Codice Civile art. 463 bis - Sospensione dalla successione1Sospensione dalla successione1 [I]. Sono sospesi dalla successione il coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell'unione civile indagati per l'omicidio volontario o tentato nei confronti dell'altro coniuge o dell'altra parte dell'unione civile, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento. In tal caso si fa luogo alla nomina di un curatore ai sensi dell'articolo 528. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il responsabile è escluso dalla successione ai sensi dell'articolo 463 del presente codice. [II]. Le disposizioni di cui al primo comma si applicano anche nei casi di persona indagata per l'omicidio volontario o tentato nei confronti di uno o entrambi i genitori, del fratello o della sorella. [III]. Il pubblico ministero, compatibilmente con le esigenze di segretezza delle indagini, comunica senza ritardo alla cancelleria del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, ai fini della sospensione di cui al presente articolo [1] Articolo inserito dall'articolo 5, comma 1, legge 11 gennaio 2018, n. 4. InquadramentoLa recente l. n. 4/2018, recante: «Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici», ha inserito la disposizione in commento nel Capo III del libro delle successioni, dedicato all'indegnità. Secondo la nuova norma, il coniuge, ovvero «la parte dell'unione civile» (il riferimento è ovviamente alla l. n. 76/2016, che ha riformato il diritto di famiglia introducendo le unioni civili per le coppie dello stesso sesso, da un lato, e la possibilità per le coppie conviventi, indipendentemente dal sesso, di regolare gli effetti patrimoniali della loro convivenza), diremmo per semplificare il «compagno», ove indagati per l'omicidio consumato o tentato, ma comunque volontario, in danno dell'altro componente della coppia, «sono sospesi dalla successione» fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento. Nel caso che operi la «sospensione», si fa luogo alla nomina di un curatore dell'eredità giacente. Viene aggiunto nell'ambito del medesimo comma che, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., il responsabile è escluso dalla successione ai sensi dell'art. 463 c.c. Il precetto posto in correlazione con il pure esso nuovo art. 537-bis c.p.p., secondo il quale «Quando pronuncia sentenza di condanna per uno dei fatti previsti dall'art. 463, il giudice dichiara l'indegnità dell'imputato a succedere». Il secondo comma estende l'applicazione della disposizione al caso dell'omicidio o tentato omicidio, sempre volontario, in danno di genitori, fratelli e sorelle. Si soggiunge infine che il pubblico ministero, compatibilmente con le esigenze di segretezza delle indagini, comunica senza ritardo alla cancelleria del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, ai fini della sospensione prevista dalla norma. Il significato della normaNon è agevole intendere, anzitutto, che cosa il legislatore abbia inteso dire con la formula inedita, espressa in un italiano approssimativo mutuato dal linguaggio burocratico, «Sono sospesi dalla successione», la quale richiama piuttosto l'idea delle fatture e pratiche in sospeso, se non dei carichi sospesi. Difatti, è in prevalenza ritenuto, in generale, che l'indegnità non dia luogo ad una ipotesi di incapacità a succedere, inquadrabile a contrario nella previsione dell'art. 462 c.c., e, cioè, non escluda la delazione ereditaria e la conseguente accettazione, ma consenta agli interessati, attraverso il ricorso al giudice, di rimuovere, a mezzo di una pronuncia costitutiva, il già intervenuto acquisto ereditario, impedendo la conservazione del medesimo in capo all'indegno. In tal senso, nella giurisprudenza della S.C., può richiamarsi, ad esempio, la decisione secondo cui legittimati a chiedere la pronuncia di indegnità possono essere soltanto coloro che potenzialmente sono idonei a subentrare al posto dell'indegno nella delazione ereditaria e quindi i successibili per diritto di rappresentazione e coloro che hanno titolo di subentrare in caso di rinuncia di detti successibili all'eredità (Cass. II, n. 6859/1993). Nello stesso senso, ed anzi in modo ancor più chiaro, è stato detto che l'indegnità a succedere di cui all'art. 463 c.c. pur essendo operativa ipso iure, deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato, atteso che essa non costituisce un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma solo una causa di esclusione dalla successione (Cass. II, n. 5402/2009). Ciò detto, sembra invece che la nuova norma — la qual cosa emerge d'altronde, sia pur confusamente, dai lavori preparatori — postuli una nozione di indegnità in qualche misura eccentrica rispetto a quella che si desume dal precedente art. 463. Difatti, la posizione in commento sembra voler per un verso anticipare automaticamente — e cioè senza che vi sia né una domanda in tal senso, né una pronuncia — gli effetti dell'indegnità già al momento in cui il per ora ipotetico indegno è sottoposto ad indagini preliminari per il delitto di omicidio o tentato omicidio volontario in danno del coniuge o del «compagno» (o del genitore, fratello o sorella), per l'ipotesi che l'assoggettamento ad indagini preliminari abbia poi effettivamente esito nello svolgimento di un processo penale che si concluda con la condanna dell'imputato per tali delitti, e, per altro verso, sottolineare ulteriormente la connotazione pubblicistica della precipua fattispecie di indegnità, destinata ad essere pronunciata non già ad istanza di parte, ma ex officio iudicis, in sede penale, ai sensi del citato art. 537-bis c.p.p., quantunque, cioè, una domanda in tal senso, come si diceva, neppure vi sia. Ora, fatte tali premesse, sembra che il congegno ideato dal legislatore sia volto a far sì che il supposto indegno non possa acquistare affatto la qualità di erede: e dunque che non si debba applicare nei suoi confronti la regola tramandata indignus potest capere sed non potest retinere. E, tuttavia, escluso che la norma introduca un'ipotesi di incapacità a succedere, in mancanza di qualsiasi elemento per sostenere una simile opinione, essa certo non incide sulla delazione ereditaria, per l'ovvia ragione che l'offerta del patrimonio relitto al chiamato si verifica al momento stesso dell'apertura della successione: sicché, quando il pubblico ministero interviene, la delazione ereditaria ha già avuto luogo. Parrebbe dunque da credere che la norma intenda impedire l'accettazione dell'eredità da parte del pur sempre chiamato, nell'arco di tempo ricompreso tra la sottoposizione ad indagini, per effetto dell'iscrizione del presunto omicida, da parte del pubblico ministero, nel registro delle notizie di reato di cui all'art. 335 c.p.p., e la pronuncia dell'archiviazione o della sentenza di proscioglimento. Salvo a non ipotizzare — come si è costretti a fare dinanzi a testi normativi così raffazzonati — che il legislatore, con l'impiego della curiosa formula «sono sospesi dalla successione», non avesse in mente di posticipare la delazione ereditaria al momento in cui è pronunciato il decreto di archiviazione ovvero la sentenza di proscioglimento nei confronti del poveretto incappato in simile marchingegno, il che darebbe luogo ad un fenomeno ignoto al diritto successorio, ove si consideri che finanche la delazione in favore del concepturus opera dall'apertura della successione. Insomma, non sembra che l'idea della posticipazione della delazione ereditaria possa avere attendibilità alcuna. Così stando le cose, sovente la norma non produrrà nessun effetto. E difatti agevole rammentare che l'eredità si acquista sia espressamente, con atto pubblico o scrittura privata ai sensi dell'art. 475 c.p.c., sia tacitamente, a seguito del compimento di atti di erede, secondo la previsione dell'art. 476, sia a mezzo del meccanismo del possesso di beni ereditari protrattosi per tre mesi, secondo quanto prescrive l'art. 485. Va da sé che nulla impedisce l'accettazione pura e semplice dell'eredità da parte dell'ipotetico indegno prima ancora che il pubblico ministero abbia effettuato l'iscrizione nel registro degli indagati, evidente essendo che, a tal punto, la sospensione della successione di cui la norma discorre non ha alcun senso, giacché il procedimento di sospensione, con l'accettazione pura e semplice, si è ormai concluso con la confusione del patrimonio del de cuius con quello dell'erede. Né, d'altra parte, un eventuale provvedimento di sospensione disposto nonostante la già intervenuta accettazione potrebbe dispiegare effetto alcuno nei riguardi degli eventuali terzi acquirenti dall'erede, che, nel frangente ipotizzato, è al momento tale a tutti gli effetti. E ciò induce a soffermarsi altresì sull'eventualità che il sottoposto ad indagini per omicidio o tentato omicidio volontario del coniuge o del «compagno» (o del genitore, fratello o sorella), subisca effettivamente la sospensione della successione, e, nondimeno, effettui alienazioni in favore di terzi, ai quali, in mancanza di una disciplina di pubblicità dell'intervenuta sospensione, sembrerebbe doversi applicare il regime degli acquisti dall'erede