La mala fede o la colpa grave sono sufficienti per la revoca del patrocinio a spese dello Stato?

13 Febbraio 2018

La questione esaminata dalla sentenza in commento è quella della individuazione dei presupposti di applicazione dell'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002.
Massima

L'ammissione al patrocinio a spese dello Stato va revocata ai sensi dell'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 in presenza del duplice presupposto della manifesta infondatezza della domanda e della mala fede o colpa grave della parte non abbiente.

Il caso

Tizio conviene in giudizio dinanzi al tribunale di Catania la società Caia, con la quale aveva stipulato un contratto di assicurazione contro il furto di un escavatore, chiedendone la condanna al pagamento del relativo indennizzo atteso che il mezzo suddetto gli era stato rubato da ignoti.

Il tribunale rigetta la domanda e tale decisione viene confermata dalla Corte d'appello, che dichiara prescritto il diritto dell'assicurato.

Tizio, dopo essere stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, propone ricorso per cassazione avverso quest'ultima sentenza deducendo, quale unico motivo di impugnazione, che essa è affetta dal vizio di violazione dell'art. 2947 c.c..

Infatti, a suo dire, poiché il suo “credito risarcitorio” è sorto da un fatto illecito che integra gli estremi di un reato (il furto dell'escavatore cingolato), ad esso doveva applicarsi alternativamente o l'art. 2953 c.c. o l'art. 2947 c.c..

La questione

La questione esaminata, invero piuttosto sinteticamente, dalla sentenza in commento è quella della individuazione dei presupposti di applicazione dell'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002. L'ulteriore problematica sottesa alla decisione in commento riguarda la natura del provvedimento con il quale il beneficio va revocato.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione rigetta il ricorso, giudicando manifestamente infondata sotto il profilo giuridico la tesi del ricorrente secondo la quale le norme dettate per disciplinare il rapporto tra la vittima d'un reato ed il reo si applicano al contratto di assicurazione, se il rischio da esso coperto deriva da un reato.

La Corte, con la stessa sentenza, provvede d'ufficio anche a revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato provvisoriamente disposta dal consiglio dell'ordine per il giudizio di cassazione, evidenziando come nel caso di specie da un lato difettassero i presupposti per essa e dall'altro sussistesse la colpa grave dell'interessato nella proposizione dell'impugnazione.

Secondo la pronuncia in commento l'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 impone la revoca della ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta in via provvisoria dal consiglio dell'ordine qualora concorrano due distinte condizioni: l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione, fissati dagli artt. 76, 79 e 122 del citato decreto, e la mala fede o la colpa grave della parte ammessa.

A ben vedere però tale interpretazione contrasta con il dato normativo che, utilizzando la congiunzione “ovvero”, lascia intendere che le due ipotesi in esso contemplate sono tra loro alternative.

Nemmeno è accettabile in linea generale la conseguenza della premessa da cui muove la Suprema Corte, ovvero che il giudice, al momento della decisione, potrebbe e dovrebbe reiterare la valutazione di ammissibilità dell'istanza di ammissione al beneficio, già compiuta a suo tempo dal consiglio dell'ordine, anche con riguardo al profilo della non manifesta infondatezza della pretesa della parte non abbiente, oltre a compiere quella sulla mala fede o colpa grave della medesima.

Tale lettura infatti non tiene conto della rilevante differenza che intercorre tra la valutazione di competenza del consiglio dell'ordine sulla non manifesta infondatezza della pretesa, che avviene ex ante, al momento della presentazione della domanda di ammissione, e quella compiuta dal giudice all'esito del giudizio o quando le difese sono state interamente spiegate e quindi ex post.

Questa distinzione è stata invece colta, ed opportunamente evidenziata dalla Corte costituzionale in un passo della ordinanza 17 luglio 2009 n. 220, ove si afferma che «il legislatore ha previsto sia una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza (da compiersi al momento della presentazione della domanda, con rigetto della stessa nei casi in cui, sin dall'origine, l'istante voglia far valere una pretesa palesemente infondata); sia la revoca, ex post, della ammissione al beneficio quando, a seguito del giudizio, risulta provato che la persona ammessa ha agito o resistito con mala fede o colpa grave».

Nei medesimi termini si sono espresse anche Cass. civ., 31 luglio 2014, n. 17461 e Cass. civ., 23 gennaio 2017, n. 1719.

Il presupposto normativo delle ipotesi di revoca del patrocinio che stiamo considerando va allora, più linearmente, individuato nel medesimo che consente la condanna per responsabilità processuale aggravata.

A conferma di ciò non va trascurato che, con riguardo al giudizio di appello, la Corte costituzionale ha indicato proprio nell'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 la norma che consente la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello stato, relativo al giudizio di appello, in caso di impugnazione inammissibile.

Sulla base di tale rilievo la Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 del d.P.R. n. 115/2002, che era stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., sulla base della considerazione che tale norma non avrebbe consentito la liquidazione dell'onorario al difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche quando fosse proposta una impugnazione inammissibile.

É evidente allora che la previsione in esame ha una funzione sanzionatoria della parte ammessa al beneficio che venga condannata per lite temeraria, sul presupposto che il provvedimento di revoca costituisce l'unica effettiva sanzione per essa, giacchè una eventuale condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c., pur ipotizzabile come si vedrà subito, con tutta probabilità, per non dire con certezza, resterebbe ineseguita, a causa della condizione di non abbienza della parte in questione.

