Impugnazione proposta dal difensore senza procura speciale. Sull'inoperatività del meccanismo sanante ex art. 182, comma 2, c.p.c.

14 Febbraio 2018

Quali sono i criteri distintivi tra nomina difensiva e procura speciale? È applicabile nel processo penale, e in particolare per le parti private diverse dall'imputato e portatrici di meri interessi civilistici, il meccanismo sanante previsto dall'art. 182, comma 2, c.p.c....
Massima

La mancanza della procura speciale ai sensi dell'art. 100 c.p.p. delle parti private diverse dall'imputato al difensore non può essere sanata, previa concessione di un termine da parte del giudice, ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.c. ma comporta l'inammissibilità dell'impugnazione.

Il caso

Il tribunale di Chieti, Sezione riesame, dichiarava inammissibile l'istanza di riesame proposta ai sensi dell'art. 324 c.p.p., nell'interesse di terzi estranei al reato, avverso il provvedimento con cui il Gip del medesimo tribunale, nell'ambito di un procedimento a carico di più imputati per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di illeciti tributari, aveva disposto il sequestro preventivo di somme di denaro e di numerosi beni immobili.

In particolare, il tribunale del riesame rilevava che l'atto di impugnazione era stato sottoscritto dal difensore non munito della necessaria procura speciale di cui all'art. 100 c.p.p., essendo presente una mera nomina di difensore di fiducia, senza il necessario riferimento all'attività processuale da svolgere.

Avverso tale provvedimento, il terzo interessato proponeva ricorso per cassazione sollevando due motivi.

Con il primo motivo si sosteneva che la procura speciale di cui deve essere munito il difensore del terzo interessato per proporre istanza di riesame non sarebbe riconducibile all'istituto previsto dall'art. 122 c.p.p. ma, a quello di cui all'art. 100 c.p.p., il quale non richiederebbe la necessaria specificazione delle attività processuali da svolgersi, con eccezione di alcun atti altrimenti preclusi al difensore tra cui non rientrerebbe il riesame.

Si sosteneva, dunque, che, a prescindere dalla intestazione formale nomina a difensore di fiducia, quella posta in calce all'atto di impugnazione dovesse considerarsi una vera e propria procura speciale ai sensi dell'art. 100 c.p.p.

Con il secondo motivo, invece, si contesta la violazione di legge in relazione all'art. 182, comma 2, c.p.p. rilevando che, in applicazione della suddetta norma, il tribunale di Chieti avrebbe dovuto rimettere in termini la parte per sanare il difetto di procura speciale.

La questione

Quali sono i criteri distintivi tra nomina difensiva e procura speciale?

È applicabile nel processo penale, e in particolare per le parti private diverse dall'imputato e portatrici di meri interessi civilistici, il meccanismo sanante previsto dall'art. 182, comma 2, c.p.c. in caso di proposizione di atto di impugnazione da parte di difensore privo di procura speciale?

Le soluzioni giuridiche

La prima delle questioni di cui deve occuparsi la Suprema Corte sembra non porre particolari problemi interpretativi.

Il giudice di legittimità, infatti, nella motivazione di sentenza, riesce a tracciare in maniera chiara e inequivoca la linea di discrimine tra il mandato difensivo e la procura speciale di cui deve munirsi il difensore del terzo interessato per la proposizione dell'impugnazione.

D'atra parte, non è dato ravvisare nella giurisprudenza di legittimità orientamenti ermeneutici consolidati di segno opposto a quello ribadito dalla Corte.

Viene infatti affermato che, in base al disposto dell'art. 96 c.p.p., la nomina difensiva prevede formalità che attengono esclusivamente al momento della presentazione della stessa ma non al suo contenuto.

Si tratta, in altre parole, di un «negozio unilaterale di investitura, per il difensore, del potere di rappresentare la parte in giudizio che vale per tutta la durata del processo fino a revoca o rinuncia» (Cass. pen., Sez. unite, 9 luglio 2003, n. 35402).

Al contrario, la procura speciale, ai sensi dell'art. 100 c.p.p., mantenendo anch'essa lo schema negoziale tipico del mandato, con cui il professionista viene incaricato di svolgere la sua opera professionale, deve necessariamente contenere uno specifico conferimento di poteri per il compimento di determinati atti, di cui è titolare in proprio il conferente, in relazione a uno determinato procedimento.

In considerazione di quanto sopra, la procura speciale non può neppure considerarsi estensibile agli altri gradi del giudizio e può invece comprendere anche il potere di disporre del diritto in contesa ma solo se espressamente previsto.

Decisamente più complessa e oggetto di contrastanti orientamenti interpretativi è la seconda questione sollevata con il ricorso.

Invero, quantomeno fino alla sentenza delle Sezioni unite del 2014 (Cass. pen., Sez. unite, 30 ottobre 2014, n. 47239), in seno alla medesima Corte si erano affermati due orientamenti ermeneutici di segno opposto.

Secondo un primo orientamento, anche nel processo penale sarebbe applicabile il meccanismo sanante previsto dall'art. 182, comma 2, c.p.c. sulla scorta di alcune semplici argomentazioni.

I sostenitori di tale opzione esegetica, infatti, affermano che, pur trattandosi di questione che sorge incidentalmente nel processo penale, il soggetto terzo estraneo al reato rimane pur sempre portatore di meri interessi civilistici e, di conseguenza, l'onere di patrocinio che su di lui incombe può essere soddisfatto allo stesso modo di quanto avviene nel processo civile, cioè ai sensi dell'art. 83 c.p.c. (in questo senso Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 20 novembre 2012, n. 1289; Cfr. Cass. pen., Sez. III, 16 dicembre 2010, n. 11966).

La naturale conseguenza di tale impostazione è che anche le possibili e successive vicende relative al corretto conferimento della procura alle liti debbano seguire la disciplina dettata in ambito civilistico.

Il meccanismo sanante di cui all'art. 182, comma 2, c.p.c., che prevede la concessione di un termine da parte del giudice per il deposito della procura, sarebbe dunque adattabile e applicabile al processo penale.

Un secondo orientamento che, a dire il vero, si è subito affermato come largamente maggioritario, sostiene invece la assoluta inapplicabilità della norma di natura civilistica al processo penale, con conseguente inammissibilità dell'impugnazione proposta dal difensore del terzo interessato privo della necessaria procura speciale.

La premessa da cui muove questo questa diversa interpretazione è sempre la medesima: la natura civilistica degli interessi di cui è portatore il terzo estraneo al reato.

Partendo da questo comune presupposto, tuttavia, la giurisprudenza prevalente ha sostenuto che è proprio la natura civilista degli interessi di cui è portatore il terzo a rendere assolutamente indispensabile una specifica procura speciale ai fini della capacità di stare in giudizio.

La mancanza di quest'ultima, quindi, non può essere sanata attraverso il ricorso ad un meccanismo previsto nell'ambito del procedimento civile, in quanto le regole di tale modello processuale sono applicabili solo in presenza della necessità di colmare eventuali vuoti esclusivamente laddove ne sia fatto un espresso richiamo dalla norma penale processuale (in questo senso Cass. pen., Sez. III, 23 aprile 2013, n. 23107; Cass. pen., Sez. I, 26 marzo 2014, n. 24946 e anche Cass. pen., Sez. III, 21 marzo 2013, n. 39077; Cass. pen., Sez. II, 13 giugno 2013, n. 31044; Cass. pen., Sez. I, 2 aprile 2014, n. 18234; Cass. pen., Sez. V, 30 settembre 2014, n. 45521).

Dinanzi a tale contrapposizione interpretativa, la Suprema Corte, nella sentenza in oggetto, ritiene di non doversi discostare dall'orientamento nomofilattico maggioritario e già oggetto di pronuncia delle Sezioni unite, ribadendo il principio per cui la mancanza di procura speciale delle parti private diverse dall'imputato al difensore non può essere sanata attraverso il ricorso al meccanismo previsto dall'art. 182, comma 2, c.p.c. ma comporta l'inammissibilità dell'impugnazione.

Osservazioni

La principale questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte impone una disamina dei rapporti tra le regole del processo penale e quelle del processo civile e, in particolare, del problema dell'applicabilità delle norme dettate per quest'ultimo rito in caso di lacune normative del primo, laddove, ovviamente, nel procedimento penale emergano interessi di natura civilistica.

Il diverso modo di interpretare i rapporti tra i due modelli processuali sembra derivare da una differente valutazione delle priorità e dei “valori” da perseguire.

A favore della opportunità di applicare la norma di cui all'art. 182, comma 2, c.p.c. anche al processo penale vi è, in particolare, la valorizzazione del principio di conservazione degli atti e del più generale principio di collaborazione tra il giudice e le parti.

In base al principio di conservazione degli atti, infatti, il difetto di procura dovrebbe essere inteso come una mera irregolarità sanabile e non come una condizione che determina l'inammissibilità dell'impugnazione.

Vi sarebbe, in altre parole, «una equiparazione della nullità della procura ad litem al difetto di rappresentanza processuale con conseguente sanatoria ed efficacia retroattiva» (Così Cass. pen., Sez. VI, 20 novembre 2012, n. 1289; Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2014, ord. n. 11933).

Allo stesso modo, si è sostenuto che il presupposto per una pronuncia su un diritto controverso è rappresentato proprio dalla regolare costituzione delle parti a mezzo dei soggetti a cui spetta o a cui è legittimamente conferita rappresentanza processuale e che esigenze di stabilità del giudizio e di ordine pubblico impongono il rilievo di difetti di costituzione.

La riforma dell'art. 182 c.p.c. operata con la legge 69 del 2009, dunque, si muoverebbe proprio in questo senso, ovvero nella direzione della sanatoria dei vizi di costituzione o di rappresentanza al fine di una corretta instaurazione del giudizio, nell'ottica della leale collaborazione tra il giudice e le parti.

L'importanza di tali principi (e delle finalità ad essi sottese) renderebbe applicabile la norma di natura civilistica anche al processo penale.

Si è anche sostenuto che una interpretazione di questo tipo sarebbe maggiormente aderente al dettato della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo sotto il profilo della garanzia di accesso alla tutela giurisdizionale, intesa come via di ricorso effettiva e concreta per la tutela dei diritti civili (art. 16 Cedu).

Una simile impostazione ermeneutica troverebbe fondamento anche nel dettato costituzionale e, nello specifico, nel diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost.

La lettura che di questa norma offre la Corte costituzionale, infatti, si spinge fino all'affermazione del principio per cui «i dispositivi di accesso alla giurisdizione debbono essere preordinati a rafforzare e non già ad indebolire la possibilità di difesa offerte al cittadino, nella prospettiva di una razionalizzazione dell'accesso alla funzione giurisdizionale, preordinatamente ad una tutela di qualità» (Corte cost., 9 maggio 2012, n. 111).

Le argomentazione sopra esposte, per quanto suggestive, non possono essere condivise.

In primo luogo, infatti, tale orientamento nomofilattico sembra dimenticare il principio di legalità.

Non vi è dubbio, infatti, che sussista una evidente “affinità” tra le forme previste dall'art. 83 c.p.c. e quelle di cui all'art. 100 c.p.p., tuttavia, l'innegabile somiglianza delle due norme non può determinare il superamento di un dato tanto semplice quanto dirimente: il codice di rito penale non rinvia mai al codice di procedura civile in tema di costituzione delle parti private diverse dall'imputato.

A chiarire l'autonomia (rectius: “l'autosufficienza”) della previsione di cui all'art. 100 c.p.p. rispetto a quella di natura civilistica, peraltro, sono intervenute le Sezioni unite del 2014 con una pronuncia che non lascia margini di dubbio in ordine alla doverosa distinzione tra le due disposizioni normative.

La logica conseguenza di tale considerazione è che il meccanismo sanante disciplinato dal codice di rito civile in ordine alla mancanza della procura alle liti conferita ex art 83 c.p.c. non possa essere esteso al processo penale, in cui la procura viene conferita ai sensi dell'art. 100 c.p.p.

Questa norma, invero, proprio per la sua autosufficienza non può essere integrata da quella prevista dal codice di rito civile.

D'altra parte si deve ritenere che, come osservato dalla giurisprudenza prevalente, proprio il principio di legalità esclude in via generale la possibilità di applicare regole del processo civile in assenza di un espresso richiamo della norma processuale penale.

Non è dunque possibile «invocare il travaso di norma da un sistema all'altro, in assenza di condizioni di permeabilità, avendo ciascun sistema una propria struttura non omologabile» (Cass. pen., Sez. I, 26 marzo 2014, n. 24946).

Anche il richiamo alla Cedu non risulta affatto confacente al caso di specie.

L'esclusione dell'applicabilità al processo penale della norma civilistica più volte richiamata, invero, non può in alcun modo considerarsi come una compromissione dell'accesso alla tutela giurisdizionale.

La stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, con interpretazione richiamata dalle Sezioni unite del 2014, evidenzia come le limitazioni al diritto di accesso al giudice debbano essere stabilite in modo chiaro e prevedibile.

In questo senso, la norma di cui all'art. 100 c.p.p. risulta esser assolutamente chiara e mai oggetto di oscillazioni giurisprudenziali, sicché non vi è motivo di ritenere che la disciplina in essa contenuta e la conseguente “insanabilità” della mancanza della procura possano determinare un argine non consentito alla tutela giurisdizionale.

Anche il diritto di difesa, così come costituzionalmente garantito, dunque, non risulta affatto violato, non risultando alcun indebolimento della possibilità di difesa offerta al cittadino.

In ultima analisi, si può affermare che l'impostazione interpretativa ancora una volta ribadita dalla Suprema Corte abbia il merito di non consentire una eccessiva e ingiustificata ingerenza delle regole previste in ambito civilistico nel processo penale in funzione di tutela di un diritto di difesa mai realmente in pericolo.

Il possibile intreccio tra esigenze di accertamento di rilievo penalistico e interessi civilistici non può di certo essere evitato.

Tuttavia, la diversità nella strutture dei due tipi di procedimenti e l'imprescindibile principio di legalità devono pur sempre rappresentare i fari nella cui luce vano guardati i rapporti tra le norme dei due differenti codici di rito.

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