Occasionalità necessaria come criterio per attribuire la responsabilità per fatto altrui: critica

01 Febbraio 2018

L'indicazione frequente in giurisprudenza dell'occasionalità necessaria come criterio per imputare al datore di lavoro la responsabilità per il fatto illecito di un suo dipendente merita di essere corretta con il riferimento alla pertinenza del danno procurato al rischio tipico dell'attività gestita dal soggetto chiamato al risarcimento.
Norme che prevedono una responsabilità per fatto altrui

L'art. 2049 c.c. dispone che «i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti». L'art. 1228 c.c. prevede la responsabilità «del debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi». Queste due norme, nei rispettivi ambiti di responsabilità extracontrattuale e contrattuale, imputano ai committenti e al debitore una responsabilità, che, secondo l'opinione ormai prevalente, ha natura oggettiva. Questi soggetti, indipendentemente da irrilevanti possibili negligenze, sono ritenuti in posizione di amministrare e sopportare in maniera efficiente i rischi da loro introdotti nella collettività. In tal modo, se, da un lato, si assicura ai danneggiati un più agevole (rispetto all'azione contro commessi e ausiliari) risarcimento, dall'altro lato, si preme per un contenimento dei costi delle attività gestite dai committenti e debitori.In questa pressione per una efficiente allocazione dei rischi e per il loro contenimento, consiste la funzione dell'attribuzione di responsabilità a soggetti diversi dagli autori materiali del comportamento dannoso.

È di immediata evidenza che questa responsabilità per fatti altrui deve avere limiti ragionevoli, perché i soggetti indicati non possono rispondere per tutti i comportamenti dannosi posti in essere da commessi e ausiliari. Le norme citate per individuare questi limiti offrono indicazioni generiche, che necessitano a loro volta di precisazioni e chiarimenti.

Il collegamento al fatto altrui attraverso la cd. occasionalità necessaria

Nel campo della responsabilità per inadempimento pare evidente e immediato il riferimento all'adempimento dell'obbligazione; il collegamento all'attività del debitore, che egli può efficientemente amministrare, è limitato a quei comportamenti di suoi collaboratori, anche autonomi, che riguardino l'adempimento di sue obbligazioni, perché solo per questi comportamenti si può ritenere che il rischio di danni al creditore sia pertinente all'attività del debitore. Solo con riguardo a questi comportamenti strumentali all'adempimento si può ritenere il danno come realizzazione del rischio che il debitore introduce nella collettività. In concreto l'individuazione di questo collegamento e cioè stabilire quando il comportamento dannoso dell'ausiliario si possa considerare adempimento dell'obbligazione, è incerto in quei casi in cui l'ausiliario agisca per finalità proprie (non escluse quelle dolose) e non nell'interesse del debitore principale. Il criterio suggerito dalla giurisprudenza (ad es. Cass. civ., 17 maggio 2001 n. 6756) per superare questa incertezza è quello della c.d. occasionalità necessaria. Sarebbe sufficiente che l'adempimento dell'obbligazione a carico del debitore sia stato occasione necessaria del comportamento dannoso dell'ausiliario per attribuire al debitore la responsabilità relativa.

Nel campo della responsabilità extracontrattuale il collegamento tra il fatto illecito del commesso e l'attività del committente è limitato all'esercizio delle incombenze. È immediatamente intuitivo e ovvio che non tutti i comportamenti dannosi dei dipendenti giustificano una responsabilità del datore di lavoro; la citata espressione dell'art. 2049 (esercizio delle incombenze) si limita ad indicare la necessità di un collegamento significativo e conforme alla funzione della responsabilità del datore di lavoro tra il fatto illecito del dipendente e l'attività del datore di lavoro, ma per individuare questo collegamentonon indica un criterio rigoroso, che possa con sicurezza risolvere le incertezze di quei casi in cui il dipendente abbia agito al di fuori (o anche contro) le indicazioni del datore di lavoro. Anche in questo ambito la giurisprudenza (da ultimo Cass. civ., 9 giugno 2016 n. 11816) ritiene che il comportamento dannoso del dipendente possa considerarsi avvenuto nell'esercizio delle incombenze solo quando questo ne costituisca occasione necessaria e, in altri termini, l'adempimento delle mansioni abbia agevolato notevolmente l'illecito di cui è chiamato a rispondere il datore di lavoro. Per la mancanza di quel nesso nella decisione citata la corte di legittimità ha negato la responsabilità del condominio per le lesioni personali causate da un pugno sferrato dal portiere dell'edificio condominiale ad un condomino (o ad un inquilino) in occasione dell'accesso del primo nell'appartamento del soggetto leso per ispezionare tubature ed escludere guasti ai beni comuni. Mi pare significativo osservare (con anticipazione con quanto svilupperò in seguito) che i giudici hanno negato la responsabilità del datore di lavoro, pur avendo affermato che l'accesso del dipendente era avvenuto per adempiere un incarico ricevuto, che, quindi, era stato occasione per il comportamento illecito.

Estraneità dell'occasionalità necessaria rispetto al nesso di causalità

Secondo la giurisprudenza, il legame di c.d. occasionalità necessaria tra incombenze del commesso e il suo fatto dannoso è ricercato come un aspetto del nesso di causalità. Ad esempio la Suprema Corte dichiara che «entrambe le norme (art. 1228 e

2049

) prevedono che colui che si avvale dell'opera di altri ne risponde, purché sussista - secondo quantoelaborato dalla giurisprudenza - il cd. nesso di occasionalità necessaria, il quale si atteggia quale nessocausale tra l'esercizio delle incombenze dell'"ausiliario" e il danno» (Cass. civ., 7 settembre 2016 n. 17681). Questa affermazione non mi pare corretta.

Il nesso causale individua un collegamento tra il fatto, che la legge considera fonte di responsabilità, e un determinato evento dannoso, nel senso che questo possa considerarsi giuridicamente come prodotto da quello. L'indagine relativa riguarda in primo luogo la sussistenza di un legame di causalità materiale, che sarebbe integrato qualora il fatto si potesse considerare conditio sine qua non o antecedente logico rispetto all'evento dannoso, nel senso che questo non si sarebbe verificato in assenza di quello, o, con formulazione in senso negativo, che non sussisterebbe il nesso di causalità, se l'evento si sarebbe verificato ugualmente anche in assenza di quel fatto. Secondo autorevole dottrina, occorre, poi, nell'ambito di questo collegamento di causalità materiale individuare, attraverso diversi criteri limitativi, una più precisa causalità giuridica.

Nel caso della responsabilità dei committenti per i fatti illeciti dei commessi (come nel caso della responsabilità del debitore principale per i fatti dolosi o colposi degli ausiliari), l'attribuzione di una responsabilità anche ad un soggetto diverso dall'autore immediato del comportamento dannoso (nella responsabilità ex art. 2049, la responsabilità del committente si aggiunge a quella, spesso teorica, del commesso; nel caso disciplinato dall'art. 1228, l'ausiliario risponde in via di regresso verso il debitore principale che abbia risarcito il creditore) presuppone come già accertato il nesso causale tra questo comportamento e l'evento dannoso. Occorre, viceversa, accertare l'esistenza di una ragione economicamente e giuridicamente significativa per accollare l'obbligo di risarcimento (anche) ai soggetti indicati dalle norme citate. Non si tratta, dunque, di un problema di causalità, ma di individuare un criterio di attribuzione, attraverso l'obbligo risarcitorio, di un costo a quel soggetto che appaia più idoneo a sopportarlo, in relazione alla funzione della responsabilità, perché si deve ricordare che il risarcimento di un danno non lo elimina dagli eventi verificati, ma si limita ad individuare chi, eventualmente, debba sopportarne le conseguenze in luogo della vittima immediata.

Inadeguatezza del criterio di occasionalità necessaria

L'espressione occasionalità necessaria, frequentemente utilizzata nelle sentenze, da un lato e per quanto detto, non serve per accertare un nesso di causalità, che deve essere già altrimenti dimostrato, e, dall'altro lato, è eccessivamente generica per specificare le vere ragioni di imputazione della responsabilità ai soggetti indicati dalle norme in esame e diversi dagli autori immediati del comportamento dannoso. In altri termini, essa non mi pare in grado di fornire adeguati chiarimenti e specificazioni alle formule della legge esercizio delle incombenze e adempimento dell'obbligazione. Queste, come accennato, lasciano all'interprete del caso concreto il compito di individuare criteri precisi per individuare, in conformità alla ratio della norma, il soggetto che sia nelle migliori condizioni per amministrarei costi di un'attività, anche nei casi più incerti, quali quelli di comportamenti del dipendente che abbia deviato dalla stretta osservanza di quanto prescritto dal datore di lavoro o abbia violato direttive e comandi dello stesso.

