PAS: affidamento del minore all'Ente e raccomandazioni del Tribunale a sostegno della genitorialità

09 Febbraio 2018

In caso di situazioni riconducibili alla c.d. sindrome da alienazione parentale (PAS), il Giudice può disporre l'affidamento del minore ai Servizi Sociali se entrambi i genitori sono incapaci di garantire il diritto del figlio al corretto esercizio della responsabilità genitoriale in termini di cura, educazione ed istruzione e la conservazione di un rapporto equilibrato con ambedue le figure di riferimento (diritto alla bigenitorialità).
Massima

L'affido esclusivo è contrario all'interesse del minore se il genitore non garantisce l'accesso del figlio al genitore non affidatario e tiene comportamenti ostacolanti il recupero della relazione tra il minore e il genitore non collocatario. In questi casi, è opportuno disporre l'affidamento del minore ai Servizi Sociali con collocamento presso un genitore, anche raccomandando ai genitori percorsi a sostegno della genitorialità.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento di revisione delle modalità di affidamento del figlio minore ex art. 337-quinquies c.c., promosso dal padre nei confronti della madre, il Tribunale, con decreto provvisorio, disponeva la collocazione del minore presso il padre stabilendo che la madre potesse incontrare il figlio solo mediante visite protette organizzate dagli operatori dei Servizi Sociali, i quali venivano incaricati di relazionare sulla situazione e di fornire informazioni in ordine al regime di affidamento consigliato, alla collocazione definitiva del minore e alle modalità di frequentazione con il genitore non collocatario.

All'esito delle indagini svolte e considerato contrario all'interesse del minore l'affidamento esclusivo al padre, che aveva tenuto comportamenti ostacolanti il recupero della relazione tra il figlio e la madre, in precedenza in carico al Centro di Salute Mentale, il Tribunale confermava l'affidamento del minore ai Servizi Sociali con collocazione presso il padre, così come gli incontri con la madre mediante visite protette tramite un educatore con funzioni di mediatore e facilitatore della relazione madre/figlio, al contempo raccomandando al padre l'avvio di un percorso psicologico individuale presso il Servizio di Salute Mentale e alla madre la ripresa degli incontri presso il medesimo istituto.

La questione

Il decreto in commento mette in luce due questioni: la prima attiene l'affidamento del minore ai Servizi Sociali nell'ipotesi in cui entrambi i genitori siano incapaci di garantire il diritto del figlio al corretto esercizio della responsabilità genitoriale in termini di cura, educazione ed istruzione e la conservazione di un rapporto equilibrato con ambedue le figure di riferimento (c.d. diritto alla bigenitorialità), rappresentandosi situazioni riconducibili alla c.d. sindrome da alienazione parentale (PAS). La seconda concerne le tipologie di intervento giurisdizionale a sostegno della famiglia sotto forma di raccomandazione a seguire percorsi terapeutici ai genitori come rispondenti all'interesse del minore.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso all'esame del Tribunale di Genova, l'affidamento del minore ai Servizi Sociali è disposto a fronte di una situazione familiare in cui la madre, rimasta contumace, aveva già manifestato scompensi tali da rendere opportuna la presa in carico da parte del Servizio di Salute Mentale, mentre il padre, presso il quale il minore era collocato, aveva assunto un atteggiamento ostacolante alla ripresa della relazione tra la madre e il bambino.

Pur a fronte dell'evidente carenza materna, il Tribunale giudica rilevante, per escludere l'affidamento esclusivo del minore al padre, il comportamento che quest'ultimo aveva tenuto a danno del diritto del bambino a recuperare una relazione equilibrata con la madre.

Preso atto, quindi, della mancanza di una figura genitoriale idonea ad esplicare appieno la propria funzione in modo da garantire il diritto del minore alla continuità del rapporto di cura, educazione ed istruzione che dovrebbe persistere sia durante il rapporto di convivenza con entrambi i genitori che durante il periodo della separazione e nonostante la stessa, il Giudice, a tutela del minore, dispone l'affidamento ai Servizi Sociali del Comune di residenza, il collocamento del bambino presso il padre, a fronte delle gravi carenze materne, e al contempo raccomanda a entrambi i genitori percorsi psicologici e psichiatrici individuali, volti comunque alla riassunzione delle piene funzioni educative e di cura nei confronti del figlio.

La tutela apprestata nei confronti del minore si esplica mediante l'assunzione di prescrizioni di diverso genere.

Rispetto alla madre, il Giudice dispone visite protette organizzate dagli operatori dei servizi sociali per il tramite dell'intervento di un educatore che svolga le funzioni di mediatore e facilitatore della relazione genitoriale: il diritto di visita si connota come protetto, in quanto deve garantire al bambino la possibilità di un incontro “sicuro” con la madre che, anche in modo involontario, aveva evidentemente assunto comportamenti scarsamente tutelanti nei confronti del figlio. Al contempo il Giudice “raccomanda”, e non prescrive, la ripresa regolare degli incontri tra la madre e il Servizio di Salute Mentale.

Nei riguardi del padre, invece, pur essendo disposta la collocazione del bambino presso di lui, viene parimenti raccomandato l'avvio di un percorso psicologico individuale presumibilmente per aiutarlo a superare l'atteggiamento interferente nella relazione madre/figlio, sempre nell'ottica del diritto del minore ad una proficua e sana relazione con entrambi i genitori, per sviluppare la quale non può prescindersi dall'atteggiamento collaborativo e non ostacolante del genitore collocatario nei confronti dell'altro.

Osservazioni

Allorché si debba valutare l'affidamento o anche solo il collocamento di un minore presso uno dei genitori, viene in rilievo l'idoneità genitoriale, determinata anche sulla base della capacità di riconoscere le esigenze affettive del bambino e di preservargli la continuità della relazione parentale attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là della rivalsa sull'altro. Tale punto di vista è condiviso anche della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte EDU, 9 gennaio 2013, n. 25704) che ha affermato la violazione dell'art. 8 CEDU da parte dell'Italia in un caso in cui le autorità giudiziarie, davanti agli ostacoli frapposti dalla madre e dalla figlia minore al libero esercizio da parte del padre del diritto di visita, non avevano posto in essere tutte le misure atte a mantenere il legame familiare tra padre e figlia. Le autorità si erano limitate a reiterare in modo stereotipato i propri provvedimenti e a prescrivere l'intervento dei Servizi Sociali, cui era stata delegata una generica funzione di controllo, così determinandosi una situazione di fatto pregiudizievole per il padre, quando invece sarebbe stato necessario adottare rapidamente misure specifiche per il ripristino della collaborazione tra i genitori e dei rapporti padre/figlia, anche avvalendosi della mediazione dei servizi sociali.

Il Giudice deve accertare se si sono verificati comportamenti volti ad allontanare il minore dall'altro genitore: secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità, non occorre entrare nel merito del dibattito relativo alla validità scientifica della PAS (Parental Alienation Syndrome o Sindrome di Alienazione Parentale), essendo rilevante, ai fini della decisione, appurato che il minore rifiuta i contatti con un genitore e che ciò sia imputabile a un comportamento scorretto di quello presso il quale il minore vive, l'accertamento delle ragioni alla base delle manifeste resistenze e in particolare se siano indotte dal genitore convivente, per ragioni di rivalsa o di astio verso l'altro (la Corte di Cassazione ha inizialmente assunto una posizione “sbrigativa” nei confronti della cd. Alienazione genitoriale: si veda Cass. Civ. n. 7452/2012 e n. 5847/2013; successivamente si è sposato un orientamento “utopistico” secondo cui il Giudice deve verificare l'attendibilità scientifica della PAS: Cass. Civ. n. 7041/2013; da ultimo tende ad affermarsi un orientamento più “realistico” secondo cui il Giudice deve limitarsi ad accertare in concreto l'esistenza di alienazione genitoriale, intesa come l'allontanamento morale e materiale del figlio minore da un genitore attribuibile a condotte dell'altro: Cass. Civ. n. 6919/2016; v. R. Russo, La Cassazione apre parzialmente sulla PAS, in IlFamiliarista.it).

L'espressione “alienazione genitoriale” è talora utilizzata a sproposito nel linguaggio inerente la patologia delle relazioni genitori – figli a seguito della separazione della coppia, ma sostanzialmente evoca la situazione di rifiuto e ostilità che un figlio mostra verso un genitore determinata consapevolmente dall'altro genitore e certamente pregiudizievole per la crescita del minore.

Che si tratti di una sindrome o di una “malevole” disfunzione relazionale, è sostanzialmente irrilevante per il giurista, per il quale, ciò che conta, resta esclusivamente approntare un rimedio al pregiudizio che il figlio patisce dal condizionamento di un genitore che, con il proprio comportamento “alienante” reca un danno grave al minore, privato del rapporto con l'altra figura genitoriale.

In generale, quindi, è censurabile il comportamento di un genitore lesivo del diritto del figlio a godere della bigenitorialità e contestualmente del diritto dell'altro cui sia impedito di svolgere il proprio ruolo genitoriale. Il pregiudizio che il genitore arreca alla c.d. bigenitorialità è una manifestazione di inidoneità, che, appunto, si misura anche attraverso la valutazione della capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore.

In questi casi, a fronte anche della scarsità delle risorse dell'altro genitore che rendono impraticabile una diversa allocazione del figlio, è possibile prevedere l'affidamento ai Servizi sociali del luogo di residenza del minore, conservando il collocamento dello stesso nella dimora abituale (di recente, si veda anche Trib. Cosenza 18 ottobre 2017 che condanna un padre al risarcimento dei danni da c,d. alienazione genitoriale in favore della madre e del figlio ai sensi e per gli effetti dell'art. 709 ter c.p.c.; v. M. Corriere, Genitore alienante: danno risarcito al figlio e alla madre, in IlFamiliarista.it).

L'affidamento del minore ai Servizi sociali è una misura in uso da diversi anni nella prassi dei Tribunali: esso non rappresenta, com'è noto, un affidamento in senso tecnico giuridico (v. nota a Trib. Milano, 14 aprile 2016, di L. Galli, Affidamento del minore all'ente in sostituzione dei genitori, in IlFamiliarista.it), potendo il minore essere affidato solo ai propri genitori ex art. 337-ter c.c. e 337-quater c.c.: si tratta piuttosto di uno degli interventi che il Tribunale può attuare allorché debba assumere provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale a fronte di carenze manifestate da entrambi i genitori nell'esercizio delle loro funzioni, onde evitare che si ripetano nel futuro atti dannosi nei confronti del figlio ovvero si protraggano ulteriormente le conseguenze dei precedenti inadempimenti.

Sino a che non sia ripristinato il corretto esercizio delle funzioni genitoriali, sussiste il pericolo di un pregiudizio in capo al minore, al quale si può far fronte mediante l'affidamento del bambino all'Ente, cui il Tribunale delega l'assunzione di alcune o tutte le decisioni normalmente prese dai genitori nell'interesse dei figli. Non sussiste alcuno standard predeterminato: il Tribunale valuterà caso per caso, tenuto conto delle specifiche caratteristiche delle situazioni sottoposte al suo esame, in che misura i genitori vadano sostituiti, sempre e comunque nell'ottica di ripristinare in capo alla madre e al padre il pieno esercizio delle funzioni genitoriali, una volta superate le difficoltà che hanno condotto all'adozione della misura “di sostegno”. L'affidamento a terzi è un fatto per sua natura transitorio, mirante ad avviare un percorso di recupero dei rapporti genitoriali, a normalizzare la situazione e a garantire il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. In tale contesto, quindi, il Servizio Sociale assume l'importante funzione di sostegno al minore e alla famiglia. Naturalmente, nel caso in cui le difficoltà permangano e siano connaturate da particolare gravità, il Tribunale potrà adottare misure più incisive, fino alla declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale con conseguente apertura della procedura per l'accertamento dello stato di abbandono.

Confermando l'affidamento del minore ai Servizi Sociali con collocamento presso il padre, il Tribunale di Genova, nell'ottica di offrire un sostegno alla coppia genitoriale per il recupero del corretto svolgimento della responsabilità nei confronti del figlio, fa una duplice raccomandazione: al padre di avviare un percorso psicologico individuale presso il Servizio di Salute Mentale e alla madre di riprendere con il medesimo Servizio gli incontri regolari.

Il provvedimento rappresenta un esempio di quella giurisprudenza particolarmente attenta e sensibile alla dinamica della crisi familiare: le problematiche della famiglia che si disgrega sono assai complesse specie allorché siano coinvolti dei minori. Al contempo, l'attuazione dei provvedimenti inerenti la responsabilità genitoriale è una questione spinosa, poiché non si può parlare di vero e proprio obbligo in capo ai genitori di adeguarsi a un nuovo regolamento di vita nell'interesse del figlio minore, quanto piuttosto di un dovere degli stessi di assumere comportamenti che soddisfino l'interesse del minore a consolidare un rapporto equilibrato con entrambe le figure genitoriali.

La materia è quindi connaturata da una generale non coercibilità delle decisioni: il Tribunale di Genova, nel provvedimento in commento, si mostra particolarmente attento a predisporre tutte le misure in suo potere per tutelare il minore e il suo diritto alla bigenitorialità, ma al contempo appare consapevole che prescrivere un trattamento sanitario o psicologico volto al recupero e al sostegno della genitorialità pone difficoltà oggettive, anzi presenta profili di discutibile legittimità.

Invero, sono noti alcuni casi in cui i Giudice di merito prescrivono ai genitori un percorso terapeutico (ad esempio, Trib. Roma, sez. I, n. 9630/2016) specie all'esito di una consulenza tecnica.

Ma una cosa è suggerire, una cosa è prescrivere: paiono condivisibili le conclusioni cui è giunta la Cassazione (Cass. civ., n. 13506/2015; v. A. G. Danovi, Non può essere imposto a un genitore un percorso psicoterapeutico individuale e di sostegno alla genitorialità, in IlFamiliarista.it) secondo cui sono illegittimi i provvedimenti giudiziari che istituiscono percorsi di sostegno o terapeutici ai membri della famiglia, poiché confliggenti con l'art. 32 Cost.. Inoltre, in una materia delicata come quella delle relazioni personali e familiari, le prescrizioni da parte del Giudice possono essere percepite come una indebita ingerenza nella sfera privata dei destinatari. Ecco allora che la raccomandazione, in luogo della prescrizione, pare maggiormente cogliere la necessità di aiutare i genitori a cambiare l'approccio futuro nella gestione dei rapporti tra di loro e nei confronti del figlio, in modo corrispondente all'interesse di quest'ultimo.

Guida all'approfondimento

P. Avallone, N. Ciccarelli, R. Tedesco, Il Diritto dei minori, Napoli, 2015;

A. Tramonto, I diritti del minore e la tutela giurisdizionale , Rimini, 2015, 447 ss.;

G. Buzzi, La sindrome di alienazione genitoriale, in V. Cigoli, G. Gullotta, G. Santi, Separazione, divorzio e affidamento dei figli, II ed., Giuffrè, 1997.

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