Sull'impugnabilità dell'estratto di ruolo nel processo tributario

06 Febbraio 2018

La Corte di cassazione ha ribadito, con la pronuncia n. 13548/2017, l'orientamento per cui ogni atto che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria è impugnabile avanti al giudice tributario, evidenziando come la facoltà di impugnazione sia retta dalle regole che presiedono al processo tributario di primo grado e, segnatamente, dal canone di tempestività di cui all'art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la cui sussistenza deve essere provata dallo stesso ricorrente (fattispecie di avvenuta impugnativa di atti conosciuti mediante estratto di ruolo).
Il quadro normativo

Risalente è il dibattito, giurisprudenziale e dottrinale, in punto di impugnabilità dei cd. estratti di ruolo – elaborati informatici formati dall'esattore e consegnati su richiesta del contribuente – o, meglio, degli atti conosciuti in forza dei predetti.

Il tema di dettaglio si inquadra – come è noto – nella più lata querelle attinente all'effettiva tassatività dell'elenco degli atti enumerati dall'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 (v., ad es., P. Puri, che li raggruppa sulla base delle funzioni – impositiva, esattiva o di rimborso – che li connotano).

Se la riconduzione del processo tributario nel novero dei giudizi di impugnativa ha indotto a considerare la ‘lista' rigorosamente tassativa, l'opposta scuola di pensiero ha, specularmente, dilatato il novero degli atti impugnabili in forza dei canoni dell'integrazione analogica o dell'interpretazione estensiva, ovvero del principio dell'interesse a ricorrere o, ancora, dei canoni costituzionali sottesi ai diritti di azione e difesa.

L'estratto di ruolo potrebbe, dunque, secondo l'impostazione da ultimo richiamata, essere contestabile sulla base della sua assimilazione, in via ermeneutica, al ruolo o alla cartella di pagamento, oppure in virtù dei richiamati principi processuali (art. 100 c.p.c.; artt. 24 e 113 Cost.).

La pronuncia delle Sezioni Unite n. 19704/2015

Nella materia è intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite n. 19704/2015, che ha espressamente avallato la tesi liberale.

Ferma restando la carenza di interesse ad impugnare l'estratto di ruolo in sé, che è un mero documento informatico, nulla osterebbe all'impugnativa di atti – ruolo e cartella di pagamento – non validamente notificati ma, nondimeno, conosciuti in forza dell'estratto rilasciato dal concessionario.

Quanto detto sarebbe, infatti, immediato corollario del principio dell'interesse a ricorrere di cui all'art. 100 c.p.c. e dei canoni che presiedono ai diritti di azione e difesa in giudizio (artt. 24 e 113 Cost.); ai lumi di questi ultimi dovrebbe leggersi il principio di cui all'art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546/1992 («La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo»), il quale – nell'ottica costituzionalmente orientata – non impedirebbe al contribuente di far comunque, facoltativamente, valere l'invalida notificazione di un atto prima ancora dell'intervenuta notificazione di quello successivo, non essendo ammissibile – in assenza di diritti o interessi di pari rilievo da garantire – ogni differimento o impedimento all'accesso alla tutela giurisdizionale.

La sentenza della Cassazione n. 13584/2017

Nel solco della pronuncia delle Sezioni Unite si colloca la più recente sentenza n. 13584/2017 della Sezione tributaria della Suprema Corte.

L'estratto di ruolo – da intendersi non come documento rappresentativo, ma quale «sostrato sostanziale e contenutistico di atto amministrativo pretensivo riferito ad una specifica posizione soggettiva» – sarebbe impugnabile nel caso di mancata notificazione della cartella di pagamento, nonostante il testuale tenore dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992.

L'impugnazione dovrebbe, tuttavia, rispondere alla disciplina generale che le è propria e, pertanto, anche al requisito di tempestività di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546/1992, la cui sussistenza dovrebbe essere provata dallo stesso ricorrente con riguardo alla data di avvenuta conoscenza dell'atto enunciativo della pretesa tributaria contestata.

Considerazioni conclusive

Dalla pronuncia della Suprema Corte discendono principi che appaiono, nell'orto della ‘ragion pura', condivisibili.

Se è, infatti, vero che l'art. 19 d.lgs. n. 546/1992 enumera atti puntualmente individuati, ciò non significa che, così facendo, intenda categoricamente impedire l'ingresso di provvedimenti non tipizzati (P. Russo, Diritto e processo nella teoria dell'obbligazione tributaria, Milano, 1969, 222; Id., Il nuovo processo tributario, Milano, 1974, 79; E. Capaccioli, La nuova disciplina del contenzioso tributario: le fasi dinanzi alle commissioni di primo e secondo grado, in Il contenzioso tributario, Atti del convegno di San Remo (2-3 marzo 1974), Padova, 1975, 34).