Si noti poi che la norma prescinde dalla formale pronuncia della condanna per lite temeraria in favore della parte abbiente vittoriosa ed anche dall'istanza di quest'ultima, richiedendo solo che ne vengano ravvisati i presupposti.

Tale scelta è pienamente comprensibile perché la parte vittoriosa può non avere interesse a quella pronuncia, non beneficiandone direttamente.

La disposizione quindi, con riguardo a quest'ultimo profilo, ha anticipato, nel limitato ambito che ci occupa, la riforma di cui alla l. 18 giugno 2009, n.69, che è intervenuta sull'art. 96 c.p.c. attribuendo al giudice una iniziativa officiosa.

Deve peraltro osservarsi come criterio di valutazione del giudice sia il medesimo del Consiglio dell'ordine in quelle specifiche ipotesi di manifesta infondatezza o di inammissibilità della domanda contemplate dal nostro ordinamento e che si collocano in limine litis (si pensi a quella di cui all'art. 155-bis, comma 2, ultima parte, c.c.; alla ipotesi di cui all'art. 348-ter c.p.c., o anche alle ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione di cui all'art. 360-bis n. 2, c.p.c., introdotto sempre dalla l. n. 69/2009).

Queste norme, infatti, richiedono al giudice una valutazione sommaria.

Seguono la prospettiva qui esposta alcune pronunce di merito che hanno ravvisato la colpa grave rilevante ai sensi dell'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002:

  • nella proposizione da parte di un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato di una azione di reintegrazione del possesso a distanza di molto tempo dalla legale privazione della disponibilità del bene (App. Catania, 4 marzo 2009);
  • nella tardiva opposizione ad una sentenza dichiarativa di fallimento (Trib. Verona, 25 ottobre 2011);
  • nella condotta di un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato che, dopo aver chiesto la concessione del termine di grazia, non abbia sanato la morosità (Trib. Padova, 13 dicembre 2006).

Ad avviso dello scrivente la ricostruzione fin qui esposta non è messa in crisi da una norma di recente introduzione, il comma 17 dell'art. 35-bis, d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, introdotto dal d.l. 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell'immigrazione illegale), convertito con modificazioni dalla l. 13 aprile2017, n. 46 che stabilisce, che, in ipotesi di rigetto del ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale - che, a sua volta, abbia rigettato la domanda di protezione internazionale per inammissibilità (art. 29) o per manifesta infondatezza (art. 32, comma 1, lettera b-bis) - il giudice, «se ritiene di liquidare le competenze maturate dal difensore della parte ammessa al beneficio (e, quindi, ritiene che non sussistano i presupposti per la revoca) deve indicare nel decreto di pagamento le ragioni per cui non ritiene le pretese del ricorrente manifestamente infondate».

Infatti deve ritenersi che in questo caso l'espressione di “manifesta infondatezza” alluda ai casi di ricorsi che, all'esito del giudizio, risultino connotati da mala fede o colpa grave.

La previsione rappresenta peraltro una deroga alla regola di cui all'art. 82 t.u.s.g. che non prevede che il giudice debba motivare sulla non manifesta infondatezza della pretesa della parte non abbiente se liquida il compenso.

Osservazioni

Se la ricostruzione dell'ambito di applicazione dell'istituto di cui all'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 operata nella decisione in commento non è condivisibile, la conclusione cui giunge la Suprema Corte è invece ineccepibile in concreto poiché la revoca del beneficio era ampiamente giustificata dalla temerarietà della tesi del ricorrente.

Ad essa ben avrebbe potuto cumularsi la condanna della parte non abbiente ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., dal momento che, come detto, essa si fonda sui medesimi presupposti soggettivi del provvedimento di revoca.

A conforto di tale conclusione va evidenziato che la stessa Corte di cassazione in una recente pronuncia (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2016, n. 19285), in cui ha ritenuto opportuno procedere ad una esemplificazione delle ipotesi riconducibili all'art. 96, comma 3, c.p.c., ha incluso tra esse la conclamata infondatezza della prospettazione giuridica, sia sostanziale che processuale, posta a fondamento della azione o della difesa, da intendersi quale inconsistenza giuridica che avrebbe dovuto indurre a desistere dal farla valere.

Alcune considerazioni merita anche la circostanza che nel caso di specie il beneficio è stato revocato non già, come prevede la norma, con un autonomo decreto ma con la stessa sentenza che ha rigettato il ricorso per cassazione.

A prescindere dal dato normativo, vi sono delle esigenze di ordine funzionale che giustificano la separazione tra i due provvedimenti (quello che definisce il giudizio e il decreto di liquidazione).

Essi, infatti, sono innanzitutto soggetti ad adempimenti diversi: ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 il decreto di liquidazione «va comunicato al beneficiario e alle parti, compreso il pubblico ministero», ovviamente nei giudizi di cui tale ufficio sia parte. Essi sono poi soggetti a mezzi impugnazione differenti: la sentenza a quelli ordinari, mentre il decreto di liquidazione all'opposizione di cui al combinato disposto degli artt. 15 d.lgs. n. 150/2011 e 170 d.P.R. n. 115/2002.

Del resto anche il recente comma 17 dell'art. 35-bis, d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, introdotto dal d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, già citato nel precedente paragrafo, conferma che il decreto costituisce provvedimento autonomo e distinto dalla decisione.

Guida all'approfondimento
  • Scalera, La revoca del patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, in www.ilprocessocivile.it;
  • Scarselli, Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato, in Nuove leggi civ. comm., 2002;
  • Vaccari, Le spese dei processi civili, Milano, 2017, 447-465.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario