Le disposizioni sulle distanze non sono applicabili alle canne fumarie

Gianluigi Frugoni
06 Febbraio 2018

Il Supremo Collegio ribadisce l'orientamento secondo cui l'art. 889, comma 2, c.c. si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e non è applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie, le quali...
Massima

La distanza di almeno un metro dal confine che l'art. 889, comma 2, c.c. prescrive per l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo del vicino, in relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni. Detta norma, pertanto, non è applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a quella del camino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all'art. 890 c.c. e, quindi poste alla distanza fissata dai regolamenti locali.

Il caso

La causa prendeva le mosse dalla domanda proposta da un condomino contro altri condomini proprietari di una unità immobiliare vicina affinché fossero condannati a rimuovere le opere di ampliamento del loro fabbricato ed a rimuovere delle canne fumarie sul presupposto che queste ultime erano state realizzate a distanza irregolare.

La domanda veniva accolta in primo grado e confermata in sede di gravame, per cui la Corte d'Appello condannava i convenuti a rimuovere tutte le canne fumarie realizzate.

Per quel che rileva in questa sede, il giudice distrettuale aveva respinto il gravame osservando che camini e canne fumarie erano stati posti a distanza non legale o addirittura appoggiati al confine restando irrilevante l'assunto che il loro collocamento costituisse una «posizione tecnica indispensabile».

La decisione della Corte d'Appello era stata impugnata avanti la Corte di Cassazione per violazione dell'art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra fatto e pronunciato.

I ricorrenti avevano denunciato che la Corte territoriale non avesse risposto alla doglianza relativa al fatto che non fosse emersa alcuna violazione specifica di carattere tecnico o civilistico ed alla doglianza che la costruzione delle canne fumarie fosse consentita dai regolamenti locali.

La questione

Le canne fumarie non sono menzionate dalle norme del codice civile che dispongono in materia di distanze.

Nel caso in esame, si deve quindi fare ricorso all'analogia e rinvenire quali siano le specifiche norme che possano ritenersi applicabili a tali manufatti.

Due sono in particolare le norme che possono secondo una sommaria disamina accostarsi alle canne fumarie, l'art. 889, comma 2, c.c. (distanze per la realizzazione di tubi) e l'art. 890 c.c. (distanze per la fabbricazione di camini).

I ricorrenti avevano censurato la decisione della Corte di merito perché non aveva qualificato giuridicamente la fattispecie e non aveva individuato la corretta norma da applicare, quanto alle distanze che devono essere osservate per le canne fumarie.

La Corte di Cassazione, chiamata a verificare se il giudice di secondo grado avesse violato l'art. 112 c.p.c., ha accolto il ricorso in riferimento a questo motivo di censura.

Le soluzioni giuridiche

Il Supremo Collegio ha osservato che esiste un preciso orientamento secondo il quale la distanza di almeno un metro dal confine che l'art. 889, comma 2, c.c. prescrive, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo del vicino, in relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni.

Ha, quindi, ribadito che detta norma non è applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie perché esse hanno una funzione diversa dai beni elencati dall'art. 889 c.c.

In particolare, le canne fumarie hanno una funzione identica a quella dei camini (posto che servono quali parti accessorie agli stessi o di impianti similari come le caldaie, per convogliare ed evacuare i prodotti della combustione).

Esse vanno quindi soggette alle distanze stabilite dall'art. 890 c.c. previste per i camini (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 1994, n. 10652).

Come ha osservato una risalente giurisprudenza, onde comprendere meglio il rapporto sussistente tra le due norme e per stabilire se un'opera ivi non menzionata debba osservare la distanza stabilita dall'art. 889 c.c. o dell'art. 890 c.c., deve aversi riguardo alla caratteristica del «contenuto» e non del «contenente» (Cass. civ. n. 1814/1963).

Dunque, per applicare l'una o l'altra disposizione al caso concreto, non è essenziale soffermarsi sul nomen dell'impianto o del manufatto, siano essi tubi, condutture, camini o fabbriche di altra natura, ma sulla sua funzione in relazione:

a) al flusso o fluido che vi scorre all'interno (acqua, gas, fumo, vapore, ecc.),

b) alla costanza o saltuarietà di scorrimento del flusso stesso,

c) alla tipologia di pregiudizio che esso possa arrecare alla proprietà vicina, (limitato ad una semplice trasudazione o infiltrazione esteso sino alla sua nocività o pericolosità).

La costanza e la continuità del flusso corrente nelle condutture in genere, unite ad un semplice pregiudizio di trasudazione ed infiltrazione, costituiscono i presupposti per l'applicazione dell'art. 889, comma 2, c.c. (è costante e continuo il passaggio dell'acqua o del gas nelle condutture che li contengono) ma se il flusso ivi “contenuto” (fumi e gas) costituisce il prodotto di evacuazione di un camino o di un impianto avente la stessa funzione (ad esempio, caldaia, stufa ecc.), e possa essere anche nocivo o pericoloso, il manufatto, riguardo alle distanze, ricade sotto la disposizione dell'art. 890 c.c.

La Suprema Corte ha, pertanto, correttamente stabilito che le canne fumarie sono soggette alla applicazione dell'art. 890 c.c. e, quindi, alle distanze stabilite dai regolamenti locali.

Rilevando che la disciplina dell'art. 890 c.c. imponeva alla Corte d'Appello di esaminare i regolamenti locali individuandone la portata e riportarla al caso di specie, la decisione impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte di merito per il riesame.

Osservazioni

Da tempo, esiste un ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale sull'applicazione delle norme in materia di distanze legali negli edifici in condominio.

Si discute intorno ai rapporti tra la normativa condominiale e quella relativa ai rapporti di vicinato.

Il fatto che le norme sulle distanze siano state previste in relazione ai fondi vicini, rende evidente come sia difficile applicarle alle proprietà singole site in un edificio in condominio, ove non vi sono fondi e, neppure costruzioni architettonicamente separate, facendo parte le proprietà esclusive di un complesso edilizio unitario.

Nel caso di opere eseguite dal condomino sulle parti comuni in vicinanza a delle proprietà esclusive (in particolare, alle vedute, balconi, terrazzi, lastrici solari, ecc.), le norme in materia di distanze possono porsi in contrasto con l'art. 1102 c.c.

Tale disposizione consente al condomino di apportare alla cosa comune le modificazioni necessarie per il suo miglior godimento, il cui limite non è costituito dall'osservanza di determinate distanze dalle proprietà esclusive, ma dal fatto di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso.

Non v'è dubbio che l'opera realizzata da un condomino su una parte comune possa pregiudicare l'altrui proprietà esclusiva quando essa interferisca con le modalità di godimento della stessa.

In materia di canne fumarie, in ordine alla risoluzione di tale possibile contrasto, vari sono stati i contributi della Suprema Corte.

Circa il rispetto delle vedute, Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2014, n. 4936, ha precisato che, quando il proprietario di una unità immobiliare del piano attico agisca in giudizio per ottenere l'ordine di rimozione di una canna fumaria posta in aderenza al muro condominiale e a ridosso del suo terrazzo, la liceità dell'opera, realizzata da altro condomino, deve essere valutata dal giudice alla stregua di quanto prevede l'art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non rilevando, viceversa, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c., sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, atteso che la canna fumaria non è una costruzione ma un semplice accessorio di un impianto.

Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2014, n. 14822, ha affermato che le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell'art. 889 c.c., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari in condominio soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali.

Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1981, n. 3105, escludendo l'applicazione dell'art. 889 c.c. in ordine all'installazione di una canna fumaria lungo il muro perimetrale dell'edificio condominiale, al fine della realizzazione di un impianto di riscaldamento, ha invece affermato che negli edifici condominiali, le norme sulle distanze legali non possono trovare applicazione nei rapporti fra proprietà singole e beni comuni (a tutti i condomini o ad alcuni soltanto di essi) e non sono applicabili neppure nei rapporti fra proprietà singole allorché il rispetto di esse non sia compatibile con la concreta struttura dell'edificio e il condominio utilizzi una parte comune di questo a favore della sua unità immobiliare, ai sensi dell'art. 1102 c.c., per realizzare impianti indispensabili per un'effettiva abitabilità del suo appartamento secondo le esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene (nel qual caso vanno peraltro sempre rispettate sia la destinazione del bene comune sia il diritto di pari utilizzazione degli altri condomini e non vanno pregiudicati la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell'edificio).

Bastano queste poche decisioni per comprendere come il dibattito sia complesso, demandandosi la soluzione della applicazione o meno della norma sulle distanze ad un giudizio di compatibilità con la particolare e concreta struttura dell'edificio condominiale ed all'indispensabilità dell'opera.

Peraltro, vi è chi osserva che le due discipline operano su piani diversi; in realtà non dovrebbe porsi alcun problema di conflitto tra le norme sulle distanze e l'art. 1102 c.c., in quanto le prime, sembrano presupporre l'esistenza di due fondi distinti (intesi come appezzamenti di terreno o edifici) e non potrebbero applicarsi nei rapporti tra i condomini, in conseguenza della diversa struttura dell'edificio comune, dovendo trovare quindi applicazione esclusivamente l'art. 1102 c.c.

La decisione in commento non affronta la questione sull'eventuale contrasto in àmbito condominiale tra l'art. 890 c.c. e l'art. 1102 c.c.

Né tale questione specifica è stata affrontata dalle altre decisioni che si sono occupate dell'applicazione dell'art. 889, comma 2, c.c. e non dell'art. 890 c.c.

Non vi è ragione, tuttavia, per non ritenere che gli orientamenti sviluppatisi in ordine all'art. 889 c.c. in tema di giudizio di compatibilità possano trovare applicazione anche in riferimento all'art. 890 c.c., laddove il condomino confinante contesti che l'installazione della canna fumaria sul muro perimetrale comune, violi quanto dispone il regolamento locale in tema di distanze.

La questione però si complica se si esaminano le norme in materia di sicurezza, dovendosi operare una riflessione anche in tema di gerarchia delle fonti.

