Rifiuto con codici a “specchio”: rimessa la questione alla Corte di Giustizia

07 Febbraio 2018

Con ordinanza del 27 luglio 2017, n. 37460 la terza Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso – a seguito delle impugnazioni presentate avverso tre distinti provvedimenti del tribunale del riesame di Roma nel contesto di un complesso procedimento penale che vede coinvolti oltre trenta indagati, tra gestori di una discarica, responsabili delle società conferenti i rifiuti, professionisti e ...
Abstract

Con ordinanza del 27 luglio 2017, n. 37460 la terza Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso – a seguito delle impugnazioni presentate avverso tre distinti provvedimenti del tribunale del riesame di Roma nel contesto di un complesso procedimento penale che vede coinvolti oltre trenta indagati (tra gestori di una discarica, responsabili delle società conferenti i rifiuti, professionisti e responsabili di laboratori di analisi), nei confronti dei quali viene ipotizzato tra l'altro il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ai sensi dell'art. 260 d.lgs. 152/2006, concretizzandosi, secondo la tesi accusatoria, nel conferimento, presso discarica autorizzata per rifiuti non pericolosi, di rifiuti trattati con voci speculari, classificati come non pericolosi in forza di analisi quantitative e qualitative non esaustive, fornite con la consapevolezza della loro parzialità, da diversi laboratori – gli atti del procedimento alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 267 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al fine di chiarire le concrete modalità operative della classificazione dei rifiuti.

Si è al cospetto di una importante svolta per la soluzione di un grave problema interpretativo di normativa comunitaria e nazionale in materia di classificazione dei rifiuti pericolosi "con voce a specchio".

La controversia interpretativa ultradecennale relativa alla caratterizzazione dei rifiuti con codici a specchio

In estrema sintesi, è necessario ricordare l'entrata in vigore (1°gennaio 2002) della decisione del 31 maggio 2000, n. 532 della Comunità europea, ove è pubblicato un nuovo elenco di rifiuti pericolosi, distinguibili da quelli non pericolosi mediante un asterisco (c.d. codici a specchio) ed è previsto che, ove la pericolosità derivi dalle sostanze pericolose in esso contenute, sarà necessaria un'analisi per accertare se tali sostanze superino i limiti stabiliti.

La giurisprudenza del Supremo Collegio (Cass. pen., Sez. III, 9 aprile 2008, n. 14750) ha così interpretato la normativa comunitaria: «Quindi esistono due tipi di rifiuti pericolosi: 1) quelli contrassegnati con l'asterisco che sono tout court pericolosi senza alcun riferimento espresso alla sostanza pericolosa in esso contenuta; 2) quelli considerati pericolosi sub condicione, ossia quelli individuati come pericolosi mediante il riferimento alla sostanza contenuta. In tal caso esso è considerato pericoloso solo se la sostanza pericolosa raggiunge determinate concentrazioni». Di qui la conclusione che «sarà necessaria un'analisi per verificare se tali sostanze superino i limiti stabiliti».

Tuttavia, sin dalla nota di Arpa Lazio del 10 agosto 2005 veniva articolata una interpretazione molto restrittiva della citata decisione comunitaria, a tenore della quale, si è affermato che:

  1. il Cer (codice europeo dei riufiuti) del rifiuto non pericoloso rispetto a quello pericoloso è sempre un Cer residuale;
  2. conseguentemente, si presenta come una declassificazione rispetto a quello pericoloso (con asterisco);
  3. dunque, essa è consentita solo se siano state effettuate dal produttore o dal detentore del rifiuto analisi "esaustive";
  4. in altri termini, quest'ultimo tipo di prova, per essere tale, deve coprire sino al 99,9% di tutti i componenti del rifiuto;
  5. in difetto di tale prova, il rifiuto si presume pericoloso.

Si sottolinea, peraltro, che soltanto con l'entrata in vigore del d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (25 dicembre 2010) è stata inserita nell'allegato D al testo unico ambientale del 2006, una introduzione, che ha riproposto testualmente la decisione della Commissione 2000/532/Ce del 3 maggio 2000.

Alla stregua del tenore letterale di quest'ultima, come riportata anche nella direttiva del Ministero dell'ambiente del 9 aprile 2002, si è riacceso il dibattito in dottrina e in giurisprudenza, proseguito nelle fasi successive della vicenda legislativa, italiana e comunitaria, rispetto a quella sin qui richiamata.

La regolamentazione europea in materia di classificazione dei rifiuti è stata riformata all'indomani del regolamento Ue 1357 del 18 dicembre 2014, che ha sostituito, a decorrere dal 1° giugno 2015, l'allegato 3 della direttiva 2008/98 in relazione alle proprietà di pericolo dei rifiuti (da H1 ad H15)2 e della decisione 2014/955/Ue, che ha apportato modifiche alla decisione 2000/532/Ce relativa all'elenco dei rifiuti, sopprimendo gli articoli 2 (caratteristiche di pericolo dei rifiuti) e 3 (procedura con cui gli Stati membri possono qualificare come pericoloso un rifiuto) e (sostituendo l'allegato con l'elenco dei rifiuti).

L'allegato alla decisione commissione Ue 2014/955/Ue prevede la procedura da adottare onde individuare il Cer da attribuire ad un rifiuto.

I diversi tipi di rifiuti inclusi nell'elenco sono definiti specificatamente mediante il codice a sei cifre per ogni singolo rifiuto e i corrispondenti codici a quattro e a due cifre per i rispettivi capitoli.

I rifiuti contrassegnati da un asterisco (*) nell'elenco di rifiuti sono considerati rifiuti pericolosi ai sensi della direttiva 2008/98/Ce, a meno che non si applichi l'articolo 20 di detta direttiva.

All'art. 2 dell'allegato citato (classificazione di un rifiuto come pericoloso) si prevede che ai rifiuti cui potrebbero essere assegnati codici di rifiuti pericolosi e non pericolosi (c.d. voci a specchio), si applicano le seguenti disposizioni che nella traduzione italiana così recitano: «l'iscrizione di una voce nell'elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/Ce. La valutazione della caratteristica di pericolo HP 9 “infettivo” deve essere effettuata conformemente alla legislazione pertinente o ai documenti di riferimento negli Stati membri. Una caratteristica di pericolo può essere valutata utilizzando la concentrazione di sostanze nei rifiuti, come specificato nell'allegato III della direttiva 2008/98/Ce o, se non diversamente specificato nel regolamento (Ce) n. 1272/2008, eseguendo una prova conformemente al regolamento (Ce) n. 440/2008 o altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale, tenendo conto dell'articolo 7 del regolamento (Ce) n. 1272/2008 per quanto riguarda la sperimentazione animale umana».

A partire dal 18 febbraio 2015, data di entrata in vigore della legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116 (del d.l. 24 giugno 2014, n. 91), che ha inserito con l'art. 13, lett. b-bis), un'articolata premessa di sette commi nell'Allegato D del Tua, si è ritenuto, dai sostenitori dell'interpretazione restrittiva della normativa comunitaria (e italiana), che l'originaria impostazione trovasse puntuale conferma, in specie, nel disposto dei commi 5 e 6 della indicata premessa, in puntuale applicazione del principio fondamentale di precauzione, ex art. 178 Tua, richiamato nel comma 5.

Tale fase si poteva ritenere conclusa alla data del 31 maggio 2015, ultimo giorno di vigenza della decisione 2000/532/Ce.

Il dibattito è entrato, infine, in una terza fase, dal 21 giugno 2017, data di entrata in vigore (ex art. 17) dell'art. 9, comma 1, del d.l. 20 giugno 2017, il quale ha disposto la sostituzione dei numeri da 1 a 7 della citata premessa all'All. D), Parte IV del Tua, con la seguente formula testuale: «1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente Cer ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/Ue e nel regolamento (Ue) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014, nonché nel regolamento (Ue) 2017/997 del Consiglio, dell'8 giugno 2017».

Il rinvio diretto alla disciplina comunitaria non ha tuttavia risolto i dubbi interpretativi gravanti sulle corrette modalità operative di classificazione dei rifiuti aventi codici a specchio, la cui definitiva individuazione potrebbe finalmente delimitare il confine di liceità della gestione di molte tipologie di rifiuti.

Il problema, ancora attuale, è infatti quello di definire quale sia la corretta interpretazione del punto 2 della voce Valutazione e classificazione dell'allegato alla decisione 2014/955/Ue, nella parte in cui stabilisce che «ai rifiuti cui potrebbero essere assegnati codici di rifiuti pericolosi e non pericolosi, si applicano le seguenti disposizioni: - l'iscrizione di una voce nell'elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a “sostanze pericolose”, è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/Ce [...]».

Gli orientamenti sul tappeto

In assenza di una normativa puntuale e/o di pronunce significative sul tema, si sono sviluppati diversi orientamenti interpretativi (in argomento, G. GALASSI,, La classificazione delle voci a specchio e il criterio della esaustività dell'analisi: dallo scontro in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno, in ambientelegaldigesta.it).

Secondo un primo filone – c.d. tesi della probabilità –, in base al principio dello sviluppo sostenibile, la pericolosità del rifiuto andrebbe verificata attraverso analisi mirate, idonee e pertinenti rispetto al processo produttivo dal quale il rifiuto ha tratto origine, sulla base di «linee guida tecniche e [...] informazioni disponibili sull'origine e la provenienza del rifiuto, ricercando un set ragionevole di analisi» (V. GIAMPIETRO, Aggiornamenti comunitari e confusione nazionale nella classificazione dei codici a specchio, in Ambiente&Sviluppo, 2015, 5, 277 e ss.).

Si ritiene così, stante la prevalenza della fonte europea, che i criteri stringenti e le presunzioni dell'art. 5 e 6 della normativa nazionale debbano ritenersi superati e si affermerebbe quale criterio generale (desunto dalla lettura della fonte europea) dello svolgimento delle analisi la ricerca caso per caso dell'effettiva natura del rifiuto (parametro di opportunità) all'esito di una attività a contenuto valutativo e caratterizzata da discrezionalità tecnica (pertinenza implicherebbe criteri coerenti con i cicli produttivi). Si è anche affermato che la decisione 2014/955/Ce avrebbe «spazzato finalmente via da quel giorno tutto quanto sciaguratamente introdotto dall'art. 13 del d.l. 91/2014, conv. nella l. 116/2014, alla luce del notissimo principio per cui tali normative europee non solo sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri, ma anche prevalenti rispetto a tutte le altre eventuali disposizioni normative dei medesimi stati» (S. MAGLIA, Così parlò Normattiva, in Tuttoambiente.it, 22 marzo 2017).

Le nuove disposizioni comunitarie stabilirebbero, pertanto, criteri per la qualifica del rifiuto e accertamenti sulla effettiva composizione, usando locuzioni quali opportuno, proporzionato e pertinenti e non si menzionerebbe alcuna presunzione di pericolosità.

Si profila, pertanto, un orientamento c.d. probabilistico che propende per ritenere che, in caso di voci a specchio, per verificare la pericolosità di un rifiuto sarebbe impossibile accertare analiticamente la presenza di tutte le migliaia di sostanze pericolose esistenti e determinarne la concentrazione e, quindi, si limita l'indagine alle sole sostanze che con più elevato livello di probabilità potrebbero essere presenti nel rifiuto in relazione al processo produttivo dal quale origina il rifiuto stesso (G. Galassi,, La classificazione delle voci a specchio e il criterio della esaustività dell'analisi: dallo scontro in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno, cit.).

Tale interpretazione, condivisa dal tribunale di Roma, sembrerebbe confermata dalla relazione del 30 gennaio 2017 della Regione Lazio predisposta in occasione del sequestro, dalla nota 26 gennaio 2017 e dalla nota prot. 11845 del 28 settembre 2015 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dal parere del Consiglio di Stato in sede consultiva, reso nell'adunanza del 7 maggio 2015. Poiché le espressioni opportuna e pertinenti contenute nella decisione 2014/955/Ue, riferite a voci speculari, ammetterebbero la possibilità di operare con una certa discrezionalità nella valutazione della pericolosità del rifiuto – in quanto tale caratteristica andrebbe verificata attraverso la ricerca di composti ritenuti inerenti il processo produttivo –, tale lettura avrebbe chiaramente il pregio di circoscrivere, sulla base di una preliminare valutazione, l'ambito delle verifiche analitiche richieste, dall'altro tuttavia lascerebbe ampia discrezionalità in capo al produttore circa la tipologia ed entità delle verifiche da svolgere per classificare un determinato rifiuto, potendo conseguentemente portare a ingiustificate disparità sul piano operativo.

In conclusione, si ritiene che le analisi per essere ritenute sufficientemente esaustive debbano essere effettuate con lo stesso criterio utilizzato per la classificazione cioè quello che prende in considerazione il ciclo produttivo. Su queste basi, si deve accertare la presenza (e le percentuali) delle sostanze pericolose potenzialmente presenti in quel particolare ciclo produttivo (G. GALASSI, La classificazione delle voci a specchio e il criterio della esaustività dell'analisi: dallo scontro in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno, cit.).

E si specifica, inoltre, che qualora il produttore proponga la riCerca di determinate sostanze sulla base del processo produttivo che ha generato quel particolare rifiuto, colui che vorrà contestare tale scelta avrà l'onere probatorio di dimostrare che, in realtà, era ipotizzabile la presenza di altre sostanze (S. MAGLIA, I rifiuti pericolosi e le voci a specchio: come classificarli correttamente? in lex ambiente del 28 febbraio 2014).

Secondo il diverso e contrastante filone interpretativo – c.d. tesi della certezza (G. Amendola, “Codici a specchio: arriva il partito della scopa”in industrieambiente.it, 2017). In favore della tesi delle Certezza (esaustività delle analisi e presunzione di pericolosità) anche M. SANNA, Classificazione dei rifiuti e Codici Cer, in Industrieambiente.it, 2014.) –, basato sul principio di precauzione, la pericolosità del rifiuto sarebbe presunta ab origine e potrebbe essere esclusa solo mediante analisi dimostrative dell'assenza del pericolo. Conferme circa la bontà dell'interpretazione deriverebbero dal manuale tecnico del Regno Unito del 2003 Hazardous waste, Interpretation of the definition and classification of hazardous waste (Technica Guidance WM2), da un documento preparatorio della Commissione europea del 15 giugno 2015 Guidance document on the definition and classification of hazardous waste - Draf version from 15 June 2015 e dal rapporto 4 febbraio 2016 per il Ministero dell'ecologia francese MEDDE Classification réglementaire des déchets. Guide d'application pour la caractérisation e dangerosité.

Il termine opportuna riportato nella decisione 2014/955/Ue andrebbe quindi interpretato nel senso di appropriata, in conformità ai corrispondenti termini contenuti nelle versioni in inglese e francese della direttiva (rispettivamente, appropriate e appropriée), il cui significato escluderebbe una certa discrezionalità nella valutazione della pericolosità del rifiuto.

Si afferma, così, che la decisione 2014/955/Ue ha Certamente sostituito l'elenco dei rifiuti, ma questo non comporterebbe l'automatica eliminazione dell'allegato D.

La normativa comunitaria – si contesta – prevarrebbe su quella nazionale non quando quest'ultima sia non coincidente, ma solo qualora sia incompatibile. Muovendo dalla lettura del testo base (francese ed inglese) della decisione 2014/955 nonché della Guidance document on the definition and classification of hazardous waste from 8 June 201” si critica la tesi contraria, opponendo la mancanza di qualsiasi nuovo elemento di discrezionalità e riferimento al processo produttivo derivante dalla terminologia comunitaria. Si conclude per la compatibilità e perfino sincronia delle disposizioni nazionali con quelle comunitarie.

Si enuclea, pertanto, un opposto filone c.d. della certezza, che postula la conoscenza certa della composizione del rifiuto quale unica sistematica per valutare se siano presenti sostanze pericolose specifiche o generiche e conseguentemente se il rifiuto stesso possieda o meno caratteristiche di pericolo.

Un rifiuto, quindi, potrà essere considerato non pericoloso solo se la verifica avrà dato esito negativo, altrimenti sarà presunto quale pericoloso. E si critica la tesi contraria dicendo che, senza un supporto analitico adeguato, si tenderebbe solo ad affermare per il rifiuto una presunzione di non pericolosità (G. GALASSI, La classificazione delle voci a specchio e il criterio della esaustività dell'analisi: dallo scontro in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno, cit.).

In sostanza, la teoria della certezza afferma che l'analisi è esaustiva solo qualora si estenda a tutte le possibili sostanze pericolose presenti in un rifiuto mentre la tesi probabilistica ritiene inapplicabile tale metodologia e propone una limitazione alle sostanze pericolose potenzialmente presenti in relazione al ciclo produttivo del rifiuto (G. GALASSI, La classificazione delle voci a specchio e il criterio della esaustività dell'analisi: dallo scontro in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno, cit.).

Tale orientamento, sicuramente improntato ad una gestione dei rifiuti più cautelativa, appare tuttavia trasformare l'acertamento della non pericolosità del rifiuto in una probatio diabolica, stante l'impossibilità di pervenire ad una prova negativa effettivamente esaustiva, costringendo così il produttore a classificare sempre il rifiuto come pericoloso quantomeno in via prudenziale.

La Suprema Corte (Cass. pen., Sez. III, 9 novembre 2016 n. 46897), in un caso relativo alla corretta classificazione dei codici a specchio, ha affermato la necessità delle analisi per accertare la presenza (o l'assenza) di sostanze pericolose, ricordando, nell'ipotesi di mancata dimostrazione di non pericolosità, la presunzione di pericolosità del rifiuto: «la classificazione di un rifiuto identificato da un “codice a specchio”, e la conseguente attribuzione del codice (pericoloso/non pericoloso) compete al produttore/detentore del rifiuto; ne consegue che, dinanzi ad un rifiuto con codice “a specchio”, il detentore sarà obbligato ad eseguire le analisi (chimiche, microbiologiche, ecc.) necessarie per accertare l'eventuale presenza di sostanze pericolose, e l'eventuale superamento delle soglie di concentrazione; solo allorquando venga accertato, in concreto, l'assenza, o il mancato superamento delle soglie, di sostanze pericolose, il rifiuto con codice “a specchio” potrà essere classificato come non pericoloso».

E ne conclude che «compete al detentore del rifiuto dimostrare in concreto che, tra i due codici “a specchio”, il rifiuto vada classificato come non pericoloso, previa caratterizzazione dello stesso; in mancanza, il rifiuto va classificato come pericoloso».

L'ordinanza di rimessione

La Suprema Corte, nell'incertezza che governa il dilemma interpretativo, ha ritenuto necessario e cogente proporre alla Corte di giustizia una serie di quesiti interpretativi pregiudiziali.

Ed invero, in considerazione dell'applicabilità immediata nei Paesi membri della normativa comunitaria, vigente dal 1° giugno 2015 e, considerate le contrapposte tesi interpretative della stessa, da parte della dottrina e della giurisprudenza, il Supremo Collegio, pur manifestando adesione alla teoria della certezza della prova liberatoria, contrapposta a quella più garantista per l'imputato della "probabilità" della medesima prova, ai sensi della legge 116/2014, ritiene che l'intervento del Giudice comunitario sia necessario in quanto i citati provvedimenti comunitari non contengono indicazioni prescrittive di specifiche procedure analitiche.

L'ordinanza ha infatti cura di precisare che «in realtà paiono al Collegio condivisibili quelle osservazioni secondo le quali ciò che si richiede, in tali casi, è in ogni caso una adeguata caratterizzazione del rifiuto e non anche la ricerca indiscriminata di tutte le sostanze che esso potrebbe astrattamente contenere. In altre parole – e l'assunto sembra del tutto logico – tale affermazione starebbe a significare che, accertando l'esatta composizione di un rifiuto, è conseguentemente possibile verificare la presenza o meno di sostanze pericolose. Altrettanto coerente sembra l'ulteriore osservazione secondo la quale la composizione di un rifiuto non è sempre desumibile dalla sua origine, come nel caso in cui non derivi da uno specifico processo produttivo, ma sia talvolta conseguenza di altri fenomeni o trattamenti che ne rendono incerta o ne mutano la composizione. Prescindendo quindi dall'esaminare ulteriori aspetti, prettamente tecnici, non sembra al Collegio che i provvedimenti comunitari, più volte richiamati nel prospettare l'una o l'altra delle tesi contrapposte, consenta di rinvenire, nei provvedimenti medesimi, contenuti che permettano di rilevarne la fondatezza nei termini drastici talvolta prospettati e, conseguentemente, l'esistenza di presunzioni o criteri di valutazione fondati sulla probabilità. Corretto pare, al contrario, il richiamo al principio di precauzione cui deve conformarsi la gestione dei rifiuti, come espressamente previsto anche dalla disciplina generale di settore (art. 178 d.lgs. 152\2006), che deve ritenersi applicabile anche nella classificazione dei rifiuti pericolosi con voci speculari al fine di garantire una adeguata protezione dell'ambiente e della salute delle persone».

In conclusione

In estrema sintesi, il cuore della questione appare quindi essere se per la classificazione dei rifiuti con codici a specchio, si debba eseguire un controllo analitico “solo” per le sostanze pericolose ragionevolmente presenti o se invece la ricerca debba necessariamente essere estesa anche a tutte le altre sostanze pericolose che potrebbero, essere ragionevolmente escluse, con il rischio, da un lato, di rendere altamente discrezionale e quindi opinabile la non pericolosità del rifiuto e, dall'altro, di adottare una ingiustificabile ed eccessivamente prudenziale classificazione dei rifiuti come pericolosi, anche al fine di evitare gli elevati costi di analisi nonché eventuali possibili contestazioni (G. GALASSI, La classificazione delle voci a specchio e il criterio della esaustività dell'analisi: dallo scontro in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno, cit.).

Ad avviso della Corte, la norma nazionale e comunitaria sembri richiedere «una adeguata caratterizzazione del rifiuto e non anche la riCerca indiscriminata di tutte le sostanze che esso potrebbe astrattamente contenere», ma «sussistendo (...) un ragionevole dubbio circa l'ambito di operatività delle disposizioni comunitarie», in assenza di elementi tali da chiarire definitivamente quando una caratterizzazione possa effettivamente considerarsi idonea, per tipologie di elementi riCercati e metodica utilizzata, si opta per la trasmissione degli atti alla Corte di giustizia affinché si pronunci chiarendo: «a) Se l'allegato alla decisione 2014/955/Ue ed il regolamento Ue n. 1357/2014 vadano o meno interpretati, con riferimento alla classificazione dei rifiuti con voci speculari, nel senso che il produttore del rifiuto, quando non ne è nota la composizione, debba procedere alla previa caratterizzazione ed in quali eventuali limiti; b) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba essere fatta in base a metodiche uniformi predeterminate; c) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba basarsi su una verifica accurata e rappresentativa che tenga conto della composizione del rifiuto, se già nota o individuata in fase di caratterizzazione, o se invece la ricerca delle sostanze pericolose possa essere effettuata secondo criteri probabilistici considerando quelle che potrebbero essere ragionevolmente presenti nel rifiuto; d) Se, nel dubbio o nell'impossibilità di provvedere con Certezza all'individuazione della presenza o meno delle sostanze pericolose nel rifiuto, questo debba o meno essere comunque classificato e trattato come rifiuto pericoloso in applicazione del principio di precauzione» .

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