apparente. Inoltre, se è vero che la sospensione della successione non incide sulla delazione ereditaria, ma impedisce soltanto l'accettazione da parte del chiamato, resta salva la possibilità che questi eserciti i poteri di cui all'art. 460 c.c., fino al momento in cui non intervenga la nomina del curatore di cui all'art. 528. Ci si può altresì interrogare sul quesito se, una volta intervenuta la sospensione della successione, il chiamato all'eredità, oltre a non poter accettare non possa neppure rinunciare: ma sembra che la facoltà di rinuncia non sia toccata dalla sospensione. Rimane un mistero l'ultimo inciso dell'ultimo comma della disposizione, ove è contemplata la comunicazione dal pubblico ministero al tribunale competente «ai fini della sospensione prevista dalla norma». Non sembra dubbio che il tribunale debba procedere alla nomina del curatore dell'eredità giacente, come meglio si vedrà più avanti. Ma la formula adottata sembra lasciar pensare ad un qualche intervento del tribunale riguardo alla sospensione. Non pare però, per quello che riesce ad intendersi, che il legislatore abbia voluto istituire un procedimento, destinato a svolgersi dinanzi al tribunale dell'aperta successione, volto alla dichiarazione di sospensione della successione nei riguardi dell'indagato a seguito della sottoposizione ad indagini. Le fattispecie di delitto previsteLa norma opera in caso di omicidio volontario. Va evidenziata, poi, l'estensione della disposizione al caso del tentato omicidio. Si può convenire che se l'omicidio è tentato, la successione non si apre, sicché è dunque necessariamente da credere che il legislatore abbia inteso pensare, come del resto nell'art. 463, all'ipotesi che il coniuge o il «compagno» (o il genitore, fratello o sorella) rimasti vittima del tentativo di omicidio, muoiano poi per altra causa. Occorre ancora rimarcare che l'art. 463 prevede l'indegnità per chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale. Quest'ultimo inciso non è richiamato dalla norma in commento, il che comporta la curiosa conseguenza che la sospensione della successione opera anche nei riguardi di chi abbia commesso il fatto in presenza di una causa di esclusione della punibilità. La nomina del curatore dell’eredità giacenteDeve essere sembrata al legislatore una scelta tecnica raffinata quella di richiamare la nomina del curatore di cui all'art. 528. Proviamo allora ad ipotizzare che il marito sia sospettato, e per questo iscritto nel registro degli indagati, di avere ucciso la moglie, con il quale ha avuto due figli. In questo caso, supponendo che la donna sia morta intestata, la sua eredità si devolverà, ai sensi dell'art. 581, per regola generale, per 1/3 in favore di ciascuno dei tre chiamati, marito e figli. Il quesito, in una situazione del genere, è anzitutto se, in presenza della sospensione della successione operante nei confronti del marito-padre, possano accettare l'eredità almeno i figli. Ora, l'accettazione dei figli non sembra possa essere preclusa dalla menzionata sospensione. Ma, secondo l'opinione comunemente accolta, se l'eredità è stata accettata da uno di più chiamati, non si fa luogo alla nomina del curatore dell'eredità giacente, giacché il compito di quest'ultimo è di amministrare un patrimonio momentaneamente acefalo, situazione che non ricorre — salvo casi peculiari che qui non mette conto indagare — nell'ipotesi di accettazione da parte di uno o più chiamati perché, in questo caso, l'erede o gli eredi che hanno accettato amministreranno l'intero anche nell'interesse del chiamato che non abbia accettato e non sia in possesso dei beni ereditari. Il risultato è paradossale, giacché, per effetto della sospensione della successione, nell'esempio fatto, i due figli che abbiano accettato l'eredità della madre uccisa dal padre non potranno amministrare l'intero, per tutto il non breve arco temporale di durata del processo penale. Certo, sembra a chi scrive che debba con certezza escludersi che il curatore dell'eredità giacente possa amministrare (come pure la norma lascia pensare) non solo la quota di spettanza dell'indagato, ma anche quelle degli altri coeredi, i quali, se così fosse, per effetto di una norma pensata a tutela degli orfani, finirebbero per subire oltre al danno la beffa. Resta da dire che la nomina del curatore avverrà d'ufficio da parte del tribunale del circondario dell'aperta successione, una volta ricevuta la comunicazione da parte del pubblico ministero. BibliografiaCariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. c.c. diretto da De Martino, Roma 1981. |