L'art. 5, comma 9, del d.p.r. n. 412/1993, come modificato dal d.l. n. 102/2014, stabilisce che gli impianti termici installati successivamente al 31 agosto 2013, devono essere collegati ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione, con sbocco sopra il tetto dell'edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente.

La norma ammette una deroga al comma 9-bis, ovvero la possibilità di scaricare a parete (tramite l'installazione di canne fumarie) nei casi in cui si proceda:

a) alla sostituzione di generatori di calore individuali esistenti, già aventi scarico a parete o in canna collettiva ramificata;

b) qualora lo scarico a tetto risulti incompatibile con norme di tutela degli edifici oggetto dell'intervento, adottate a livello nazionale, regionale o comunale;

c) qualora il progettista attesti ed asseveri l'impossibilità tecnica a realizzare lo sbocco sopra il colmo del tetto;

d) quando si proceda alle ristrutturazioni di impianti termici individuali già esistenti, siti in stabili plurifamiliari, qualora nella versione iniziale non dispongano già di camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione con sbocco sopra il tetto dell'edificio, funzionali e idonei o comunque adeguabili all'applicazione di apparecchi a condensazione;

e) qualora vengano installati uno o più generatori ibridi compatti, composti almeno da una caldaia a condensazione a gas e da una pompa di calore e dotati di specifica certificazione di prodotto.

Il successivo comma 9-quater prevede l'obbligo a carico dei comuni di adeguare i propri regolamenti alle disposizioni di cui ai commi 9, 9-bis e 9-ter.

Alcuni Comuni non risultano ancora aver adeguato i propri regolamenti edilizi o d'igiene, e qualcuno di essi prevede addirittura un divieto di scarico a parete dell'impianto termico e conseguentemente non è ammessa la realizzazione di canne fumarie sui muri perimetrali comuni dell'edificio condominiale.

Su tali divieti è recentemente intervenuto il T.A.R. Lombardia, sez. III, 13 settembre 2017 n. 1808, il quale ha stabilito che, nei casi in cui lo scarico dei fumi di una caldaia debba essere oggetto di adeguamento e, che, in base all'art. 5, comma 9-bis, del d.p.r. n. 412/1993, possa ricorrere uno dei casi di deroga con scarico a parete, laddove il Regolamento locale d'igiene sia in contrasto con tale normativa, discende l'obbligo della sua disapplicazione, trattandosi di norma comunale contrastante con norma di legge (in tema di disapplicazione dei regolamenti si rinvia, ex plurimis, a Cons. Stato, sez. VI, 14 luglio 2014, n. 3623).

Peraltro, i regolamenti locali possono anche non prevedere norme sulle distanze in tema di rapporti di vicinato. In tal caso soccorre l'ultimo comma dell'art. 890 c.c. secondo il quale, in mancanza di regolamenti, devono osservarsi quelle distanze necessarie a prevenire i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.

Quanto al rinvio contenuto nell'ultimo comma dell'art. 890 c.c., si evidenzia che la norma tecnica nazionale in materia di sicurezza d'impianti a gas per uso domestico UNI 7129 (recepita, ai sensi della l. 6 dicembre 1971, n. 1083, dal d.m. 13 agosto 2009), prescrive distanze specifiche che devono essere osservate per l'installazione delle canne fumarie avuto riguardo alle vedute ai terrazzi, ai balconi, al suolo ed alle gronde dell'edificio, nonché prevede delle zone murarie di rispetto.

Coordinando la norma tecnica in materia di sicurezza con l'art. 1102 c.c., appare difficile che possa oggi invocarsi l'orientamento espresso da Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1981, n. 3105, e che quindi si possa sostenere l'incompatibilità delle norme sulle distanze (di cui alla norma tecnica citata) in riferimento all'art. 1102 c.c.

Pertanto, il condomino che sfrutti un muro comune per installare una canna fumaria, o per scaricare a parete, indipendentemente dai limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c., dovrà comunque osservare le zone di rispetto e le distanze di cui alla norma UNI 7129 e ciò per il richiamo di chiusura contenuto nell'ultimo comma dell'art. 890 c.c. ove si obbliga ad osservare quelle distanze che fossero necessarie ai fini della sicurezza.

La valutazione di tali distanze attiene ad un accertamento tecnico che la norma Uni 7129, recepita dalla legislazione nazionale, già contiene.

La norma tecnica, in questo caso, per come recepita, risolvendosi i dubbi che possa o meno assurgere al rango di norma di legge, costituisce comunque un parametro obiettivo di valutazione ai fini dell'ultimo comma dell'art. 890 c.c. in assenza di disposizioni regolamentari comunali in materia di distanze.

Guida all'approfondimento

Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 192;

De Tilla, Sulla legittimità della installazione della canna fumaria, in Riv. giur. edil., 2014, fasc. 4, 776;

De Tilla, Sulla legittimità della collocazione di una canna fumaria sul muro condominiale, in Riv. giur. edil., 2012, fasc.2, 325;

Triola, Condominio e distanze legali, in Giust. civ, 1995, fasc. 3, 665.

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