato italiano muniti del certificato di nascita del minore, che li vede entrambi genitori in base alla legge straniera che consente quella pratica, al fine di chiedere l'inoltro all'ufficiale dello Stato civile italiano per la trascrizione nei registri del comune di residenza. Rientrati in Italia, nel caso di contestazioni, esse potranno sempre far valere il principio della salvaguardia prioritaria del miglior interesse del minore a mantenere il legame giuridico, che nel frattempo si è consolidato, con la famiglia che lo ha con sé, affidandosi ad un accertamento rimesso peraltro alle valutazioni oscillanti dei Giudici.

In sostanza, se si guarda il fenomeno non solo dal punto di vista dell'interesse prioritario del minore ma alla vicenda nel suo complesso, in cui molte donne sono indotte a dare in cambio di denaro la disponibilità del proprio corpo alla gestazione per altri, ci si rende conto che la sentenza della Corte costituzionale, al di là delle parole nette di contrarietà nei confronti della maternità surrogata, ha contribuito di fatto a smantellare un altro tassello normativo che poteva essere in ambito civile un argine contro questa pratica, mutando peraltro il suo precedente orientamento dato dalla sentenza Corte cost., n. 112/1997 con cui invece affermava che non vi può essere conflitto tra favor veritatis e favori minoris, ove si consideri che l'autenticità del rapporto di filiazione costituisce l'essenza stessa dell'interesse del minore.

Guida all'approfondimento

G. Pizzolante, La Grande Camera della Corte di Strasburgo ritorna sulla maternità surrogata, in IlFamiliarista.it;

G. Marra, Riflessi penali della surrogazione di maternità effettuata all'estero, in IlFamiliarista.it;

A. Ruggeri, C. Salazar, “Non gli è lecito separarmi da ciò che è mio”: Riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in giurcost.org;

G. Luccioli, Questioni eticamente sensibili: Quali diritti e quali giudici. La maternità surrogata, in giurcost.org.

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