La ‘lista' di cui all'art. 19 si fonda sul dato di esperienza del più frequente ricorrere degli stessi nello scenario degli atti autoritativi; al loro cospetto, viene, pertanto, semplificato l'onere di allegazione e prova dell'interesse ad agire, destinato a sussistere in re ipsa (v. E. Capaccioli, La nuova disciplina del contenzioso tributario: le fasi dinanzi alle commissioni di primo e secondo grado, cit., 42). Gli atti non enumerati gravano, invece, il ricorrente di un più incisivo onere probatorio: non può bastare l'allegazione di un provvedimento rientrante in una delle categorie tipicamente previste, essendo, piuttosto necessaria la specifica dimostrazione dell'esistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale alla demolizione in via giurisdizionale.

A conclusioni siffatte conduce non solo la recente espansione dei limiti esterni (o funzionali: F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, 61) della giurisdizione tributaria (ad es., G. Tabet, Una giurisdizione speciale alla ricerca della sua identità, in Riv. dir. trib., 2009, I, 21 e C. Glendi, Aspetti applicativi delle modifiche apportate al processo tributario, in Corr. trib., 2006, 420 ss.), ma anche e soprattutto la portata precettiva dell'art. 100 c.p.c. – pacificamente applicabile al processo tributario – e, prima ancora, il diritto di azione e difesa, insofferente a limitazioni non giustificate da principi di pari rango.

Ineccepibile è, in parte qua, la pronuncia in commento, come è pure, in linea di principio, incontestabile laddove afferma che l'impugnativa dell'atto non tipizzato debba essere assoggettata all'ordinario termine di sessanta giorni, decorrente dall'avvenuta conoscenza del medesimo (fermo restando che è la p.a. a dover dimostrare la tardività del ricorso – ad es., Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 747).

É, tuttavia, necessario chiedersi se, sul piano della ‘ragion pratica', un mero estratto di ruolo identifichi una pretesa tributaria certa, idonea a radicare un interesse a ricorrere diretto, concreto ed attuale e se, in difetto di un'effettiva conoscenza dell'atto da impugnare (comprensivo dei “presupposti di fatto” e delle “ragioni giuridiche” di cui all'art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212), vi siano i presupposti per parlare di ‘decadenze'. L'interesse dipende, infatti, dall'esternazione di definite pretese fiscali (v. la stessa giurisprudenza tributaria, secondo cui sono impugnabili gli atti non autoritativi che si appalesino «idonei a portare a conoscenza i presupposti di fatto e le ragioni in diritto della pretesa impositiva o del diniego del diritto vantato dal contribuente» – ad es., Cass. civ., sez. trib., 6 novembre 2013, n. 24916) ed il termine decadenziale dalla piena conoscenza dell'atto da gravare (v., sul punto, Cons. Stato, sez. III, 17 marzo 2017, n. 1212: «la conoscenza dell'atto, per essere idonea a comportare la decorrenza del termine decadenziale, deve essere necessariamente piena, di modo che non è sufficiente che l'interessato sappia soltanto dell'esistenza dell'atto, ma è altresì indispensabile che questo sia accessibile e conoscibile nella sua interezza, ovvero anche con riguardo alle motivazioni che hanno portato all'adozione dell'atto»; nello stesso senso, v., del resto, la soluzione adottata, in materia di contratti pubblici, dal recentissimo Decreto Correttivo, all'art. 29, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50: «Il termine per l'impugnativa di cui al citato art. 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione»). L'estratto di ruolo contiene, invece, i soli, generici estremi di ruoli e cartelle di pagamento. Se un effettivo interesse a ricorrere sussista e se, comunque, possa parlarsi di ‘onere' di impugnativa nel termine ex art. 21 d.lgs. n. 546/1992 va, dunque, caso per caso, stabilito, sulla base del reale atteggiarsi della fattispecie concreta. Come pure va stabilito – questa volta da parte dei difensori – se realmente convenga impugnare un atto prima della sua rituale notificazione o se non sia, piuttosto, preferibile consigliare agli assistiti di “quieta non movere”.

Guida all'approfondimento
  • D. Cané, Sulla impugnabilità, nel processo tributario, di atti non notificati, in Giur. it., n. 8-9/2016, 1983;
  • G. Fransoni, Spunti ricostruttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, in Riv. dir. trib., n. 11/2012, 979;
  • A. Giordano, Giurisdizione tributaria e atti impugnabili. La Cassazione ridisegna i confini, in Giur. it., n. 8/2009, 2057;
  • C. Glendi, Aspetti applicativi delle modifiche apportate al processo tributario, in Corr. trib., 2006, 419;
  • P. Puri, Riflessioni sul profilo oggettivo dei limiti interni della giurisdizione tributaria, in Dir. e prat. trib., n. 3/2017, 1027;
  • G. Tabet, Una giurisdizione speciale alla ricerca della sua identità, in Riv. dir. trib., 2009, I, 21;
  • F. Tesauro, Il processo tributario tra modello impugnatorio e modello dichiarativo, in Rass. trib., n. 4/2016, 1036.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario