Ritardo nell'assegnazione del credito per colpa del terzo pignorato: il creditore può chiedere gli interessi moratori?

06 Febbraio 2018

La Cassazione si è occupata di stabile se è possibile riconoscere alla condotta tenuta dall'istituto di credito terzo pignorato gli effetti che il codice civile ricollega all'inadempimento del debitore, in particolare mediante la sua automatica costituzione in mora a norma dell'art. 1219, comma 2, n. 2, c.c., con riconoscimento dei relativi interessi, a ristoro del danno sofferto dal creditore procedente a causa dell'intercorso ritardo nella soddisfazione delle sue ragioni.
Massima

Gli eventuali obblighi risarcitori sussistenti in capo al terzo pignorato nei confronti del creditore procedente devono essere accertati nell'ambito di un apposito giudizio ex art. 2043 c.c., e non possono trovare ristoro mediante l'applicazione diretta, all'interno del processo esecutivo pendente, degli artt. 1219, comma 2, n. 2 e 1224 c.c..

Il caso

Nell'ambito di una espropriazione presso terzi, l'istituto di credito terzo pignorato rendeva la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. affermando l'esistenza di due depositi titoli e di un libretto di risparmio al portatore, contestualmente eccependo la sussistenza di un pegno su entrambi tali rapporti a garanzia di un debito del medesimo debitore esecutato. In sede distributiva, il giudice dell'esecuzione riconosceva il pegno a favore dell'istituto di credito solo su una parte dei depositi titoli, assegnando la restante parte e le somme sul libretto di risparmio al creditore procedente. Avverso tale ordinanza l'istituto di credito proponeva opposizione, con sospensione della procedura esecutiva ex art. 512 c.p.c.; la Corte d'appello adita accoglieva parzialmente l'opposizione, escludendo comunque dall'oggetto del pegno il saldo del libretto al portatore. Il creditore procedente riassumeva la procedura esecutiva chiedendo l'assegnazione dell'importo presente sul libretto del portatore, maggiorato degli interessi legali: il giudice dell'esecuzione, con ordinanza ex art. 553 c.p.c., provvedeva effettivamente a riconoscere a tale soggetto un ulteriore importo a titolo di interessi legali maturati dalla data del pignoramento a quella di pubblicazione dell'ordinanza di assegnazione. L'ordinanza veniva opposta dall'istituto di credito ai sensi degli artt. 512 e 617 c.p.c., opposizione accolta dal tribunale di Teramo, il quale dichiarava non dovuto l'ulteriore importo riconosciuto a titolo di interessi legali: in particolare, si rilevava come al creditore procedente spettassero solamente i frutti civili prodotti dalla somma pignorata secondo il rapporto contrattuale esistente tra il debitore esecutato e l'istituto di credito, ma non anche gli interessi legali maturati su detti importi. Avverso tale sentenza il creditore procedente proponeva ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., in particolare denunciando la violazione degli artt. 1219, comma 2, n. 2, e 1224, comma 1, c.c.: sosteneva, infatti, che alla dichiarazione del terzo recante l'eccezione di sussistenza del pegno sulle somme pignorate dovessero essere riconosciuti gli stessi effetti della dichiarazione scritta del debitore di non voler adempiere la propria obbligazione, con conseguente debenza degli interessi moratori (il cui saggio sarebbe stato superiore a quello convenzionalmente pattuito).

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione fonda la soluzione al quesito posto muovendo dall'analisi della disciplina positiva.

Anzitutto, la Corte ricorda come, a norma dell'art. 2912 c.c., il pignoramento comprenda anche i frutti della cosa pignorata, da identificarsi, ex art. 820, comma 3, c.c., negli interessi da capitale laddove l'oggetto del pignoramento sia costituito da una somma di denaro. È indubbio, allora, che l'oggetto del pignoramento presso terzi effettuato dal creditore procedente debba estendersi anche agli interessi maturati sulle somme depositate sul libretto di risparmio, secondo le regole del rapporto contrattuale concluso tra l'istituto di credito, terzo pignorato, e il debitore esecutato. Per converso, si deve escludere che il creditore procedente possa domandare la corresponsione degli interessi moratori maturati in applicazione dei richiamati artt. 1219 e 1224 c.c., e ciò in quanto il terzo pignorato non può essere riguardato come debitore diretto del creditore procedente, almeno finché non abbia avuto conoscenza dell'ordinanza di assegnazione del credito di cui all'art. 553 c.p.c.; gli effetti della costituzione in mora che il creditore procedente vorrebbe riconoscere all'eccezione di sussistenza di un pegno sulle somme oggetto di pignoramento, racchiusa nella dichiarazione ex art. 547 c.p.c., in altri termini, possono prodursi esclusivamente dal momento in cui il terzo pignorato sia da riguardare come debitore diretto del creditore medesimo (e, dunque, dall'acquisita conoscenza dell'ordinanza di assegnazione) e non, come vorrebbe il ricorrente, da un momento precedente.

La Corte aggiunge, poi, come, in ogni caso, la sede esecutiva non sia quella istituzionalmente chiamata ad accogliere le istanze di corresponsione degli interessi moratori ex art. 1219 c.c. connesse a responsabilità addebitabili al terzo pignorato: poiché, infatti, la loro liquidazione implica l'accertamento dell'obbligo in capo al terzo, e il relativo inadempimento, occorre previamente procedere all'esercizio della relativa azione dinanzi al giudice di merito, senza poter avanzare detta richiesta direttamente al giudice dell'esecuzione al momento dell'emissione dell'ordinanza di assegnazione.

Da ultimo, deve essere altresì esclusa la possibilità di configurare, a carico del terzo pignorato che abbia reso una dichiarazione reticente o elusiva, ritardando il momento del soddisfacimento della pretesa del creditore procedente, un'ipotesi di responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., e ciò in quanto, nel momento in cui è chiamato a rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c., tale soggetto non riveste la qualità di parte: a suo carico, in qualità di ausiliario del giudice, può essere configurata esclusivamente una responsabilità ex art. 2043 c.c. in relazione alla lesione provocata al credito altrui ritardandone la soddisfazione.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso affermando che gli obblighi risarcitori del terzo pignorato nei confronti del creditore procedente devono essere accertati nell'ambito di un apposito giudizio ex art. 2043 c.c., e non possono trovare ristoro mediante l'applicazione diretta, nell'ambito del processo esecutivo pendente, degli artt. 1219, comma 2, n. 2), c.c. e 1224 c.c..

Osservazioni

La pronuncia in epigrafe appare condivisibile, e merita di essere ulteriormente precisata nei relativi contenuti.

Da un lato, infatti, la Corte prende in esame i frutti civili che, ex lege, sono compresi nell'oggetto del pignoramento effettuato; nel caso di pignoramento di somme di denaro, essi coincidono con gli interessi da capitale, che in caso di rapporto intercorrente con un istituto di credito, non possono che essere regolati dal contratto stipulato tra l'istituto medesimo e il relativo creditore (ossia il debitore esecutato nell'ambito della procedura espropriativa presso terzi).

Diverso è il discorso relativo agli interessi moratori connessi all'inadempimento, da parte del terzo pignorato, della pretesa del creditore procedente: a tal riguardo, come correttamente rilevato dalla Corte, essi possono prodursi esclusivamente in un rapporto diretto tra creditore e debitore, e dunque, nella procedura esecutiva in esame, soltanto a partire dal momento in cui il terzo pignorato assume la veste di debitore diretto del creditore procedente (momento identificato, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, in quello in cui l'ordinanza di assegnazione viene portata a conoscenza del terzo pignorato: sul punto, Cass. civ., 10 maggio 2016, n. 9690). Nel caso in esame, dunque, la richiesta di corresponsione di interessi moratori avanzata dal creditore procedente nei confronti del terzo pignorato, a ristoro del danno subito per effetto del ritardo nella relativa soddisfazione quale causato dalle lungaggini che hanno interessato la procedura esecutiva, non è apparsa pertinente.

Unico rimedio, dunque, si rivela l'esercizio di una comune azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. promossa nei confronti del terzo pignorato (per la configurabilità di tale responsabilità, Cass. civ., Sez. Un., 18 dicembre 1987, n. 9407; più di recente, Cass. civ., 28 febbraio 2017, n. 5037).

Guida all'approfondimento
  • Arieta-De Santis, L'esecuzione forzata, III, 2, Padova 2007;
  • Montanari, sub art. 547 c.p.c., in Consolo (diretto da), Codice di procedura civile commentato, Milano, 2013.

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