Per questo scopo mi sembra più adatto il riferimento alla pertinenza del danno arrecato a terzi al rischio tipico, che l'attività del soggetto chiamato a rispondere introduce nella collettività.

La Suprema Corte (Cass. pen. 6 dicembre 2011, n. 27706) ha negato la responsabilità del «datore di lavoro per le molestie sessuali di un dipendente in danno di una collega sul luogo di lavoro», perché «il comportamento del dipendente non era riferibile sia pure marginalmente o indirettamente alle mansioni in concreto esercitate ed affidategli dal datore di lavoro, ma era frutto di una iniziativa estemporanea e personale del tutto incoerente rispetto alle mansioni svolte (oltre che affidate), poiché – in altri termini - mancava in quel caso il nesso di occasionalità necessaria». La decisione è sicuramente corretta, ma non altrettanto mi pare il riferimento all'occasionalità necessaria. Sicuramente il rapporto tra colleghi nel medesimo luogo di lavoro costituiva un presupposto in fatto necessario del comportamento illecito; quindi, ne era occasione necessaria e, alla luce di quel criterio, avrebbe dovuto comportare la responsabilità del datore di lavoro, che aveva posto in essere quel presupposto. Al di là dell'espressione usata, i giudici hanno però correttamente escluso la responsabilità del datore di lavoro in considerazione dell'estraneità di quel comportamento rispetto ai rischi che l'attività da lui gestita aveva introdotto nella collettività. La possibilità di quell'illecito sarebbe stata la medesima, quali che fossero in concreto l'attività di lavoro e le mansioni affidate al dipendente.

Viceversa, frequenti sono i casi in cui la Suprema Corte ha affermato la responsabilità delle banche o delle società finanziarie per le truffe a danno di clienti poste in essere dai loro dipendenti o collaboratori. Anche in questi casi (ex multis, Cass. civ., 7 settembre 2016, n. 17681) si afferma la sussistenza della c.d. occasionalità necessaria, ma si precisa che questa sussiste quando «il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell'attività lavorativa, anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all'insaputa del datare di lavoro», perché la responsabilità della banca datrice di lavoro «è espressione di un criterio di allocazione di rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell'impresa, come componente dei costi di questa». Mi pare, quindi, che il vero criterio di imputazione alla banca della responsabilità sia la pertinenza del rischio di truffe in danno dei clienti, che confidano nella competenza e serietà della banca e dei suoi dipendenti, all'attività di gestione del denaro altrui e di investimenti tipica delle banche.

Una corretta verifica nel caso concreto che il danno provocato dal commesso è realizzazione di rischio tipico, che l'attività del committente introduce nella collettività, permette in modo logicamente corretto di superare le incertezze di quei casi in cui il dipendente abbia deviato consapevolmente o meno dalla prescrizioni ricevute.

Il criterio dell'occasionalità necessaria si rivela inadeguato anche per risolvere altre situazioni incerte. Il legame in discorso, infatti, potrebbe essere accertato in tutti i casi in cui un certo rischio sia prevedibile e assicurabile. Come insegna autorevole dottrina, però, prevedibilità e assicurabilità di per sé non sono sufficienti per attribuire in modo economicamente efficientela responsabilità di danni conseguenti ad un soggetto diverso dall'autore materiale, se questi non sono realizzazione del maggior rischio prodotto dalla sua attività. Al riguardo si sono fatti gli esempi degli incidenti causati dai dipendenti nella circolazione stradale quando si recano al lavoro e quelli dei danni derivanti dalle risse per motivi personali tra dipendenti. In questi e in casi simili, è evidente che la necessità di recarsi al lavoro con l'automobile può considerarsi occasione necessaria, senza la quale l'incidente non si sarebbe verificato, ma è altrettanto chiaro che la probabilità di quegli incidenti sarebbe stata uguale se l'autore fosse stato dipendente di altro datore di lavoro o avesse guidato la sua autovettura per qualsiasi altro motivo. Similmente le vicinanza nel luogo di lavoro può considerarsi occasione necessaria, senza la quale la rissa per motivi personali non si sarebbe verificata, ma qualunque altra situazione di vicinanza sarebbe potuta essere occasione della rissa per motivi personali. Il rischio dell'incidente nel tragitto per recarsi al lavoro e quello di risse tra dipendenti per motivi personali, dunque, possono ricollegarsi, con la medesima rilevanza, a numerosissime attività e non rientrano tra i rischi tipici dell'attività del datore di lavoro; non sono dunque parte del maggior rischio che questa attività introduce nella collettività. Per questo non risponderebbe alla funzione della responsabilità in discorso, né alla ratio delle norme citate, attribuire un obbligo di risarcimento a soggetti (il datore di lavoro o il debitore principale) che non considerano quei rischi come un costo della loro attività, per essere gli stessi già presenti nella collettività anche prima ed indipendentemente dalla stessa.

Anche nei casi in cui il danno sia causato da un dipendente, che abbia deviato dalle incombenze affidategli, l'indagine circa la pertinenza del rischio di cui il danno sia realizzazione, più correttamente del riferimento alla occasionalità necessaria, consente di attribuire la responsabilità al datore di lavoro solo quando questa risponda alla sua funzione. Sicuramente il dipendente che, «guidando un trattore per espletare un servizio del quale era incaricato, aveva consentito ad un altro dipendente di collocarsi come passeggero sul parafango del mezzo e ne aveva cagionato la morte a seguito di una manovra errata», aveva esorbitato dalla mansioni affidategli; nonostante ciò, la Suprema Corte (Cass. civ., 17 gennaio 2002, n. 89) ha affermato la responsabilità del datore di lavoro. I rischi connessi alla guida di un trattore comprendono tutti i danni a terzi per eventuali e sempre possibili manovre errate del conducente; poco rileva che questi danni seguano ad un comportamento non consentito dal datore di lavoro. Se, viceversa, il conducente del trattore avesse utilizzato lo stesso per commettere un omicidio, l'affidamento del mezzo da parte del datore di lavoro sarebbe stato occasione necessaria per il delitto, ma non sarebbe giustificata una condanna la risarcimento del datore di lavoro, perché il danno non sarebbe stato realizzazione del rischio della attività agricola; la determinazione omicida si sarebbe, infatti, concretizzata con altri mezzi.

Da questo esempio, però, non si può escludere una responsabilità del datore di lavoro ogni qualvolta i danni siano causati da fatti dolosi del dipendente. I casi sopra ricordati di truffe poste in essere da dipendenti di banche o società finanziarie ne sono prova evidente. Anche in questi casi non è sufficiente accertare che le incombenze affidate al funzionario siano state occasione per commettere l'illecito, ma è necessario che il rischio di questi danni sia pertinente all'attività stessa, poichè ne agevola in misura notevole la probabilità.

In conclusione

Il criterio della occasionalità necessaria, dunque, è troppo ampio e non consente una corretta ed efficiente allocazione dei costi sociali delle attività potenzialmente dannose; per questo anche la giurisprudenza, che pure invoca quel criterio, poi lo specifica attraverso la spiegazione che quel collegamento tra l'attività del datore di lavoro e fatto dannoso del dipendente si avrebbe solo quando questo fosse stato notevolmente agevolato da quella. Se occasione necessaria di un evento può essere qualunque antecedente logico temporale di esso, l'agevolazione notevole aggiunge un quid pluris, richiesto per attribuire la responsabilità ad un soggetto diverso dall'autore materiale. Ritengo che questa specificazione sia più coerente con il criterio della pertinenza del rischio: solo un'attività, che per le sue caratteristiche introduce un rischio maggiore di quello già presente nella collettività, agevola in misura notevole e rilevante ai fini giuridici il verificarsi di un danno che di quel rischio sia realizzazione e giustifica l'attribuzione della responsabilità ad un soggetto, committente (o debitore principale), diverso dall'autore materiale.

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